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IL LIBRO DEI CINQUE ANELLI

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Miyamoto Musashi

IL LIBRO

DEI CINQUE ANELLI

A cura di Cesare Barioli

OSCAR MONDADORI

(2)

© 1993 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Titolo originale dell’opera: Gorin-no-sho

I edizione Osca Piccoli saggi aprile 1993 I edizione Piccola Biblioteca Oscar giugno 1998 I edizione Oscar varia marzo 2000

I edizione Oscar spiritualità gennaio 2009

ISBN 978-88-04-58658-6

Questo volume è stato stampato presso Mondadori Printing S.p.A.

Stabilimento NSM - Cles (TN) Stampato in Italia. Printed in Italy

Anno 2009 - Ristampa 13 14 15 16 17 18

HOKKAIDO

. [Kashima-ji lkatori-ji 2 Narita-ji 3 Hongwan-ji 4 Taisho-ji 5 Hozoin-jì 6 Butokuden 7 Hara (Arima) 8 Yayoi 9 Aso 10 Mukojima

[ Reigendo 11 kimpo 11 Uze

I Ugan-ji 12 Takayama

ECHiGO

(ZUMO

Shtmahara

SHIKOKU BUZEN

HIZEN

Anake HIGO

OCEANO PACIFICO

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Introduzione

Il Giappone dei guerrieri

Alla line del Quaternario le terre che oggi formano l’ar¬

cipelago erano tutt’uno con il continente, come testimo¬

niano i residui fossili di mammuth e di elefanti, e il trat¬

to di mare chiamato Nihon-kai, o Mar del Giappone, era probabilmente un lago.

Fu una migrazione di popolazioni siberiane la prima a interessare quelle terre, portando i riti sciamanici che in¬

fluenzarono lo shinto1 e i miti più antichi e i costumi che ancora si rintracciano nelle tradizioni popolari, testimo¬

niando così la grande vitalità protostorica delle popola¬

zioni nomadi dell’Asia centrale? Quel che è certo è che fin dall’epoca Jomon2 ci sono testimonianze anche di popola¬

zioni sino-coreane oltre a quelle Ainu.3 Poi, con la nasci¬

ta della navigazione, si realizzò attraverso il tempestoso Mar della Cina anche la migrazione meridionale e iniziò il periodo Yayoi,4 caratterizzato da agricoltura e uso del tornio. Ultimi giunsero gli Yamato, dall’Indocina, forse facendo tappa in Malesia, e cominciò l’Impero.

Così in quelle terre si condensarono tutte le esperien¬

ze guerriere che l'homo sapiens aveva elaborato espan-

VII

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dendosi sul continente: la lotta e le armi da gittata che i cacciatori del nord, pesantemente vestiti, usavano nel continuo inseguimento delle grandi migrazioni; il ba¬

stone e l’arte dell’equitazione dei pastori della steppa; le armi da taglio ideate dai contadini della pianura fertile;

e persino l'arpione del pescatore di scoglio che si maneg¬

gia senza scagliarlo lontano, da cui nasce lo yari, l’arma per eccellenza degli Yamato.

Questi, gli ultimi arrivati, cominciarono a sottomet¬

tere i villaggi che si ritenevano presuntuosamente «pic¬

coli regni». Al tempo dell'espansione Yamato, circa nel VII secolo a.C. secondo la fantastica mitologia nipponi¬

ca, ma da collocarsi attorno al V secolo d.C. secondo gli storici, risale l’uso delle «prove di forza» (chikara-kurabe) per stabilire senza massacro chi dovesse dominare, come nell’episodio a noi più familiare degli Orazi e dei Curia- zi. È il tempo degli eroi, la concezione dei quali arrivava dal sud, portata dagli Yamato assieme al loro «tesoro»;

lo Specchio (spiritualità), il Gioiello (senso estetico) e la Spada (virtù guerriera), i simboli del potere imperiale.

L’ideogramma bu (cinese wu) rappresenta una lancia e l'idea di controllare o maneggiare con abilità, in ac¬

cordo con la definizione del Mahabaratta, «guerriero è colui che si oppone al caos», e con l’istituzione delle ca¬

ste nella prima società organizzata, in cui l’uomo arma¬

to doveva adempiere al mandato dei Grandi Legislatori (regalità di origine divina) sulle classi produttive di con¬

tadini, artigiani e più tardi commercianti.

Se il primo guerriero giapponese è un eroe teso alla conquista di una terra, subito dopo diventa il fedele ser¬

vitore del nobile. Troviamo l’uno descritto nel Kojiki e nel Nihon-ji

,5

l'altro nel Genji e nell’Heike-monogatari.6 Infine il guerriero diventerà condottiero e, tradendo il suo mandato, governante. Simbolica ne è la perdita del¬

la Spada imperiale a Dan-no-ura.

Dall’introduzione ufficiale del buddhismo e dei mo¬

delli cinesi a metà del VI secolo fino al pieno feudalesi¬

mo durante l’epoca Muromachi,7 la storia giapponese è caratterizzata dalle rivalità dei clan attorno all’autorità dell’Imperatore, dalla conquista del nord a discapito de¬

gli Ainu e soprattutto dalle lotte per estendere la proprie¬

tà terriera. Il periodo propriamente feudale termina con l'unificazione stabile del paese sotto la dittatura militare dei Tokugawa (1603-1868). Certo, i feudi resisteranno fino all’abolizione formale decretata dal Rinnovamento Meiji (1868-1912), ma saranno inglobati in un sistema unitario in cui, obbedendo all’intuizione dei reggenti, i guerrieri costringono il popolo a recuperare il ritardo storico nel¬

la formazione del sentimento di unità nazionale.

Che la storia spingesse in direzione della formazio¬

ne dello Stato, i giapponesi se ne erano bruscamente ac¬

corti nel XIII secolo per grazia di Kubilay Khan. Fu una fortuna che non si ripeterono altri tentativi di invasione durante i quattrocento anni di guerre intestine che im¬

posero l’unità; fortuna geografica di essere ai confini del mondo e fortuna economica di essere un paese povero.

E finalmente sotto i Tokugawa vennero chiusi i confini e completato il processo di unificazione militare fino a che il Giappone si trovò con Meiji preparato alla concor¬

renza con l’Occidente.

Mille anni di storia, dunque, enfatizzano il ruolo di guerrieri che agiscono in un mondo contadino, povero, ma pur fonte di ricchezza e di potere.

Secondo un modello cinese, nel VII secolo la terra era stata nazionalizzata e ripartita tra i contadini, sottopo¬

sti a un pesante sistema di tassazione (ritsuryo). Il siste¬

ma, già fallito in Cina, avrebbe anche potuto funzionare se le imposte non fossero state così forti e se non fosse stato successivamente modificato, permettendo la pro¬

prietà privata tanto delle nuove terre dissodate che di

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I

quelle strappate agli Ainu. La concorrenza tra le terre private e quelle statali favoriva le prime, e i Signori del¬

la Terra finirono per creare dei feudi ante-litteram, i co¬

siddetti shoen, gestendo il loro popolo, allestendo eser¬

citi e finendo col disobbedire al potere centrale con la scusa delle difficoltà di comunicazione in quella geogra¬

fia fortemente accidentata. Il governo, sempre più po¬

vero anche per i costumi eccessivamente lussuosi della Corte, ancora a imitazione della Cina, cominciò ad ap¬

poggiarsi alle forze dei nobili delle campagne per seda¬

re le rivolte sulle sue terre e non potè quindi impedire che questi pretendessero più potere.

I clan guerrieri dei Taira (o Heishi, o Heike) e dei Minamoto (o Genji), forti di parentele e appoggi uno nell'ovest e l’altro nel nord, si affrontarono ferocemente nella guerra Gem-pei (1180-1185) e la vittoria portò Mi- namoto-no-yoritomo alla creazione del bakufu, gover¬

no militare del Seii-taishogun (generale in capo, comu¬

nemente detto shogun). È l'epopea samurai che porterà il paese all’equilibrio attraverso quattro secoli di rivol¬

te, guerre, rivalità incessanti e avventure militari di ogni tipo. Questo periodo di disordine è chiamato «Medioe¬

vo giapponese» ed è caratterizzato da repentine allean¬

ze immediatamente tradite e da continui cambiamenti, concentrati in uno spazio e un tempo ristretti rispetto al Medioevo europeo. Di certo l’organizzazione sociale del periodo è basata sull'unificazione del potere legislativo, giudiziario ed esecutivo in singoli soggetti.

L’epoca Kamakura (1185-1333) è condizionata dai due tentativi d’invasione mongola, che esaurirono compieta- mente le risorse dello shogunato nello sforzo di convin¬

cere i samurai a combattere senza l'incentivo del bottino finale. La Corte cerca di riprendere il potere (Restaura¬

zione Kemmu), ma la lotta tra la Corte del sud, quella le¬

gittima per discendenza, e la Corte del nord finisce con x

l’usurpazione di Ashikaga Takauji che ristabilisce il go¬

verno militare (epoca Muromachi, 1392-1490), aprendo un periodo incredibilmente violento in cui protagonista è il potere feudale. Mai come negli eventi nipponici il cor¬

so della storia appare così concentrato ed evidente.

La fine delle guerre civili si profila con l’epoca Momo- yama (1573-1603) detta «dei dittatori», in cui si succe¬

dono Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e finalmente Ieyasu Tokugawa, la cui dinastia regnerà in pace e nel più completo isolamento fino aH’arrivo delle cannoniere americane nel porto di Uraga: il commodoro Matthew Calbraith Perry giunse l’8 luglio 1853 con una flotta nel¬

la baia di Sagami, con un messaggio del presidente Mil- lard Fillmore allo shogun Ieyoshi in cui si chiedeva l’aper¬

tura dei porti al commercio degli Stati Uniti e ritornò due anni dopo per la firma del trattato provvisorio che concedeva allo scopo Shimoda e Hakodate. La pressio¬

ne conseguente delle altre nazioni, Russia, Inghilterra, Francia, Olanda e poi Prussia, provocò la crisi dello sho¬

gunato e la restaurazione del potere imperiale.

La spada, in Orierite, nasce dagli attrezzi per mietere i cereali e trova impiego dapprima contro gli animali sel¬

vatici e poi come arma da combattimento. Dovunque è il simbolo del guerriero. In Giappone viene impiegata già dagli Yamato, benché i primi eroi siano raffigurati ico¬

nograficamente con l’arco e a cavallo; così lo spirito dei primi soldati delllmpero è riassunto nel Kyuba-no-michi, la Via dell'arco e del cavallo. Le prime spade giapponesi sono di modello cinese: diritte, a due tagli e con un po- molo sull’elsa.

La nascita del modello autoctono8 risale al tempo del¬

la prima capitale fissa, Nara, in pieno VII secolo, quan¬

do ormai la struttura sociale si era ben consolidata. La tradizione lega le spade giapponesi all’opera del leg-

xi

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gendario fabbro Amakuni. Il primo esemplare fu forse quello forgiato per l'Imperatore Mommu (704), che poi Shujaku-tenno donò attorno al 940 al fudo protettore di Narita-ji, come segno di gratitudine per la sconfitta di Taira Masakado; questa lama esiste tuttora. Amakuni fabbricò anche la famosa Kojima-maru, che venne tra¬

mandata come eredità sacra nel clan dei Taira. Legger¬

mente ricurva, a un solo taglio, poco variata nel tempo, quest’arma è un manufatto tra i più belli e tecnologica¬

mente avanzati che abbia creato in assoluto l’umanità.

Con essa cambia completamente la tecnica schermisti¬

ca, anzi nasce una scuola che lascerà ammirato il mon- do. Fu l’Imperatore Kammu, in occasione del trasferi¬

mento della capitale da Nara a Heian (l’odierna Kyoto) nel 794, a volere la costruzione del Butokuden (Sala dei Valori del Combattimento) in cui si svolgeva lo studio sistematico delle armi e vennero organizzate le prime competizioni di allenamento.

Le successive epoche impongono sempre di più la spa¬

da come arma da battaglia e ne spingono la tecnica e lo spirito al massimo grado di perfezione. Nascono nel pe¬

riodo Muromachi le prime scuole (ryu-ha) registrate, vengono sistematizzate le relazioni tra insegnante e al¬

lievo e si distingue il combattimento militare in armatu¬

ra da quello personale a corpo libero. Di questo periodo ricordiamo Jion, fondatore di Nen-ryu; Iizasa Choisai, fondatore di Tenshin Shodenryu; Aiso Iko di Kage-ryu;

Chujo Hyogonosuke Nagahide, fondatore di Chujo-ryu;

Tsukahara Bokuden di Bokuden-ryu; Kami-izumi Mu- sashino e Kami Nobutsuna di Shinkage-ryir, Toda Seigen di Toda-ryu e Kanemaki Jisai di Kanemaki-ryu.

Nell’epoca Tokugawa (1603-1867) le classi sociali ven¬

gono strettamente definite e la spada (almeno quella lunga, da combattimento) diventa appannaggio esclusi¬

vo dei guerrieri. Nasce una «cultura samurai» influenza-

ta dal neoconfucianesimo e dal buddhismo, soprattutto zen. Verso la metà del Settecento si affermano le prote¬

zioni e gli attrezzi da allenamento che risparmieranno numerosissimi incidenti. Sono del periodo Tokugawa i maestri Itto Ittosai, fondatore di Itto-ryu; Yagyu Sekishu- sai Muneyoshi, fondatore di Yagyu Shinhage-ryu; Ono Jerouemon Tadatsune; Yagyu Tajimanokami Munenori e Miyamoto Musashi, fondatore di Nìto-ryu. Oggi le scuole di ken-jitsu sopravvissute si mantengono a fatica, men¬

tre si è imposta all'attenzione del mondo la moderna di¬

sciplina sportiva del kendo che, pur rifiutando l’etica sa¬

murai, cerca di conservarne i valori educativi.

Quando nasce Miyamoto Musashi (1586), il genera¬

le Oda Nobunaga (1534-1582) è già morto e Hideyoshi (1536-1598) ne sta continuando l’opera di unificazione na¬

zionale. Gli succede Ieyasu Tokugawa (1542-1616) come figura egemone, che muore quando Musashi ha trenta- due anni e in seguito i meno importanti Hidetada (che abdica nel 1623) e Iemitsu (che morirà al potere nel 1651, quando Musashi era scomparso ormai da sei anni).

Le battaglie del XVI secolo radunavano sovente centi¬

naia di migliaia di uomini. Nello scontro di Sekigahara (21 ottobre 1600), a cui prese parte anche Musashi, si schie¬

rarono circa 250 mila samurai, facendoci supporre che fossero almeno un milione i guerrieri nel paese: circa il 5 per cento dell’intera popolazione.

Con l'instaurarsi progressivo della pace e dell’ordi¬

ne nacque il problema di ridurre drasticamente il nu¬

mero di questi professionisti della guerra. Hideyoshi progettò la conquista della Cina e cominciò con l’inva¬

sione della Corea; ma il tentativo di sfruttare i guerrie¬

ri inutili in patria per una conquista oltremare fallì e si interruppe con la sua morte. A questo periodo di di¬

soccupazione e di crisi per la casta guerriera si riferi-

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scono i film sui ronin (samurai senza padrone), come Rashomon, I Sette Samurai, Harakiri e altri. Divenne allora difficile sbarcare il lunario senza venir meno all’etica samurai: molti diventarono banditi; altri fon¬

darono palestre aperte al popolo dove insegnavano, se non la morale, almeno la tecnica di combattimento.

C’era un clima di grande frenesia e spesso nascevano sfide e duelli in nome di non meglio precisate misti¬

che, di cui il vincitore deteneva i segreti per giungere all’illuminazione.

Nel frattempo erano sbarcati i portoghesi (1542) con archibugi moderni (bombe e bocche da fuoco primor¬

diali erano conosciute fin dal tempo dei mongoli) e le cose si complicarono...

Vita di Musashi

Ben-nosuke, che in età matura vantò il nome di Shinmen Musashi-no-kami9 Fujiwara-no-genshin,10 ma popolare come Miyamoto Musashi, nasce nel 1584 nel villaggio di Miyamoto, nella provincia di Mimasaka.11 La sua fa¬

miglia proviene dal clan Arima12 di Kyushu;13 suo non¬

no, Hirada Shoken, fu vassallo di Shinmen Iga-no-kami Sudeshige,14 daimyo del castello di Takeyama, di cui sposò la figlia acquisendo il diritto di portare il nome Shinmen che lo stesso Musashi usa nel firmare il libro.

Il padre Munisai, guerriero di professione, abbando¬

nò per ragioni sconosciute il suo incarico al castello di Takeyama per trasferirsi con la moglie a Miyamoto-mura, dove nacque Musashi. All'età di sette anni il bambino si trovò orfano di madre e abbandonato dal padre, adot¬

tato da uno zio materno sacerdote, da cui forse appre¬

se i rudimenti della scherma, mezzo volto a disciplinare la violenta aggressività del ragazzo.15 Questa giovinez¬

za tempestosa matura sullo sfondo delle violente cam¬

pagne unificatrici condotte da Hideyoshi.16

Alto e forte per la sua età, eccezionalmente violen¬

to, Musashi uccide a tredici anni, nel suo primo duel¬

lo, Arima Kihei, samurai noto per l’abilità con la spada e con lo yari, una sorta di lancia, della scuola Shinto. Fin dal primo momento il duello si trasforma in un corpo a corpo; e quando Kihei cade, Musashi lo colpisce selvag¬

giamente alla testa con il suo bastone: «morì vomitando sangue». Musashi dimostra allora almeno sedici o dicias¬

sette anni e usualmente l’ingresso nella casta guerriera avveniva a quindici anni.

Combatte il secondo duello a sedici anni contro Ta- dashima Akyama, che ottiene un riconoscimento po¬

stumo da Musashi per il suo valore. Poi comincia un pellegrinaggio senza meta in cerca di avventure e di af¬

fermazione personale. L’intero Giappone era percorso da ronin che inseguivano imprese e gloria per farsi un nome e non erano infrequenti le offerte, anche in denaro, di si¬

gnori che desideravano annoverare tra le loro schiere un maestro d’armi di chiara fama. Nel secolo precedente il più famoso di questi era stato Tsukahara Bokuden, per¬

sonaggio che si spostava continuamente accompagnato da un centinaio di allievi.

Musashi partecipa con gli Ashikaga alla battaglia di Sekigahara, quando Ieyasu conquista lo shogunato: 210 mila uomini in campo (80 mila di Tokugawa e 130 mila con il generale Ishida Kazushide per gli Ashikaga), 30 mila i morti in battaglia a cui si aggiungono altre 40 mila vit¬

time nel successivo inseguimento e massacro. Musashi sopravvive a quei terribili tre giorni17 e alle feroci setti¬

mane successive.

A ventun anni si reca a Kyoto, probabilmente proget¬

tando una vendetta. Sappiamo che la famiglia Yoshioka dava tradizionalmente il maestro d’armi agli Ashikaga e

xv

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che in seguito alla sconfìtta di questi ultimi Ieyasu ave¬

va proibito agli Yoshioka di esercitare il mestiere del¬

le armi, tanto che divennero tintori (e lo sono tuttora).

Molti anni prima Munisai era stato invitato dallo shogun Ashikaga Yoshitaki (l’ultimo della famiglia, 1537-1597) a dimostrare la sua abilità come spadaccino ed esperto di jitte (una corta forca d’acciaio con cui si imprigionano e si infrangono le lame dell'avversario). Vinse due dei tre duelli contro gli Yoshioka e non sappiamo se fu ucciso o semplicemente battuto nell’ultimo.

La semplice presenza del figlio di Munisai in città era una provocazione, disonorava la famiglia e ne innervo¬

siva i componenti; così fu inevitabile la sfida del capo¬

clan, Seijiro.

Avvenne sulla collina, alle soglie della città. Musashi arrivò in ritardo all’appuntamento e senza scusarsi at¬

taccò con violenza, giungendo al corpo a corpo e buttan¬

do a terra l’avversario che era armato di una vera spada.

Poi con un colpo del suo bokuto (spada di legno) lo colpì al capo. Seijiro non morì, ma mentre veniva trasporta¬

to a casa su una portantina di fortuna si tagliò il codino simbolo della casta guerriera, palesando di essere stato disonorato al punto di non poter più combattere.

La permanenza di Musashi in città costrinse quindi Denshichiro, fratello di Seijiro, a sfidarlo. Era un uomo di alta statura, che combatteva con un'arma lunga e pe¬

sante, ma non ebbe miglior sorte: arrivato ancora una volta in ritardo all’appuntamento, come strategia per in¬

nervosire l’avversario, Musashi lo stese morto con un unico colpo del suo legno.

L'adolescente Hanshichiro, figlio di Seijiro, non aveva ancora l’età per essere considerato samurai e avrebbe an¬

che potuto evitare il duello se non fosse stato per le tra¬

dizioni dì famiglia. D'altro canto l'esperienza guerriera imponeva a Musashi di non lasciare alle spalle un giova¬

ne che avrebbe avuto nella vita l’imperativo categorico di vendicarsi. Così il duello venne fissato in un boschetto di pini ai margini delle risaie. Contando sulla strategia del ritardo che Musashi aveva applicato nei due precedenti scontri, il ragazzo giunse accompagnato da famigli arma¬

ti, deciso a tendere un agguato all’avversario. Ma Musashi era nascosto sul luogo fin dal sorgere del sole e, ascoltati i preparativi e i progetti, sbucò all’improvviso allo scoperto nel mezzo del gruppo impreparato uccidendo il giovane Yoshioka con la spada di legno, senza che questi avesse il tempo di sfoderare la spada. Poi affrontò con due spa¬

de le lance degli altri, respingendoli e uccidendone alcu¬

ni finché, davanti agli archi degli avversari che cercava¬

no di colpirlo a distanza, si diede alla fuga.18

Divenne leggenda. Vaga per il paese e cronache e docu¬

menti ufficiali ne registrano alcune imprese fin nel pro¬

fondo del Kyushu. La cifra di sessanta duelli che gli vie¬

ne attribuita è senz'altro inferiore alla realtà.19

Subito dopo l'avventura con gli Yoshioka nel 1605, visi¬

tò il tempio di Hozoin nei quartieri meridionali della capi¬

tale. Volle sfidare Oku Hozoin, monaco Nichiren,20 allievo del famoso bonzo zen Hozoin Inei, 21 che aveva creato la sua scuola dopo aver studiato con Izumi Musashi-no-kami di Shinto-ryu.22 Usando la spada corta di legno contro lo yari dell’avversario, Musashi lo batté due volte in duelli in¬

cruenti, cosa che gli permise di soffermarsi qualche tem¬

po al tempio per studiare le tecniche dei preti e disputa¬

re la loro filosofia. È interessante osservare che la parola osho, che nel Seicento significava «bonzo», anticamente valeva per «maestro di lancia».

Nella provincia di Iga, Musashi si scontrò Shishido

Baikin, esperto di kusari-gama (un’arma composta da

una catena di oltre due metri alla cui estremità è fissata

una falce). Come quello cominciò a roteare la sua arma

singolare per avvolgere la spada lunga di Musashi, ri-

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trarlo a sé e colpirlo con la falce, questi estrasse la spa¬

da corta e mise a segno uno tsuki (un colpo di punta) al petto, facendolo stramazzare e avanzando per finirlo. Il duello si svolse davanti agli allievi di Baikin. I presen¬

ti attaccarono il vincitore e questi, con le sue due spa¬

de, li mise in fuga.

A Edo23 fu un guerriero di nome Muso Gonosuke24 a richiedere un duello. Musashi era seduto a intagliare una nuova arma nel legno e temporeggiò finché l’ebbe por¬

tata a termine, poi si alzò e si mise in guardia con le sue due spade. Gonosuke attaccò per primo con il lungo ba¬

stone di cui era specialista; ma l’altro, avanzando dirit¬

to, ne neutralizzò l’azione, dimostrando la sua superio¬

rità. Gonosuke abbandonò il combattimento.

Nell’Izumo2- v’erano molti rinomati combattenti e Musashi chiese al signore Matsudaira26 di incontrare il più forte dei suoi soldati. Venne scelto per il duello un sa¬

murai che maneggiava un bastone esagonale lungo oltre due metri e lo scontro avvenne nei giardini della libreria del castello. Musashi usava due spade di legno. Strinse l’avversario contro i gradini, lo colpì al viso mentre saliva sul secondo di essi e poi sulle braccia mentre indietreg¬

giava. Straordinariamente lo stesso signore Matsudaira chiese di combattere con Musashi. Questi ripetè la me¬

desima tattica, usando la mossa «scintilla della falce» per spezzare l’arma dell’avversario in risposta a un attacco violento. Matsudaira si inchinò alla sconfitta e Musashi rimase qualche tempo presso di lui a istruirlo.

Ma il duello più famoso avvenne nel diciassettesimo anno di Keicho (1612) a Kogura27 nel Buzen, contro il giovane Sasaki Kojiro (Ganryu), famoso per la tecnica tsubame-gaeshi (contrattacco a coda di rondine). Que¬

sto campione aveva la stessa fama di invincibilità di Mu¬

sashi. Il permesso per il duello fu mediato presso il si¬

gnore Hosokawa Tadaoki28 da un allievo di Munisai, tale

XVIII 1

Nagaoka Sado Okinaga, e fissato, davanti a testimoni uf¬

ficiali, per le otto del mattino seguente sulla spiaggia di Muko-jima, o Funa-jima (jima significa «isola»), a circa quattro chilometri da Kogura, nel Kyushu, e a una di¬

stanza uguale da Shimonoseki, l'estrema punta di Hon- shu.29 Il duello ebbe tanta rinomanza che oggi l’isola è soprannominata Ganryu-jima.

L’accordo era che Ganryu si sarebbe recato all'appun¬

tamento su un battello del daimyo e Musashi sull’imbar¬

cazione del suo garante. Lo sfidante ringraziò con entu¬

siasmo per l’opportunità offertagli, ma poi abbandonò l'ospitalità del vecchio allievo del padre, rendendosi irre¬

peribile. Corse voce che fosse fuggito finché non fu rin¬

tracciato nella casa di un commerciante amico, al di là dello stretto, nella città di Shimonoseki.30

Al mattino, all'ora fissata, Musashi dormiva tranquil¬

lamente. Giunse perfino un messaggero ufficiale a sol¬

lecitarlo. Ma Musashi fece ogni cosa con comodo, met¬

tendosi a intagliare la consueta arma di legno (che poi risultò di lunghezza superiore a quella di Ganryu). Ar¬

mato della spada corta e del bokuto che si era appena co¬

struito, con indosso un kimono lungo e inadatto a com¬

battere e per di più una sopravveste di cotone e con un fazzoletto alla cintura, Musashi si confezionò una cor¬

da di carta sulla barca che lo portava all'isola.

Aveva due ore di ritardo. Davanti alla spiaggia si tolse la sopravveste, legò con la corda le maniche del kimono perché non gli impacciassero i movimenti e si strinse il fazzoletto sulla fronte per contenere i lunghi capelli che, contrariamente all’uso samurai, gli coprivano un’imper¬

fezione del cranio. La folla che assisteva era trattenuta da un servizio d'ordine. Ganryu era tra gli arbitri ufficia¬

li indossando uno yukata (kimono corto) rosso, pantalo¬

ni di cuoio e sandali di paglia. Quando lo scorse, sfode¬

rò irato la lama di Nagamitsu di Bizen,31 lunga oltre un

XIX

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metro, e manifestando la sua rabbia avanzò nell’acqua, gettando il fodero dietro di sé. Allora si tramanda che Musashi abbia gridato: «Hai perso, Ganryu. Nessun vin¬

citore getta via il fodero della sua spada».

Si affrontarono con violenza sulla spiaggia; nel mede¬

simo istante la lama di Ganryu tagliò il fazzoletto sulla fronte di Musashi e questi colpì in pieno la testa dell’av¬

versario. In quello che parve un momento lunghissimo, Ganryu si accasciò lanciando ancora un attacco di pun¬

ta che lacerò il kimono di Musashi all'altezza del ginoc¬

chio e questi colpì ancora di tsuki il petto del rivale: fu il colpo di grazia. Subito Musashi balzò indietro, sfode¬

rando anche la spada corta e restando a braccia aperte, in segno di omaggio all’avversario; poi si avvicinò e si in¬

ginocchiò per accertarsi col dito che non respirasse più.

Infine si inchinò agli ufficiali e tornò sulla barca. Di ri¬

torno a Shimonoseki inviò una lettera di ringraziamen¬

to al daimyo. Sasaki Kojiro aveva diciotto anni.32 Entrava nel ventinovesimo anno di età (i giapponesi contano già un anno alla nascita) e abbandonò i duelli per studiare l’applicazione della sua strategia al combat¬

timento tra eserciti. Un paio di anni dopo ci fu l'assedio di Ieyasu al castello di Osaka,33 per sedare la ribellione degli Ashikaga. Musashi combattè contro i suoi vecchi commilitoni di Sekigahara.

Poi ci furono altre opportunità di guerra e di assedio, ma la sua attività durante la ventina d’anni che seguiro¬

no è poco nota: mentre poteva restare documentato un duello nelle cronache di un feudo, difficilmente c'erano registri militari negli eserciti in tempo di guerra. Come lui stesso dichiara, a cinquantanni giunse al termine del¬

la Via e si trovò improvvisamente senza nulla da fare se non applicare l'illuminazione ottenuta ad altre discipli¬

ne. Si dedicò all’arte: calligrafia, pittura, scultura, forgia di tsuba (else di spade), poesia e saggistica.34

Musashi era sempre vissuto scapolo, sporco e sifilitico.

Scherzando si diceva di lui che fosse impossibile tentare di lavarlo finché aveva la spada al fianco... e la spada dor¬

miva con lui. Attorno ai quarantanni adottò un ragazzo, MiyamotO Yori, con cui girovagò nel nord del Kyushu.35 Poi il giovane trovò impiego presso il signore di Kogura e Musashi dimorò in quella città per sei anni. Accadde che i cristiani di Shimabara36 tentarono una rivolta contadi¬

na e il terzo shogun della dinastia Tokugawa, Iemitsu, la soffocò nel sangue e con le crocefissioni. Musashi e Yori vi parteciparono distinguendosi per il loro valore.

Nel 1640, quando aveva cinquattasette anni, Musashi divenne maestro d’armi di Hosokawa Tadayoshi, signore di Kumamoto. Per lui cominciò a scrivere, consegnan¬

dogli un documento che riassumeva la sua esperien¬

za, intitolato Heiho Sanjugo Kaiho («I trentacinque pre¬

cetti àeWheiho»). Ma il daimyo morì improvvisamente e Musashi ne soffrì a tal punto che il suo fisico comin¬

ciò a decadere. Si racconta che facesse fatica a solleva¬

re i piedi da terra per salire i gradini e che dovesse esse¬

re aiutato; tuttavia, il giorno in cui scoppiò un incendio, lo videro collegare due tetti con una scala e corrervi so¬

pra agilmente: nei momenti di pericolo ritrovava la fa¬

cilità d'azione.

A sessantanni scrisse, sotto forma di lettera a un al¬

lievo, il Gorin-no-sho, autoconfinandosi nella caverna Reigendo, che ancora oggi è meta di pellegrinaggio per i suoi seguaci.37

Appena prima di morire gli viene attribuito il documen¬

to Dokko-do («La Via che bisogna percorrere da soli»), composto da diciannove precetti:

Non contravvenire alFimmutabile Via.

Evita i piaceri del corpo.

Sii assolutamente imparziale.

(11)

Non avere desideri.

Non avere interessi.

Non invidiare gli altri.

Non rattristarti nelle separazioni.

Resta esente da rancori e animosità.

Non avere desiderio d’amore.

Non avere preferenze.

Non ricercare la comodità personale.

Non concederti lussi.

Non possedere oggetti preziosi.

Non ritenere false credenze o superstizioni.

Non spendere denaro se non per la spada.

Dedicati totalmente alla Via, incurante della morte.

Anche nella vecchiaia, disinteressati al possesso.

Rispetta gli dei, ma non pregarli.

Non lasciare mai la Via deW’heìho.

Secondo anno di Soho, il

12

maggio

Shinmen Musashi

Forse quel giorno donò spade e sella, distribuendole tra gli allievi; consegnò il Gorin-no-sho a Terao Katsunobu (Magonojo) e una copia deìYheiho Sanjugo Kaiho a Terao Nobuyki. Morì sette giorni più tardi, il 19 maggio, all'età di sessantadue anni. Lo prepararono con indosso la sua armatura e la cerimonia funebre venne officiata dal bon¬

zo Shunzan di Taisho-ji. Si narra che, come terminò, un tuono a ciel sereno scosse il cielo e la terra: era Miyamoto Musashi che abbandonava il corpo. La sua tomba è a sei chilometri da Kumamoto.

Cesare Barioli

Note I

I

1 La religione più antica del Giappone, propria della Casa Imperiale, di cui l'Imperatore è il massimo sacerdote. Tra le coincidenze tra i riti shin¬

to e quelli uralo-mongoli, citiamo: la Dea del Sole Amatcrasu, da cui di¬

scende la famiglia imperiale, e l'adorazione del sole: l’offerta di nusa (stri¬

sce di carta e tessuto) ai kami e le invocazioni scritte su lembi di stoffa dai Mongoli; i sonagli rinvenuti in antiche tombe giapponesi e quelli usati da¬

gli sciamani; la divinazione per mezzo di una scapola di cervo esposta al fuoco, citata nei sacri testi shinto, e in uso anche presso i Tungusi.

2 Periodo protostorico che va dal 10.000 a.C. fino al 300 a.C. Nel nord del Giappone perdura anche oltre, presso le popolazioni Ainu. È carat¬

terizzato da una ceramica decorata a motivi cordati.

3 Forse i primi abitanti del Giappone, probabilmente protocaucasici, venne¬

ro sospinti verso est e nord a seguito delle migrazioni provenienti dall’Asia.

Ne sopravvivono oggi poche migliaia nello Hokkaido e a Sachalin.

4 Periodo storico il cui nome deriva da quello della stazione della me¬

tropolitana di Tokyo scavando la quale furono trovati i resti di una ce¬

ramica al tornio e di una civiltà che conosceva l'agricoltura ed elemen¬

ti di metallurgia.

5 Kojikì e Nihon-ji sono testi sacri dello shinto che descrivono l’epopea dell’Impero. Scritti, come pure l'insieme di documenti Fudoki, nellVIII secolo.

6 Genji-monogatari e Heike-monogatari sono romanzi dell’XI e del XIII secolo. Il primo è pubblicato anche in Italia con il titolo: Storia di Genji, il Principe Splendente (di Shikibu Murasaki, a cura di Adriana Mot¬

ti, Einaudi, Torino 1957); il secondo reperibile in francese nella versio¬

ne modernizzata di Eiji Yoshikawa (trad. Sylvie Regnault-Gatier, Albin Michel, Paris 1968).

7 I cinesi suddividono i grandi periodi storici in «ere» che prendono il nome dalle varie dinastie imperiali. I giapponesi non possono farlo scm-

XXII XXIII

(12)

plicemente perché la loro casa regnante ha una continuità ininterrotta per tutto il periodo della loro storia. Fissano quindi i nengo (periodi) e si avvalgono, per una comprensione puramente colloquiale, dei fidai (ere), che prendono il nome dai luoghi in cui risiede il potere, o dalla famiglia che lo detiene effettivamente (di solito shogunati). Queste ere non sono fissate con precisione da un’autorità e spesso i vari autori le delimitano diversamente nel tempo; inoltre spesso si sovrappongono, o si suddivi¬

dono, seguendo le necessità di chiarezza di chi ne parla. Così abbiamo in G. Borsa (La Nascita del Mondo Moderno in Asia Orientale, Rizzoli, Mila¬

no 1977): Yamato-no-jidai (300-645), era di Nara (710-784), era di Heian (794-1185), era dei Fujiwara (857-1 160), era di Kamakura (1185-1333), era degli Ashikaga (1338-1573), era Azuchi-Momoyama (1568-1600) era Tokugawa (1600-1867). A cui altri autori aggiungono; Sengoku-no-ji- dai o epoca dei Regni Combattenti (1467-1568), era Muromachi (1392- 1490) e così via, ad libitum dell'autorità dello storico. Giuseppe Tucci (Il Giappone, Bocca, Milano 1943) si prende l’arbitrio di congiungere esat¬

tamente le ere: Periodo Mitologico, era Asuca (552-710), era Nara (710- 794), era Heian (794-1186), era Camacura (1186-1338), era Muromachi o Ascicaga (1338-1568), era Momoiama (1568-1615), era ledo o Tocu- gava (1615-1867), era Meigi dal 1867 (la grafia dei nomi usata dal Tucci è quella in auge durante il fascismo). Da notare, per esempio, che l’era Tokugawa può iniziare nel 1600 (battaglia di Sekigahara), nel 1603 (Ie- yasu shogun), o nel 1615 (presa del castello di Osaka), secondo gli au¬

tori. Dopo la restaurazione del potere imperiale si parla solo di periodi:

nengo di Meiji 1868-1912, di Taisho 1912-1926, di Showa 1926-... (esi¬

stono altri due periodi Showa 834-848 e 1312-1317, da cui l'importanza di specificare gli anni).

8 Sarebbe forse più appropriato chiamare «sciabola» la spada giappone¬

se, ma il termine si è ormai imposto altrimenti.

9 Musashi-no-kami significa «Signore di Musashi»: è una delle quindici provincie del Tokaido (nome cinese: Bushu). Kami è il titolo di governa¬

tore di una provincia; ma dal tempo degli Ashikaga (1338-1573) divenne un titolo onorifico, senza necessariamente attribuire potere reale.

10 Fujiwara-no-genshin significa «Sapiente dei Fujiwara». Chiamato anti¬

camente Nakatomi, questo clan, discendente dai primi seguaci della dea Amaterasu, fu per mille anni il più potente del Giappone.

11 Una delle otto provincie del San-yo-do.

12 Famiglia di daimyo che discende da Akamasu e pertanto dai Murakami- genji.

13 L’isola meridionale tra le quattro principali dell’arcipelago. Le altre sono: Honshu, Shikoku e Hokkaido.

14 Altra provincia del Tokaido (nome cinese Ishu). Fra il XV e il XVII se¬

colo vi risiedeva una confraternita di ninfa, mercenari dediti allo spionag¬

gio e alle imprese losche (un gruppo concorrente risiedeva in Roga).

1 Il Niten-ki è una raccolta di storie popolari scritta una generazione dopo

la morte di Musashi, che è servita a Eiji Yoshikawa per il romanzo Mi- yamoto Musashi, oggi tradotto negli Stati Uniti e da cui è stato tratto un film nel 1955. Niten è il nome scelto da Musashi per la sua scuola e anche il suo pseudonimo nel firmare i disegni a china; significa «Due Cieli». Ki vale per «biografia». In questi racconti si riferisce che Musashi sfotteva pesantemente il padre e che un giorno, mentre questi stava costruendosi un kogai (stiletto per igiene personale collocato nel fodero della wakìzashi, o «spada da accompagnamento») ne provocò la reazione: lanciò la picco¬

la asta metallica contro il figlio. Mancato il bersaglio, Munisai lo lanciò senza successo una seconda volta e poi scacciò il figlio di casa. Anche se la storia è priva di fondamento, rivela che il sentimento popolare attri¬

buiva a Musashi un caratteraccio fin dalla più giovane età.

16 Morto nel 1582 Oda Nobunaga, vittima del tradimento di un vassal¬

lo, il suo posto venne preso dal più capace dei suoi generali, Hideyoshi, soldato di umili origini assurto all’alto grado in virtù delle sue sole doti.

Costretti alla sottomissione gli Shimasu di Satsuma, questi estendeva il suo potere a tutto il Giappone occidentale e tre anni dopo, conquistato il Kwanto, ottenne anche la sottomissione delle regioni orientali e set¬

tentrionali. Per risolvere il problema dell’eccessivo numero di soldati di professione decise di iniziare un’impresa che aveva come obiettivo fina¬

le la conquista della Cina. Nel 1592 sbarcò in Corea con 160 mila uomi¬

ni; ripetè il tentativo nel 1597, ma la morte lo colse l’anno successivo e offrì ai giapponesi l'occasione per ritirarsi quando ormai l’impresa era fallita davanti allo schieramento unito delle truppe cinesi e coreane. Il vuoto politico dovuto alla sua morte venne riempito dal suo vassallo più importante, Ieyasu Tokugawa, che nel 1600 sconfisse la coalizione dei rivali a Sekigahara e quindici anni dopo riuscì a prendere con la forza e con l’inganno il grande castello di Osaka, eliminando anche gli ultimi superstiti della famiglia di Hideyoshi. La sua ossessione divenne la crea¬

zione di un sistema politico stabile e ci riuscì.

17 È scritto nel Niten-ki: «Musashi si distingueva tra gli altri; amici e ne¬

mici lo conoscevano».

18 II Niten-ki fa ricordare a Musashi questo episodio negli ultimi anni del¬

la sua vita: «È veramente difficile decidere l’azione in conseguenza de¬

gli avvenimenti. Una volta ero stato sfidato da Yoshioka Matashichiro (o Hanshichiro) nel bosco di pini di Ichi-joji-mura nella periferia a nord di Kyoto, quando uno dei miei fedeli venne ad avvisarmi che mi era stato teso un agguato con diversi uomini armati. Perché io non andassi a mor¬

te certa, proponeva che mi facessi accompagnare da alcuni allievi. Ri¬

fiutai, perché una rissa di gruppo era severamente proibita dalle autori¬

tà. Ma siccome l'anno precedente avevo applicato la strategia del ritardo contro il padre e lo zio del ragazzo, decisi di sorprenderlo arrivando con largo anticipo. Al canto del gallo mi avviai da solo; uscendo da Kyoto mi imbattei in un tempio ed ebbi la tentazione di fermarmi a pregare per la vittoria, ma poi mi vergognai della tendenza dell'uomo a ricordarsi degli

(13)

dei nel momento del pericolo e tirai diritto. Mi nascosi nel luogo fissato e vidi giungere il gruppo avversario al lume delle lanterne. Mentre si ac¬

cordavano sull’agguato, all’improwiso, gridando “Sono qui”, caricai nel mezzo. Colpii lo Yoshioka che tentava di sfoderare e affrontai i più vici¬

ni armati di lancia, mentre altri scagliavano delle frecce, una delle quali mi attraversò la manica; li disorientai e li misi in fuga. Tornando ripas¬

sai davanti al santuario e d’improvviso compresi l’immobilità della posi¬

zione nel dinamismo della tattica che nasce dalle circostanze».

19 Nel Prologo Musashi dice di oltre sessanta vittorie riferendosi al pe¬

riodo vagabondo tra ventuno e ventinove anni.

20 Nichiren (1220-1282) è un celebre bonzo, fondatore del Nichiren-shu nel 1253. La sua dottrina nasce dal sutra Myoho-renge-kyo (Saddharma Pundarika sutra, in sanscrito) che si vuole contenga le ultime istruzioni del Buddha, riassunte in tre segreti: adorazione (honzon), legge (daymoku) e morale (kaidan); ma sono concetti così profondi che possono essere com¬

presi solo da un buddha (shaka) o dai più perfetti bodhisattva (bosatsu).

Al di là della nobile dottrina predicata, i suoi seguaci hanno la fama di fanatici nazionalisti e al presente hanno fondato un partito politico (Sokkagakkai) particolarmente violento.

21 Hozoin Inei (1521-1607) fu un bonzo di Nara, discendente dalla fa¬

miglia kuge (nobili di Corte) Nakamikado e fondatore della scuola d’ar¬

mi Hozoin-ryu, che usa lo yarì a forma di croce. Questa scuola esiste tutt’ora. I suoi primi discendenti: Inshun (1589-1648), Insei (1624- 1689), Infu (1682-1731), Inken (1746-1808), tutti bonzi del medesimo tempio, continuarono la tradizione di maestri d’armi. Il tempio di Kyo¬

to che Musashi visita doveva essere una filiale del quartier generale del¬

la scuola a Nara.

22 II prestigio dello sfidato è sottolineato dal fatto che, sebbene capo di una succursale, è direttamente allievo del fondatore della scuola e ha an¬

che il diritto (filiazione legale) di portarne il nome. Strano che apparten¬

ga alla setta Nichiren, tradizionalmente nemica dello Zen.

23 Attuale capitale del Giappone con il nome di Tokyo, Edo era origina¬

riamente un villaggio di pescatori, vicino a cui Ota Sukenaga (Dokwan), vassallo degli Ueshugi (famiglia daimyo discendente da Fujiwara Yoshika- do) costruì un castello nel 1456. Questo possesso passò di mano in mano, finché Tokugawa Ieyasu ricevette come feudo il Kwanto (1590) e vi co¬

struì il castello che fu residenza shogunale per 260 anni, durante i quali vi si sviluppò attorno una delle più grandi città del mondo attuale.

24 Muso Gonosuke è il fondatore del primo stile efficace di jojitsu (ba¬

stone di media lunghezza) e della scuola Shindo-muso-ryu. Da giovane aveva studiato Katori e Kashimo-ryu, conquistandosi una buona fama di combattente, essendo invitto fino al duello con Musashi. Bloccato da que¬

sti in juji-dome (le due armi di Musashi incrociate trattenevano quella di Muso) non poteva evidentemente svincolarsi senza esporsi a un sicuro contrattacco. Musashi rifiutò di sfruttare il suo vantaggio e risparmiò la

m

XXVI

vita all’avversario. Muso dedicò i successivi anni della vita a studiare una tattica per battere Musashi; si ritirò nel Kyushu sul monte Homan, sotto¬

ponendosi ad una severa disciplina atletica e cercando l'ispirazione divi¬

na. Così arrivò ad alleggerire la sua arma (da bo, grande bastone, divenne jo, un legno più maneggevole). Creò un kata (esercizio formale) di dodi¬

ci movimenti-base e aggiunse gli atemi (colpi a mani nude sui punti vi¬

tali delFavversario) per il corpo a corpo. Si dice che anni più tardi batté Musashi, risparmiandogli la vita come questi aveva fatto con lui.

25 Una delle otto provincie del San-in-do. In cinese: Unshu.

26 Matsudaira è il nome di varie famiglie di stirpe Tokugawa a cui Ieyasu affidò feudi importanti dopo la sua ascesa allo shogunato.

27 Kogura. Città della provincia di Buzen, con un castello costruito nel 1442 da Reizei Takasuke, vassallo degli Otomo. Nel 1587 Hideyoshi l’affidò a Mori Katsunaga. Dal 1600 al 1632 è stato sotto i daimyo Hosokawa.

28 Discendenti da Minamoto Yoshitsune, gli Hosokawa furono una fami¬

glia molto potente dal XIV al XVI secolo. In particolare Tadaoki (1564- 1645) sposò la figlia di Akechi Mitstuide e quando questi gli chiese di ribellarsi a Nobunaga (che gli aveva dato il Tango in feudo) rifiutò con indignazione e confinò la moglie in esilio a Osaka, dove venne battezza¬

ta, durante la guerra di Kyushu, col nome di Gracia.

29 L’Honshu, o Hondo, è la più grande isola del Giappone.

30 Dal Niten-ki: «Sado era molto abbattuto e rimpiangeva l’azione intra¬

presa per combinare l’incontro. Ma riflettendo pensò che sarebbe stato molto irrazionale fuggire all’ultimo momento, quando la fama di Gan- ryu era ben nota a Musashi da molto tempo e decise di continuare le ri¬

cerche dello spadaccino a Shimonoseki, da cui comunque questi avrebbe dovuto passare allontanandosi da Kogura. Lo rintracciò presso Koba- yashi Tarozaemon e ne ricevette le scuse, giustificate dal fatto che Mu¬

sashi riteneva imbarazzante per Sado doverlo accompagnare con la sua barca al duello contro il campione locale».

31 Un nome tra i più prestigiosi nel gotha dei fabbricanti di spade. Tre artisti si firmano con questo nome: il primo (1222-1297) è valutato tra i primi cinque artisti in assoluto; il secondo può essere annoverato tra i primi quindici; il terzo tra i cento migliori.

32 II Niten-ki riferisce che, quando negli ultimi anni della sua vita Musashi risiedeva al castello di Kumamoto presso il signore Hosokawa, questi, raccogliendo un pettegolezzo di malelingue, gli chiese se fosse vero che Ganryu lo avesse toccato per primo. Musashi portava i capelli lunghi come se volesse nascondere una ferita; prese una lampada e si avvicinò, spiegando che da bambino aveva subito un incidente (forse un’infezio¬

ne) che gli aveva deformato la fronte. Ripetutamente chiese al signore di controllare che non c’era cicatrice, poi si ritirò. Più tardi il signore con¬

fessò che era stato il momento più imbarazzante della sua vita.

33 Osaka era la capitale della provincia di Setsu. Anticamente il luogo si chiamava Namwa-no-tsu. Fu residenza imperiale sotto Nintoku (313-

XXVII

(14)

342), Kotoku (645-654) e Shomu (744-748) e continuò ad essere il por¬

to commerciale di Kyoto. Nel 1532 i bonzi di Hongwan-ji vi costruirono il castello, ma appena dieci anni dopo ne prese possesso Nobunaga. Nel 1583 Hideyoshi scelse questa città per residenza e ampliò grandemen¬

te il castello; qui comincia la prosperità di Osaka. L’assedio del 1615 di¬

strusse una gran parte delle strutture, ma risparmiò le opere fortificate.

Sotto i Tokugawa divenne il maggior centro commerciale del Giappo¬

ne e lo è tuttora.

34 Un rotolo dipinto da Musashi raffigura Hotei, la più popolare delle sette divinità che compongono il gruppo Shichi Fuku-jin. D’origine ta- oista, Hotei è considerato dai buddhisti come un’incarnazione di Miro- ku Bosatsu (Maytreya), il Buddha del futuro. La leggenda parla di Hotei come di un bonzo cinese nato nella provincia di Ming-chu, detto anche Putai, o Putai-no-san (Signore dal Sacco di Tela). Un’altra china mostra Hotei (con il sacco sulla spalla) che guarda due galli combattenti. Vi sono due chine con uccelli su rami e una con un cormorano su una parete roc¬

ciosa. Poi c’è un magnifico Damma (Bodhidarma) fatto con pochi trat¬

ti essenziali secondo lo stile zen. Due paraventi mostrano gruppi di uc¬

celli nella natura. Una famosa calligrafia rappresenta Senki (lo Spirito della Battaglia) con le parole: La Luna nel Freddo Torrente come uno Specchio. Esistono due tsuba forgiate da Musashi: una rappresenta un pesce-gatto e l’altra due anelli incrociati; un kashira (terminale del ma¬

nico della spada); un menuki (amuleto posto sull’impugnatura) con una scimmia dalla lunghissima zampa che cerca di afferrare il riflesso della luna nell’acqua. Infine una scultura in legno del fudo Myoo, l'Inamovibi¬

le o l’Immutabile (indù: Akshobhya, o Achala), dio della saggezza, è uno degli otto patroni dell’astrologia giapponese e della vita umana. Sempre rappresentato tra le fiamme, con una spada in mano (simbolo di saggez¬

za per alcuni, per cacciare gli spiriti secondo altri), è il patrono delle ca¬

scate e lo si trova spesso nelle grotte vicino ad esse. In Europa i france¬

si hanno avuto il privilegio di ammirare il dipinto del cormorano nella mostra: L'Audelà dans l’art japonaìs (Petit Palais, Paris, ottobre 1963, n.

74 del catalogo) e uno dei paraventi: Oche Selvatiche e Rovi, nella mostra L'Art japonais à travers les siècles nel 1958 (n. 48 del catalogo).

35 In Dewa (una delle tredici provincie del Tosando; nome cinese: Ushu) incontrò su un sentiero un ragazzo di tredici o quattordici anni che tra¬

sportava in un secchio dei pesci di poco pregio. Il samurai gliene chie¬

se uno e il ragazzo glieli donò tutti con un bel sorriso. Al tramonto del giorno dopo Musashi ritrovò il ragazzo che viveva solo e miseramente in una capanna. Sebbene si fossero riconosciuti, l’uomo ebbe difficol¬

tà a farsi ospitare. Cenarono con il thè e Musashi si rese conto che il ra¬

gazzo era denutrito. Nella notte i sensi acuti del guerriero lo avvertiro¬

no che qualcuno stava affilando una lama: sorprese il ragazzo che, non avendo le forze per trasportare alla sepoltura il cadavere del padre, mor¬

to di stenti il giorno prima, voleva tagliarlo a pezzi per riuscirci più facil¬

mente. Naturalmente eseguirono insieme la sepoltura. Sotto un sorriso accattivante e simpatico il ragazzo nascondeva sangue freddo e deter¬

minazione e Musashi si sentì molto affine a lui. Insieme bruciarono la capanna e divisero per alcuni anni bene e male di una vita errabonda, durante la quale l'uomo istruì il ragazzo sulla Via deìl’heiho, finché non lo sistemò come giovane guerriero in un castello. Dopo aver preso parte a una campagna militare, purtroppo Yori morì al suo primo duello (ri¬

assunto dal Niten-ki).

36 Penisola meridionale di Hizen. Fu sotto i daimyo Arima fino al 1612, passando poi a Matsukara Shigemasa. Questi morì nel 1630 e suo figlio ebbe la mano pesante coi contadini. Nel 1637, 30 mila uomini di due clan, al comando di alcuni samurai veterani di Konishi Yukinaga, occu¬

parono le rovine del castello abbandonato di Hara (o Arima) e si prepa¬

rarono all'assedio delle truppe governative. Il generale Itakura Shigemasa fallì il primo attacco con 30 mila uomini, ma dopo due mesi di assedio riuscì nell’impresa Matsudaira (Okochi) Nobutsuna con un esercito di 100 mila uomini, che passò a fil di spada e crocefisse i 37 mila occupanti (con le donne e i bambini) stremati dalla fame e dalle malattie. Gli stori¬

ci giapponesi presentano come causa della rivolta le persecuzioni ai cri¬

stiani, ma i commentatori occidentali tendono a vedervi una reazione al malgoverno e alla crudeltà del daimyo.

37 A ovest di Kumamoto, verso la baia di Ariake si trova il monte Kimpo, alto 666 metri. Dalla sua cima si scorge a est il vulcano Aso e a ovest, oltre la baia, il monte Uze, oggi stazione di vacanza. I pendìi del mon¬

te sono coperti di mandarini e a metà costa sorge Ugan-ji (il tempio di Ugan). Dietro questo si trova la grotta Reigendo, in cui si venerano delle immagini di Kannon (o Kwannon). Tutt’attomo c’è una folta vegetazio¬

ne e la montagna ha un aspetto rude.

(15)

Il libro dei cinque anelli

(16)
(17)

Per la prima volta voglio rendere testimonianza scritta della mia esperienza nella Via1 durante molti anni e di quel sentiero deìì’heiho2 a cui ho dato il nome di Niteri Ichi-ryu ? Siamo nella prima decade del decimo mese del ventesimo anno di Kanei.4 Sono salito sul monte Iwato, nella provincia di Higo nel Kyushu, per rendere omaggio al Cielo, pregare Kwannon e sedermi in Buddha.5 Sono Shinmen Musashi-no-kami Fujiwara-no-genshin, nato come bushi (guerriero) nella provincia di Arima, giunto all'età di sessantanni.6

Fin da giovane mi sono dedicato al sentiero deìì’heiho, combattendo per la prima volta all’età di tredici anni e vincendo contro uno spadaccino di nome Arima Kihei di Shìnto-ryu? A sedici anni vinsi un formidabile com¬

battente, tale Akiyama della provincia di Tajima. A ven- tun anni sono venuto nella capitale per conoscere mae¬

stri darmi di ogni parte del paese; li ho affrontati in un gran numero di duelli, in nessuno dei quali mi è sfuggi¬

to il successo. Poi ho vagato di provincia in provincia, accettando la sfida degli esperti di varie scuole, senza mancare di vincere in più di sessanta incontri. Questo avvenne tra l’età di tredici e ventinove anni.

Allo scadere dei trentanni ho riflettuto sulla mia vita

5

(18)

r

passata e ne ho concluso che le mie vittorie non erano dovute alla piena padronanza dei segreti dell’Arte: for¬

se avevo per essa una predisposizione naturale, o quel¬

la era la volontà del Cielo, o semplicemente era dovuto al basso livello delle altre scuole di scherma. Allora ho cercato di raggiungere una conoscenza più profonda e, dedicandomici giorno e notte, ho realizzato in me stes¬

so l’essenza delYheiho all’età di cinquantanni.

Dopodiché ho passato il mio tempo senza più una Via da ricercare. Ho applicato l'illuminazione raggiunta sui princìpi delYheiho a varie arti e mestieri

,8

senza senti¬

re la necessità di avere in tali campi alcun insegnante o maestro.

Ugualmente, per scrivere questo libro non mi ispiro alla Legge del Buddha o agli insegnamenti di Confucio, né riprendo gli antichi libri di cavalleria e di tattica mi¬

litare. Nella luce del sentiero del Cielo e di Kwannon, la notte del decimo giorno, del decimo mese, all’ora del¬

la Tigre

,9

semplicemente prendo il pennello e incomin¬

cio a scrivere.

Shinmen Musashi

Note

1 «Via» è il termine con cui traduciamo l’ideogramma che si legge in ci¬

nese tao e in giapponese michi o do (forma derivata dal cinese). Esprime il concetto dell’uomo che, attraverso la pratica, ascende all’illummazio- ne, da intendersi come un’espansione della coscienza. Con sfumature di¬

verse è valido nel taoismo, nello shintoismo e nel buddhismo, sia Maha- yana, o Grande Carro, quanto Hinayana, o Piccolo Carro. La forma do è usata come suffisso per arti, mestieri o discipline estetiche che pongono come fine la realizzazione dell’adepto.

2 È il Bugei, l’insieme delle pratiche del guerriero, inteso come Via per realizzare se stessi. È quel che correntemente, ma in modo non esausti¬

vo, viene tradotto come «arte marziale».

3 Niten Ichì-ryu letteralmente significa «Due cieli, una scuola».

4 Nen-go è il periodo storico comprendente un numero variabile di anni, determinato da avvenimenti calamitosi o fortunati (carestie, morti, ri¬

volte, guerre, terremoti, nascite). Come sistema di datazione fu istituito dall’Imperatore Ko-toku nel 645, che lo importò dalla Cina (Nien-hao).

Go-daigo vide cambiare il nen-go otto volte durante il suo movimenta¬

to regno (1319-1338), mentre il nen-go Meiji durò quarantaquattro anni (1868-1912). Musashi si ritira in eremitaggio nel ventesimo e ultimo anno di Kanei (1624-1644) e termina il manoscritto nel secondo anno di Shoho (1644-1947).

5 II Cielo, Kwannon e Buddha: rendere omaggio al Cielo è un delica¬

to riferimento allo shinto; Kwannon è una divinità indù (Avakìloteswa- ra) introdotta dall’Amidismo (Hinayana) come incarnazione della cari¬

tà e della misericordia divina; sedere in Buddha è la pratica meditativa (za-zen nello Zen).

6 I giapponesi calcolano l’età del bambino attribuendogli già un anno al momento della nascita.

7 Le più antiche scuole di scherma registrate risalgono al XIV e XV se-

(19)

-

colo: Nen-ryu di Yoshimoto Sanashiro; Shinto-ryu di Iishino Yamashi- ro-no-kami Ienao, meglio conosciuto come Iishino Choisaì; Aiso-kuge- ryu di Aiso Kuge (1452-1538), maestro d’armi del clan Yagyu; Itto-ryw, le scuole di Chugo Nagahide, Fukida Bunguro, In-ei e infine la scuola esoterica Koto-eiri.

8 Come specificato nell'Introduzione, Musashi ha lasciato pregevoli ope¬

re artistiche, tutte realizzate dopo i cinquantanni.

9 II giorno giapponese era diviso in dodici intervalli (toki), ciascuno equi¬

valente a due ore nostre. La notte comprendeva ne-no-toki, l’ora del Topo, dalle ventitré alluna; ushi-no-toki, l’ora del Bue, dall’una alle tre; tora-no- toki, l’ora della Tigre, dalle tre alle cinque.

CHI-NO-MAKI

Libro della Terra1

(20)

Innanzitutto

Yheiho

è la Via della casta guerriera. Il co¬

mandante è colui che deve specificatamente metterla in pratica, ma anche il semplice soldato deve comprender¬

la. Tuttavia al giorno d’oggi non c’è guerriero che abbia con certezza raggiunto la comprensione del cammino che conduce a

Wheiho.

Parlando della Via, troviamo quella indicata dal Buddha per la salvezza di tutte le genti; quella di Confucio che governa la vera conoscenza; quella dei medici per cu¬

rare le varie malattie; quella del

waka

2 dei poeti; quella degli uomini raffinati attraverso la cerimonia del thè,3 l’

ikebana

,4 la musica e così via; quella degli arceri5 e al¬

tre arti e abilità. Ciascuno pratica di sua scelta secondo la personale intuizione, ma pochi sono quelli portati a dedicarsi alla Via

deìYheiho.

È prerogativa del guerriero dedicarsi alla «Via del pennello e della spada».6 Anche se non vi è naturalmen¬

te portato, ci si attende dal guerriero che vi si applichi al meglio.

Si usa dire che la Via del guerriero consista nella «ri¬

soluta accettazione della morte».7 Ma il problema del¬

la morte non è di competenza solo dei guerrieri: i sa¬

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cerdoti, le donne e i contadini devono saper decidere il quando e il come della loro morte, in considerazio¬

ne dell’onore e del dovere. Piuttosto, per un guerriero che segue la Via deìi’heiho è necessario fissare la mente nell’essenza dell’heiho) e così costruire uno spirito in¬

domabile e una volontà di ferro, giungendo al punto di dimostrare queste doti in ogni sua azione. Con la vitto¬

ria conseguita nel singolo duello, o nella battaglia che coinvolge le armate, il guerriero porta onore e gloria al suo daimyo8 e a se stesso. Questo è adempiere al pro¬

prio dovere neìYheiho.

Alcuni ritengono che si possa padroneggiare Yheiho senza che le circostanze della vita ti portino a usarlo.

Ma il vero sentiero àeW’heiho è tale da potersi applicare in ogni momento e in ogni situazione.

Heiho no michi to iu koto Conoscere la Via dell ’heiho

Coloro che praticano la Via dell’heiho sono conosciuti in Cina e in Giappone come maestri di combattimento e di arti militari. Per essere guerrieri essi devono dedicarsi a queste cose. Ma in questi tempi ci sono degli uomini che vivono solamente perfezionandosi come spadaccini, essi inseguono semplicemente una tecnica di scherma.

Ancor più recentemente i monaci dei templi di Kashi- ma e Katori9 della provincia di Hitachi, hanno fondato particolari scuole di scherma secondo gli insegnamenti degli dei e girano il paese insegnando alla gente. Questi sono avvenimenti recenti.

In altri tempi la scherma era inclusa tra le Dieci Abilità e le Sette Arti10 come una «pratica utile». In verità essa è un'arte, ma la sua utilità non si limita solamente alla pura tecnica. È difficile padroneggiare l’arte del combattimen-

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to se ci si limita a imparare a maneggiare le armi. È su¬

perfluo dire che un esperto di spada non può trascurare i princìpi dell’heiho se vuol essere un guerriero.

Guardandoci attorno nel mondo vediamo varie arti proposte, messe in vendita come merci. Uomini che si offrono come articoli di commercio. Tra gli esperti c’è la tendenza a inventare vari trucchi e a vendere questi piuttosto che la propria reale esperienza. Questa manie¬

ra di pensare è come separare il seme dal fiore e valu¬

tare meno il seme del fiore. Li induce a vantare i propri trucchi e a mostrarli in segreto; esaltando le scuole che praticano una tecnica ben definita, cercano di trarre un guadagno proponendo e insegnando l’argomento alla moda. Per usare un proverbio: «una conoscenza parzia¬

le è causa di sciagura». Questa è verità.

Quattro sono le caste11 principali a cui gli uomini ap¬

partengono per la vita: guerrieri, contadini, artigiani e mercanti. Ciascuna di esse ha la propria Via.

La Via del contadino, o del fattore: egli usa vari attrez¬

zi e passa la vita osservando i capricci delle stagioni. Tale è la Via del contadino.

Quella del mercante: il produttore di sake si procura i vari ingredienti, li elabora e si guadagna da vivere ri¬

vendendoli con ragionevole profitto.

Entrambe queste categorie hanno un compito adegua¬

to alla loro posizione sociale e dedicano la vita all'idea di guadagnare. Così funziona il commercio.

La Via del guerriero:12 egli compie il suo dovere cu¬

rando le proprie armi, conoscendone ogni particolare e addestrandosi al loro uso. Questa è la Via del guerriero.

Non sarebbe indice di una professionalità superficiale che il guerriero non fosse abile nell’uso delle armi, o non ne sfruttasse pienamente le possibilità?

Infine, la Via dell’artigiano: per guadagnarsi la vita, un artigiano deve curare con attenzione la manutenzione di

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vari attrezzi e impiegarli, quando è necessario, con la mas¬

sima abilità. Deve progettare con misure accurate e realiz¬

zare con precisione. Così egli si guadagna da vivere.

Queste dunque sono le quattro Vie: quella del guerrie¬

ro, del contadino, dell’artigiano e del mercante.

Spiegherò in cosa consista la realtà quotidiana del guerriero paragonandola a quella dell’artigiano. Pren¬

derò le mosse per la similitudine dall’uso comune della parola "casa”. Parlando diciamo «casa di nobili», «casa di guerrieri», oppure «le Quattro Case»;13 case che rovi¬

nano, case che fioriscono; e spesso noi diciamo «casa»

per indicare scuole, stili, professioni. Così mi ispirerò ai metodi del carpentiere per spiegare quelli del guerrie¬

ro. Questo paragone è ancora più valido perché la paro¬

la "carpentiere” si scrive con ideogrammi cinesi che si¬

gnificano «grande progetto» e i princìpi dell’arte della guerra sono anch’essi un «grande progetto». Se tu pen¬

si di studiare questi princìpi, leggi questo libro e medi¬

talo profondamente.

Il maestro è l’ago e l’allievo è il filo. Tu devi pratica¬

re senza tregua.

Heiho no michi daiku ni tatoetaru koto Paragonando ì’heiho alla Via del carpentiere

Se paragoniamo Yheiho alla carpenteria, il comandante è il maestro-carpentiere che deve conoscere tutto riguar¬

do agli attrezzi che impiegherà, alla natura del terreno, ai gusti particolari del padrone per cui sta costruendo la casa. Tale è il compito del maestro-carpentiere. Egli studia le proporzioni dei templi, i progetti dei palazzi e costruisce le case del popolo. E questo vale per il mae¬

stro-carpentiere come per il comandante di un gruppo di guerrieri.

Nell’edificare una casa vengono fatte delle scelte per il legname da costruzione. Tronchi diritti, nodosi e di bell'aspetto vengono usati per i pilastri esterni; tronchi diritti, forti, ma con pochi nodi vengono usati come so¬

stegno nei punti nascosti; legname che sia pure un po’

delicato, ma poco nodoso e di bell'aspetto viene impie¬

gato per gli infissi, gli architravi, le porte d'ingresso e gli shojv,1A purché siano forti, tronchi nodosi e anche un poco storti possono essere usati con discrezione nelle fonda- menta: dopo un attento studio ogni legno trova il suo po¬

sto e così la costruzione risulta solida e di lunga durata.

Perfino il legname molto nodoso, storto, o debole, viene impiegato nel ponteggio e alla fine per il fuoco.

Nell’impiegare i suoi uomini il maestro-carpentiere deve tener conto del grado di abilità di ciascuno e affi¬

dare gli incarichi di conseguenza: questi alla costruzione dei tokonoma,15 quelli ai vani delle porte e agli shoji, altri alle entrate, agli architravi e ai soffitti. Quelli di scarsa abilità a tagliare travi e quelli ancora peggiori a tagliare zeppe. Insomma, si fa il miglior uso del personale di cui si dispone per svolgere il miglior lavoro possibile.

Per lavorare velocemente e bene, nulla è lasciato al caso: occorre conoscere dove e come utilizzare cosa e quando; se una certa cosa è utile o no; dare incoraggia¬

mento e intuire i limiti di ciascuno. Così deve pensare un maestro-carpentiere.

L'heiho funziona allo stesso modo.

Heiho no michi La Via dell'heiho

Il semplice carpentiere è come un soldato semplice. Per esempio, egli si costruisce gli strumenti, ne cura la ma¬

nutenzione e il trasporto; taglia con l’ascia colonne e tra-

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