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TAGETE 2-2010 Year XVI

376

THE PERSONAL DAMAGE IN THE FIRST YEAR FROM THE

PRONUNCIATION OF THE COURT OF CASSATION (11/11/2008)

DANNO ALLA PERSONA DOPO UN ANNO DALLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE

*

Rodolfo Berti**

* Pubblicato su Danno e Responsabilità, n. 2-2010

** Avvocato, Foro di Ancona ABSTRACT

The author answers to several questions about the standardized prejudices and the presumptive and attenuated evidence. Moreover the author considers if the art. 5 from the DPR 37/09 that acknowledges the moral damage is consistent with the pronunciation of the Court of Cassation (November 2008) that suppresses the moral damage as a damage itself and includes it in the non patrimonial damage concurrent with the biological damage.

---

L’articolo riassume le risposte alle domande poste dal Dott. Damiano Spera, coordinatore dell’Osservatorio di Milano e moderatore al convegno tenutosi a Novembre del 2009 nell’Aula Magna della Cassazione sul “Danno alla persona dopo un anno dalle sentenze delle Sezioni Unite”, riguardanti gli oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale, i pregiudizi standardizzati, la prova presuntiva e attenuata, la legittimità o meno della liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, la conciliabilità dell’art. 5 del DPR n. 37/09, che riconosce la liquidazione del danno morale, con il principio enunciato dalle sentenze di S. Martino che invece lo escludono come danno autonomo e concorrente con il danno biologico.

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377 Quali sono gli oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale alla persona? Ci sono pregiudizi “

standardizzabili

” e cioè normalmente ricorrenti con oneri di allegazione e prova “

attenuata

”, potendo il Giudice avvalersi soprattutto della prova presuntiva?

Per poter rispondere alla prima domanda sugli oneri di allegazione e prova del danno, credo sia necessario prima discutere dei c.d.

pregiudizi standardizzabili

per vedere se e come necessitino di allegazione e prova e che tipo di prova, rispondendo così implicitamente al primo quesito.

Ho letto con grande interesse ed attenzione quello che ha scritto il Dott. Spera sullo “speciale” di Danno e Responsabilità e ho rilevato due aspetti a mio giudizio estremamente importanti.

Mi rivolgo al Dott. Spera che rappresenta con grande autorità l’Osservatorio di Milano e quindi è sostanzialmente oggi il

rappresentante legale

del responsabile della c.d. “

Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica

”, definizione che giustamente sostituisce quella precedente che riguardava solo la liquidazione del danno biologico, mentre ora si aggiunge anche quella del danno morale da sofferenza.

All’Osservatorio di Milano, e quindi al Dott. Spera, credo vada rivolta la domanda relativa alla esistenza di pregiudizi “

standardizzabili”

perché, e questo è il primo aspetto rilevante che ho notato dalla comparazione del suo articolo con i

criteri orientativi

” della Tabella, mi sembra che più che di “

pregiudizi

standardizzabili

” si debba parlare di “

risarcimenti standardizzati

”.

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378 La differenza credo sia sostanziale in quanto nel primo caso ci troveremo di fronte a pregiudizi che al cospetto della lesione vengono

ipso facto

riconosciuti, cioè come sempre esistenti nel caso di lesione della salute, mentre nel secondo caso è il risarcimento ad essere liquidato in una misura prefissata, e quindi

standardizzata

omnicomprensivamente, cioè ad un danno

in re ipsa

.

Standardizzare

significa “

ridurre, conformare ad un modello, unificare, uniformare

” e quindi “

privare dei caratteri specifici, SPERSONALIZZARE

” (Diz.

Garzanti della Lingua Italiana).

Se quindi la standardizzazione riguarda il pregiudizio che si deve ritenere sempre esistente nel caso di quella specifica lesione, di fatto si

priva dei caratteri specifici e si spersonalizza

quel tipo di pregiudizio che invece, essendo ulteriore conseguenza della lesione in corpore, dovrebbe essere valutato caso per caso per poter personalizzare il risarcimento.

Ma lo stesso criterio vale nella seconda ipotesi, e forse in modo anche più rilevante, dal momento che se è il risarcimento ad essere

standardizzato

, si avrà un risarcimento

spersonalizzato

e dunque uguale per tutti: in entrambi i casi quindi la

standardizzazione

è contraria alla

personalizzazione

del danno, quale pregiudizio conseguente alla lesione, e del risarcimento che “

deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre

”.

Dalla lettura delle “

istruzioni per l’uso

” delle Tabelle milanesi appare che la

standardizzazione

si dovrebbe riferire a quei pregiudizi indotti dalla lesione “

in

quanto frequentemente ricorrenti sia quanto agli aspetti anatomofunzionali sia

quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva

” e

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379 tale omnicomprensiva valutazione di questi pregiudizi standard, come sempre conseguenti a quel tipo di lesione percentualizzata secondo i barème medico- legali, porti ad una monetizzazione del danno già comprensiva di tutti quei pregiudizi e dunque altrettanto standardizzata ovverosia

priva di caratteri specifici e spersonalizzata

: tutto il contrario quindi e in completa disapplicazione del principio della

personalizzazione

che invece, a chiare lettere, l’Osservatorio di Milano dichiara di aver voluto perseguire nel momento stesso in cui ha compreso nel valore del punto biologico anche quella percentuale di aumento del valore base che appunto riguarda la sofferenza fisica per il dolore dovuto alle lesioni, sia nella fase acuta che nel futuro, sia la sofferenza psicologica intima per non aver potuto fare quello che si sarebbe potuto fare nel periodo di temporanea e per non poter fare più permanentemente quello che si faceva prima.

Io voglio prescindere dalla correttezza giuridica di simile impostazione e se in tal modo l’Osservatorio di Milano abbia inteso aggirare il principio enunciato dalle sentenze delle Sezioni Unite del Novembre 2008 circa la criticata abitudine, peraltro molto comoda, di liquidare il danno morale in una frazione del danno biologico, perché quello che più a mio giudizio rileva è la contraddizione in termini tra l’enunciata finalità di aderire ai criteri della omnicomprensività e personalizzazione del congruo danno, e la pratica applicazione.

Se infatti nel caso di microlesione, per esempio da c.d.

colpo di frusta

normalmente variabile tra l’1 e il 2%, si dovessero ritenere compresi quei pregiudizi

standard

e quindi liquidare il danno non patrimoniale, comprensivo a questo punto oltre che del danno biologico anche del danno da sofferenza

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380 morale, verrebbe liquidato, in modo automaticamente standardizzato, un 25% in più rispetto al valore del punto biologico base senza che il danneggiato abbia fornito alcuna prova dei pregiudizi ulteriori dovuti al dolore, alla sofferenza e alle privazioni che, nella maggior parte dei casi, se non in casi eccezionali, sono totalmente inesistenti.

D’altra parte già nel barème medico-legale di valutazione del postumo afferente a quella specifica lesione in corpore, è compreso l’handicap dinamico che la lesione permanente comporta e quindi anche le rinunce che quella specifica diminutio comporta così come è compreso anche il dolore fisico.

Ovviamente si tratta di microlesioni che, secondo le nozioni di comune esperienza, difficilmente e solo eccezionalmente, producono perdite esistenziali.

Non a caso il legislatore dell’art. 139 Dlgs 209/05 ha limitato la percentuale di aumento per la personalizzazione dei danni da microinvalidità al 20%, aumento concedibile solo dopo attenta valutazione delle “

condizioni soggettive

” del danneggiato e quindi non automaticamente, sicchè la tabella milanese risulterebbe

contra legem

liquidando le stesse micropercentuali in misura superiore nei valori base di circa il 65%, senza contare quell’ulteriore aumento del 50% previsto per la “

personalizzazione

”.

Se c’è una tabella di legge, che quindi ha valenza impositiva, ancorché sia prevista per i danni causati da veicoli, perché non applicarla anche nelle ipotesi diverse come ritenuto dalle Sezioni Unite del Novembre 2008?

Cosa avverrà quando finalmente, speriamo, verranno emanate le Tabelle per i macrodanni ex art. 138 del Dlgs 209/05?

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381 E’ anche vero però che ci sono casi in cui uno specifico tipo di microlesione produce prolungate sofferenze, per esempio una riscontrata lesione, e non semplice trauma, al rachide cervicale può causare sofferenza ad assumere certe posture, ad effettuare certi movimenti, ma se si tratta di piccole sofferenze, fisiologicamente presumibili per quel tipo di lesione, con il risarcimento del danno biologico anche tali patimenti risultano risarciti in quanto si tratta sostanzialmente di “

disagi, fastidi, disappunti e ansie

” non meritevoli della tutela risarcitoria perché relativi ad un non tutelabile “

diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità

”, come hanno affermato le Sezioni Unite nelle sentenze del Novembre 2008.

Se qualsiasi anche piccola sofferenza o dolore, conseguente alla lesione, dovesse essere autonomamente risarcita con un incremento della liquidazione del danno biologico, a prescindere dalla correttezza di tale impostazione, il danneggiato verrebbe reintegrato due volte per le stesse conseguenze di pregiudizio patite.

Non è infatti la lesione al rachide cervicale che causa il risarcimento, costituendo essa la riduzione dell’integrità psicofisica, cioè l’evento di danno, bensì il danno biologico conseguente a quella lesione, cioè i pregiudizi che derivano da quella lesione che consistono anche nel provare quella sofferenza in certe posture e quella limitazione in certi movimenti.

È anche vero però che nel suo articolo il Dott. Spera, e qui entriamo nel secondo aspetto da me notato come novità degna di rilievo, ammette, contrariamente a quanto invece chiaramente affermato dai “

criteri orientativi

” delle Tabelle, che il Giudice dovrà esaminare gli elementi a sua disposizione e potrà anche, laddove

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382 non ricorrano i presupposti per personalizzare in aumento il danno, ridurlo: sì ma di quanto e in che modo? Dovrebbe a questo punto il Giudice andare a liquidare il punto base senza liquidare il danno da sofferenza morale?

Per come sono costruite le Tabelle, appare di difficile calcolo una riduzione essendo il valore del danno non patrimoniale già espresso in modo omnicomprensivo in relazione all’età ed alla percentuale di patologia sicchè, vista la comodità offerta dalle Tabelle e la tendenza dei giudici, specialmente di prossimità, ad adagiarsi sulla semplicità dell’automatismo, il danno verrà liquidato secondo il calcolo prefissato e standardizzato già comprensivo dell’incremento percentuale per il danno morale limitandosi, speriamo, a non riconoscere l’ulteriore incremento del 50% per la

personalizzazione

.

Ma la spersonalizzazione di siffatto criterio appare ancor più evidente laddove si consideri che per le microinvalidità, la percentuale d’

ufficio

liquidata è sempre pari al 25% fino a salire, per i postumi dal 10% in poi, al 50% mentre gli aumenti personalizzati, da liquidare nel caso venga ritenuta, anche presuntivamente, necessaria una ulteriore personalizzazione per la presenza di ulteriori pregiudizi esistenziali, è decrescente dal 50%, per un punto di invalidità, al 25% per 100 punti di invalidità.

Anche in questo caso, a mio giudizio, il risarcimento è spersonalizzato non solo perché il Giudice, se dovesse applicare quelle tabelle, dovrebbe esprimere la propria valutazione equitativa nell’ambito di una forbice che appare privilegiare le microinvalidità rispetto alle macroinvalidità, ma anche perché è nella macrolesione che si può presuntivamente ritenere sussistente la sofferenza fisica o

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383 psichica la cui “

intensità e durata”

, come dicono le Sezioni Unite, vale solo ai fini della quantificazione del risarcimento, mentre nelle microlesioni tale sofferenza

normalmente

non c’è e, se viene allegata, è molto spesso simulata sicchè è in questi casi che la prova non può essere

attenuata

o addirittura superata non tanto dal ricorso alla presunzione semplice, quanto da una arbitraria liquidazione d’ufficio di un danno non patito.

Privilegiare le microinvalidità rispetto alle macroinvalidità è contrario ad ogni principio non solo giuridico ma anche di economia sociale.

E’ ben noto infatti che le compagnie di assicurazione impegnano finanze, sinergie e strategie gestionali per l’80% per la trattazione e liquidazione dei microdanni destinando solo il 20%, cioè il residuo delle risorse dovute al prelievo dei premi, ai macrodanni con grande pregiudizio appunto per chi effettivamente subisce ed ha subito gravissimi danni: l’Osservatorio di Milano invece personalizza il danno del macroleso in misura inferiore rispetto a quello di un microleso che invece dovrebbe dare una prova rigorosa che quel colpo di frusta, che normalmente causa solo lì per lì un acuto dolore, ha invece causato una modifica della sua

agenda quotidiana

” tale da costituire un ulteriore pregiudizio risacibile.

Non c’era quindi bisogno di formalizzare una liquidazione risarcitoria standardizzata comprendendo dentro a questa anche quell’aspetto di sofferenza morale che invece, in certi casi, deve essere rigorosamente provata mentre in altri deve essere maggiormente liquidata con correttivi ancora più elevati rispetto a quelli prefissati, come nel caso della bambina che ha perso la falange di un dito e

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384 che per tutto il resto della sua vita, nonostante la microinvalidità, soffrirà di pregiudizi relazionali ed esistenziali per la sua menomazione.

Ho risposto quindi anche alla prima domanda e cioè che non è sufficiente

allegare

l’esistenza di un danno o di pregiudizi nei casi in cui, secondo

l’id quod plerumque accidit

, tali pregiudizi non sussistono, ma è necessario provare la loro esistenza.

Allegare

significa

produrre

,

portare a sostegno

e non semplicemente

affermare

, come invece pare sia sufficiente per la maggior parte dei giudici.

Dunque il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. è consentito laddove la parte fornisca, senza contestazione o prova contraria dell’avversario, elementi indiziari “

gravi, precisi e concordanti

”.

La presunzione non è una

prova attenuata

, figura peraltro ignota al nostro ordinamento, ma una prova della stessa valenza di tutte le altre prove, sia costituite che costituende, purchè esista il fatto noto, che non è la lesione psicofisica, che non sempre causa perdite di interessi, ma le conseguenze che la lesione ha causato nell’ambito dinamico-relazionale, la cui certezza può essere fornita attraverso quegli elementi indiziari che facciano risalire il Giudice all’elemento incerto dell’entità del danno.

Se il fatto noto fosse la lesione, avremmo un ritorno al “

danno-evento

” ma poichè a far data dal 1994, quando la Corte Costituzionale con la sentenza 372 ha corretto il suo stesso enunciato del 1986, il danno biologico è conseguenza della lesione dell’integrità psicofisica, la percentuale di postumo permanente o la durata della temporanea, non costituiscono di per sé fatti certi ai fini della

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385 presumibilità del danno, perché si dovrà dare la prova, anche indiziaria, di quello che si faceva prima e di quanta importanza le attività precluse avevano.

Il comodo sistema della liquidazione tabellare, sia che consenta a parte l’automatica liquidazione in percentuale del danno morale, sia che esprima il danno non patrimoniale omnicomprensivamente, non può più essere seguita, perché si tratterebbe in ogni caso di una liquidazione di un danno

in re ipsa.

E’ da condividere il richiamo di Spera e di Comandè (“

Avvocato protagonista nella stima della lesione”

in Guida al Diritto – Dossier n. 9, 11/09 pag. 16) agli avvocati di

rimboccarsi le maniche

per sensibilizzare il Giudice su tutti gli aspetti di vita pregiudicati e modificati dalla lesione fornendo elementi concreti di valutazione e non semplici ed apodittiche affermazioni o prove testimoniali

fiume

magari finalizzate a provare l’ovvio, cioè il paralitico non può più ballare o l’evirato avere rapporti sessuali.

Sarà il medico-legale a dover stabilire se quel tipo di lesione pregiudica le attività che il danneggiato ha dimostrato di aver praticato prima dell’infortunio, spettando alla controparte dare la prova contraria di attività alternative, sostitutive o del recupero relazionale, insomma della inesistenza dei pregiudizi lamentati.

Dunque non si tratta di “

prova attenuata

” ma di prova dello stesso “

rango”

di quelle documentali e testimoniali perché quella presuntiva, se fondata su quegli

elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”

(Cass. SS.UU.

26972/08 § 4.10)

,

è altrettanto rigorosa di una prova concreta.

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386 Si tratta dunque anche di una rivoluzione nell’ambito dell’impostazione e gestione della causa da parte degli avvocati, del Giudice e, principalmente, delle Compagnie di Assicurazione.

Tutti i pregiudizi esistenziali conseguenti alla lesione del bene salute possono essere liquidati con un unico importo ovvero è opportuna una liquidazione separata?

La risposta in questo caso è veramente

in re ipsa

, o meglio nel

decisum

delle Sezioni Unite del Novembre 2008.

Se è vero come è vero che nell’ambito dell’unico danno non patrimoniale si comprendono tutti i pregiudizi di fonte legislativa, costituzionale o conseguenti a reato, essendo consentito soltanto a scopo descrittivo parlare di danno biologico perché così definito dal legislatore del Dlgs 209/05, ne consegue inevitabilmente che il risarcimento deve essere unitario.

Ciò non toglie però che il giudice, laddove la lesione in corpore abbia causato ulteriori pregiudizi che incidono gravemente e rilevantemente nell’ambito dinamico-relazionale del danneggiato, possa anche, ai fini della

aestimatio

, valutarli separatamente quando però non siano già danni-conseguenza compresi nella valutazione liquidativa del danno biologico.

Ma la valutazione estimativa però non potrà portare ad una liquidazione separata ma ad una unica somma risarcitoria anche se, per comodità espositiva e per

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387 completezza motivazionale, il giudice dovrà dar conto del perché abbia ritenuto di liquidare quella somma omnicomprensiva.

E’ certamente un sistema più complesso rispetto a quello semplificato precedente o a quello suggerito dall’Osservatorio di Milano, ma è il continuo richiamo alla struttura dell’illecito civile, operato dalle Sezioni Unite, a farci comprendere che il danno, per essere ingiusto e dunque risarcibile, deve essere conseguenza di un evento che sia a sua volta conseguenza di una condotta illecita, il che equivale ad affermare che non basta la mera affermazione di aver subito un danno, ma occorre la prova, anche presuntiva, purchè grave univoca e concordante, della sua esistenza.

Come si conciliano i principi esposti dalle Sezioni Unite con l’art. 5 del DPR n.

37/2009: “

la determinazione della percentuale del danno morale… viene effettuata in una misura fino ad un massimo di 2/3 del valore percentuale del danno biologico

” ?

Con altrettanto interesse ho letto anche l’articolo di Marco Bona sullo stesso

“speciale” di Danno e Responsabilità che tratta proprio del DPR 37/09 al fine di dimostrarne la bizzarria per quello che riguarda il criterio valutativo del danno biologico e del danno morale pur ritenendo che il legislatore, non si sa bene attraverso quali criteri e perché, abbia in qualche modo affrancato il danno morale rispetto al danno biologico, andando quindi di parere esattamente contrario al

decisum

delle Sezioni Unite dell’11/11/2008.

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388 Debbo dire che concordo pienamente con Bona per quello che riguarda la valutazione complessiva sotto l’aspetto logico-giuridico di quel provvedimento speciale, valutazione che è senz’altro negativa anche se bisognerebbe tener conto che, trattandosi di un provvedimento speciale con una destinazione estremamente limitata a quei casi che riguardano personale militare e non, contaminato dall’uranio impoverito durante missioni all’estero, la sua applicazione è altrettanto speciale e limitata, sicchè trattandosi di una “

elargizione

”, i criteri per liquidarla possono essere ben diversi rispetto a quelli civilistici.

Sono ben diversi infatti i criteri liquidativi delle indennità di cui al D.lgs 38/00 tanto che il lavoratore danneggiato avrà diritto al danno cd differenziale civilistico previa deduzione dell’indennizzo ricevuto dall’INAIL.

Se questo è vero, allora, per rispondere al quesito che mi è stato posto, sarà sufficiente dire che i principi esposti dalle Sezioni Unite non si possono conciliare con l’art. 5 del DPR 37/09 essendo ontologicamente diverso l’ambito di applicazione.

I giudici di legittimità riuniti infatti, hanno semplicemente riorganizzato, o meglio definitivamente chiarito, quali sono i criteri ai quali fare riferimento per la liquidazione del danno civilistico non patrimoniale, mentre il DPR riguarda la liquidazione di una “

elargizione

” che nulla ha a che vedere con i criteri del risarcimento del danno alla persona ma che è espresso in termini prefissati e nei limiti di un tetto di copertura finanziaria.

Lo stato non

risarcisce

il militare danneggiato né lo

indennizza

ma gli concede una “

elargizione

”, cioè una

donazione

che non ha alcuna attinenza con la

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reintegrazione per equivalente

di cui all’art. 2058 II co. c.c., essendo infatti fissato, oltre al tetto di copertura finanziaria, anche il massimo della percentuale di “

invalidità complessiva (I.C.)

” fissato nel 100% comprensiva anche dell’incapacità lavorativa, del danno morale e del danno biologico, sicchè è inutile andare a criticare che a farne le spese sarebbero quei militari maggiormente contaminati dalle radiazioni, perché si tratta pur sempre di una donazione, ben potendo poi il danneggiato agire nelle ordinarie sedi giurisdizionali per ottenere, dal responsabile civile, quel quid pluris di risarcimento civilistico che l’indennizzo non ha coperto, come avviene per esempio per il danno da emotrasfusioni infette o da infortunio sul lavoro.

Quindi nessuna correlazione, né tanto meno conciliazione può esistere tra l’art. 5 del DPR e i principi enunciati dalla Suprema Corte.

Escludo che un provvedimento speciale di

elargizioni

per specifici danni, come per esempio anche quello relativo alle vittime del Cermis, possa trovare applicazione, neanche analogica, nella liquidazione del danno civilistico che dovendo avvenire per equità è quindi, in teoria, illimitato.

E’ singolare che quegli stessi che sostengono l’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico e quindi la possibilità di poterlo liquidare in una frazione di questo applicando per analogia il criterio indennitario del DPR 37/09, escludano invece che gli artt. 138 e 139 del Dlgs 209/05 possano trovare applicazione anche per il risarcimento dei danni civilistici non causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, come se il criterio indennitario prevalesse su quello risarcitorio.

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390 Peraltro l’applicazione delle ipotesi disciplinate dalle richiamate norme del Codice delle Assicurazioni non dovrebbe neanche avvenire per analogia essendo state espressamente indicate dalle Sezioni Unite non solo ai fini descrittivi della lesione del diritto alla salute come danno biologico ma anche ai fini di una loro

generale applicazione in quanto recepiscono i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale

”.

D’altra parte se esiste una tabella di legge cui fare riferimento anche se, per ora, limitata alle microinvalidità, non si comprende per quale motivo si debbano applicare tabelle espresse su precedenti giurisprudenziali di specifici distretti curiali che non sono tabelle di valutazione bensì una vera e propria interpretazione giuridica e disciplinare e quindi “

semplici teorie dottrinali

” (Guida al Diritto Dossier n. 9 Novembre 2009 pag. 15).

Infatti per il danneggiato poco rileva che a infliggergli la lesione sia stato un bisturi, un vaso di fiori caduto dall’alto o il parafango di una automobile, essendo stato da lui il danno comunque subito e dunque liquidabile in misura uguale a tutti gli altri danni a parità di età e di percentuale.

Il problema semmai si pone per la figura del danno morale che, non più temporaneo e transeunte, oggi è risarcibile solo in quanto dovuto ad una sofferenza intensa e duratura che è onere della parte provare, anche a mezzo di quegli indizi gravi, univoci e concordanti che consentano al giudice di ritenere accertata, a mezzo della presunzione semplice, la sua esistenza ed intensità, ma anche l’art. 5 del DPR 37/09 subordina la liquidazione dell’indennizzo del danno morale all’accertamento della sua esistenza “

caso per caso

,

tenendo conto

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dell’entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi ed in rapporto all’evento dannoso

”: in buona sostanza quello che viene “

indennizzato

” è un danno da sofferenza morale, né più né meno quello stesso danno così definito dalle Sezioni Unite, danno che per di più, anche nel caso dell’

elargizione

, va considerato “

caso per caso

” e non in modo standardizzato e generalizzato, del quale deve essere fornita la prova della dipendenza causale con l’evento dannoso, nel pieno rispetto della struttura dell’illecito civile.

Infine, poiché i supremi giudici hanno affermato che il danno non patrimoniale può essere risarcito, oltre che quale conseguenza di una “

ingiustizia

costituzionalmente qualificata

” anche negli altri casi previsti dalla legge, ed hanno enumerato tra tali casi le leggi che prevedono la liquidazione del danno non patrimoniale-morale (art. 2 L. 117/98, art. 29 L. 675/96, art. 94 D.lgs. 286/98, art. 2 L. 98/01), nulla toglie che il DPR 37/09 possa rientrare nei

“casi

determinati dalla legge”

cui rinvia l’art. 2059 c.c..

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