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2.1 L’IMPORTANZA DELLA RICERCA ETNOBOTANICA

Per conoscere le piante medicinali delle varie tradizioni popolari e i loro usi, è fondamentale condurre ricerche etnobotaniche ed etnofarmacologiche. Solo in questo modo è possibile scoprire nuove molecole che possono essere utilizzate come tali o come fonte per lo sviluppo di nuovi prodotti farmaceutici.

Un aspetto che facilita lo studio degli effetti delle preparazioni utilizzate, è che queste sono somministrate direttamente sugli uomini e quindi è immediatamente valutabile possibile conoscere gli effetti e/o problemi derivanti dal loro utilizzo.

Per la ricerca etnobotanica è importante il rapporto di fiducia con i guaritori locali, i veri tesorieri della conoscenza del loro territorio e delle potenzialità che questo offre. In questo senso un grosso ostacolo è rappresentato dalla scarsa fiducia dei guaritori nei confronti degli scienziati, oltre al problema che la conoscenza acquisita nel corso dei secoli dai medici tradizionali, viene tramandata oralmente; questi due problemi causano un elevato rischio di perdita delle informazioni. Tale rischio è aumentato negli ultimi anni per la mancanza di nuovi giovani guaritori in grado di apprendere il sapere in materia di piante medicinali.

In una ricerca etnobotanica condotta da Magassouba nel 2007 assieme ad un numero elevato di studiosi, sono stati coinvolti numerosi guaritori tradizionali per esporre le loro esperienze con l’utilizzo ogni pianta, il tipo di acquisizione della conoscenza, i loro metodi diagnostici, le cause del malanno, il trattamento, la preparazione della forma e del dosaggio. Inoltre hanno direttamente raccolto tutte le piante prese in esame.

Vennero condotti dei veri e propri trial clinici per dimostrare l’attività antimalarica in vivo degli estratti conosciuti. Per lo studio sono state selezionate delle persone che fossero disponibili agli studi. Questi erano generalmente uomini adulti che sicuramente avevano sviluppato una certa immunità nei confronti della malaria; infatti le morti più frequenti o comunque i casi più gravi si presentano nei bambini e nelle donne incinte che hanno basse difese immunitarie, ma condurre dei trial clinici su pazienti di questo tipo è molto difficile. Un limite di questo studio è stato proprio il problema di non riuscire a condurre degli screening completi in tutte le fasce d’età.

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Un altro strumento importante nella ricerca di nuovi farmaci più efficaci, meno tossici e più attivi contro organismi resistenti, è la grande disponibilità dei database per i genomi dei parassiti e delle piante, che rappresentano un aiuto inestimabile per la scoperta di nuovi geni, la comprensione delle loro funzioni, al fine di identificare nuovi bersagli e l’inadeguatezza dei trattamenti attuali (J.P. Anthony et al., 2005).

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2.2 USI TRADIZIONALI

Grazie alla ricerca etnobotanica condotta nei diversi anni, si sono apprese molte informazioni riguardo agli utilizzi nella medicina popolare delle piante appartenenti al genere Cochlospermum. Tali dati sono facilmente reperibili in letteratura e di seguito ne presento un sunto.

2.2.1 Usi Tradizionali Genere Cochlospermum

Riguardo al genere Cochlospermum, molte sono le specie usate in medicina tradizionale e di cui si hanno notizie in letteratura. Le specie maggiormente studiate sono le seguenti:

 Cochlospermum tinctorium  C. gossypium  C. gillivraei  C. planchonii  C. religiosum  C. regium  C. vitifoleum

Cochlospermum tinctorium A. Rich. (sin. C. niloticum Oliv.) è un arbusto che cresce oltre i

10 metri di altezza. Ha foglie alterne, palmate, lobate con stipole. Le infiorescenze consistono di fiori color giallo-carico, regolari o leggermente irregolari, raccolti in racemi. I frutti sono capsule allungate di 3-5 valve contenenti semi che giacciono su una specie di cotone. Cresce nella savana e nelle zone secche di tutta l’Africa Occidentale, ed è ampiamente usata nella medicina tradizionale di Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria, Gambia, Guinea, Senegal e Burkina Faso (C. Sogn Nergard et al., 2005).

E’ una delle piante più utilizzate dai guaritori tradizionali in Africa Occidentale (Benoit-Vical et al, 2001, J. Essenti. Oil Res.) che usano sia l’estratto sia l’olio essenziale delle foglie come antiparassitari (Benoit-Vical et al., 1999). In particolare, nella medicina popolare della Guinea la pianta è usata nel trattamento e nella prevenzione di disturbi a

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carico del fegato (B. Diallo et al., 1987). In Senegal e nei paesi più vicini è impiegata nei disordini epatobiliari, in particolare l’ittero (R. R. Dalvi et al., 1988). Nella medicina tradizionale del Mali è utilizzato, oltre che per l’ittero, anche per altre malattie infettive come la malaria, disurea, malattie gastrointestinali (ulcera, flatulenza e costipazione) (C. Sogn Nergard et al., 2005). Inoltre è ampiamente utilizzata anche in Burkina Faso (M. Traoré et al., 2006).

Alla pianta vengono attibuiti molti nomi popolari nella lingua Bambara in uso in Africa Occidentale, tra cui i seguenti: Ntiribar, Ntidibara, Tiliba, Tilibara (C. Sogn Nergard et al., 2005) e Rawaya nel nord della Nigeria (M.B. Tijjani et al., 2009).

Negli usi tradizionali la radice è la parte della pianta maggiormente utilizzata (C. Sogn Nergard et al., 2005) nel 95% dei casi, le foglie invece molto meno. Le radici vengono lavate e ne viene asportata la parte più esterna; la parte rimanente viene tagliata in pezzi piccoli, seccata e schiacciata in mortai, sino ad ottenere una polvere. La preparazione più comune è il decotto in acqua che viene somministrato per via orale. Per il trattamento dell’ittero si usano anche i bagni nel decotto (C. Sogn Nergard et al., 2005). E’ stato dimostrato che questo è il metodo più efficace e più utilizzato per febbre, epatiti, dolore addominale, quale antifungino e antibatterico e per gli effetti epatoprotettivi (M. Traoré et al., 2006), oltre che per la gonorrea, schizosomiasi (M.B. Tijjani et al., 2009).

Cochlospermum gossypium A.P.De Condolle è un importante albero dell’India da cui si

ottiene un essudato che si trasforma in una gomma, che viene commercializzata con il nome di “gomma Kondagogu” (Vinod et al., 2010), pur non avendo un’identità separata sul mercato poiché, dato il suo basso costo rispetto ad altri essudati, spesso viene mescolata alla “gomma karaya”, che invece è l’essudato dei rami e steli di Steruculia urens e di altre Sterculiaceae, originarie delle zone montuose di India e Pakistan.

Gli essudati gommosi sono polisaccaridi prodotti dagli alberi come meccanismi di difesa naturale. La gomma kondagogu è usata come additivo alimentare (FAO;1991) così come la gomma Karaya (E416). In particolare entrambe le gomme vengono incorporate nei cibi al fine di impartire diverse caratteristiche per la realizzazione dei prodotti: conferire resistenza a processi fisici indesiderati, come la cristallizzazione, sedimentazione gravitazionale e disgregazione meccanica (Janaki & Sashidhar, 1998), stabilizzare, sospendere, gelificare, emulsionare, conferire maggiore densità e usate come agenti coprenti. Entrambe sono scarsamente solubili in acqua e, quando entrano in contatto con questa, si rigonfiano rapidamente, raggiungendo un volume nettamente superiore rispetto a

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quello iniziale. Quindi comprendere le proprietà chimiche, fisiche e reologiche delle gomme, è importanti nel determinare il modo in cui le gomme possono cambiare la nostra percezione dei cibi, e quindi valutare la loro possibile applicazione (Janaki & Sashidhar, 2000). La composizione zuccherina ha un rapporto diretto sulle caratteristiche reologiche della gomma. Recenti studi indicano che le gomme naturali sono classificate in diversi gruppi, a seconda della struttura della catena basale e della struttura unitaria; gomma karaya e kondagogu sono classificate nello stesso gruppo dei ramnogalaturani (B.Janaki & R.B. Sashidhar, 1998).

Cochlospermum gillivraei Benth. è invece la specie originaria dell’Australia di cui la droga

usata nella medicina popolare è la corteccia (I.F. Cook e J.R. Knox, 1975).

Cochlospermum planchonii Hook è una specie dell’Africa occidentale, alta da 0,5 a 1,5

metri, che cresce nella regione guineana del Camerun. I suoi rizomi e le foglie sono usati per il trattamento di molti disturbi: malaria, epatiti, diabete, infertilità, trypanosomiasis, e altre infezioni come diarrea e malattie sessualmente trasmissibili (L. Ouattara et al., 2007). Di questa specie può essere usato l’olio essenziale delle foglie, come coadiuvante per il trattamento della malaria(Benoit-Vical et al., 1999). Gli estratti vegetali e gli oli essenziali sono economici da produrre e possono essere usati come coadiuvanti per il trattamento della malaria

Cochlospermum religiosum è un albero deciduo di piccola o media altezza, dal legno dolce

che cresce in tutta l’India. Dalla corteccia si estrae un essudato trasformato in gomma, inserito nella denominazione “gomma Katyra” (Arnab K. Ojha et al., 2008).

Tradizionalmente ha molti impieghi ed è usata soprattutto come sciroppo per la tosse in quanto è dolce e ha effetto rinfrescante. Nelle case indiane, la gomma katyra viene inzuppata durante la notte e mangiata mescolata allo zucchero.

Recentemente si è cercato di usare tale gomma come alternativa ad agar, alginati, agarosio e gelrite per i mezzi di coltura delle cellule vegetali, in quanto ci sono dubbi riguardo all’inerzia biologica di tali mezzi, e in particolare l’agar.

Tale essudato proveniente dalle fibre più profonde, è insolubile in acqua e rigonfia in una massa trasparente a contatto con l’acqua. Da qui è nata l’idea di usarlo come mezzo di coltura per la crescita in vitro di piante e gli studi a riguardo hanno ottenuto buoni risultati (N. Jain et al., 2002).

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Cochlosperum regium (Mart. & Schr.) Pilger (sin. C. insigne St. Hill.) è conosciuto in

Brasile come “algodaozinho-do-campo”, e si trova nella tipica savana brasiliana. E’ una pianta medicinale tradizionale del Brasile. Viene utilizzato il té grezzo delle radici per trattare influenza e infiammazioni intestinali, uterine e ovariche, oltre che nelle dermatiti. La corteccia è usata per curare ascessi e artrite reumatoide (L. Ceschini et al., 2006).

Cochlospermum vitifoleum Willdenow (Sprengel) è una specie decidua originaria

della’America Centrale e amazzonica. In diversi paesi come Cuba, Costa Rica, Guatemala e Messico, ha grande importanza etnofarmacologica, essendo utilizzata principalmente per la malaria, ittero, ulcera e malattie renali, epatiche e respiratorie, oltre ad avere proprietà emmenagoghe (de Almeida et al., 2005).

In Bolivia, nella zona della Tacana, in Amazzonia, dove le persone hanno ancora una conoscenza relativa del loro territorio e delle sue potenzialità, questa specie è utilizzata per le proprietà antiinfiammatorie, mostrate anche in vitro, come conseguenza dell’inibizione della cascata infiammatoria (J.C. Sanchez-Salgado et al., 2007).

Invece nella foresta secca del Messico è conosciuto come “panicua” e il decotto della sua corteccia viene usato nella medicina tradizionale per il trattamento dell’ipertensione e altri problemi. Della specie ci sono studi che dimostrano l’inibizione del recettore dell’angiotensina II di più del 50%. Inoltre inibisce l’ADP-indotta dell’aggregazione piastrinica che è collegata con l’inibizione della biosintesi delle ciclo-ossigenasi a loro volta coinvolte nel meccanismo infiammatorio, attraverso la formazione dell’acido arachidonico e del trombossano A2, e quindi ha attività antiinfiammatoria. Per questa sua azione sull’angiotensina II, può essere impiegata per la cura dell’ipertensione, considerata uno dei fattori, assieme all’obesità, grasso viscerale, resistenza insulinica e dislipidemia, per la sindrome insulino-resistente (sindrome metabolica). Quest’ultima è considerata all’interno del gruppo delle condizioni di rischio per le malattie cardiache (E. Deharo et al., 2004).

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2.2.2 Usi Tradizionali Cochlospermum angolense Welw.

Presber riporta, nel 1987 e nel 1992, che nella medicina tradizionale dell’Angola viene usato un decotto delle radici di Cochlospermum angolense per il trattamento dell’ittero e, in combinazione con altri medicinali, per la profilassi della malaria. E’ quindi una medicina antielmintica che viene usata per problemi parassitari intestinali. Il nome comune di questa preparazione è “Burututu”.

Altri paesi in cui viene utilizzato sono la Costa d’Avorio, come antimalarico, e nel nord della Nigeria per la cura dell’ittero (Vonthron-Sénécheau et al., 2003).

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2.3 LA MALARIA IN AFRICA OCCIDENTALE

L’Africa occidentale occupa un’area di oltre 6.000.00 km2, circa un quinto dell’intero continente africano. Secondo la definizione delle Nazioni Unite, questa regione include i seguenti 16 paesi: Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo. Con una popolazione totale di circa 300 milioni di persone, questa zona risulta avere il più elevato numero di persone esposto al rischio, all’interno di un contesto socio-politico tra i più poveri del mondo.

Questa situazione contrasta con la ricchezza di risorse biologiche, sia piante che animali. Infatti, il suo ambiente naturale consiste in regioni subtropicali e tropicali con clima semi-arido e umido, che favorisce la crescita di numerose varietà di piante anche medicinali, ampiamente utilizzate contro molti disturbi, come la malaria.

“Malaria” deriva dal termine medioevale “mal aria” ed era definita anche “paludismo” dal fatto che si credeva che fosse provocata da esalazioni nocive provenienti dalle zone paludose. E’ una parassitosi provocata da protozoi del genere Plasmodium. Le specie più diffuse nell’uomo e le più gravi sono: Plasmodium falciparum, Plasmodium vivax,

Plasmodium malariae e Plasmodium ovale. Il tipo con il più alto tasso di mortalità è

quella provocata da Plasmodium falciparum. Il serbatoio del parassita è rappresentato dagli individui infettati, mentre i vettori sono le zanzare del genere Anopheles.

Proprio la malaria rappresenta una delle maggiori minacce della salute pubblica mondiale. Il tasso di mortalità provocato da questa malattia è stato stimato essere approssimativamente di 1,5-2,7 milioni di decessi all’anno, di cui più del 75% delle morti avvengono tra i bambini africani (WHO, 2000). In particolare, la malaria rappresenta il 30% della morbidità nei bambini ed il 17% negli adulti, all’interno delle zone rurali (Njomnang Soh et al., 2007).

L’emergenza sanitaria degli ultimi decenni dovuta all’’incremento della resistenza multi-farmaco del Plasmodium falciparum nei confronti dei medicinali convenzionali del commercio, somministrati singolarmente o in associazione (ad esempio chinino, clorochina, pirimetamina+sulfadossina, proguanile, mepacrina ecc.), ha aumentato l’attenzione verso prodotti naturali estratti da nuove piante come possibile risorsa per nuovi farmaci e ne ha intensificato la ricerca. Tale interesse si è sviluppato sia intorno agli estratti delle piante sia nei confronti degli oli essenziali ottenuti dalle stesse.

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Il problema della resistenza del plasmodio è accompagnato alla gravità degli effetti collaterali delle medicine utilizzate, alla bassa compliance da parte del paziente, al costo sempre più crescente delle medicine antimalariche occidentali e alla mancanza di infrastrutture adeguate alle cure nelle regioni endemiche (Traoré et al., 2006).

Diventa quindi prioritario uno sforzo rivolto alla ricerca di nuovi agenti antiparassitari provenienti da piante medicinali, dal momento che queste ultime possiedono molti vantaggi rispetto alle cure attuali: sono una possibile fonte di nuove molecole efficaci, sono facilmente reperibili nelle regioni endemiche e poco costose.

Bishnu Ji Ram (2001) ricorda che anche in Europa ed USA si è verificata una riscoperta delle medicine vegetali durante gli ultimi 50 anni, testimoniata dai molti farmaci in commercio a base di estratti vegetali. Le piante medicinali possono e devono diventare la prima fonte di prodotti terapeutici anche nei paesi sottosviluppati, così come augurato dallo slogan del WHO “salute per tutti dall’anno 2000”. Per rendere fattibile il progetto è necessario sviluppare, salvaguardare e conoscere l’immenso potenziale di risorse delle piante medicinali già usate nelle cure tradizionali, soprattutto nelle regioni più povere del mondo.

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2.4 STUDI FARMACOLOGICI

Riguardo alle piante del genere Cochlospermum, in letteratura sono presenti molti studi riguardo l’attività dei loro estratti e delle loro frazioni volatili.

2.4.1 Attività Biologica Estratti Genere Cochlospermum

- ATTIVITA’ EPATOPROTETTRICE

Dell’estratto delle radici di Cochlospermum tinctorium è stata dimostrata la capacità di proteggere il fegato, e in particolare di avere attività protettiva nei confronti dei danni provocati da aflatossina B1 (AFB1), una delle principali cause di epatite in Africa e in altri paesi tropicali. Nello specifico, per valutare l’attività, sono stati misurati i livelli sierici di SDH, SGTP e SGOT dapprima nel controllo e poi dopo induzione del danno epatico. Inoltre sono stati misurati i livelli di proteine microsomiali e l’attività del citocromo P-450. (Dalvi et al., 1988).

Diallo et al., nel 1992 hanno dimostrato l’attività epatoprotettrice nei confronti di t-BH, usata come epatotossina, e l’inibizione della perossidazione dei lipidi e della lisi di epatociti, della parte solubile in acqua dell’estratto etanolico dei rizomi della stessa specie. In questo studio è stata valutata l’attività della ALAT per verificare l’epatoprotezione, oltre alla misurazione in vitro dell’attività inibitoria nei confronti della perossidazione dei lipidi e lisi degli epatociti, andando a valutare i livelli di produzione di malonaldeide (MAD), il rilascio di lattato-deidrogenasi (LDH) ed aspartato amino transferasi (ASAT). La più alta protezione contro epatotossicità è stata osservata in frazioni aventi alti contenuti di acido gallico, acido ellagico ed ellagitannini. Altri composti responsabili dell’attività contro t-BH sono risultati essere gli apocarotenoidi (cochloxantina e diidrocochloxantina) e i flavonoidi (7,3’-dimetildiidroquercetina, 5,4’-dimetilquercetina). Infatti i più attivi sono quelli con OH libero in 3 che sono in grado di inibire l’aflatossina B1 (epatocarcinogena e mutagena). Complessivamente l’estratto etanolico di Cochlospermum tinctorium esibisce un effetto comparabile a quello della silimarina (estratta da Sybilum marianum semi, e usata per malattie del fegato), ma a dosi 6 volte minori. Il suo estratto acquoso esibisce inoltre un’alta attività e porta alla protezione contro danni provocati dall’epatite indotta con tetracloruro di carbonio nei topi (Vishnu Ji Ram, 2001).

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Anche l’estratto metanolico dalla corteccia di Cochlospermum vitifolium mostrava la capacità di diminuire l’incidenza di malattie epatiche e di altri fattori che portano alla sindrome metabolica (azione ipoglicemica e vaso-rilassante), come dimostrato dallo studio farmacologico condotto nel 2007 da J.C. Sanchez-Salgado, dove si è andato a misurare i livelli dell’attività delle transaminasi nel plasma con un metodo colorimetrico UV-vis.

- ATTIVITA’ ANTIMICROBICA, ANTIPLASMODICA E ANTIMALARICA

I carotenoidi cochloxantina e diidrocochloxantina, isolati dall’estratto metanolico dei rizomi di Cochlospermum tinctorium, (B. Diallo et al., 1987), sono stati testati contro

Escherichia coli, Candida albicans, Aspergillus fumigatus. I risultati ottenuti controllando

a intervalli regolari i livelli di crescita in vitro dei vari ceppi, hanno mostrato che la cochloxantina è maggiormente attiva sui funghi, ma anche la diidrocochloxantina inibisce la crescita di Candida albicans (B. Diallo et al., 1991).

Inoltre il decotto e l’infuso dei tubercoli della stessa specie sono stati testati da Benoit et al. nel 1995 su due ceppi di Plasmodium falciparum, di cui uno resistente alla clorochina e l’altro è clorochina-sensibile. I risultati ottenuti misurando l’incorporazione della [3

H]-ipoxantina e attraverso osservazione microscopica, hanno dimostrato che entrambe le forme di utilizzo nella medicina popolare africana possiedono attività contro il plasmodio responsabile della trasmissione della malaria; per l’infuso e per il decotto il valore di IC50 misurato è dell’ordine di 1-2 μl/ml su entrambi i ceppi di plasmodio. Inoltre è stato provato che l’attività si mantiene anche negli estratti liofilizzati, per cui ne è possibile la conservazione.

In uno studio biologico successivo condotto da Zederkopff Ballin et al. nel 2002, si è scoperto che l’estratto etanolico mostrava una pronunciata attività antiplasmodica in vitro. Quindi è stato ripartito in diversi solventi; i residui ottenuti che mostravano la maggiore attività sono risultati quelli in H2O e quello in CH2Cl2. Se però quest’ultimo viene frazionato, si evidenzia perdita di attività, probabilmente causata dalla mancata sinergia tra i composti, dalla denaturazione dei composti durante la conservazione o dalla loro degradazione nel corso dei processi cromatografici (M. Traoré et al., 2006).

Successivamente si è scoperto che altri metaboliti responsabili dell’attività antiplasmodica sono i flavonoidi dell’estratto metabolico. Questi sono attivi a diverse concentrazioni contro molti microorganismi: Staphyloccoccus aureus e Corynebacterium ulcerans aventi entrambi una MIC di 500 μl/ml e una MBC di 1000 μl/ml; Klebsiella pneumoniae

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(MIC=1500, MBC=2000 μl/ml); Escherichia coli e Proteus mirabilis con MIC=1000 μl/mg e MBC=1500 μl/ml; Shigella dysenteriae avente i valori più bassi di MIC e di MBC, di 100 e 500 μl/ml, rispettivamente. I valori di MIC e MBC sono stati calcolati attraverso misurazione degli aloni di inibizione provocati dagli estratti sulle colonie selezionate (M.B. Tijjani et al., 2009).

Riguardo a Cochlospemum planchonii, Benoit et al. nel 2003 hanno dimostrato che il decotto della polvere dei tubercoli, tradizionalmente chiamato N’Dribala, è sicuro ed efficiente quanto la clorochina per il trattamento della malaria lieve provocata da

Plasmodium falciparum.

Inoltre, sono stati condotti studi comparativi sull’attività antimalarica degli estratti acquosi delle foglie di C. tinctorium e C. planchonii. I risultati ottenuti da Benoit-Vical et al. nel 1999 indicano che l’attività antimalarica in vitro dell’estratto acquoso delle foglie di C.

tinctorium (3.8-7.5 μg/ml) è simile a quella del Neem (Azadirachta indica, IC50: 4.17-7.29 μg/ml ). Cochlospermum planchonii appare essere meno inibente (IC50: 25-75 μg/ml). Lo studio sulla citotossicità usando cellule umane K562 mostrano che C. tinctorium è 6-10 volte meno citotossico rispetto all’altra specie. L’indice di sicurezza (citotossicità/attività parassitologica) è 66-95 per Cochlospermum tinctorium e solo 1 per Cochlospermum

planchonii. Comunque, a dispetto di una buona attività in vitro ottenuta dalle foglie, i

risultati migliori sono quelli ottenuti con le radici di C. planchonii, che sono le parti usate di questa pianta (Benoit-Vical et al., 2003).

Gli estratti EtOH, EtOAc e BuOH dei rizomi di Cochlospermum regium sono stati testati per valutare la loro attività antimicrobica. Gli estratti EtOH ed EtOAc sono attivi contro

Staphylococcus aureus e Escherichia coli; BuOH è attivo contro Staphylococcus aureus.

EtOH è maggiormente attivo dell’estratto butanolico (C. Correa et al., 1996).

- ATTIVITA’ RADICAL-SCAVERENGING

Per valutare tale proprietà Nergard et al. nel 2005, hanno fatto reagire campioni dell’estratto etanolico delle radici di Cochlospermum tinctorium su TLC in gel di silicio, con una soluzione di DPPH che evidenzia l’attività radical-scaverengin con una colorazione gialla delle macchie. I campioni che hanno mostrato la maggiore attività sono stati l’estratto grezzo e la frazione acida dell’estratto etanolico.

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- ATTIVITA’ ANTITUMORALE

I derivati di semisintesi triacetato e triacetato metilestere dell’acido ariunolico isolato da

Cochlospermum tinctorium sono stati testati in vivo in un saggio dove venivano indotti

carcinomi nei topi con DMBA (100 μg) in acetone e poi iniziati con TPA (1 μg). Successivamente i topi sono stati trattati con le varie molecole. Il derivato metilestere triacetato ha portato alla scomparsa dell’insorgenza dei papillomi. Quindi i derivati dell’acido ariunolico possono essere considerati dei composti promotori-antitumorali (B. Diallo e al, 1995).

Nel 2006 Ceschini et al., hanno condotto uno studio sul potenziale anticancro dell’estratto dai rizomi di Cochlospermum regium estratti con acqua bollente, dimostrando che lo stesso porta all’apoptosi delle cellule sane dopo 24 ore dalla somministrazione. Quindi è stata dimostrata la tossicità su cellule sane, che rappresenta un punto di partenza per lo studio sulle cellule malate.

- ATTIVITA’ ANTIULCERA

Nergard et al., nel 2005 hanno dimostrato l’attività antiulcera dei polisaccaridi estratti dall’estratto etanolico delle radici di Cochlospermum tinctorium. L’ulcera gastrica è stata indotta da HCl/EtOH e successivamente valutata con osservazioni al microscopio delle lesioni alla mucosa gastrica. I polisaccaridi responsabili dell’attività sono: glucosio, galattosio e arabinosio (frazione neutra); acidi uronici (galatturonico e glucuronica), ramnosio, galattosio, arabinosio, glucosio (frazioni acide).

- ATTIVITA’ ANTINFIAMMATORIA

L’estratto EtOH/H2O delle radici di C. regium ha proprietà analgesica e antiedematosa per la presenze di tannini, saponine e flavonoidi. In particolare kaempferolo e diidrokaempferolo 3-O-glucopiranoside hanno mostrato avere attività analgesica nei topi (L. Ceschini et al., 2006).

Nel 2004, Deharo et al., hanno condotto uno studio sull’attività antiinfiammatoria dell’estratto etanolico della corteccia di Cochlospemum vitifolium, dimostrando la riduzione dell’infiammazione, con un IC50 di 104 e 135 μg/ml nei confronti dell’inibizione dei meccanismi enzimatici classici (CPW, attivati da IgM e IgG) o alternativi (APW,

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attivati tramite contatto diretto), rispettivamente. Invece per l’inibizione dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta, l’IC50 è di 1 in 5 mg/ml.

2.4.2 Attività Biologica Composti Volatili Genere Cochlospermum

Gli oli essenziali sono costituiti da miscele complesse di monoterpeni, sesquiterpeni, fenilpropani e altre classi chimiche volatili, di consistenza oleosa, quasi insolubili in acqua ma solubili in solventi organici, con odore caratteristico intenso. Possono essere presenti in tutti gli organi vegetali quali fiori, foglie frutti, cortecce, radici, con diffusione quasi esclusivamente nelle piante superiori. Nella pianta la sintesi e l’accumulo degli oli essenziali, sono generalmente associate alla presenza di strutture istologiche specializzate, spesso localizzate in prossimità della superficie della pianta o addirittura sull’epidermide (cellule ad oli essenziali delle Lauraceae, peli secretori delle Lamiaceae, tasche lisigene delle Rutaceae etc). A livello cellulare di solito sono elaborati dal citoplasma, accumulati nei vacuoli e sono rilasciati all’esterno dalla pianta grazie alla presenza di tessuti secretori superficiali o interni.

Alcuni oli essenziali estratti da piante (ed i loro componenti attivi) possono essere usati come alternativa o come coadiuvanti nelle comuni terapie antiparassitarie. Possono esplicare la loro azione antiparassitaria con un’azione diretto e/o attraverso un meccanismo di immunomodulazione indiretto (Tabella 2.1).

L’azione antiparassitaria diretta si esplica attraverso l’effetto di uno o più dei suoi costituenti a livello delle vie metaboliche all’interno del parassita. Un esempio noto di tale azione è quella esercitata dall’olio essenziale di aglio, che possiede un ampio spettro di azione contro diverse specie di batteri, quali: Trypanosoma, Plasmodium, Giardia e

Leishmaniai.. In questo caso (Zenner et al., 2003) il costituente responsabile dell’effetto è

l’allicina ed il suo prodotto di condensazione ajonene. Un altro costituente che possiede un effetto germicida è il nerolidol, in grado di inibire la crescita di Plasmodium falciparum. L’effetto immunomodulante, invece, si può esplicare con l’inibizione della produzione di NO nei macrofagi (azione mostrata da Curcuma, Aglio e Garofano), con azione inibitoria sulla produzione di prostaglandine di tipo PGE2 (Garofano) o mediante inibizione della produzione di citochine (ad es. l’1,8-cineole dell’eucalipto) (J.P. Anthony et al., 2005).

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Tabella 2.1. Principali oli essenziali con attività antiparassitaria (J.P. Anthony et al., 2005)

FAMIGLIA NOME BOTANICO ATTIVITA’

Myrtaceae Melaleuca alternifolia Antibatterica

Alliaceae Allium sativum

Antibatterica Antiplasmodica Anticoccidica. Lamiaceae Melissa officinalis Origanum vulgare Thymus vulgaris Antibatterica

Lauraceae Cinnamomum zeylanicum Antibatterica

Anticoccidica

Rutaceae Citrus limon Antibatterica

Anticoccidica

Cochlospermaceae Cochlospermum planchonii Antiplasmodica

Annonaceae Xylopia aethiopica

Xylopia phloidora Antiplasmodica

- ATTIVITA’ ANTIBATTERICA E ANTIPLASMODICA

Nel 2007 Ouattara et al. hanno idrodistillato i rizomi di Cochlospermum planchonii, per valutare e dimostrare l’attività antibatterica dell’olio essenziale contro alcuni ceppi batterici. Confrontando i diametri degli aloni di inibizione di quest’ultimo con quelli provocati da tetraciclina e ticracillina, si è appreso che l’olio è attivo su diversi ceppi:

Streptococcus pyogenes (MIC 0,25 e MBC 0,5), Escherichia coli e Listeria innocua nei

confronti dei quali mostra valori di MIC e MIB, rispettivamente di 0,25 e 0,5; invece nei confronti di Salmonella enterica i valori sono di 1,00 per la MIC e 2,0 per la MBC; al contrario l’olio essenziale non è in grado di inibire Staphylococcus aureus e

Staphylococcus camorun.

Gli oli essenziali di Cochlospermum planchonii e Cochlospermum tinctorium sono stati testati sulla crescita del Plasmodium falciparum per confrontarne l’attività. I risultati riportati in letteratura evidenziano una buona attività antimalarica in vitro dell’olio essenziale di C. planchonii, con un valore di inibizione della crescita di Plasmodium

falciparum IC50 molto interessante, compreso tra 22 e 35 μg/ml, mentre per l’altra specie il valore sale a 140-500 μg/ml (Tabella 2.2) (Benoit-Vical et al., 1999) .

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Tabella 2.2. In vitro Antimalarial activity of two Cochlospermum spp leaf extract and essential oils [Benoit-vical et al., 1999]

P.falciparum 24 h P.falciparum 72 h

C.tinctorium leaf aqueous extract 7,5 ± 0 3,8 ± 1

C.planchonii leaf aqueous extract 75 ± 7 25 ± 5

C.tinctorium leaf essential oil 500 ± 12 140 ± 10

C.planchonii leaf essential oil 35 ± 9 22 ± 6

Chloroquina (nM) 150 ± 5 150 ± 5

In uno studio successivo eseguito dagli stessi ricercatori (J. Essen. Oil Res., 2001), è stata valutata e comparata l’attività antimalarica in vitro degli oli essenziali da diverse parti dei tubercoli (epidermide, cilindro centrale e interi) di C. planchonii e C. tinctorium. Allo scopo sono stati usati ceppi di Plasmodium falciparum resistenti e clorochina-sensibili (Tabella 2.3).

In questi due studi per valutare l’attività si è misurato il ritmo di incorporazione della ipoxantina marcata.

Tabella 2.3. Antimalarial activity of Cochlospermum tinctorium and C. planchonii tubercle essential oils [IC50 (μg/mL)].

Plant P.falciparum Nigerian strain P.falciparum FcB1 strain

24 h 72 h 24 h 72 h C. planchonii whole tubercle 127 21 150 15 C. planchonii epiderma 191 9 200 10 C. planchonii central cylinder 495 201 600 180 C. tinctorium whole tubercle 47 8 50 5 C. tinctorium epiderma 53 11 50 5 C. tinctorium central cylinder 192 108 200 100 Chloroquina (nM) 80 75 150 150

Per entrambe le specie, il cilindro centrale è risultato essere meno attivo (da 3 a 22 volte) rispetto alla parte esterna e al tubercolo intero; ma l’olio di Cochlospermum tinctorium risulta esser il più attivo dei due sul Plasmodium falciparum.

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Anche l’olio essenziale dei rizomi di Cochlospermum regium è stato testato contro

Staphylococcus aureus (MIC = 1.5 mg/ml) e Salmonella typhimurium (MIC = 5.0 mg/ml)

e i risultati ottenuti hanno giustificato l’utilizzo dell’olio nella medicina tradizionale brasiliana come antibatterico. Tra i possibili composti responsabili dell’attività ci sono β-selinene, elemene, t-caryophillene, α-pinene, α-humulene, aromadendrene, α-selinene e cadinene (R.L. Brum et al., 1997).

2.4.3 Studi Biologici Cochlospermum angolense

Dato l’uso tradizionale del “Burututu” (decotto delle radici) per il trattamento dell’ittero e in combinazione con altri medicinali per la profilassi della malaria, Presber et al., 1992 hanno investigato la sua capacità di inibire in vitro la moltiplicazione di Plasmodium

falciparum e i suoi effetti sul DNA e la sintesi proteica del Plasmodium berghei in topi

infetti, allo scopo di ottenere informazioni riguardo allo spettro d’azione e trovare un possibile meccanismo d’azione.

Questi hanno estratto dalle radici di Cochlospermum angolense un prodotto cristallino di colore rosso che è stato disciolto in una miscela etanolo-PBS 3:1 per ottenere diverse concentrazioni da testare. Vengono quindi condotti studi biologici usando il chinino come controllo ad una concentrazioni di 250 μg/ml.

Per il test sulla moltiplicazione del Plasmodium falciparum in vitro sono stati utilizzate concentrazioni comprese tra 10 e 50 μg/ml.

Alla concentrazione di 10 μg/ml è stata osservata una riduzione del 50% della parassitemia dopo 48 ore, in confronto al controllo non trattato e durante le seguenti 24 ore è stata notata un’ulteriore diminuzione della parassitemia. A 25 μg/ml la parassitemia non è aumentata per un periodo di 72 ore. Il più alto dosaggio (50 μg/ml) causò una continua diminuzione nel numero dei parassiti. La rimozione degli estratti dopo 48 ore non ha indotto una rinnovata moltiplicazione dei parassiti.

Sull’esame microscopico il plasmodio rimanente in tutti i gruppi trattati, mostrò segni di degenerazione (picnosi, infezioni, ecc.) in modo dose-dipendente a partire già dalla più bassa concentrazione di estratto usata.

Successivamente hanno valutato il tempo d’inibizione dell’incorporazione della [3 H]-ipoxantina negli eritrociti dei topi infettati con Plasmodium berghei, con l’uso dell’estratto di Cochlospermum angolense e chinino come controllo.

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Il controllo non trattato incorporò ipoxantina linearmente come un risultato della sintesi del DNA parassitico. Dopo 6 ore di incubazione la radioattività incubata ammontava a 1 x 105 dpm. L’aggiunta dell’estratto alla concentrazione finale di 25 μg/ml inibì immediatamente la sintesi di DNA. Il chinino mostrava un minore effetto inibitorio sul sistema (necessari 250 μg/ml) e una ridotta sintesi del DNA è stata misurata in tutto il periodo di 6 ore.

In un altro esperimento è stata testata la sintesi di DNA e delle proteine. La prima era inibita nuovamente alla concentrazione più bassa di 25 μg/ml, mentre la sintesi proteica sotto l’influenza dell’estratto continuava a velocità ridotta, per poi fermarsi dopo un tempo di circa 90 minuti.

Dai risultati ottenuti e confrontati con quelli mostrati da altre piante studiate per la loro attività antimalarica, si evince che la concentrazione necessaria del’estratto di

Cochlospermum angolense per l’inibizione del 50% del Plasmodium falciparum, è molto

bassa. Per esempio, l’estratto con la maggiore attività di alcune piante indiane (Coutarea

latiflora, Exostema caribaeum ed estratti grezzi di Artemisia annua) aveva una dose

minima efficace di 25-50 μg/ml. Per ottenere la stessa potenza antimalarica con gli estratti di radici di Cochlospermum angolense è necessaria una dose 10-100 volte inferiore in relazione all’artemisina, già clorochina e chinino. Inoltre l’artemisina pura ha bassa solubilità in solventi acquosi ed oleosi, problema che non si presenta con l’estratto di C.

angolense, che quindi risulta essere un metodo più vantaggioso.

Quindi è stato dimostrato che oltre a una generale protezione del fegato, l’estratto di

Cochloseprmum angolense ha una influenza diretta sui parassiti malarici.

Precedentemente (1991, Patent) gli stessi ricercatori hanno mostrato che il carotenoide che si trova nella specie in esame può essere usata come antipotozoario contro i plasmodi di

Naegleria, Giardia, Trichomonas, Leishmania e Crithidia.

Anche l’estratto grezzo e l’olio essenziale ottenuti dalle foglie hanno esibito attività antiplasmodica e l’olio mostra il miglior effetto antimalarico (IC50=22-35 μg/ml). Nell’estratto acquoso delle radici è stato isolato anche un sale di zinco che esibisce attività epatoprotettiva attraverso l’inibizione degli enzimi del citocromo P-450 (Vonthron-Sénécheau et al., 2003).

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Nel 2009 Presber et al. (Patent) hanno isolato un agente virus-statico dall’estratto cloroformico delle radici di Cochlospermum angolense che a 15μl/mL inibisce del 50% l’RNA-polimerasi RNA-dipendente (replicasi) del virus dell’influenza A.

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2.5 STUDI TOSSICOLOGICI

Toledo et al., nel 2000 hanno valutato la tossicità dell’estratto etanolico della parte radicale di Cochlospermum regium. La tossicità acuta si è mostrata moderata con somministrazione intraperitoneale dell’estratto e bassa tossicità se somministrato per os. Molto bassa è anche la tossicità subacuta. I composti che causano tossicità sono le saponine che causano irritazione dei tessuti ed emolisi. L’estratto può diventare letale se somministrato per via parenterale.

Invece, studi sulla tossicità degli oli ottenuti dai tubercoli di Cochlosperum planchonii e

Cochlospermum tinctorium, hanno dimostrato che sono citotossici sulle cellule

eritroblastiche umane, anche se la tossicità di C. tinctorium minore rispetto a C.

planchonii, però presenta minore attività antiparassitaria, quindi il primo dei due è da

preferire (Benoit-Vical et al., 1999). Bisogna considerare che anche se la forma tradizionalmente più utilizzata è il decotto, l’aromaterapia con gli oli essenziali è una forma di cura frequente in Africa per la cura della malaria. Diventa quindi necessario valutare e quantificare meglio la possibile tossicità degli oli e degli estratti prima di proibirne l’uso. Inoltre l’olio essenziale non viene ingerito; quindi si deve isolare il prodotto e testare i vari componenti separatamente per escludere una correlazione tra l’attività antimalarica, la citotossicità dei diversi oli, e la loro composizione chimica

Invece, la citotossicità degli oli ottenuti da C. planchonii è risultata essere quasi identica a quella malarica. Allo stesso modo, gli studi di citotossicità degli oli di C. tinctorium mostravano che gli oli essenziali effettivamente più attivi (parte intero e parte esterna) erano inoltre più tossici sulle cellule eritroblastiche umane (K562). Ciò ha portato alla considerazione che i componenti più attivi non fossero tossici specificamente per il

Plasmodium falciparum, ma che potessero inibire sia i parassiti sia la crescita delle cellule,

e ciò rappresenterebbe un possibile problema di tossicità che dovrà essere valutato. (Benoit-Vical et al., 2001, J. Essen. Oil Res.).

Figura

Tabella 2.1. Principali oli essenziali con attività antiparassitaria (J.P. Anthony et al., 2005)
Tabella 2.3. Antimalarial activity of Cochlospermum tinctorium and C. planchonii   tubercle essential oils [IC 50  (μg/mL)]

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