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Valutazione dello stress lavoro correlato. Un'esperienza in ambito sanitario.

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Academic year: 2021

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U N I V E R S I T À D E G L I S T UD I D I P I S A

F a c o l t à d i M e d i c i n a e C h i r u r g i a

S c u o l a d i S p e c i a l i z z a z i o n e i n M e d i c i n a d e l L a v o r o

Tesi di Laurea

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS

LAVORO-CORRELATO: UN’ESPERIENZA IN

AMBITO SANITARIO

Relatore: Prof. Rodolfo BUSELLI

Direttore Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro: Prof. Angelo BAGGIANI

Candidato:

Dott.ssa Giulia FICINI

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INDICE

1.   INTRODUZIONE ...4  

1.1.   RISCHI  PSICOSOCIALI ...8  

1.1.1  Lo  Stress ...9  

1.2.   STRESS  LAVORO  CORRELATO:  Definizione,  Fattori  di  Rischio  e  Modelli  teorici .. 11  

1.3.   RISCHIO  DA  STRESS  LAVORO-­CORRELATO  E  ORGANIZZAZIONE  DEL  LAVORO... 20  

1.4.   RISCHIO  DA  STRESS  LAVORO-­CORRELATO  E  MOBBING... 22  

1.5.   EFFETTI  DELLO  STRESS  SULL’INDIVIDUO... 24  

1.6.   EFFETTI  DELLO  STRESS  SULL’AZIENDA ... 29  

1.6.1  Effetti  dello  stress  sul  clima  interno  e  sul  benessere/  malessere  percepito  dai   lavoratori... 30  

1.6.2  Effetti  negativi  dello  stress  sull’organizzazione ... 31  

1.7.   DATI  EPIDEMIOLOGICI  SUL  DISAGIO  PSICOSOCIALE... 34  

1.8.   RIFERIMENTI  NORMATIVI... 39  

2.   PROPOSTE  DI  METODOLOGIE  VALUTATIVE... 45  

2.1.   Network  Nazionale  per  la  Prevenzione  Disagio  Psicosociale  nei  Luoghi  di  Lavoro   ………..46  

2.2.   Linee  di  Indirizzo  della  Regione  Toscana  (2009)... 51  

2.3.   Guida  Operativa  del  Coordinamento  Tecnico  Interregionale  della  Prevenzione   nei  Luoghi  di  Lavoro... 54  

2.4.   Indicazioni  della  Commissione  Consultiva ... 56  

2.5.   Nuove  Linee  di  Indirizzo  della  Regione  Toscana  (Luglio  -­  Dicembre  2011) ... 59  

2.6.   Esperienze  applicative  delle  Linee  di  Indirizzo  della  Regione  Toscana ... 64  

3.   MATERIALI  E  METODI ... 70  

3.1.   Composizione  del  campione ... 72  

3.2.   Strumenti  utilizzati ... 74  

4.   RISULTATI... 82  

4.1.   VALUTAZIONE  NELLA  PRIMA  REALTA’  OPERATIVA... 82  

4.2.   VALUTAZIONE  NELLA  SECONDA  REALTA’  OPERATIVA ... 94  

5.   DISCUSSIONE  E  CONCLUSIONI ...101  

  ALLEGATO  A...107  

  ALLEGATO  B...116  

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Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente,

ma la specie che risponde meglio al cambiamento Charles Darwin

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1. INTRODUZIONE

Le trasformazioni del mondo del lavoro hanno una profonda ripercussione sul benessere delle persone e sono la proiezione dei mutamenti che stanno avvenendo nella società, nelle forme di occupazione e pertanto nei rischi per la salute e la sicurezza.

Negli ultimi anni numerosi sono stati i cambiamenti che hanno favorito un aumento della complessità delle realtà lavorative e messo alla prova la capacità individuale di farvi fronte.

L’invecchiamento della popolazione attiva e l’ingresso delle donne in azienda sono due determinanti mutamenti della società e del mondo produttivo che si intersecano alla trasformazione delle forme occupazionali. Il lavoro a tempo parziale e gli orari atipici convivono con le tradizionali condizioni contrattuali contribuendo a creare assetti diseguali contemporaneamente presenti in una singola realtà aziendale. A questo si sommano l’esigenza di flessibilità, i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro ed una gestione delle risorse umane più individuale e maggiormente orientata al risultato. Tutte queste condizioni hanno una profonda incidenza sul benessere delle persone al lavoro. Di conseguenza ci si è trovati ad affrontare direttamente le estreme conseguenze di tale disagio, caratterizzato da un lato da forme di patologia dell’organizzazione e, dall’altro, da ripercussioni negative sulla salute psicofisica degli individui. E’ così esploso, al livello di percezione sociale e di risonanza mediatica, un fenomeno come quello del mobbing, e nel panorama italiano ci si è concentrati dapprima sulle condizioni patologiche indotte nelle vittime e sul riconoscimento giurisprudenziale del danno biologico soprattutto di natura psichica, anteponendo, di fatto, una tutela risarcitoria a quella preventiva.

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L’analisi dei rischi in ambiente lavorativo si è infatti abitualmente incentrata sui rischi più tradizionali come quelli fisici, chimici, biologici e da fatica fisica. Il concetto di rischio per un lavoratore è andato poi gradualmente estendendosi verso una concezione più ampia di salvaguardia della salute ponendo una maggiore attenzione verso quelli che classicamente venivano definiti ‘rischi non convenzionali’.

Tra questi rappresenta sicuramente un rischio “emergente”, riconosciuto solo nel recente periodo1, il rischio da stress lavoro-correlato: come documentato dalla recente bibliografia, alcune situazioni e forme organizzative del lavoro (compiti monotoni e ripetitivi, attività ad elevato carico psicofisiologico come i turnisti, lavori ad alta responsabilità nei confronti di terzi come i manager) possono essere fonte di affaticamento eccessivo o stress. In base all’indagine sulle condizioni di lavoro nell’UE, promossa dalla Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, lo stress lavorativo risulta la condizione maggiormente percepita in associazione con il deterioramento della salute dal 30% dei lavoratori tra i 21.500 intervistati, con maggiore prevalenza tra i cosiddetti ‘colletti bianchi’ (36%) rispetto ai lavoratori manuali (23%). L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro ha stimato che nell’Unione Europea circa 40 milioni di lavoratori soffrono di stress legato all’attività lavorativa. Secondo l’INAIL negli ultimi anni i disturbi psichici lavoro-correlato denunciati sono stati 500-600 all’anno. In Italia, secondo l’indagine della Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro effettuata nel 2005, la metà dei lavoratori considera il proprio lavoro fonte di stress (48.8%), percentuale inferiore rispetto al 2003 (67.6%) ma ben superiore al 2001 (36.3%). Anche nel 2008, la ricerca condotta dall’Istat e Inail ha rilevato

1  D.Lgs  81  dell’aprile  08,  art.  2,  comma  1,  lettera  o)  per  definizione  di  «salute»:  stato  di  completo  benessere  

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che su 10 milioni di italiani occupati il 40% considera di essere esposto a rischi che potrebbero compromettere l’equilibrio psicologico. La condizione lavorativa stressante, se protratta nel tempo, può costituire un fattore di rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore determinando numerosi effetti negativi quali malattie cardiovascolari, disturbi gastrointestinali, problemi muscolo-scheletrici, depressione. Questi notevoli effetti negativi gravano sul singolo ma anche sulla collettività in termini di costi sociali e sulle prestazioni aziendali. I costi sociali generati dallo stress lavoro correlato, circa 20 miliardi di euro all’anno, vengono calcolati prendendo in considerazione i costi diretti e i costi indiretti. Le conseguenze non sono negative solo in termini umani: si calcola che tra il 50 e il 60% di tutte le giornate di lavoro perdute siano dovute a problemi causati dallo stress. Dall’assenteismo derivano costi aziendali quali la sostituzione dei lavoratori assenti, l’aumento del turn over, l’indennizzo dei danni o le spese mediche; inoltre lo stress riduce l’efficienza e la qualità delle prestazioni da parte dei soggetti coinvolti e favorisce comportamenti che intralciano l’attività produttiva, errori e infortuni sul lavoro. Dunque individuare e prevenire lo stress lavoro-correlato non significa solo ottemperare ad un obbligo di legge, ma

anche migliorare la qualità della organizzazione produttiva. Ecco dunque che lo stress lavoro correlato rappresenta una

problematica da non sottovalutare tanto che la normativa sia a livello internazionale che europeo e nazionale se n’è fatta carico proprio per migliorare la qualità della vita lavorativa. Tale obiettivo è in linea con la definizione di salute espressa dall’OMS (1980) come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo come assenza di malattia”. È quindi importante la riduzione e l’eventuale rimozione delle fonti di rischio, la promozione del benessere nei luoghi di lavoro e la programmazione delle misure di prevenzione e protezione attraverso

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l’adozione e l’applicazione della Valutazione del Rischio dello Stress Lavoro correlato.

La valutazione presa in considerazione, dal punto di vista concettuale e operativo, è più complicata rispetto a quella di altri rischi occupazionali (es. il rischio chimico), gestiti con metodi meccanicistici. È possibile Intervenire sul livello massimo di esposizione ad una sostanza chimica prima che provochi un danno alla persona, mentre non è conoscibile con altrettanta precisione il limite oltre il quale, ad esempio, l’esorbitante carico di lavoro generi un danno. Inoltre, i rischi fisici, biologici e chimici sono responsabili in genere di effetti prontamente osservabili, mentre l’effetto di un evento stressante può essere non visibile per molto tempo. Questa valutazione richiede strumenti diversi, articolati tra loro, metodi di indagine e di ricerca della psicologia sociale e necessita di entrare nel

profilo emotivo e cognitivo di un lavoratore in uno specifico contesto. Il vigente Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs.

81/08) e successive modifiche (D.Lgs. 106/09) hanno esplicitato l’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato all’Art. 28, comma 1 (Oggetto della valutazione dei rischi): la valutazione deve riguardare tutti i rischi, compresi i rischi particolari “tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo Europeo dell’8 Ottobre 2004”.

Con le modifiche apportate con il D.Lgs. 106/09 il legislatore precisava che la valutazione dello stress lavoro-correlato doveva essere effettuata in base alle indicazioni elaborate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro; l’obbligo di tale valutazione decorre, dopo numerose proroghe, dal 31 Dicembre 2010.

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8 1.1. RISCHI PSICOSOCIALI

Alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro quali i ritmi di lavoro, la parcellizzazione delle mansioni, la monotonia e la ripetitività dei compiti lavorativi, gli orari di lavoro protratti venivano inquadrati attorno agli anni ’70 nel cosiddetto IV gruppo dei fattori di rischio.

In seguito sono stati presi in considerazione come possibili fonti di danni per la salute dei lavoratori anche altri aspetti relativi all’organizzazione e alla gestione del lavoro e alle condizioni relazionali e ambientali in cui il lavoro si svolge.

E’ andato così notevolmente ampliandosi un gruppo di aspetti del lavoro potenzialmente dannosi per la salute dei lavoratori oggi indicati come rischi stress-correlati. Di questi fanno parte i cosiddetti rischi fisici, che comprendono gli aspetti ambientali capaci di determinare danni sull’individuo anche attraverso il meccanismo dello stress come gli spazi di lavoro inadeguati, le condizioni climatiche e microclimatiche, di illuminazione, le condizioni igieniche, il rumore, le vibrazioni, le condizioni ergonomiche, e i rischi psicosociali.

L’espressione “rischio psicosociale” ha fatto il suo ingresso in ambito giuridico con il D.Lgs. n. 195/2003 dove si stabilisce che la formazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi deve riguardare anche i rischi di natura psicosociale, ma di essa il legislatore non ha dato una precisa definizione.

Sono invece molte le definizioni dei rischi psicosociali formulate al riguardo in letteratura; fra le tante, una delle più complete ed esaustive è quella di Cox & Griffiths del 1995, pubblicata nel 2000 dall’European Agency for Safety and Health at Work, che definisce i rischi psico-sociali:

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“Quegli aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, e i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”.

Di fatto, secondo questi Autori, ogni elemento della struttura organizzativa è potenzialmente in grado di modificare la risposta di adattamento dei soggetti/lavoratori.

I rischi psicosociali comprendono la violenza, il mobbing e le molestie sul luogo di lavoro, condizioni però che non devono essere confuse con lo stress lavoro-correlato.

1.1.1 Lo Stress

Lo stress, come definito da Hans Selye nei primi studi sul fenomeno, è una reazione aspecifica dell’organismo a quasi ogni tipo di esposizione, stimolo e sollecitazione ed in quanto tale è quindi uno stato fisiologico che non può essere evitato ma è anzi necessario alla sopravvivenza. Questa risposta biologica dell’organismo, che è quindi il risultato di un processo di adattamento dell’individuo nei confronti di ciò che lo circonda, è composta di tre fasi (Figura 1):

1) Fase di allarme: l’organismo mobilita le sue energie difensive con aumento della frequenza cardiaca e della tensione muscolare, riduzione della secrezione salivare, ecc. reagendo così all’evento stressante in modo rapido.

2) Fase di resistenza: ha inizio solo se gli stressors sono intensi e duraturi nel tempo; è una fase caratterizzata da un adattamento massimo dell’individuo, in caso le difese individuate nella prima fase siano deboli, e da manifestazioni momentanee quali l’innalzamento dell’acidità gastrica, il calo delle difese immunitarie, l’ipertensione

arteriosa,ecc. 3) Fase di esaurimento: se lo stimolo si protrae troppo al lungo o agisce

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con troppa intensità, l’individuo non è più in grado di difendersi e può presentare patologie d’organo e danni non reversibili.

Figura 1 Allegato 32 al DOC SPP 05 rev.06

Gli stimoli che allertano le persone hanno modalità diverse (stimoli fisici, biologici e psicosociali) così come le “malattie dell’adattamento” che si possono sviluppare nella fase di esaurimento.

L’individuo nel corso della vita valuta tutta una serie di eventi (stressori) riguardanti, ad esempio, gli impegni lavorativi o le problematiche familiari che devono essere affrontati avvalendosi di strategie comportamentali e processi cognitivi (coping) per farvi fronte. Gli stili di coping dipendono appunto dalle caratteristiche del soggetto e dalle esperienze personali, ne consegue la soggettività/individualità nella risposta di stress (ISPESL, 2002). Ciascuno di noi, in virtù del patrimonio ereditario e delle esperienze vissute, filtra le diverse richieste compensando individualmente lo stimolo stressogeno. Identici eventi o situazioni, possono essere vissuti in modi estremamente diversi, positivamente stimolanti da alcuni e negativamente ansiogeni per altri. Nel primo caso uno o più stimoli allenano la capacità psicofisica individuale, generando una forma di energia che sarà utilizzata per poter più agevolmente

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raggiungere l’obiettivo (eustress); nel secondo caso invece la risposta di adattamento può divenire disfunzionale, gli stimoli stressanti instaurano un logorio progressivo fino all’esaurimento delle difese psicofisiche (distress). Si può avere quindi un’attivazione dell’organismo permanente anche in assenza di eventi stressanti o una reazione sproporzionata a stimoli di lieve entità.

1.2. STRESS LAVORO CORRELATO: Definizione, Fattori di Rischio e Modelli teorici

In linea generale lo stress identifica una condizione in cui l’individuo non si sente in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative dell’ambiente. Questa situazione si può configurare in tanti aspetti della nostra vita: lo studio, la famiglia, lo sport e il lavoro. Nell’ambito del lavoro tale squilibrio si verifica quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste lavorative. Lo stress lavoro correlato è dunque quello causato proprio da fattori insiti nella attività lavorativa come il contenuto del lavoro, l’inadeguata gestione dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro ecc. Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro correlato, è infatti evidente che fattori come lutti, criticità famigliari, patologie possono condizionare negativamente la vita lavorativa del soggetto ma non possono altresì essere considerati nel rapporto causale diretto lavoro-stress.

Nel tempo si sono susseguite numerose definizioni di stress occupazionale.

Il National Institute for Occupational Safety and Health nel 1999 definisce lo stress dovuto al lavoro come “un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore.

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Lo stress connesso al lavoro può influire negativamente sulle condizioni di salute e provocare persino infortuni”.

La Commissione Europea nel 2000 indica lo stress al lavoro come ”la reazione emotiva, cognitiva, comportamentale e fisiologica ad aspetti avversi e nocivi del contenuto, dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro. E’ uno stato caratterizzato da livelli elevati di eccitazione e ansia, spesso accompagnati da senso di inadeguatezza”.

Una definizione è chiaramente anche contenuta nell’Accordo Quadro Europeo del 2004: lo stress è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro. Lo stress lavoro correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenza nella comunicazione, ecc.”

Risulta quindi fondamentale per una corretta valutazione del rischio definire quali siano le condizioni di lavoro potenzialmente stressanti. Nel 2000 è stata pubblicata dalla European Agency for Safety and Health at Work una elencazione schematica dei fattori di rischio in ambito lavorativo, utile come guida nella esecuzione di una job analysis rivolta a valutare il rischio di stress lavorativo.

Vengono considerate dieci categorie differenti potenzialmente pericolose/rischiose suddivise per caratteristiche dell’impiego, delle organizzazioni e degli ambienti di lavoro.

Secondo le indicazioni dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro, mutuate dagli studi di Hacker (1991) e Hacker et al. (1983), i fattori di rischio correlati allo stress si possono suddividere in due grandi categorie in relazione al contesto o al contenuto del lavoro.

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Tabella 1: Criteri definite da European Agency for Safety and Health at Work (2000)

Esiste ampia evidenza scientifica che ciascuno di questi aspetti del lavoro, in base a determinate condizioni, presenta un potenziale di stress e di danno per la salute e pertanto rappresenta una fonte di rischio stress.

Nelle due tabelle che seguono, per ciascuna categoria del lavoro potenzialmente stressogena, vengono indicate alcune condizioni relative al contesto e al contenuto del lavoro considerate possibili fonti di stress per i lavoratori.

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CONTENUTO  DEL  LAVORO  

CONDIZIONI  POTENZIALMENTE  STRESSANTI      

AMBIENTE  E  ATTREZZATURE  DI  LAVORO  

- condizioni  di  disconfort  dell’ambiente  di  lavoro    

- disponibilità  e  adeguatezza  di  attrezzature  e  ausili  tecnici    

PROGETTAZIONE  DEI  COMPITI  

- basso  valore  del  lavoro  (lavoro  inutile)   - uso  limitato  delle  attitudini  /  capacità  

- mancanza  di  una  diversità  di  compiti  (monotonia)   - ripetitività  del  lavoro  (cicli  brevi)  

- incertezza  (procedure  inadeguate)  

- mancanza  di  possibilità  di  apprendimento   - domanda  elevata  di  attenzione  

- richieste  conflittuali   - risorse  insufficienti  

- condizioni  di  rischio  (pericolo)    

CARICO  DI  LAVORO  –  RITMO  DI  LAVORO  

- eccesso  o  difetto  del  carico  sia  fisico  che  psicologico   - mancanza  di  controllo  sul  ritmo  di  lavoro  

- mancanza  di  tempo  per  eseguire  il  lavoro    

ORARIO  DI  LAVORO  

- lavoro  a  turni  /  notturno   - orario  protratto  

- orario  non  prevedibile  

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CONTESTO  DEL  LAVORO  

CONDIZIONI  POTENZIALMENTE  STRESSANTI      

FUNZIONE  E  CULTURA  ORGANIZZATIVA  

- Inadeguata  definizione  degli  obiettivi  aziendali  

- Scarsa  attenzione  alla  responsabilità  sociale  d’azienda   - Scarsa  attenzione  ai  problemi  di  salute  e  sicurezza  sul  lavoro   - Scarsa  attenzione  alla  motivazione  dei  lavoratori    

- Stile   manageriale   eccessivamente   gerarchico,   fondato   su   paura,   eccessiva   competitività,  intolleranza  e    discriminazione  

- Inadeguata  gestione  della  comunicazione  

- Dimensioni   aziendali   inadeguate   in   rapporto   alla   divisione   del   lavoro   e   all’organizzazione  gerarchica    

- Mancata   definizione   dell’organigramma   aziendale,   dei   mansionari,   delle   procedure  

- Inadeguatezza  delle  risorse  economiche,  tecniche,  di  personale  

- Incoerenza   fra   enunciati   e   prassi   operativa,   insufficiente   scorrevolezza   organizzativa,  inadeguato  supporto  ai  lavoratori  

- Inadeguatezza  dei  programmi  per  raggiungere  gli  obiettivi   - Inadeguatezza  del  sistema  informativo    

- Inadeguatezza  del  sistema  di  supervisione  e  dei  meccanismi  di  controllo   - Non  adeguata  valorizzazione  delle  risorse  umane    

- Inadeguatezza   in   relazione   a   sistema   retributivo,   sistema   premiante,   sistema   disciplinare    

 

RUOLO  NELL’ORGANIZZAZIONE  

- Ambiguità  di  ruolo   - Conflitto  di  ruolo  

- Sovraccarico  o  insufficienza  di  ruolo   - Responsabilità  per  altre  persone    

PROGRESSIONE  DI  CARRIERA  

- Sicurezza  del  lavoro   - Obsolescenza  

- Incongruenza  di  posizione   - Scarso  valore  sociale  del  lavoro   - Retribuzione  bassa  

 

AUTONOMIA  DECISIONALE  E  CONTROLLO  

- Partecipazione   ridotta   al   processo   decisionale   (soprattutto   in   presenza   di   elevate  responsabilità)  

- Mancanza  di  controllo  sul  lavoro    

RAPPORTI  INTERPERSONALI  SUL  LAVORO  

- Isolamento  fisico   - Isolamento  sociale  

- Rapporti  limitati  con  i  superiori   - Conflitti  interpersonali  

- Mancanza  di  supporto  sociale   - Violenza  sul  lavoro  

- Discriminazioni  per  razza,  religione,  sesso    

INTERFACCIA  CASA  LAVORO  

- Richieste  contrastanti  tra  casa  e  lavoro   - Scarso  appoggio  in  ambiente  domestico   - Sindrome  del  tempo  libero  sprecato    

GESTIONE  DEI  CAMBIAMENTI  

-  Inadeguata  gestione  dei  cambiamenti  

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HSE (Health and Safety Executive britannico) considera invece sei dimensioni organizzative come potenziali fonti di stress lavoro-correlato (Cousins R., Mackay C, 2004): domanda, controllo, supporto, relazioni, ruolo e cambiamento.

- Domanda: il carico lavorativo, l’organizzazione del lavoro e l’ambiente di lavoro.

- Controllo: l’autonomia dei lavoratori sulle modalità di svolgimento della propria attività lavorativa.

- Supporto: l’incoraggiamento, le risorse fornite dall’azienda, dal datore di lavoro, dai colleghi.

- Relazioni: la promozione di un lavoro positivo per evitare conflitti ed affrontare comportamenti inaccettabili.

- Ruolo: verifica la consapevolezza del lavoratore relativamente alla posizione che riveste nell’organizzazione.

- Cambiamento: valuta in che misura i cambiamenti organizzativi, di qualunque entità, vengono gestiti e comunicati nel contesto aziendale. Se i fattori di rischio tendono a ripetersi nei vari Autori, i modelli teorici di riferimento relativi allo stress legato all’attività lavorativa, presenti in letteratura sono invece diversi.

Secondo il modello demand-control-support di Karasek, pubblicato nel 1979, la condizione di stress al lavoro avviene per la combinazione di tre variabili: l’impegno richiesto, l’autonomia ed il supporto sociale.

- L’impegno (Job demand) qualitativo e/o quantitativo richiesto dal lavoro assegnato può non essere sostenibile rispetto alle capacità, alla formazione e alle condizioni di partenza del singolo lavoratore. - Il controllo (Decision latitude) in ambiente di lavoro è la gestione, la

capacità e la volontà con cui il soggetto programma ed esplica la propria mansione nonché l’apprendimento e la reiterazione del

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lavoro. Negando ai lavoratori ogni possibilità di autonomia si può indurre uno stato di stress, soprattutto se per portare a termine il lavoro assegnato è necessario un notevole impegno.

- Il sostegno sociale (support) comprende l’apprezzamento e

l’appoggio da parte dei colleghi, la partecipazione e la costruzione del senso di appartenenza.

È possibile esaminare quattro situazioni tipo che scaturiscono dal confronto tra domanda e controllo come quanto segue:

LAVORO AD ALTO STRAIN (ALTO RISCHIO STRESS): alto carico lavorativo (domanda) e basso livello di controllo, o libertà decisionale; è possibile arrivare a danni a carico del sistema cardiovascolare e alla struttura scheletrica a causa dell’alta tensione psicofisica.

LAVORI ATTIVI: alto livello di domanda e di controllo; il lavoratore è

invogliato all’apprendimento e stimolato a diversi comportamenti; più una persona impara tanto più è appagata.

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LAVORO A BASSO STRAIN (BASSO RISCHIO STRESS): il livello di domanda è basso mentre quello di controllo è alto; si verifica in quelle attività lavorative che non presentano problematiche relative alla tensione psicofisica del soggetto che comunque si può sentire non adeguatamente motivato.

LAVORI PASSIVI: basso livello di domanda e basso livello di controllo;

situazione caratterizzata da mancanza di strain; l’apprendimento e le abilità lavorative sono ridotte ai minimi termini tanto che il lavoratore risulta essere non interessato alla propria mansione fino ad essere colpito da ansia e tensione.

L’ambiente di lavoro in cui il sostegno sociale da parte di colleghi e superiori è adeguato può abbassare alcuni dei potenziali fattori di stress risultanti dall’effetto congiunto di un alto carico di lavoro e di scarse possibilità di autonomia. Se invece il sostegno sociale è scarso o del tutto assente, o se il clima sociale nell’ambiente di lavoro è caratterizzato da discriminazioni e vessazioni, un’ulteriore fonte di stress si aggiunge alle due precedenti. (ISPESL 2006)

Altrettanto importante risulta essere il modello Effort/Reward Imbalance di Siegrist (1996) in cui lo squilibrio tra sforzo e ricompensa può dare origine a stress. Ciò si verifica nel momento in cui il lavoratore compie la propria attività lavorativa con tanto impegno e sforzo corrisposto da una scarsa ricompensa intesa come approvazione sociale, guadagno economico, stabilità lavorativa e opportunità di carriera. Inoltre, il fatto che il soggetto abbia troppa o sola motivazione propria (motivazione intrinseca) non è certo che porti a un successo personale e organizzativo.

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Più recente ed integrato con le caratteristiche individuali, il modello delle cause e conseguenze dello stress al lavoro di Kompier e Marcellissen, è stato adottato dall’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro nel 2009. In Italia ne ha fatto riferimento il Coordinamento Tecnico Interregionale per la Prevenzione nei Luoghi di Lavoro nel documento Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro correlato: guida operativa (2010). Le cause dello stress al lavoro sono indicate sinteticamente in elevato carico di lavoro, scarsa autonomia, basso supporto sociale da colleghi e superiori, instabilità e insicurezza del lavoro, orario di lavoro lungo, bassa remunerazione. Queste condizioni possono indurre reazioni individuali di stress di tipo fisiologico, comportamentale, emotivo e cognitivo. L’effetto sui comportamenti può intervenire sulla capacità produttiva, assenza per malattia, aumento degli errori. Se le condizioni persistono possono svilupparsi una serie di

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conseguenze per il lavoratore (aumento della pressione arteriosa, disturbi affettivi e del metabolismo, dipendenza da alcol, disturbi muscolo scheletrici) e l’organizzazione (assenteismo, ritardi, aumento del turn over, riduzione delle prestazioni e della produttività, aumento dei costi). Le caratteristiche individuali quali la personalità, i valori, gli obiettivi, l’età, il genere, il livello di istruzione e la situazione famigliare possono interagire con i fattori di rischio sul lavoro o alleviare i loro effetti.

1.3. RISCHIO DA STRESS LAVORO-CORRELATO E

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Dall’osservazione delle condizioni di lavoro considerate potenzialmente stressogene per i lavoratori appare evidente come queste siano correlate, sostanzialmente, al modo in cui le attività lavorative vengono progettate, organizzate e gestite.

La mentalità, i valori, il modo di pensare dei vertici aziendali e il loro modo di concepire l’azienda e il lavoro organizzato, più o meno condivisi dai membri dell’organizzazione, improntano la cultura aziendale, e anche attraverso di essa, definiscono le strategie organizzative e, con queste, le regole, le norme, le direttive, i modelli di riferimento cui devono ispirarsi le varie dimensioni dell’organizzazione del lavoro.

Sono le regole trasmesse dai dirigenti, formalizzate in documenti e diffuse in maniera più o meno adeguata fra i lavoratori che determinano, ad esempio, il modo in cui il lavoro deve essere diviso fra i dipendenti, i carichi e i ritmi di lavoro, che stabiliscono il modo in cui devono essere distribuite le responsabilità e attraverso quali regole e metodi queste si debbano esercitare, che influiscono in maniera determinante sulla gestione dell’informazione e della comunicazione e sulle relazioni interpersonali all’interno dei gruppi e fra i gruppi.

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La definizione di codici etici e comportamentali, la presenza di organismi aziendali deputati a vigilare sulla presenza di situazioni di violenza morale, la scelta di dirigenti predisposti all’instaurazione di rapporti positivi con i subordinati, le misure per evitare un clima eccessivamente competitivo, la definizione di regole precise circa la valorizzazione delle risorse umane, di criteri chiari per un adeguato sistema informativo, l’adeguata definizione degli obiettivi aziendali e delle procedure per lo svolgimento delle attività sono solo alcune delle misure che un’azienda può adottare per migliorare l’organizzazione del lavoro.

Se queste regole organizzative non sono finalizzate al benessere dell’organizzazione e dell’individuo oppure hanno solo un valore formale ma non ne è garantita la reale attuazione attraverso un adeguato sistema che ne assicuri la verifica periodica e gli adeguati provvedimenti anche disciplinari in caso di mancato rispetto possono generarsi condizioni di lavoro negative generatrici di stress per i lavoratori (costrittività organizzative), si può avere un deterioramento del clima di lavoro che può favorire l’insorgere di situazioni conflittuali con deterioramento delle relazioni interpersonali.

Il perdurare di condizioni di lavoro di questo tipo può compromettere il benessere dei lavoratori e determinare, negli stessi, danni di natura psichica, sociale e fisica.

Se, viceversa, le regole e le norme stabilite dall’azienda in materia organizzativa e gestionale sono adeguate e finalizzate al benessere dell’organizzazione e dei lavoratori e il loro rispetto viene garantito da periodiche verifiche, esse possono essere considerate alla stregua di un importante fattore di protezione nei confronti del determinarsi di condizioni di lavoro generatrici di stress per i lavoratori.

La loro valutazione può fornire utili indicazioni rispetto all’atteggiamento dei responsabili aziendali nei confronti dei rischi psicosociali e alla

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predisposizione, da parte dell’azienda, di adeguate misure protettive nei loro confronti.

Tali aspetti relativi alle scelte di fondo organizzative e gestionali si vanno praticamente a sovrapporre a quelli presi in considerazione nei percorsi di valutazione per la certificazione dell’accreditamento aziendale.

Appare abbastanza ovvio considerare come l’attenzione a questi aspetti del lavoro abbia risvolti positivi anche in termini di qualità e produttività aziendale, oltre che per gli aspetti concernenti la prevenzione dei danni legati ai rischi stress-correlati.

1.4. RISCHIO DA STRESS LAVORO-CORRELATO E MOBBING

Sul lavoro possono verificarsi situazioni di violenza psicologica generalmente definite come “mobbing”, capaci di determinare nella vittima danni dell’integrità psico-fisica oltre che della dignità e della personalità morale con ripercussioni anche sulla sfera patrimoniale e su quella professionale.

Senza entrare nel merito delle diverse definizioni che del fenomeno mobbing sono state date e dei diversi requisiti che una situazione lavorativa deve avere per essere considerata mobbizzante, interessa qui soffermare l’attenzione sulle azioni attraverso cui le strategie persecutorie si realizzano nelle varie forme di mobbing (verticale, orizzontale, emozionale, strategico).

Le azioni mobbizzanti possono essere fondamentalmente ricondotte a due principali gruppi :

1. azioni che riguardano comportamenti personali e relazionali interpersonali, determinanti soprattutto sofferenza emotiva nella vittima;

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2. azioni che coinvolgono l’organizzazione del lavoro e la posizione lavorativa e che influiscono sulle possibilità di svolgimento del lavoro del soggetto, sul suo sviluppo e/o futuro professionale.

Al primo gruppo appartengono azioni come diffamare, trattare in modo sprezzante, offendere, assumere atteggiamenti minacciosi o ricattatori, negare il saluto.

Al secondo gruppo appartengono azioni come la marginalizzazione dall’attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, il sottocarico o il sovraccarico di lavoro, l’uso esasperato di forme di controllo, l’impedimento sistematico dell’accesso alle notizie necessarie per il lavoro.

E’ evidente che le azioni mobbizzanti del primo gruppo rientrano nella sfera della responsabilità individuale del persecutore. Tuttavia non è possibile non considerare che i rapporti interpersonali cui il lavoratore è “costretto” durante lo svolgimento della sua attività possono, in qualche modo, essere riconducibili anche al contesto organizzativo e gestionale di cui l’azienda è direttamente responsabile.

La mancata definizione di codici etici e comportamentali, l’assenza di organismi aziendali deputati a vigilare sulla presenza di situazioni di violenza morale, la scarsa predisposizione dei dirigenti all’instaurazione di rapporti positivi con i subordinati, il clima eccessivamente competitivo, sono solo alcuni degli aspetti del lavoro che sono in grado di favorire e, addirittura, incoraggiare azioni vessatorie. Dunque, a buon diritto, questa tipologia di azioni mobbizzanti può essere, in qualche modo, messa in relazione con alcune delle categorie dei rischi psicosociali sopra indicate. Per quanto riguarda il secondo gruppo di azioni mobbizzanti, quelle sopra indicate rappresentano solo un circoscritto esempio di un più vasto gruppo cui l’INAIL dà il nome di ‘costrittività organizzative’ e che sono

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praticamente sovrapponibili alle categorie stressanti del lavoro come precedentemente illustrate.

Dunque le azioni con cui il mobbing si realizza in un ambiente lavorativo possono essere, per la maggior parte, ricondotte alle categorie dei rischi psicosociali e, come tali, devono essere oggetto di valutazione e prevenzione da parte del datore di lavoro.

Questa esigenza diviene sempre più forte a causa della rapidità con cui si modificano le condizioni organizzative e gestionali delle aziende soggette a frequenti ristrutturazioni, ridimensionamenti e accorpamenti che spesso determinano condizioni di lavoro potenzialmente stressogene.

Non può essere peraltro assimilato a rischio lavorativo soggetto a valutazione quello direttamente dipendente dal comportamento vessatorio attuato dal singolo né, tantomeno, la volontà persecutoria che sta alla base delle varie forme di mobbing.

1.5. EFFETTI DELLO STRESS SULL’INDIVIDUO

Ciascuno dei molteplici rischi collegati allo stress lavoro-correlato presenta, in determinate condizioni, un potenziale di stress e di danno per l’individuo e i loro effetti sull’individuo possono combinarsi in vario modo fra loro.

Gli effetti sull’individuo sono mediati dall’esperienza dello stress e, quindi, la probabilità che possano produrre danni dipende, oltre che dalla capacità lesiva intrinseca di ciascuno di essi, anche, e spesso in maniera determinante, dalle caratteristiche psicologiche dei soggetti esposti con particolare riferimento alla capacità di coping.

Tuttavia la variabilità individuale di risposta allo stress, pur dovendo essere presa in considerazione quale condizione di possibile

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ipersuscettibilità, non può in alcun modo portare ad attribuire all’individuo la responsabilità dello stress lavoro-correlato.

I danni prodotti non sono rappresentati solo da disturbi psicopatologici, psicosomatici e comportamentali inquadrabili in quadri patologici ben definiti ma anche da alterazioni dello stato di benessere con ripercussioni sulla qualità della vita familiare, sociale e lavorativa. Non sono specifici ma possono dipendere anche da fattori di stress extralavorativo.

Lo stress o, per meglio dire, un suo elevato livello, determina

nell’individuo reazioni emozionali, cognitive, fisiologiche e

comportamentali.

REAZIONI  EMOZIONALI,  COGNITIVE,  FISIOLOGICHE  E   COMPORTAMENTALI  CAUSATE  DALLO  STRESS  

(carattere  transitorio)  

• Tensione,  insonnia,  ansia,  abbandono  delle  responsabilità   • Difficoltà  attentive    e  della  concentrazione,  confusione  

• Reazioni   neurovegetative   accentuate   e   protratte   nel   tempo   (anomalie             cardiovascolari/ipertensione,   dispnea,   cefalea,   aumento   della   glicemia,   sudorazione,   bocca   asciutta,   parestesie,   tic   nervosi,   tremori,   disfunzioni   gastrointestinali,   lombalgie,   tensione   muscolare,   manifestazioni   dermatologiche)  

• Abuso   di   fumo,   alcool,   caffè,   psicofarmaci,   turbe   del   comportamento   alimentare,  ridotto  desiderio  sessuale  

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Tali reazioni, se prolungate nel tempo, prima ancora di strutturarsi in sindromi più o meno ben definite come la sindrome da stress, la sindrome da burnout, la patologia mobbing-correlata, i disturbi

dell’adattamento, l’ipertensione, la cardiopatia, la patologia

gastrointestinale o la patologia dermatologica, possono determinare alterazioni del benessere dell’individuo con ripercussioni sulla qualità della vita familiare, sociale e lavorativa.

DANNI  ALLA  QUALITA’  DELLA  VITA  FAMILIARE     E  SOCIALE  CAUSATI  DALLO  STRESS  

 

 Abbandono  degli  impegni  sociali    Allentamento  dei  legami  di  amicizia    Denuncia  di  malessere  e  malattia    Difficoltà  nel  proporsi  per  altri  lavori    Distacco  dai  legami  familiari  

 Distacco  dai  moli  e  dalle  responsabilità  genitoriali,  coniugali  e  filiali    Fuga  dai  rapporti  sociali  

 Insofferenza  verso  i  problemi  familiari    Minore  collaborazione  nei  progetti  di  vita  

 Peggioramento  del  rendimento  scolastico  dei  figli    Problemi  coniugali  e  divorzio  

 Promozione  di  azioni  legali    Riduzione  del  guadagno    Scoppi  di  rabbia  

 Spese  mediche    Violenza  

 Problemi  psicologici  dei  figli    Comportamenti  sleali  

 Insufficiente  comunicazione  di  informazioni    Insufficiente  comunicazione  di  informazioni    Eccesso  di  competitività  

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Quando lo stimolo stressogeno è intenso e prolungato nel tempo si possono generare disturbi comportamentali, psicopatologici e psicosomatici più o meno stabili.

DISTURBI  COMPORTAMENTALI  

 Comparsa  di  atteggiamenti  trasandati    Aumento  del  consumo  alcolico  e  di  farmaci    Abuso  di  sostanze  

 Aumento  del  fumo  

 Convalescenze  lunghe  e  complicate    Disfunzioni  sessuali  

 Disturbi  dell’alimentazione    Isolamento  sociale  

 Reazioni  auto  ed  etero  aggressive    Cleptomania    

 

DANNI  DELLA  QUALITA’  DELLA  VITA  LAVORATIVA     ATTEGGIAMENTI  DI  “FUGA”  DAL  LAVORO  

 Assenteismo  cronico        Ritardo  cronico  

 Pause  prolungate    Infortuni  ripetuti  

 Intolleranza  del  posto  di  lavoro  assegnato    Ritardato  ritorno  da  vacanze,  permessi,  missioni    Sonnolenza  sul  lavoro  

 Timore  dei  viaggi  di  lavoro  

DECREMENTO  DELLA  PERFORMANCE  

 Aumentato  numero  di  errori  

 Aumentato  numero  di  prodotti  inadeguati    Distruzione  di  strumenti  di  lavoro  

 Incapacità  a  completare  il  lavoro  o  a  rispettare  i  termini  di  consegna    Diminuita  capacità  direttiva  dei  manager  (capacità  di  fare  e  decidere)  

DIFFICOLTA’  NELLE  RELAZIONI  INTERPERSONALI  

 Incapacità  a  motivare  i  sottoposti      Incapacità  collaborare  con  i  colleghi      Rifiuto  delle  regole    

 Eccessivo  appoggio  sui  supervisori      Esagerata  critica  dei  superiori  

 Mancanza  di  socializzazione  

 Insufficiente  comunicazione  di  informazioni    Eccesso  di  competitività  

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28 DISTURBI  PSICOSOMATICI    Attacchi  d’asma    Cefalea    Crisi  anginose    Crisi  emicraniche    Disturbi  dermatologici    Disturbi  dell’equilibrio    Dolori  articolari  e  muscolari    Gastralgie  

 Ipertensione  arteriosa    Palpitazioni  

 Perdita  di  capelli    Tachicardia    Tremori    Astenia     DISTURBI  PSICOPATOLOGICI    Alterazioni  dell’umore    Apatia    Flashback    Incubi  ricorrenti    Insicurezza    Insonnia    Iperallerta    Irritabilità    Melanconia    Pensiero  intrusivo    Perdita  di  iniziativa  

 Problemi  di  concentrazione    Reazioni  d’ansia  

 Reazioni  di  evitamento    Reazioni  fobiche    Umore  depresso  

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Lo stress lavoro-correlato, unitamente ad altri fattori etiologici, può contribuire a determinare veri e propri quadri patologici:

1.6. EFFETTI DELLO STRESS SULL’AZIENDA

E’ inevitabile che gli effetti negativi che i rischi, attraverso lo stress, determinano sui singoli con particolare riferimento a quelli relativi alla qualità della vita lavorativa abbiano ripercussioni anche sull’azienda. Lo schema seguente riporta in forma sintetica gli effetti prevedibili.

QUADRI PATOLOGICI CAUSATI DA STRESS (sindromi strutturate)

 Sindrome  da  stress    Sindrome  da  burnout  

 Patologia  mobbing-­‐correlata  

 Disturbi  dell’adattamento  interpersonale  e  sociale    Ipertensione  arteriosa  

 Cardiopatia  

 Patologia  gastro-­‐intestinale    Dermatiti  

 Cistiti  ricorrenti  

RISCHI  LAVORATIVI  STRESS-­‐CORRELATI     EFFETTI  SULL’AZIENDA      

 

 EFFETTI  SUL  CLIMA  AZIENDALE  

 

 EFFETTI  SULL’ORGANIZZAZIONE  

- Riduzione  della  partecipazione  alla  vita  aziendale  

- Riduzione  delle  prestazioni  aziendali  

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1.6.1 Effetti dello stress sul clima interno e sul benessere/ malessere percepito dai lavoratori

Uno degli effetti più evidenti causati dallo stress riguarda il clima organizzativo. Questo può essere definito come la percezione condivisa, da parte delle persone, della cultura e dello spirito di cui l’organizzazione è portatrice ossia di quell’insieme di norme, valori, significati, credenze che nasce, generalmente, dalle idee delle persone che fondano l’organizzazione, che si esprime esteriormente attraverso gli slogan, il linguaggio, le norme e i modelli di comportamento, gli aneddoti, i riti e i simboli adottati dai componenti dell’organizzazione stessa e che si trasmette soprattutto attraverso il comportamento di manager e supervisori.

DIMENSIONI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO

COINVOLGIMENTO (partecipazione alla vita organizzativa e coinvolgimento nei risultati dell’impresa)

COESIONE (spirito di gruppo e di squadra)

SOSTEGNO (percezione dell’ambiente relazionale, soprattutto dei superiori) AUTONOMIA (grado di indipendenza nello svolgimento dei compiti)

ORIENTAMENTO AL COMPITO (importanza attribuita al raggiungimento degli obiettivi)

PRESSIONE LAVORATIVA (livello di stress esperito)

CHIAREZZA DEI COMIPTI E RUOLI (chiarezza nelle competenze e nel ruolo da svolgere)

COMFORT (percezione della sicurezza nei luoghi di lavoro)

FLUIDITA’ E DISPONIBILITA’ DELLE INFORMAZIONI (possibilità di conoscere le politiche aziendali, di operare secondo le modalità stabilite, di essere consapevoli dei rischi lavorativi)

AMBIENTE FISICO DI LAVORO FLUSSO E FLUIDITA’ DEL LAVORO IMMAGINE AZIENDALE

INTERESSE AL LAVORO

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Tutte le componenti del clima possono, in determinate condizioni, essere fonti di potenziali rischi stress-correlati.

Conseguentemente la misura del clima lavorativo è una misura indiretta di questi rischi.

Come il clima anche il benessere/malessere percepito dai lavoratori considerati come gruppo è un indice della presenza di condizioni lavorative stressanti.

1.6.2 Effetti negativi dello stress sull’organizzazione

Oltre agli effetti generali sul clima di lavoro lo stress correlato ai rischi psicosociali può determinare una ridotta partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale con atteggiamenti di fuga dal lavoro, un peggioramento dei rapporti interpersonali, un decremento della performance con riduzione delle prestazioni ed un aumento dei costi aziendali. La scheda che segue elenca i principali elementi relativi a ciascuna categoria di effetti.

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I concetti fin qui esposti relativamente all’origine e alla natura dei rischi

lavorativi stress-correlati, e ai loro effetti sull’individuo e

sull’organizzazione vengono riassunti nello schema che segue. EFFETTI  DEI  RISCHI  PSICOSOCIALI  SULL’ORGANIZZAZIONE    

PARTECIPAZIONE  ALLA  VITA  AZIENDALE   -­‐  Aumento  delle  assenze  per  malattia   -­‐  Aumento  dei  ritardi  

-­‐  Aumento  del  turnover   -­‐  Scarsa  adesione  ai  progetti   -­‐  Scarsa  iniziativa  

-­‐  Scarso  rispetto  di  norme  e  procedure   -­‐  Presenza  di  conflitti  sindacali  

-­‐  Esistenza  di  conflitti  interpersonali   -­‐  Segnalazioni  di  disagio  lavorativo   PRESTAZIONI  AZIENDALI  

-­‐  Allungamento  dei  tempi  di  lavorazione   -­‐  Aumento  degli  errori  

-­‐  Riduzione  di  quantità  e  qualità  di  prodotto  o  servizio   -­‐  Ridotta  competitività  

COSTI  AZIENDALI  

-­‐  Aumento  dei  costi  di  produzione   -­‐  Aumento  dei  costi  sanitari   -­‐  Aumento  dei  costi  legali  

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33 CARATTERISTICHE DEL LAVORATORE

modo di percepire, di confrontare con la propria esperienza, aspettative, personalità, capacità di coping

• Reazioni emozionali, cognitive, comportamentali

• Peggioramento della qualità della vita familiare, sociale e lavorativa

Stimolazione intensa e prolungata con superamento della capacità di coping DISTRESS • Disturbi comportamentali • Disturbi psicopatologici • Disturbi psicosomatici Coping inadeguato ADATTAMENTO

EFFETTI DELLO STRESS DEI SINGOLI SULL’ORGANIZZAZIONE

• Peggioramento del clima lavorativo

• Riduzione della partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale

• Riduzione delle prestazioni aziendali

• Aumento dei costi aziendali

PERCEZIONI DEL LAVORATORE

- capacità di soddisfare le richieste lavorative

FATTORI DI STRESS LAVORO - CORRELATI

Fisici: spazi, illuminazione, clima e microclima, rumore, vibrazioni, igiene, ergonomia Psicosociali: progettazione, organizzazione, gestione del lavoro e suo contesto ambientale e sociale

CATEGORIE DEL LAVORO POTENZIALMENTE STRESSOGENE

European agency for safety and haelth at work (2000)

Contesto del lavoro

• Funzione e cultura organizzativa • Ruolo nell’organizzazione • Progressione di carriera • Autonomia decisionale e controllo • Rapporti interpersonali sul lavoro • Interfaccia casa - lavoro

Contenuto del lavoro

• Ambiente e attrezzature di lavoro • Progettazione dei compiti • Carico di lavoro • Ritmo di lavoro • Orario di lavoro FATTORI DI STRESS EXTRALAVORATIVI VISION IMPRENDITORIALE E CULTURA AZIENDALE

SCELTE DI FONDO AZIENDALI RELATIVE A PROGETTAZIONE, ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEL LAVORO

REGOLE, NORME, MODELLI DI COMPORTAMENTO, INDIRIZZI, DIRETTIVE, INDICAZIONI CHE DEFINISCONO GLI ASPETTI RELATIVI SIA AL CONTENUTO CHE AL CONTESTO DEL LAVORO (STRATEGIE AZIENDALI DI CONTROLLO DEI RISCHI STRESS-CORRELATI)

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34 1.7. DATI EPIDEMIOLOGICI SUL DISAGIO PSICOSOCIALE

La progressiva riduzione dell’incidenza delle malattie professionali determinate dai rischi tradizionali e la definizione di salute dell’OMS quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia” ha indotto gli organi deputati alla tutela della salute dei lavoratori ad occuparsi dei rischi psicosociali ed organizzativi. Un’importante sollecitazione all’approfondimento del fenomeno è derivata dalla necessità di fornire risposte adeguate alle richieste di riconoscimento di patologie psichiche lavoro-correlate che, dalla fine degli anni Novanta, sono pervenute all’INAIL in numero progressivamente crescente.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 ha introdotto nel sistema di tutela sociale delle malattie professionali il cosiddetto “sistema misto”, che estende la tutela a tutte le malattie di cui sia dimostrata la causa di lavoro. Per le malattie professionali “non tabellate” non vige però la presunzione legale di origine e il lavoratore deve provare che la patologia dalla quale è affetto è stata contratta a causa dell’attività lavorativa espletata.

Alla luce di tale sentenza, interpretata anche in relazione all’evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi e dell’accresciuta attenzione, anche legislativa, ai profili di sicurezza e salute sul lavoro, il Comitato Scientifico istituito dall’INAIL nel luglio 2001 con il compito di approfondire il tema delle “malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo, compreso il mobbing”, riteneva che il rischio tecnopatico assicurativamente rilevante fosse non solo quello collegato alla nocività intrinseca delle lavorazioni, tabellate e non, in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale, ma anche quello riconducibile alla concreta organizzazione aziendale in cui si svolgono le prestazioni lavorative. Nel documento elaborato da tale comitato veniva per la prima volta introdotto

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il termine di “costrittività organizzativa” per indicare quelle situazioni di incongruenza delle scelte di processo organizzativo, di cui si allegava un elenco indicativo non esaustivo, che possano determinare “stress lavorativo e di conseguenza patologie psichiche e psicosomatiche specifiche”. Per assumere il carattere di rischio tutelabile le costrittività organizzative dovevano avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa. Nella relazione erano individuate le due sindromi che, secondo la classificazione dei disturbi psichici e comportamentali dell’ICD-10 e secondo il DSM-IV, sono correlate allo stress, cioè la sindrome da disadattamento e la sindrome post-traumatica da stress. La prima si manifesta in risposta ad uno o più fattori stressanti non estremi, mentre la seconda rappresenta la risposta ritardata o protratta ad un evento fortemente stressante o ad una situazione altamente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone.

Le malattie da disagio psicosociale sono tuttora non tabellate non essendo infatti state inserite neppure nelle tabelle emanate con D.M. 9 aprile 2008 ed in vigore dal 22 luglio dello stesso anno. Le malattie psichiche e psicosomatiche dovute a disfunzione dell’organizzazione del lavoro erano state invece previste dal D.M. 14 gennaio 2008, nel Gruppo 7 dalla Lista II, che ricomprende malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità.

Nel 2009 la Direzione Generale dell’INAIL ha reso disponibili i risultati di uno studio condotto sulle denuncie delle malattie psichiche e psicosomatiche da costrittività organizzativa presentate all’istituto dal 2000 al 31 dicembre 2008. Questi dati sono sicuramente parziali in quanto la tutela assicurativa agisce solo quando la noxa patogena ha determinato nel lavoratore l’insorgenza di uno stato di malattia acuta o

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cronica, non essendo prevista ad oggi una tutela per le condizioni di disagio transitorio, che senza dubbio rappresentano le condizioni più frequenti.

Tabella 1 – Malattie professionali denunciate nel 2004-2008

Nella Tabella 1 sono riportate le denuncie per ogni singolo anno nelle principali gestioni Industria, Agricoltura e Stato. Il numero di denuncie rimasto sostanzialmente stabile nel primo triennio è accresciuto nel 2007 (+7,4%) e seppure in misura inferiore nell’anno successivo (+3,2%). L’incremento ha riguardato soprattutto le malattie non tabellate che nel 2008 hanno rappresentato l’86% di tutte le patologie denunciate.

Per quanto riguarda i disturbi psichici lavoro correlati, il dato nel quinquennio 2004-2008 si è attestato sul numero di denunce pari a circa 500 per anno (Tabella 2). Come si evince dalla tabella, questo tipo di patologia è risultata pervenire in netta prevalenza dal settore industria e servizi con oltre il 94% delle denunce, mentre sembra rappresentare un fenomeno del tutto residuale nel mondo agricolo (0,6% del totale).

Anno denuncia Gestione

2004 2005 2006 2007 2008

Agricoltura 1.074 1.318 1.445 1.845 1.817

Industria e servizi 25.235 25.111 25.022 26.743 27.539

Dipendenti conto Stato 285 323 320 392 348

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Tabella 2 – Disturbi psichici lavoro correlati 2004 - 2008

Anno denuncia Totale

Gestione

2004 2005 2006 2007 2008

Agricoltura 2 3 4 5 2 16

Industria e servizi 485 511 486 505 429 2416

Dipendenti conto Stato 26 24 21 36 29 136

Totale 513 538 511 546 460 2568

Nel quinquennio di riferimento le denunce di questa tecnopatia hanno rappresentato complessivamente il 2,35% (Figura 1) di tutte le malattie professionali non tabellate, con un modesto ma progressivo decremento nel corso degli anni della quota percentuale, che dal 2,5% nel periodo 2004-2005 diventa 2,3% nel biennio successivo.

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L’analisi di maggior dettaglio eseguita a livello centrale sui casi definiti con esito positivo, ha evidenziato che la prevalenza del sesso maschile già evidente nei casi denunciati (poco meno del 55%) è ancor più evidente tra quelli ammessi a tutela, 60%.

Tuttavia, per ritenersi reale tale prevalenza dovrebbe essere confermata da una rivalutazione che tenesse conto del diverso tasso di occupazione femminile, notoriamente inferiore al maschile.

Relativamente all’età sono i lavoratori ultracinquantenni quelli che più spesso presentano segni di sofferenza psicologica per situazioni di stress o di disagio lavorativo, essendo i soggetti più “deboli” rispetto alle continue modificazioni del mondo del lavoro imposto dalle logiche di mercato, in quanto ancora giovani per lasciare il mondo del lavoro, ma già vecchi per trovare facilmente una nuova collocazione.

Nel 40% dei casi la denuncia è stata presentata da lavoratori di età superiore a 50 anni. Oltre 2/3 delle patologie riconosciute riguardano soggetti di età superiore a 46 anni.

l D.Lgs 23 febbraio 2000, n.38, ha introdotto nell’ambito del sistema assicurativo il ristoro del danno biologico permanente conseguente agli infortuni sul lavoro ed alle malattie professionali, in luogo delle prestazioni previste dal Testo Unico n. 1124/1965.

Il danno biologico, inteso come lesione all’integrità psicofisica della persona, viene valutato con riferimento alle specifiche “tabelle delle menomazioni” e dà diritto ad un indennizzo che a seconda dell’entità del danno è erogato in capitale o in rendita. Per le menomazioni di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%, l’indennizzo è erogato in capitale; per quelle di grado pari o superiore al 16% in rendita.

La tabella delle menomazioni relative al danno biologico prevede 2 voci attinenti al disturbi post-traumatico da stress cronico: la forma di grado moderato (voce 180), fino al 6%, e quella di entità severa (voce 181),

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fino al 15%. Per il danno biologico conseguente al disturbo da disadattamento cronico non sono previste autonome voci di menomazione.

1.8. RIFERIMENTI NORMATIVI

L’International Labour Office (ILO) già nel 1986 si accostava ai rischi di natura psicosociale collegandoli sia all’organizzazione del lavoro, al management aziendale, alle caratteristiche del lavoro ed alle condizioni ambientali, sia alla soddisfazione al lavoro, alla valorizzazione delle competenze, al coinvolgimento nella partecipazione alle scelte e nei rapporti interpersonali e gerarchici. Durante la giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro del 28 aprile 2010 ha confermato come i fattori psico-sociologici siano oggi riconosciuti come una problematica che interessa tutti i Paesi, tutte le professioni e tutti i lavoratori.

L’obbligo di valutazione dei rischi, introdotto per la prima volta con la direttiva europea 89/391, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 626/94, riguardava tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro, a prescindere dall’esistenza di disposizioni specifiche. La Legge 39 del 01 marzo 2002 correttiva dell’art. 4 del D.Lgs. 626/94 precisava esplicitamente che la valutazione doveva riguardare “tutti” i rischi, includendo di fatto anche quelli di natura psicosociale. Eppure il ritardo culturale su questa materia ha determinato per molto tempo incertezza nei confronti dell’obbligo: la sua effettività, l’individuazione delle situazioni in cui il rischio fosse presente, l’inquadramento delle diverse problematiche quali stress, burnout e mobbing.

L’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 siglato tra le parti sociali più rappresentative a livello europeo2 e recepito in Italia dall’Accordo

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Interconfederale del 9 giugno 2008, ha dato sicuramente il maggior contributo per un corretto approccio al problema.

Secondo la definizione comunemente accettata e ripresa anche dall’Accordo, lo stress è uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o

alle attese nei loro confronti3.

Alcune considerazioni meritano di essere evidenziate. L’importanza del documento risiede nell’aver portato le associazioni datoriali e sindacali a riconoscere la condizione di stress quale comune oggetto di preoccupazione tale da richiedere interventi di prevenzione per la tutela della salute delle persone al lavoro.

L’Accordo individua, innanzitutto, lo stress come un problema che può colpire qualsiasi lavoratore in qualsiasi ambiente, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, dal settore di attività o dalla tipologia di contratto o rapporto di lavoro. Tale affermazione conferma che, nell’esame del rischio stress, ci si trova di fronte ad un fenomeno che non è legato a un processo di lavoro, ad una macchina specifica o a un ambiente particolarmente sfavorevole - tutti elementi che danno all’operatore una sorta di segnale di avvertimento e che sono facilmente identificabili in relazione alla attività svolta - ma si ha a che fare, invece, con un rischio particolarmente insidioso, che può presentarsi, anche se non necessariamente, in qualsiasi condizione e organizzazione lavorativa. Ciò non significa che ogni manifestazione di stress sia riferibile al lavoro, né che tutti i luoghi di lavoro siano automaticamente interessati da questa condizione, ma sottolinea la necessità di procedere alla valutazione dello stress lavoro correlato in tutte le realtà produttive.

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Occorre porre attenzione alle componenti dell’organizzazione e della gestione del lavoro che possono causare o favorire lo stress al lavoro e promuovere interventi preventivi.

Inoltre, la natura del rischio in esame è tale da costringere chi effettua la valutazione ad intrecciare informazioni legate ad un dato oggettivo (l’organizzazione lavorativa), con informazioni di carattere soggettivo (le condizioni psico-fisiche del lavoratore) con la conseguenza che l’opera di valutazione dovrà sì essere condotta secondo i normali criteri usati per considerare gli altri rischi, per così dire “tecnici”, ma dovrà necessariamente essere integrata da conoscenze e metodi che attengono alle scienze comportamentali o pisco-sociali.

In secondo luogo, l’Accordo elimina dalle ipotesi di sua applicazione i casi di violenza o sopraffazione sul lavoro, come il mobbing, laddove, cioè, l’elemento caratterizzante la fattispecie è dato dalla volontarietà del comportamento dell’agente, finalizzato a provocare un danno al lavoratore. Violenze, molestie e stress post traumatico sono escluse dalla valutazione dello stress lavoro correlato in quanto oggetto dell’accordo quadro successivo (Framework agreement on harrassment and violence at work, 26 aprile 2007) che va a completamento del precedente nella tutela delle condizioni di rischio psicosociale. La differenza sta dunque nella volontarietà dei comportamenti lesivi individuali, che come tali non possono essere oggetto di valutazione. E’ comunque evidente che molte delle dinamiche attuate per esercitare violenza morale sono le stesse che possono essere presenti come fattori di stress in organizzazioni inadeguate, anche senza deliberata volontarietà lesiva. Valutare e monitorare i possibili stressors legati all’organizzazione del lavoro e ai rapporti interpersonali sul lavoro, di fatto scoraggia l’esercizio di forme di violenza intenzionale.

Figura

Figura  1 Allegato 32 al DOC SPP 05 rev.06
Tabella 1: Criteri definite da European Agency for Safety and Health at Work (2000)
Tabella 1 – Malattie professionali denunciate nel 2004-2008
Figura 1 – Distribuzione delle denunce di MP non tabellate 2004 – 2008
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