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Fatture pagate in contanti: quali rischi con il Fisco

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Fatture pagate in contanti: quali rischi con il Fisco

written by Paolo Remer | 03/03/2022

Quando scatta l’accertamento analitico induttivo per chi ha l’abitudine di saldare i fornitori con mezzi di pagamento non tracciabili.

Si può pagare una fattura in contanti? In teoria nulla lo vieta, e anzi alcuni fornitori – specialmente quelli molto piccoli e occasionali – preferiscono questa modalità di pagamento, che gli consente di disporre subito di soldi liquidi in cassa. Ma i problemi vengono dopo: le fatture pagate in contanti comportano rischi con il Fisco.

Sappiamo tutti che da qualche anno la lotta all’evasione si svolge con l’arma della tracciabilità dei pagamenti: i mezzi alternativi al contante sono incoraggiati e favoriti, a scapito dell’utilizzo del cash, il denaro liquido, tenuto e scambiato in banconote e moneta sonante. Così le spese sostenute in contanti, anziché con strumenti tracciabili, non sono più detraibili salvo rare eccezioni, come le spese mediche. Ma fin qui si gioca sul terreno della convenienza; noi, invece, dobbiamo concentrarci sui rischi di subire un accertamento fiscale per chi ha l’abitudine di

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saldare i fornitori in contanti.

Di solito si pensa che sono i movimenti sui conti correnti a finire nel mirino dei controlli del Fisco, ma non è sempre e soltanto così: esistono altri validi metodi per ricostruire la posizione del contribuente, come l’accertamento analitico-induttivo, che confronta i redditi dichiarati con i costi necessari per produrli. Se da questo raffronto emerge una sproporzione sono guai per il contribuente accertato, specialmente se è un imprenditore, un professionista o un altro soggetto titolare di partita Iva.

Inoltre oggi con la fatturazione elettronica l’Agenzia delle Entrate conosce in anticipo le operazioni effettuate dai contribuenti, senza bisogno di convocarli in ufficio per farsele esibire o di recarsi presso l’azienda, il negozio o lo studio per acquisirle fisicamente. Le fatture elettroniche vengono trasmesse in via telematica, e per questo motivo è stato abolito lo spesometro, un “bilancino” ormai non più necessario per ricostruire, a posteriori, i movimenti fiscalmente rilevanti compiuti dai soggetti Iva.

Fin qui il quadro generale, che, come avrai capito, è molto diverso dal passato. I controlli attuali si basano su flussi di dati informatizzati che registrano i passaggi di denaro, e il contante è in gran parte tagliato fuori dal grosso dei movimenti.

Nell’ottica di chi svolge gli accertamenti fiscali, l’uso del contante è considerato quasi un’anomalia. E i limiti di valore consentiti sono sempre più stringenti, quindi se si superano si rischia di incappare anche in pesanti sanzioni amministrative.

Da tutto questo puoi intuire perché le fatture pagate in contanti aumentano i rischi con il Fisco: se l’Amministrazione finanziaria contesta le operazioni e ne mette in dubbio la veridicità, non c’è modo di dimostrare che il pagamento sia avvenuto. E allora i costi riportati in quelle fatture vengono, inevitabilmente, non riconosciuti e sono recuperati a tassazione.

Limite all’uso dei contanti

Il primo sbarramento alla possibilità di pagare le fatture in contanti è quello del tetto limite al loro uso nelle operazioni tra privati: per il 2022 la soglia massima consentita è fissata a 1999,99 euro, e dal 2023 scenderà a 999 euro. Quindi non si può pagare per contanti una fattura di 2mila euro o superiore, ma si potrebbe tranquillamente pagare in parte con i mezzi di pagamento tracciabili (bonifico

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bancario, carte di credito o di debito, assegni) e il residuo in contanti, purché questo rimanga sotto la soglia dei 2mila euro. Facciamo un esempio.

Vincenzo acquista, nel 2022, un ciclomotore che costa 3.600 euro; può pagare fino a 1.999,99 euro in contanti e il rimanente con carta, assegno o bonifico. Il limite per il pagamento in contanti è rispettato.

Pagamenti frazionati: quando sono consentiti

La normativa sul limite all’uso dei contanti considera «artificiosamente frazionata» un’operazione unitaria sotto il profilo economico, ma posta in essere attraverso più pagamenti, ciascuno dei quali viene tenuto sotto la soglia per non superare il limite di legge [1]. Questa condotta è vietata, a meno che la pluralità dei pagamenti sia insita nel tipo di operazione (ad esempio, un contratto di somministrazione) oppure sia conseguenza di un accordo tra le parti, come nel caso di pagamento rateale.

Quindi il “trucco dei pagamenti frazionati” per aggirare il divieto, che è illegale a meno che le rate non siano previste in partenza dal contratto (ad esempio per un acquisto con finanziamento o prestito a restituzione programmata in un determinato numero di mesi o anni), oppure per pagare un po’ alla volta alcune spese ingenti (come il dentista ad ogni seduta di cure, o l’avvocato per ciascuna udienza svolta), sempreché l’accordo iniziale con il professionista preveda tale condizione. Il pagamento frazionato è consentito anche quando viene previsto a stato di avanzamento lavori, come nel caso delle imprese edili per le costruzioni e le ristrutturazioni di edifici.

Una coppia di sposi ha acquistato presso un mobilificio una cucina componibile.

L’importo complessivo è di 6mila euro, da pagare in 12 rate mensili di 500 euro ciascuna. Il pagamento in contanti è consentito perché non c’è un frazionamento artificioso. Senza la soluzione rateale, invece, pagare l’intera somma in contanti non sarebbe regolare.

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Chi può eccedere il limite di pagamento in contanti

I cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e residenti fuori dall’Italia, come i turisti, possono acquistare beni e servizi pagando in contanti cifre fino a 15mila euro, a condizione che il fornitore (solitamente, un commerciante o un’agenzia di viaggi):

comunichi preventivamente all’Agenzia delle Entrate l’Iban del conto corrente utilizzato per il versamento dei contanti (che deve avvenire entro il primo giorno feriale successivo);

acquisisca dal cliente straniero una fotocopia del passaporto e l’autocertificazione attestante la condizione di cittadinanza straniera e di residenza estera.

Come pagare una fattura?

Le modalità e i termini di pagamento di una fattura vengono concordati tra il fornitore e il cliente. A livello generale, il Codice civile dispone che le obbligazioni relative a debiti pecuniari vanno adempiute con moneta avente corso legale al momento del pagamento: quindi chi ha emesso la fattura non può opporsi a un pagamento in contanti e rifiutare le banconote e le monete correnti in euro, a meno che non venga superata la soglia di legge.

Nei contratti più “impegnativi”, come gli abbonamenti alle forniture di energia (luce elettrica e gas), le spedizioni di merci di valore consistente o a carattere periodico, gli acquisti immobiliari o di beni di lusso (auto sportive intestate a società, imbarcazioni, ecc.), le parti solitamente si accordano in via preventiva sull’utilizzo di modalità di pagamento diverse dal contante, come il bonifico, il Rid (cioè l’addebito diretto in conto corrente bancario), la carta di credito o gli assegni.

Queste condizioni contrattuali vanno rispettate, e se esistono il cliente non può pretendere di pagare in contanti.

Inoltre, per prassi commerciale ogni fattura emessa e consegnata al cliente indica la data di scadenza per saldarla e spesso elenca anche i modi di pagamento disponibili e suggeriti in via preferenziale, se il contratto non ne prevede uno specifico (ad esempio, un bonifico bancario sul conto corrente della società, una

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domiciliazione postale o una ricevuta bancaria). La fattura elettronica prevede anche i codici dei mezzi di pagamento utilizzati: per i contanti bisogna inserire il codice MP01.

Fatture pagate in contanti: accertamento fiscale

Una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino [2] illustra bene cosa succede quando le fatture vengono pagate in contanti in modo ripetuto e sistematico. L’Agenzia delle Entrate aveva incrociato i dati dei conti correnti bancari con quelli delle fatture emesse dai fornitori dell’azienda verificata, e aveva rilevato che solo in pochi casi i pagamenti erano avvenuti con bonifico bancario. Il contribuente aveva sostenuto che il pagamento avveniva spesso in contanti, su richiesta dei fornitori stessi.

Questa giustificazione non è stata ritenuta sufficiente. Le consistenti movimentazioni effettuate in contanti non trovavano alcun riscontro e sono state ritenute «incoerenti» anche perché le fatture esaminate prevedevano come modalità di pagamento il bonifico bancario. Sulla base di queste discrasie, la ricostruzione della base imponibile e delle imposte, compiuta con accertamento analitico-induttivo dall’Agenzia, è stata giudicata legittima.

I giudici tributari richiamano l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui

«il fatto che un’azienda adempia le proprie obbligazioni in contanti, costituisce indice di reddito sul quale basarsi una rettifica presuntiva» [2] e rilevano che «la prova del comportamento non lineare del contribuente è ricavabile anche sulla base di presunzioni semplici purché queste siano gravi, precisi e concordanti giungendo al fatto da provare iniziando da un fatto noto, per desumere da esso un fatto ignoto (evasione fiscale)».

Nel caso specifico, il contribuente non aveva fornito prova di come avesse saldato i debiti esposti nelle fatture contabilizzate. L’Ufficio impositore, invece, aveva appurato in modo certo la mancanza di pagamenti eseguiti con mezzi tracciabili, cioè diversi dal contante. A fronte di tutto ciò – sottolinea il Collegio –

«il ricorrente non ha fornito alcuna prova contraria ed non ha documentato il pagamento delle singole fatture». Di conseguenza i ricavi in nero sono risultati correttamente accertati e il ricorso del contribuente è stato respinto.

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