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Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solís Valderribano conte di Montellano (1698-1699)

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(1)

Acta Curiarum Regni Sardiniae

23

Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solís Valderribano conte di Montellano (1698-1699)

a cura di Giuseppina Catani e Carla Ferrante

Torno I.

Introduzione.

Atti del Parlamento

(2)

Comitato scientifico

per la pubblicazione degli Atti dei Parlamenti sardi

Il PRESIDENTE del Consiglio regionale

On. PIER LUIGI CARLONI, Vice Presidente del Consiglio regionale

PROF. BRUNO ANATRA, ordinario di Storia moderna nell'Università di Cagliari

Prof. ITALO BIROCCHI, ordinario di Storia del Diritto italiano nell'Università La Sapienza di Roma

Dott. MARIAROSA CARDIA, professore associato di Storia delle Istituzioni politiche nell'Università di Cagliari

Prof. GUIDO D'AGOSTINO, ordinario di Storia delle Istituzioni politiche nell'Università di Napoli "Federico II", membro della "Commission Internationale pour l'Histoire des Assernblées d'États"

Prof. ANTONELLO MATTONE, ordinario di Storia delle Istituzioni politiche nell'Università dí Sassari

Dott. GABRIELLA OLLA REPETTO, ispettore generale per i Beni archivistici Prof. MARCO TANGHERONI, ordinario di Storia medioevale nell'Università di

Pisa

Segreteria del Comitato scientifico

Dott. GIAMPAOLO LALLAI, capo Servizio segreteria del Consiglio regionale della Sardegna

Dott. ANNA DESSANAY, funzionario del Servizio studi del Consiglio regiona- le della Sardegna

Dott. MARIA SANTUCCIU, funzionario del Servizio amministrazione del

Consiglio regionale della Sardegna

(3)

ACTA REGNI

*********************

*********************

CURIARU1VI SARDINIAE

IL PARLAMENTO DEL VICERÉ GIUSEPPE DE SOLtS VALDERRABANO

CONTE DI MONTELLANO

I ag

ATTI DEL PARLAMENTO (1698-1699)

a cura di

Giuseppina Catani e Carla Ferrante ffl

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DO.0000.0.091.19g

ROMMNND.0.0.0.00g

CONSIGLIO REGIONALE

DELLA SARDEGNA

(4)

O Copyright Consiglio regionale della Sardegna, 2004 Redazione, stampa e distribuzione a cura

dell'EDI.CO.S. (Editori Consorziati Sardi) s.r.l.

Via Contivecchi 8/2 - 09122 Cagliari Tel. e Fax (070) 270507

Fotocomposizione e impaginazione

Carlo Delfino editore, Via Rolando 11/A, Sassari

(5)

ACTA CURIARUM REGNI SARDINIAE Volumi già pubblicati

1. "Acta Curiarum Regni Sardiniae".

Istituzioni rappresentative nella Sardegna medioevale e moderna Atti del Seminario di studi (Cagliari, 28-29 novembre 1984) Cagliari, 1986 (seconda edizione, 1989).

2. Il Parlamento di Pietro IV d'Aragona (1355) a cura di Giuseppe Meloni

Cagliari, 1993.

3. I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452) a cura di Alberto Boscolo

Revisione, apparati e note di Olivetta Schena Cagliari, 1993.

5. I Parlamenti dei viceré Giovanni Dusay e Ferdinando Girón de Rebolledo (1494-1511)

a cura di Anna Maria Oliva e Olivetta Schena Cagliari, 1998.

12. Il Parlamento del viceré Gastone de Moncada marchese di Aytona (1592-1594)

a cura di Diego Quaglioni Cagliari, 1997.

14. Il Parlamento del viceré Carlo de Borja duca di Gandía (1614) a cura di Gian Giacomo Ortu

Cagliari, 1995.

(6)

16. Il Parlamento straordinario

del viceré Gerolamo Pimentel marchese di .Bayona (1626) a cura di Gianfranco Tore

Cagliari, 1998.

23. Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solís Valderràbano conte di Montellano (1698-1699)

a cura di Giuseppina Catani e Carla Ferrante Cagliari, 2004.

I. Atti del Parlamento

Il. Capitoli di Corte. Atti conclusivi III. Abilitazioni e procure

IV. Abilitazioni e procure.

24. L'attività degli Stamenti nella "Sarda Rivoluzione" (1793-1799) a cura di Luciano Carta

Cagliari, 2000.

I. Atti dello Stamento militare, 1793

Il. Atti degli Stamenti ecclesiastico e militare e della Reale Udienza, 1793-1794 III. Atti degli Stamenti militare e reale, 1795

IV. Atti degli Stamenti militare e reale, 1796-1799.

(7)

I

Carla Ferrante e Giuseppina Catani

L'autunno degli Stamenti.

Costituzionalismo, lotta politica, ricompilazione delle leggi

nell'ultima riunione del Parlamento sardo

(1698-1699)

(8)

Questo lavoro è frutto di un intenso rapporto di collaborazione che ha impegnato le autrici dalla fase iniziale della ricerca alla stesura del saggio sino alla revisione del testo.

Tuttavia la stesura del saggio introduttivo è opera di Carla Ferrante, ad eccezione del para- grafo "Le città regie", da attribuire a Giuseppina Catani.

A conclusione del lavoro le autrici desiderano ringraziare il Comitato scientifico per la pubblicazione degli Atti dei Parlamenti sardi; in particolare la dottoressa Gabriella 011a Repetto per l'affettuoso sostegno e le acute e stimolanti osservazioni; il professor Italo Birocchi per la concreta partecipazione nella difficile impresa; un sentito e speciale rin- graziamento va al professor Antonello Mattone per averle guidate nelle varie fasi di rea- lizzazione dell'opera, soprattutto per aver letto con spirito critico il saggio introduttivo e per í preziosi e costanti suggerimenti. Un cordiale ringraziamento va anche ai componen- ti della Segreteria organizzativa del Comitato scientifico per la loro disponibilità e cortesia e ai professori Manlio Brigaglia e Salvatore Tola per l'accurata revisione del testo.

Il presente saggio introduttivo è stato in parte realizzato con il contributo MURST (ex 40%).

8

(9)

1.

Il dibattito storiografico sul regno di Carlo II

L'ultimo Parlamento celebrato in Sardegna si colloca in una fase molto deli- cata della vita della monarchia di Spagna, ormai avviata a un'inevitabile decadenza'. Lo stato di crisi era acuito dall'incertezza politica legata alla scarsa autorità di Carlo II, un sovrano malaticcio, dominato, durante la minore età, dalla madre reggente Maria Anna d'Austria e, in seguito, da primi ministri come il duca di Medinaceli

(1680-1685)

e il conte di Oropesa

(1685-1691)2

. La mancanza di eredi diretti al trono — nonostante i due matrimoni, prima con Maria Luisa d'Orlells, nipote di Luigi XIV, e poi con Maria Anna di Baviera-Neuburg — favorì inoltre le mire espansionisti- che di Francia ed Austria; il lavorìo abile e sottile delle diplomazie dei due paesi per assicurarsi la successione dinastica finì per dividere gli spagnoli e contribuì ad accelerare la fine della casata degli Asburgo di Spagna3.

1 Per un inquadramento sulle vicende della monarchia spagnola nell'ultimo scorcio del XVII secolo cfr. J. LYNCII, Spain under the Habsburgs, Oxford, 1969, trad. spag. Espalia bajo los Austrias, II. Espaga y América (1598-170W, Barcelona 1972, pp. 323-397; R. TREVOR DAVIES, Spain in decline 1621-1700, London, 1969, trad. spag. La decadencia espaiiola 1621-1700, Barcelona, 1972, pp. 125-158; R. A. STRADLING, Europe and the decline of Spain, London, 1981, trad. spag. Europa y el declive de la estructura imperial espaiiola 1580-1720, Madrid, 1983, pp.

229-261; J. H. ELLIOTT, imperial Spain 1469-1716, London, 1963, trad. it. La Spagna imperiale 1469-1716, Bologna, 1982; ID., The count-duke of Olivares. The Statesman in an Age of Decline, London, 1982, trad. it. Il miraggio dell'impero. Olivares e la Spagna: dall'apogeo al declino, con introd. di G. Galasso, Roma, 1991; A. DOMINGUEZ ORTIZ, El Antiguo Régimen: Los Reyes Católicos y los Austrias, in Historia de Espaiia, vol. 3, Madrid, 1988; B. BENNASSAR, Il secolo d'oro spagnolo, Milano, 1985; TD., Histoire des Espagnols, voll. 2, Paris, 1985; Historia de Espat7a, diretta da R. Menendez Pidal, vol. XXIX, Madrid, 1985; L. M. ENCISO RECIO, A.

GONZALES ENCISO, T. EGIDO, M. BARRI°, R. TORRES, Historia de Espoia, vol. IV, Madrid, 1991; L. A. RIBOT GARCR, La Espaiia de Carlos II, in Historia de Espaiia, dirigida por J. M.

Zamora, torno XXVIII, La transiciém del siglo XVII al XVIII. Entre la decadencia y la recon- strucción, Madrid, 1997.

2 Questi erano espressione della più alta aristocrazia castigliana e, da profondi conoscitori della situazione politica ed economica in cui versava la monarchia, si adoperarono con impegno

— in particolare Oropesa — per risollevarne le sorti. Diversamente avevano fatto in precedenza il gesuita tedesco Everardo Nithard a cui la reggente aveva praticamente affidato il potere — sca- valcando la Giunta di Governo creata ad hoc da Filippo IV — e il cortigiano don Fernando Valenzuela, contraddistintisi per la loro incapacità e inettitudine. Cfr. a questo proposito F.

TOMAS y VALIENTE, Los validos en la monarquía espaiiola del siglo XVII. Estudio institucional, Madrid, 1982, pp. 19-24,71-72, e passim.

3 Sulla figura del sovrano e sulle sue vicende familiari cfr. P. AGUADO BLEYE, Manual de historia de Espafia, t. II, Reyes Católicos, casa de Austria (1474-1700), 8 ediz., Madrid, 1954, pp.

821-864; H. KAMEN, Spain in the later Seventeenth century, 1665-1700, London, 1981, trad.

9

(10)

Le problematiche relative alla decadenza spagnola del Seicento hanno dato vita ad un intenso dibattito storiografico sfociato in interpretazioni dif- ferenti, che hanno esaltato o sminuito, a seconda delle esigenze "dinasti- che", ora i sovrani della casa asburgica ora di quella borbonica4.

«Ruinosos los muros de su fortalegas, aun tenia Barcelona abiertas las brechas que hizo el Duque de Vandoma, y desde Rosas, hasta Cadiz no havia Alcagar, ni castillo, no solo presidiado, pero ni montada su artillería — avrebbe scritto uno dei primi storici dell'età di Carlo II, il cagliaritano Vincenzo Bacallar y Sanna, protagonista di quegli eventi —. La misma negli- gencia se admiraba en los puertos de Biscaya, y Galicia. No tenian los alma- zenes sus provisiones, faltaban fundidores de armas, y las que estaban eran de ningun uso. Vacios los arsenales, y artilleros, se havia olvidado el arte de construir naves, ni tenia el Rey mas que las destinadas al comercio de Indias, y algunos galeones, seis galeras, consumidas del tiempo, y del ocio se ancoraban en Carthagena...» 5

.

Una desolante immagine del Regno, quella tramandataci da Bacallar, che svolse un ruolo di primo piano nelle ultime sessioni parlamentari celebrate in Sardegna; uomo molto- vicino al viceré e acceso sostenitore dei Borboni, capeggiò la resistenza filippina nel- l'isola e fu insignito del titolo di marchese di San Filippo (1708)6.

L'aristocratico sardo, nell'intento di scuotere i sostenitori del duca d'Anjou,

spag., La Espaga de Carlos II, Barcelona, 1987, pp. 41-43. Entrambi gli autori nella ricca biblio- grafia rinviano in particolare a G. MAURA GAMAZO, Carlo II y su Corte. Ensayo de reconstruc- ción biogra-fiCa, t. 1, Aiios 1661-1669, t. II, Mos 1669-1679, Madrid, 1911-15, e a ID., Vida y rei- nado de Carlos II, Madrid, 1990 (1 ediz.1942). Cfr. inoltre A. DOMINGUEZ ORTIZ, Carlos II, in Historia de Espaiia, 6. La crisis del siglo XVII, Madrid, 1989, pp. 136-138; J. CALVO POYATO, La vida y la época de Carlos II el bechizado, Barcelona, 1996; di un certo interesse anche l'introdu- zione di A. DOMINGUEZ OR'FIZ al Testamento de Carlos II. Ediciùn facsimile, Madrid, 1982.

4 Sugli equilibri politici europei e il ruolo delle nazioni alla vigilia della Guerra di successio- ne, cfr. tra gli altri R. D. HUSSEY, J. S. BROMLEY, Pressioni europee sull'impero spagnolo (1688- 1715), in CAMBRIDGE UNNERSITY PRESS, Storia del mondo moderno, VI. L'ascesa della Gran Bretagna e della Russia (1688-171311725), a cura di J. S. Bromley, Milano, 1988, pp. 409 e ss.

Cfr. inoltre i vari contributi sul tema nel più recente Los Borbones. Dinastia y memoria de nación en la Esparia del siglo XVIII (Actas del coloquío internacional celebrado en Madrid, mayo de 2000), a cura di P. Fernandez Albaladejo, Madrid, 2002.

5 V. BACALLAR, Comentarios de la guerra de Espar7a, desde el principio del Reynado del Rey Philippe Quinto, basta la Paz General, Genova, 1711, libro II, p. 45.

6 Sulla figura e l'importanza di Vincenzo Bacallar (1669-1726), nativo della città di Cagliari, dottore in leggi, nonché uomo d'azione e di lettere, cfr. P. MARTINI, Biografia Sarda, torno I, Cagliari, 1837, pp. 113-140; P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, Torino, 1837, vol. I, pp. 109-113; E. BOGLIOLO, Tradizione e innovazione nel pensiero politico di Vincenzo Baccallar, Milano, 1989. Sull'importanza dei Comentarios nella storiografia spagnola della prima metà del XVIII secolo cfr. G. STIFFON1, Verità della storia e ragioni del potere nella Spagna del primo '700, Milano, 1989, pp. 111-135. In un memoriale inviato al Consejo per otte- nere — senza peraltro aver successo — la carica di giudice criminale che era ricoperta dal dottor Giorgio Cavaza, infermo, Bacallar fa sapere di essere stato per due volte assessore del vicario di Cagliari; di essere entrato ín possesso del contado di Sedilo per volere di Fernando de Angulo

(11)

aveva calcato la mano sullo stato delle fortificazioni, degli armamenti e sulla dissoluzione della monarchia, che però da lì a poco avrebbe potuto contare su di un "salvatore", identificato proprio nella figura di Filippo V7

.

L'estrema posizione filoborbonica di Bacallar ed il fine dichiarato della sua opera, inducono quindi ad accettare con cautela queste affermazioni, seb- bene agli occhi dei contemporanei la sensazione di una crisi generale fosse ormai condivisa e nei gabinetti e nelle legazioni diplomatiche fosse palpabi- le la precarietà dello Stato spagnolo.

Dalle relazioni degli ambasciatori stranieri accreditati a corte emerge infatti un quadro non dissimile: da una parte l'estrema vastità di un impero con terre dotate di enormi ricchezze naturali, dall'altra l'incapacità a gestire e a sfruttare in maniera attiva le risorse. Inettitudine imputabile soprattutto, secondo gli osservatori del tempo, ad un ceto di governo intorpidito dal- l'eccesso di sfarzo e di potere. Lo stesso ritratto di Carlo II delineato dai diplomatici riassume la fiacchezza generale della monarchia. Così Sebastiano Foscarini, ambasciatore della repubblica veneta negli anni 1682- 1686, ne poneva in evidenza la salute malferma e l'assoluta mancanza di carattere: «La candidezza del volto, l'occhio grande e vivo, il pelo biondo, renderebbero questo principe di grato aspetto, se le guancie troppo estese, e le narici prostrate sin quasi al labbro superiore, l'altro rovesciato all'au- striaca sopra del mento alto e sollevato, non lo deturpassero. Corporatura mediocre, temperamento delicato, portamento grave, aria severa. Parco nel vitto, e ritenuto in tutto ciò che può pregiudicare alla propria salute, della quale si mostra studiosissimo [...]. Di genio — scriveva il diplomatico vene- to — può dirsi anonimo non distinguendosi propensione in lui veemente per alcun piacere o esercizio. Adempisce alle parti di re nell'apparente forma- lità e funzioni, delle quali è osservantissirno, benché pure in esse si sforza e si stanca, abborrentissimo della applicazione e della fatica, inquieto in tutto ciò che opera, onde í più intimi sogliono dire essere il re nell'istesso tempo in molti luoghi né mai presente in alcuno»8

.

Sulla figura del sovrano e sulla sua inconsistente dimensione di uomo di

arcivescovo di Cagliari e visitatore del Real Patrimonio; di essersi poi trasferito nel 1683 nello Stato di Milano per sistemare gli affari della moglie donna Giovanna Castanso, figlia di don Pietro, cavaliere milanese, e dove, nella podesteria della Valsesia e di Lodi, aveva ricoperto la carica di giudice civile e criminale con voto; di essere stato poi nominato nel 1692 «juez de las monedas» dello Stato di Milano e di aver infine fatto ritorno in Sardegna per assistere la madre (ARctilvo DE LA CORONA DE ARAGON (d'ora in poi ACA), Consejo de Aragón, leg. 1054).

7 Sulle vicende della guerra di successione spagnola e sulla figura di Filippo V in particolare, cfr. H. KAMEN, La guerra de Sucesión en Espafia 1700-1715, Barcelona, 1975 e dello stesso auto- re Felipe V El rey que ;rine') dos veces, Madrid, 2000; ed inoltre J. A. VIDAL SALES, La vida y la época de Felipe V, Barcelona, 1997.

8 Le relazioni degli ambasciatori sono fonti di grande rilevanza per cogliere meglio il clima politico internazionale di attesa nei confronti della Spagna di fine secolo e le diverse impressio- 11

(12)

governo, insisteva l'ambasciatore Venier: «Il candido del volto, l'adorno della parrucca gli mitiga alquanto la deformità e la sua statura piccola non concilia a prima occhiata quella venerazione che sovente l'aspetto suo suol tirare. L'umore suo malinconico lo porta al ritiro, e l'educazione nel mezzo delle donne l'ha imbevuto di timore. Ha abbandonato quasi interamente il divertimento della caccia, ed il maggiore lo gusta alcune ore del giorno nel- l'osservare o dipingere [...]. Ha intelligenza in un negozio a parte, ma — osservava il diplomatico veneto — per compaginare la massa di più cose sian politiche, di guerra, o di economia, è inferiore. All'ispedizione dei dispacci che si sottoscrivono per il più con stampiglia, accudisce con regola due ore la mattina, ed altrettante la sera. Ad ogni momento anco per piccolo nego- zio chiama il secretario, ma più per essere informato che per risolvere; e con raro esempio agisce con spontaneo movimento, ma sempre con regola del Consiglio di Stato, dove rare volte interviene, e rarissime si dipartiste, se non alcune volte, che la regina o il cardinal Porto Carrero lo portano di sbalzo ...»9 .

In sostanza la Spagna non poteva contare su un monarca autorevole capace di imporre una svolta alla difficile congiuntura. Questa analisi, con- divisa dalla maggior parte degli storici che hanno affrontato le problemati- che relative all'impero spagnolo dai fasti al declino, ha dato vita ad una con- solidata tradizione storiografica rappresentata soprattutto da John H. Elliot che ha individuato nel fallimento dei progetti intrapresi dal duca di Olivares l'inizio della crisi10. Queste posizioni sono state messe in discussio- ne da un altro storico inglese, Henry Kamen, che ha invece ribaltato la tesi dominante, finendo addirittura per attuare una rivalutazione di questo periodo: la debolezza del sovrano non comportava automaticamente una crisi istituzionale — sostiene — giacché esisteva una solida organizzazione amministrativa in grado di tenere insieme le varie parti della monarchia.

L'abbandono di una politica "imperialistica" verso l'Europa avrebbe, anzi, favorito una parziale crescita economica, civile e culturalell.

ni riportate sul sovrano e sulla corte, cfr. N. BAROZZI, G. BERCHET, Relazioni degli Stati europei

lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, serie I. Spagna, voi. II, Venezia,

1860, ora in edizione anastatica a cura di L. Fnu

-

'0, Relazioni di ambasciatori al Senato, vol. X,

Spagna (1635-1738), Torino 1979; il passo citato si trova in Relazione di Spagna di Sebastiano Foscarini, ambasciatore a Carlo II dall'anno 1682 al 1686, pp. 504-

505. Cfr. per questo perso- naggio G. GULLINO, Foscarini Sebastiano, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XLIX, Roma, 1997, pp. 421

-

424; B. ANATRA, Corona d'Aragona e Sardegna agli occhi degli ambasciatori

veneti, in Istituzioni e società in Sardegna e nella Corona d'Aragona (secc. XIV-XVIII). El arbitrio de su livertat, Cagliari, 1997, pp. 73-

83.

9 Relazione di Spagna di Pietro Venier, ambasciatore a Carlo II dall'anno 1695 al 1698, in L.

FIRPO, Relazioni cit., pp. 623-624.

la Sull'attività storiografica di Elliot cfr. D. MAFFEI, La Spagna e l'Europa: l'opera storica di

sir John Elliot, in «Rivista storica italiana», CXII (2000), n. 1, pp. 282-317.

11

Cfr. H. KAMEN, La Espafta cit., pp. 41-44; J. ELLK)T, La Spagna cit., pp. 417-433.

12

(13)

La monarchia spagnola si fondava ancora sul dualismo tra la Corona di Castiglia e la 'Corona d'Aragona; in quest'ultima gli antichi regni della confederazione catalano-aragonese conservavano la propria autonomia istituzionale sotto la direzione di un viceré designato dal sovrano ín qua- lità di alter ego. A Madrid avevano sede le strutture centrali di governo, articolate nei Consejos: il sovrano governava attraverso una rete burocrati- ca specializzata e centralizzata rispetto ai territori da amministrare12. Il più importante di questi organismi era il Consejo de Estado, presieduto (almeno formalmente) dal sovrano, dove venivano trattate tutte le que- stioni di politica internazionale, quelle relative alla guerra o alla pace e dove si ratificavano le decisioni assunte dai Consigli territoriali, come quelli di Castiglia, Aragona, Italia, Indie e Fiandre13.

Il Regno di Sardegna, per la sua appartenenza agli antichi domini catala- ni, era parte integrante del Consiglio d'Aragona e continuò a farne parte anche nel XVI-XVII secolo, sebbene nel 1556 fosse stato creato il Consiglio d'Italia a cui facevano capo invece il Regno di Napoli, quello di Sicilia, il Ducato di Milano e lo Stato dei presidi". Il Consiglio d'Aragona, presiedu- to da un vicecancelliere, era composto da 5 reggenti originari dei regni in esso rappresentati e quindi da catalani, valenzani, aragonesi e, solo a partire dal 1627, anche da un sardo. Ne facevano parte inoltre un tesoriere genera- le, un avvocato fiscale, un protonotario e personale vario di cancelleria (segretari, scrivani etc.)15. All'interno del Consejo si esaminavano le pratiche provenienti dai regni della confederazione, si analizzavano nel dettaglio i

12 Sulle funzioni dei Consejos in generale cfr. Diccionario de historia de Espaiia, diretto da G.

Bleiberg, torno 1, Madrid, 1968, pp. 940-947; P. MOLAS RIBALTA, Consejos y Audiencias duran- te el reinado de Filipe II, Valladolid, 1984, pp. 84- 93; J. LYNCI I, Espaiia bajo cit., pp. 27-35; 1-1.

KAMEN, La Esparia cit., pp. 44-51; M. ARTOLA, La monarquía de Espafi a, Madrid, 1999, pp.

307-333; per il Consiglio d'Aragona, in particolare, cfr. J. ARRIETA ALBERDI, El Consejo Supremo de la Corona de Aragón (1494-1707), Zaragoza, 1994; ma anche J. FAYARD, Los miem- bros del Consejo de Castilla (1621-1746), Madrid, 1982; cfr. inoltre le interessanti considerazioni esposte sull'amministrazione dei Consejos da A. MATTONE, Centralismo monarchico e resistenze stamentarie. I parlamenti sardi del XVI e del XVII secolo, in Istituzioni rappresentative nella Sardegna medioevale e moderna, Atti del Seminario di studi, Cagliari, 28-29 novembre 1984, Cagliari, 1986, (Acta Curiarum Regni Sardiniae. 1), pp. 156-162.

13 Esistevano anche altri Consejos che assistevano il sovrano per le questioni di carattere religioso (Consejo de la Santa Sede y Suprema Inquisición) o finanziario (Consejo de Hacienda). Cfr. a questo proposito anche J.A. SANCHEZ BELÉN, La politica fiscal en Castilla durante el reinado de Carlos II, Madrid, 1996.

14 Sui regni italiani sotto gli Asburgo cfr. i diversi contributi e la ricca bibliografia in L'Italia degli Austrias. Monarchia cattolica e domini italiani nei secoli XVI e XVII, a cura di G.

Signorotto, in «Cheiron», IX (1992), nn. 17-18.

15 Sulla presenza dei sardi cfr. J. ARRIETA ALBERDI, Notas sobre la presencia de Cerdefia en el Consejo Supremo de la Corona de Aragón, in La Corona d'Aragona'in Italia (secc. XIII-XVIII), 3.

Sopravvivenza ed estensione della Corona d'Aragona sotto la monarchia spagnola (secc. XVI-XVIII), Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d'Aragona, Sassari-Alghero 19-24 maggio 1990,

(14)

capitoli di corte da sottoporre all'approvazione del sovrano, si discutevano le relazioni e le richieste inoltrate dai viceré, si prendevano in considerazio- ne le petizioni dei corpi e dei singoli e si proponevano le risoluzioni da adottare in merito agli affari di interesse pubblico e privato. Per i soli regni di Valenza, Maiorca e Sardegna fungeva anche da supremo tribunale d'ap- pello. Il lavoro si organizzava e si traduceva nelle consultas, deliberazioni prese (spesso a maggioranza) dai reggenti, motivate con succinte argomen- tazioni che venivano trasmesse al sovrano il quale poteva approvarle oppu- re inviarle al Consiglio di Stato per un esame ulteriore. Vi erano dei giorni prestabiliti per trattare le questioni dei singoli regni, corrispondenti di soli- to all'arrivo del correo, cioè della posta ufficiale'6.

Il governo del paese era comunque nelle mani dei ministri privati del sovrano che si avvalevano di una secretaría o despacho universal privado del re che provvedeva ad emanare gli ordini del monarca e del suo validd".

Negli ultimi anni del Seicento, in mancanza di primi ministri, fu proprio il secretario del despacho, che ricopriva altresì l'incarico di segretario del Consiglio di Stato, ad assumere vere e proprie funzioni esecutive18.

Questa struttura amministrativa affondava le sue radici nelle tradizionali forme di governo catalano-aragonese. I problemi derivanti dalla politerrito- rialità della monarchia furono risolti attraverso l'individuazione di nuovi organi di governo (viceré, consigli, audiencias) capaci di assicurare da un lato la centralizzazione dei poteri e dall'altro un efficace decentramento burocratico. Le diverse anime della monarchia, che erano riuscite a superare il particolarismo territoriale nel periodo di maggiore prosperità economica e di stabilità politica, erano riemerse con tutta la loro forza disgregatrice già a partire dalla metà del Seicento, con le rivolte della Catalogna (1640), del.

Portogallo (1640) e del Regno di Napoli (1647) ed in concomitanza della crisi politica, sociale ed economica che aveva colpito l'intero Occidente europeo. Mentre però altrove, come in Inghilterra, si era formata una monarchia costituzionale e in Francia si era realizzato un vero e proprio

Sassari, 1997, vol. 4, pp. 11-25; cfr. anche A. MATTONE, Le istituzioni e le forme di governo, in B.

ANATRA, A. MÌVLTONE, R TURTAS, L'età moderna dagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo, in Storia dei Sardi e della Sardegna, a cura di M. Guidetti, vol. 3, Milano, 1989, pp. 244-249.

16 Nel 1699 il sovrano invitò il Consiglio a fissare un giorno infrasettimanale in cui trattare gli affari dí Sardegna, così come era stabilito per i regni d'Aragona e di Valenza (sabato e lunedì rispettivamente); í consiglieri deliberarono che non era possibile stabilire un calendario dei lavori per le terre ultramarine ma che, in ogni caso, non appena fossero giunte carte dall'isola, esse sarebbero state esaminate, elaborate le consulte o prese in tempi assai rapidi le decisioni (ACA, Consejo de Aragón, Registros Camara, n.1116, 1 luglio 1699).

17 Sul ruolo del valido nella Spagna del XVII secolo cfr. E BENIGNO, L'ombra del re. Ministri e lotta politica nella Spagna del Seicento, Venezia, 1992; sulle caratteristiche e sulla diffusione del fenomeno cfr.

J.

BÉRENGER, Pour une enquite européenne: Le prohlème du ministériat au XVII siècle, in «Annales. Èconomies, Sociétés, Civilisations», XXIX (1974), n. 1, pp. 166-192.

18j. A . 17 .LSCUDERO, Los secretarios de Estado y del despacho (7474-1720), Madrid, 1976, voll. 4.

(15)

assolutismo "funzionale", la Spagna rimaneva ingessata in un sostanziale immobilismo. Roland Mousnier e Jaime Vicens Vives hanno messo in evi- denza che mentre in Francia si era riusciti a conservare un'unità di indirizzo amministrativo per cui il monarca esercitava realmente pieni poteri, in Spagna il particolarismo aveva condizionato l'attività polisinodale provocan- do, nel corso del XVII secolo, una sorta di involuzione del sistema caratte- rizzato da una sempre maggiore confusione nelle attribuzioni dei Consigli, allungamenti nell'iter procedurale, dispersione degli affari e numerose incoerenze amministrative'9. Durante il regno di Carlo II si giunse ai limiti del collasso. Le disfunzioni del regime consiliare, come ha rilevato Pablo Fernkidez Albadalejo, erano presenti sia alla fine del Cinquecento, durante il regno di Filippo II, sia nella prima metà del Seicento, durante il ministero del conte-duca dí Olivares: allora, però, l'iniziativa di un sovrano "assoluti- sta" come il rey prudente e quella di un valido decisionista come Olivares era bastata a dirimere i contrasti e ad orientare le decisioni consiliari Era quindi inevitabile che, non avendo la polisinodia assunto una conformazione siste- matica, le conseguenze di questa contraddizione emergessero con forza nel corso del XVII secolo 20.

La struttura amministrativa aveva inoltre un organico sovradimensionato, come notavano gli osservatori stranieri. I funzionari appartenevano a due

19 Sul dibattito storiografico relativo alla formazione dello Stato moderno cfr. A. Musi, La storiografia politico-amministrativa sull'età moderna: tendenze e metodi degli ultimi trent'anni, in Stato e pubblica amministrazione nell'ancien régime, a cura di A. Musi, Napoli, 1979, pp. 13- 153; P. ANDERSON, Lineages of the Absolutist State, London, 1974, trad. it. Lo Stato assoluto, a cura di R. Pasta, Milano, 1980; L. BLANCO, Note sulla più recente storiografia in tema di «Stato moderno», in Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, 1994, pp. 262-297 (Annali dell'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione pubblica. 2); N. HENSHALL, Il mito dell'assolu- tismo. Mutamento e continuità nelle monarchie europee dell'età moderna, Genova, 2000; cfr.

inoltre J. H. Si IENNAN, Le origini dello Stato moderno in Europa 1450-1725, Bologna, n. ed.

1991, e A. DE BLNED1CTIS, Politica, governo e istituzioni nell'Europa moderna, Bologna, 2001, ai quali si rinvia per la ricca bibliografia. Per la Francia in particolare cfr. R. MOUSNIER, La véna- lité des offices sous Henri IV e Louis XIII, l ediz. Rouen, 1945, 2 ediz. Paris, 1971; ID., Le Conseil du Roi de Luis XII à la Révolution, Paris, 1970 e ancora dello stesso autore, Les institu- tions de la France sous la monarchie absolue, voli. 2, Paris, 1974-80; R. BONNEY, L'absolutisme, Paris, 1989; L'état barogue. Regards sur la pensée politique de la France do premier XVII" siècle, Textes reuns sous la direction de Henry Méchoulan, Paris, 1985; J. B. COLL1NS, The State in Early Modern France, Cambridge, 1995; D. R1CIIET, Lo spirito delle istituzioni. Esperienze costi- tuzionali nella Francia moderna, trad. it. a cura di E Di Donato, Roma-Bari, 1998; per la Spagna soprattutto J. V10ENS VWES, La struttura amministrativa statale nei secoli XVI-XVII, in Lo Stato moderno, vol. I. Dal Medioevo all'età moderna, a cura di E. Rotelli, P. Schiera, Bologna, 1971, pp. 221-246. Cfr. inoltre l'esauriente quadro offerto da G. G. ORTO, Lo Stato moderno. Profili storici, Roma-Bari, 2001, pp. 73-120, a cui si rinvia anche per l'aggiornata bibliografia.

20 P. FERNANDEZ ALBADALEJO, Inzperio y Monarchia, in Fragmentos de monarquía, Trabajos de historia politica, Madrid, 1992, pp. 97-140 (cit. p. 100).

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categorie: i nobili di cappa e spada che ricoprivano incarichi di natura poli- tica e militare ed i letrados, cioè i graduati delle Università, che occupavano le "piazze" più importanti, per dignità, prestigio e salario, degli organismi giudiziari e di governo (Consigli, Cancellerie e Audiencias)21. Il ceto dei letrados — costituito per lo più da persone di estrazione borghese o di picco- la nobiltà — si rafforzò economicamente e, consapevole del proprio ruolo, rivendicò una certa autonomia all'interno della rigida società degli ordini, aspirò ad acquisire privilegi nobiliari e andò via via ad ingrossare la già nutrita schiera degli aristocratici 22

.

Nel Seicento si assistette ad un aumento considerevole dei nobili proprio perché tale status non era più legato sol- tanto al sangre ma all'acquisto dei titoli 23

.

Anche le istituzioni rappresentative parlamentari, le Cortes, esistenti nei singoli regni spagnoli, avevano perso la vitalità e la forza contrattualistica che ne aveva caratterizzato la creazione in epoca medievale 24

.

In Castiglia, dove le Cortes avevano come scopo principale la votazione delle imposte e

21 Per un'ulteriore descrizione dello stato di decadenza della struttura amministrativa, socia- le ed economica cfr. le relazioni dell'ambasciatore genovese Andrea Spinola degli anni ottanta del Seicento, Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, vol. V. Spagna (1681-1721), Roma, 1957, pp. 168-186 («Fonti per la Storia d'Italia pubblicate dall'Istituto Storico Italiano per l'Età Moderna e Contemporanea»); in una delle sue note informative il legato genovese così si esprimeva: «Moltitudine di ministri, con disposizioni, regole ed ordini in apparenza bellissimi, dipinti con prospettive plausibili cli rettitudine, di cautella, di puntualità, di esattezza, di fedeltà, ma in sostanza o negletti o mal praticati ed anche introdotti per pascere un'infinità di gente inutile, che tolta bene spesso al lavoro non giova a' particolari ne' tribunali, pregiudica al pubblico nella intralasciata cultura de' campi e nuoce al serviggio reale per man- camento d'huomini nel maneggio dell'armi» (p. 171).

zz Sulle problematiche relative cfr. J. VICENS VivEs, La struttura amministrativa cit.; J. A.

MARAVALL, Stato moderno e mentalità sociale, vol. Il, in particolare L'amministrazione e i buro- crati, Bologna, 1981, pp. 527-606; cfr. inoltre, sui letrados, R. ROLDAN VERDEJO, Los jueces de la monarquía absoluta. Su estatuto y actividad judiczal. Corona de Castilla, siglos XIV-XVIII, La Laguna, 1989; R. L. KAGAN, Pleitros y pleitantes en Castilla 1500-1700, Salamanca, 1991.

23 La nobiltà era articolata su tre livelli: nel gradino più alto stavano i grandes de Espaíia (all'inizio del Cinquecento se ne contavano 25, alla fine del Seicento ben 292); al secondo i titu- /os, ossia i nobili titolati (duchi, conti e marchesi); infine gli bidalgos e i cavalieri, che pure gode- vano di privilegi ed esenzioni. Sulla trasformazione del ceto nobiliare tra il XVI e il XVII secolo cfr. J. A. MARAVALL, Potere, onore, àlites nella Spagna del Secolo d'oro, Bologna, 1984; J. CASEY, La decadenza spagnola e il «siglo de oro», in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età contemporanea, diretta da N. Tranfaglia, M. Firpo, V. L'Età Moderna. 3. Stati e Società, Torino, 1986, p. 298; P. AGUADO BLEYE, Manual cit., pp. 908-911 ed, in particolare, sul potere e la dif- fusione dell'aristocrazia, cfr. H. KAMEN, La Espaiia cit., pp. 370-420.

24 Sulle Cortes e i Parlamentos nel XVII secolo cfr. L. G. DE VALDEAVELLANO, Curso de historia de las instituciones espaliola.s. De los orígines al final de la Edad Media, Madrid, 1982, pp. 463-484; L. GONZALES ANTON, Las Cortes en la Espatia del Antiguo Régimen, Madrid, 1989. Sulle assemblee castigliane cfr. J. LALJNDE ABADR, Las Cortes Espaiiolas, in Istituzioni rappresentative cit., pp. 313-318; J. L. CASTELLANO, Las Cortes de Castilla y su Diputación (1621-1789). Entre pactismo y absolutismo, Madrid, 1990. Cfr. anche J. LYNCH, Espaiia bajo cit., pp. 124-132; H. KAMEN, La E.spana cit., p. 56.

(17)

l'offerta al sovrano, vi partecipavano, dietro convocazione regia, i rappre- sentanti delle città chiamati ad approvare íl piano fiscale. I nobili e gli eccle- siastici, che avevano altre vie per negoziare col sovrano, disertavano le riu- nioni. A metà del secolo XVII, stabilizzatosi, in un certo senso, íl tipo di contribuzioni (con i servicios de millones), le assemblee furono sostituite dalla Commissione permanente, la Diputación, composta da un numero limitato di procuratori delle città che si pronunciavano in merito alle quote impositive su richiesta di una Giunta nominata ad hoc dal sovrano. Non c'era dunque più bisogno delle sedute plenarie e dal 1662 le Corti non si riunirono più 25

.

Negli altri regni iberici (Catalogna, Aragona, Valenza) le Corti erano state più attive: vi partecipavano i tre Estaments (clero, nobità e città) — quattro in Aragona — che avevano potere legislativo, votavano i tri- buti ordinari e straordinari e ricevevano il giuramento del sovrano o del suo luogotenente che prometteva di rispettare i fueros e le constituciones 26

.

Anche in questi regni, però, soprattutto a partire dalla metà del Seicento, le riunioni assembleari scemarono progressivamente; così mentre a Valenza sí tennero Corti sino al 1645, in Catalogna furono convocate nel 1626 e nel 1653; in Aragona, invece, durante il regno di Carlo II si riunirono solo nel 1677 e nel 1684. Un caso a sé rappresentava il Regno di Navarra, dove le assemblee proseguirono normalmente 27

.

La situazione economica risentiva delle disfunzioni presenti nella struttu- ra politica e amministrativa, ma il quadro dipinto a tinte fosche dagli storici

25 Sul rapporto tra le Corti ed il potere reale in età moderna, cfr. soprattutto P. F.

ALBADALEFO, Monarquía y Cortes, in Fragmentos cit., pp. 284-349. Albadalejo respinge la tesi della decadenza ritenendo che il mancato funzionamento delle Corti non sia da attribuire ad una crisi costituzionale bensì al ritorno all'ancient constitution sulla cui base si articolavano i rapporti tra territorio e monarchia; le Corti dunque risultavano inutili alle città in quanto que- ste avevano facoltà di negoziazioni particolari (p. 299).

26 Sulle attribuzioni ed il funzionamento delle Corti catalane cfr. I. COROLEU IUGLADA, I.

PELLA FORGAS, Las Córtes catalanas. Estudio jun-dico y comparativo de su organización, Barcelona, 1876; R. GARCIA CARCEL, Las Cortes catalanas en los siglos XVI y XVII, in Las Cortes de Castilla y Léon en la edad moderna, Actas del Colloquio (Salamanca, 7-10 abril de 1987), Valladolid, 1989, pp. 679-732; Les Corts a Catalunya, Actes del Congrés d'Histeiria institucional (Barcelona 28-30 abril 1988), Barcelona, 1991; V. FERRO, El dret públic català. Les institucions a Catalunya finn al Decret de Nova Planta, Vich, 1987, pp. 185-242. Per gli inevitabili confronti con il Parlamento sardo cfr. A. MARONG1U, I parlamenti sardi. Studio storico istituzionale e comparati- vo, Milano, 1979, soprattutto alle pp. 9-25; A. MATTONE, «Corts» catalane e Parlamento sardo:

analogie giuridiche e dinamiche istituzionali (XIV-XVII secolo), in «Rivista di storia del diritto ita- liano», LXIV (1991), pp. 19-44, anche in La Corona d'Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), 3.

Sopravvivenza ed estensione cit., vol. 4, pp. 251-274. Sulle Corti valenzane cfr. L. J. GuiA MARIN, La Monarquia Hispànica y las Cortes valencianas de 1645, in Istituzioni rappresentative cit., pp.

259-270 e, tra gli altri, il volume collectaneo, Las Cortes Forales Valencianas. Poder v Representación, Valencia, 1994. Per l'Aragona cfr. Cortes y parlamentos en la Corona de Aragón, Barcelona-Zaragoza, 1989; Aragón. Historia y Cortes de un ReMo, Zaragoza, 1991.

2' Cfr. H. KAMEN, La Espaiia cit., p. 56.

(18)

(aridez, deforestación, cosechas deficientes, emigración, vagabundismo, depre- do del trabajo, salario en alza, impuestos etc.), secondo Juan Regia', che a questi temi ha dedicato fondamentali studi, era eccessivo 28

.

Egli ritiene che non si debba parlare genericamente di decadenza per l'intero territorio della monarchia spagnola ma, semmai, individuare le diverse aree e i diversi modi in cui la crisi si era manifestata: se per la Castiglia gli anni

1648-1688

erano stati disastrosi, nelle regioni periferiche della penisola, soprattutto nella parte orientale, si andavano registrando forti segnali di ripresa. Negli ultimi anni del Seicento anche il calo demografico, che aveva causato un rallentamento delle principali attività produttive agricole e manifatturiere, si stava progressivamente riducendo. Una serie di interventi governativi mirati a rivitalizzare l'economia, ebbero infatti una ricaduta positiva sulla crescita della popolazione 29

.

Sostanzialmente si adottarono misure per alleggerire il carico fiscale e per incrementare il commercio: furono sop- pressi alcuni tributi, condonati i debiti arretrati e fu creata, nel

1679,

una Giunta di Commercio che, dopo un avvio poco felice, favorì, con una poli- tica di tipo protezionistico, il ripristino delle attività manifatturiere coinvol- gendo nell'impresa anche l'aristocrazia 30. Altri provvedimenti furono presi per arginare la pesante inflazione dovuta alla diffusione esagerata, anche per mezzo della falsificazione, della moneta di vellón 31

.

La ripresa partì dalla Catalogna: furono i mercanti barcellonesi, che erano ormai i protagonisti del nuovo corso, a rivendicare, tra l'altro, la libertà di commercio con l'America da cui erano sempre stati esclusi.

Secondo Pierre Vilar, che pure non ha sottovalutato i risultati ottenuti nel

28 Cfr. J. REGLÀ, La Espaik de los dos ultimos Austrias, in Historia de Espaik y America social y económica, dirigida por J. Vicens Vives, vol. III. Los Austrias. Imperi° espagol en America, Barcelona, 1985 (1. ediz. 1961), pp. 204-317, la citazione è a p. 206; per le problematiche econo- mico-sociali cfr., oltre a Reghl, gli autori già citati (Kamen, Lynch, Domínguez Ortiz, etc.).

29 J. NADAL, La población espaiiola (siglos XVI a XIX), Barcelona, 1984, pp. 25-27,86-88.

3° Sui vari tentativi fatti in questo senso cfr. Ibidem, pp. 62-77; P. MORAS RIBALTA, Reactivación económica y cambios sociales en los países de la Corona de Castilla, in La transición del siglo XVII cit., pp. 616-617; H. KAMEN, La Esparia cit., pp.107-174; J. LYNCH, Espaík bajo cit., pp. 365-383; J. REGIA, La Spagna e il suo impero, in UNIVERSITÀ DI CAMBR1DGE, Storia del Mondo moderno, V. La supremazia della Francia (1648-1688), a cura di F. L. Carsten, Milano, 1988 (1. ediz. inglese 1978), pp. 470-489 (il riferimento è a p. 474).

31 Sugli interventi di carattere economico-finanziario cfr. in particolare J. CARRERA PUJAL, Historia de la Economia Espariola, torno II, Barcelona, 1944, pp. 5-107; J. REGLA, La época cit., pp. 227-239; cfr. anche A. DOMINGUEZ ORTIZ, Politica fiscal v cambio social en la Espaiza del siglo XVII, Madrid, 1984. La coniazione del vellém, moneta costituita in origine da una lega di rame e argento, poi di solo rame, che aveva un valore nominale non corrispondente a quello intriseco, molto più basso, fu causata dalla scarsità delle riserve di oro e d'argento verificatasi a partire dalla fine del Cinquecento; essa provocò una svalutazione generale della moneta, con alterazione nei cambi e nel valore (cfr., oltre agli autori citati, H. KAMEN, La Espaik cit., pp.

169-172; J. LYNCH, Espalía bajo cit., pp. 377-382).

(19)

lavoro artigianale e manifatturiero, la rinascita fu favorita dagli interventi nel settore agricolo dove era stata diversificata la produzione al fine di incrementare gli scambi commerciali32.

Il quadro di generale decadenza ha lasciato dunque íl passo ad una inver- sione di tendenza. Kamen ha datato i primi segnali della ripresa già a parti- re dalla seconda metà del Seicento; poi con la fine delle pestilenze si regi- strò un lento ma costante incremento demografico anticipatore dei progres- si settecenteschi33.

Il nuovo corso faceva dire a Narciso Feliu de la Penya — giurista barcello- nese molto vicino agli ambienti mercantili e considerato uno degli artefici della rinascita — che Carlo II era il «millor rey que ha tingut Espanya» 34. In questa prospettiva, proprio gli anni identificati come quelli della decadenza, devono invece essere considerati il momento iniziale della ripresa settecen- tesca che diede vita ad un nuovo assetto economico e sociale. Tra la fine del XVII secolo e il principio del XVIII, «in quella zona incerta» in cui è diffi- cile muoversi, secondo l'espressione di Paul Hazard, si assiste non solo ad un consistente e diffuso sviluppo economico, ad un aumento della popola- zione, al riassetto della finanza pubblica ma anche a nuovi fermenti nel campo delle scienze e del pensiero filosofico preparatori della successiva età delle riforme 35.

In particolare gli ultimi anni del secolo, nei quali maturò la lotta per la successione al trono, favorirono la formazione di «una nuova coscienza europea» nel cui quadro i partigiani dell'arciduca Carlo d'Austria appariva- no come i difensori del «barroquismo agonizante, caduco y castizo» mentre i seguaci di Filippo V e della Francia venivano considerati come riformatori ed europeisti 36. I "filippisti" sentivano la necessità di darsi una nuova iden-

32

Cfr. sul tema della ripresa catalana l'approfondito quadro in P. vn.AR,

La Catalogne dans l'Espagne Moderne. Recherches sur le fondements économiques des structures nationales,

voll. 3, Paris, 1962, trad. cat.

Catalunya dies l'E.spanya moderna,

vol. Il, Barcelona, 1984, pp. 373 ss; vedi anche C. IVIARTINEz St tAw,

Cataluna en la carrera de Indias 1680-1756,

Barcelona, 1981, pp.

72 ss.

33 H. KAMEN, La Espaizi

cit., pp. 67-106.

34

Su Narciso Feliu de la Penya «el hornbre clave de la recuperación de Cataluíia» cfr. H.

KAMEN,

La Esparia

cít., pp. 133-140 e N. FEL1U DE LA PENYA,

Fénix de Catalui-la

(Barcelona 1683) con estudio introductorio de H. KAMEN, Barcelona, 1975. Sulle differenze esistenti tra Castiglia e Corona d'Aragona cfr. le interessanti considerazioni di J. REGLA CAMPISTOL,

La Corona de Aragón dentro de la Monarquía Hispanica de los Habsbzergo,

in

111. La Corona de Aragón en el siglo XVI,

VIII Congreso de Historia de la Corona de Aragón (Valencia 1-8 otto- bre 1967), Valencia, 1973, pp. 131-164, la citazione è a p. 159.

35

Cfr. P. HAZARD,

La crise de la conscience europeenne: 1680-1717,

Paris, 1934, trad. it.

La crisi della coscienza europea,

a cura di P. Serini, Milano, 1946, pp. IX, 481- 494.

36

J. REGLA CAMPISTOL,

La Corona de Aragón

cit., p. 158. Sulle posizioni assunte dai parti- giani austriacanti contro l'assolutismo borbonico, a difesa del sistema costituzionale rappresen- tativo e del ristabilimento dei

fueros,

cfr. E. LLUCH,

L'alternativa catalana (1700-1714-1740).

Ramon de Vilana i Juan Amor de Soria: teoria i acció austriacistes,

Vich, 2000 (Referències. 27).

19

(20)

títà recuperando i loro trascorsi culturali in chiave innovativa, con lo sguar- do rivolto in particolare all'assolutismo francese; i "carlisti" invece propen- devano per una difesa del passato, dei privilegi, dei fueros e delle franchigie economiche 37 .

Gli Stati italiani durante il regno di Carlo II sono stati considerati dagli storici — come rileva Luis Antonio Ribot Garda — ai margini degli interessi della Corona 38

.

Giuseppe Galasso afferma che proprio «l'indebolimento della monarchia costringeva [le autorità di governo] a coordinare gli sforzi e le iniziative dei suoi sparsi domini italiani molto di più di quanto fosse mai accaduto prima», come se «nel momento del declino si raggiungesse la consapevolezza dell'unità dinastica» 39

.

In effetti la corte di Madrid, pur riconoscendo le singole "autonomie" istituzionali, teneva saldamente legati a sé i regni italiani, che costituivano un serbatoio di risorse umane e finan- ziarie indispensabile per il mantenimento delle strutture amministrative e militari della Spagna 40 .

Nello Stato di Milano, sedati gli scontri che avevano caratterizzato la prima metà del secolo XVII e superata la diarchia tra Senato e governatore, gli anni di Carlo II si caratterizzarono per la politica rivolta a favorire la piena integrazione tra gli elementi spagnoli e l'aristocrazia locale 41

.

Si trattò di un periodo di espansione: la maggior parte dei capitali fu destinata all'ac-

37 Sulle tesi e le prospettive aperte dalla storiografia spagnola tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII, in merito soprattutto alle origini dell'illuminismo spagnolo, cfr. G. STIFFONI, Verità della storia cit., Milano 1989, e R. GARCIA CARCEL, R. M. ALABRÚS IGLESIAS, Espaiia en 1700. dAustrias o Borbones?, Madrid, 2001.

38 L. A. RIBOT GARCIA, La Espaiia de Carlos II cit., p.180.

39 G. GALASSO, Alla periferia dell'impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, 1994, p. 327.

40 Sul Seicento italiano cfr. C. M. CIPOLLA, Il declino economico dell'Italia, in Storia dell'eco- nomia italiana, a cura dí C. M. Cipolla, 1. Secoli VII-XVIII, Torino, 1959, pp. 605-623; R.

ROMANO, La storia economica. Dal secolo XIV al Settecento, in Storia d'Italia, vol. 2, Dalla cadu- ta dell'Impero romano al secolo XVIII, Torino, 1974, pp. 1885-1931; S. Worms, Il problema della «decadenza» italiana nella recente storiografia, in «Clio. Rivista trimestrale di studi storici», XI (1975), nn. 1/4, pp. 103-122; P. MALANIMA, L'economia italiana nel Seicento, in Storia della Società Italiana, vol. 11, La Controriforma e il Seicento, Milano, 1989, pp. 149-188; Storia dell'e- conomia italiana, Il. L'età moderna: verso la crisi, a cura di R. Romano, Torino, 1991.

41 Sulle vicende politico-istituzionali ed economiche dello Stato di Milano cfr. Storia di Milano, vol. XI. Il declino spagnolo (1630-1706), Fondazione Treccani degli Alfieri, Milano, 1958; D. SELLA, Sotto il dominio della Spagna, in Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, vol. XI;

D. SELLA, C. CAPRA, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, Torino, 1984, pp. 3-149; G.

SIGNOROTTO, Milano e la Lombardia sotto gli spagnoli, in Storia della Società cit., pp. 189-223;

In., Il marchese di Caracena al governo di Milano (1648-1656), in L'Italia degli Austrias cit., pp.

135-181; A.

ALVAREZ

OSSORIO ALVARINO, Gobernadores, agentes, y corporaciones: la corte de Madrid y el Estado de Milan (1669-1675), ibidem, pp. 183-288; R. CANOSA, Milano nel Seicento.

Grandezza e miseria nell'Italia spagnola, Milano, 1993, a cui si rimanda anche per gli apparati bibliografici. Sull'azione del Senato e del governatore e sulle loro competenze, cfr. ancora U.

PETRONIO, Il Senato di Milano. Istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Ducato di Milano

(21)

quisto di terre, si moltiplicarono i dissodamenti e i disboscamenti e si realiz- zarono una serie di interventi che portarono al miglioramento e alla diversi- ficazione della produzione agricola che costituirono la base del successivo sviluppo economico del territorio42 .

Nel Regno di Napoli, nel periodo di Carlo II, si intensificò la contrappo- sizione fra nobiltà locale (titolati e feudatari) e ceto togato che ricopriva incarichi di prestigio all'interno dell'amministrazione e sul quale il viceré poteva contare". Il Parlamento, sede istituzionale preferita dai baroni, era ormai esautorato: non si riuniva più dal 164244. In campo economico si assisteva alla diminuzione della produzione cerealicola, alla chiusura delle manifatture seriche, alla contrazione del commercio e all'instabilità moneta- ria. Una netta inversione di tendenza vi fu, però, negli anni 1683-87 grazie all'incisiva azione del viceré marchese del Carpio. Egli risanò l'economia

da Carlo V a Giuseppe II, Milano, 1972; G. P. MASSETFO, Avvocatura fiscale e giustizia nella Lombardia spagnola: nota su un manoscritto seicentesco, Milano, 1980; La Lombardia spagnola:

nuovi indirizzi di ricerca, a cura di E. Brambilla, G. Muto, Milano, 1997 (Storia lombarda. 1);

nell'opera cfr. in particolare A. ALVAREZ-OSSORIO ALVARINO, Corte y provincia en la monarquía católica: la corte de Madrid y el Estado de Milan, 1660-1770, in L'Italia degli Austriaci cit., pp.

283-341.

42 Sul declino delle manifatture a vantaggio della proprietà fondiaria cfr., oltre agli autori già citati, G. QUAZZA, Il ritorno alla terra: Milano, in La decadenza italiana nella storia europea, Torino, 1971, pp. 52-62, e gli interessanti approfondimenti di A. DE MADDALENA, A Milano nei secoli XVI e XVII: da ricchezza «reale» a ricchezza «nominale»?, in «Rivista storica italiana», LXXXIX (1977), fasce. III- I V, pp. 539-561; D. SELLA, L'economia lombarda durante la domina- zione spagnola, Bologna 1982; ID., Sotto il dominio cít., pp. 16-17, 137-149.

43 Numerosa la bibliografia relativa alle vicende politiche e sociali che hanno caratterizzato il Regno di Napoli durante la monarchia di Spagna ed in particolare nel Seicento; per brevità ci si limita ad indicare, oltre alla poderosa opera diretta da E. PONTIERI, Storia di Napoli, vol. VI.

Tra Spagna e Austria, le ormai classiche ma fondamentali opere di B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, nell'ediz. a cura di G. Galasso, Milano, 1992 e in particolare Il «viceregno» e la mancan- za di vita politica nazionale, alle pp. 137-210, e di R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli.

Le origini (1585-1647), Roma-Bari, 1973; e i più recenti G. MUTO, Il regno di Napoli sotto la dominazione spagnola, in Storia della società cit., pp. 225-316; ID., Come leggere il Mezzogiorno spagnolo. Fonti e problemi storiografici in studi recenti, in L'Italia degli Austrias cit., pp. 55-80 e G. GALASSO, Alla periferia dell'impero cit., in cui l'autore sottolinea il ruolo determinante che ebbe la Spagna nella formazione di uno «Stato moderno» nel Napoletano; cfr. anche R.

AIELLO, Una società anomala. Il programma e la sconfitta della nobiltà napoletana in due memo- riali cinquecenteschi, Napoli, 1996; ID., La crisi del Mezzogiorno nelle sue origini: la dinamica sociale in Italia ed il governo di Filippo II, in Napoli e Filippo II. La nascita della società moderna nel secondo Cinquecento, Napoli, 1998, pp. 13-34. Sugli organi dell'amministrazione centrale e periferica del Regno di Napoli cfr. in particolare l'analisi elaborata da G. INTORCIA, Magistrature del regno di Napoli. Analisi prosopografica. Secoli XVI-XVII, Napoli, 1987. Sui problemi del rapporto istituzionale tra Napoli ed il Regno e sul ruolo di città capitale, cfr. i saggi raccolti in G.

D'AGOSTINO,

Per una storia di Napoli capitale, Napoli, 1988. Sull'aspetto urbanistico della città in epoca spagnola cfr. C. DE SETA, Napoli, Roma-Bari, 1981, pp. 95-162.

44 Sulle assemblee rappresentative del Regno di Napoli cfr. E. CROCE, I Parlamenti napoleta- ni sotto la dominazione spagnola, in «Archivio Storico per le Provincie Napoletane», XXII (1936), pp. 341 e ss.; Il Parlamento Generale del Regno di Napoli nell'età spagnola. I. 1556-

(22)

prendendo misure a favore degli agricoltori, degli artigiani e dei mercanti e cercò di frenare lo strapotere del ceto nobiliare adoperandosi nello stesso tempo a rafforzare la posizione dei letrados 45

.

La contrapposizione fra i due gruppi si acuì durante la lotta per la successione a Carlo II, quando la vecchia aristocrazia si schierò apertamente con Madrid e quindi con i Borboni, nel tentativo di vedere riconfermati i propri privilegi, mentre il

«ceto civile» parteggiò per gli Asburgo46

.

Nel Regno di Sicilia era invece il baronaggio a costituire il punto di forza del viceré ed il Parlamento rappresentava l'istituzione pattista nella quale, dietro la conferma di prerogative e la concessione di grazie, il regno votava i contributi47. A Palermo risiedevano le istituzioni governative e l'aristocra- zia; la città, cuore del potere feudale, rappresentava dunque la Sicilia dei latifondi granari. Messina, invece, sede di rilevanti traffici commerciali lega- ti al mercato della seta, era dominata da un ceto borghese trasformatosi poi in patriziato urbano. I due centri erano portavoce di interessi diversi: la prima vagheggiava una sorta di indipendenza, la seconda una "repubblica"

cittadina. La crisi economica del Seicento, che non aveva risparmiato l'isola, fece di Palermo una città sempre più aristocratica ed opulenta mentre

1596, a cura di G. D'Agostino, Napoli, 1984; ID., Parlamento e società nel regno di Napoli, seco- li XV-XVII, Napoli, 1979; A. Musi, Parlamenti; rappresentanze, sistemi di potere: il caso del Regno di Napoli tra XVI e XVII secolo, in Istituzioni rappresentative cit., pp. 251-254 ed ancora G. D'AGOSTINO, Parlamenti e assemblee di stati nei territori italiani della Corona d'Aragona (secoli XIII-XVII). I casi della Sicilia, della Sardegna e di Napoli, in La Corona d'Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII) cit., 2. Presenze ed espansione della Corona d'Aragona in Italia (secc. XIII- XV), vol. 3, Sassari, 1996, pp. 347-353. Cfr. sul ruolo preminente del baronaggio all'interno delle Corti gli studi di R. /VELLO, Benedetto Croce e la storia "ideale"del Regno di Napoli; in

«Archivio storico per le Province Napoletane», CX (1992), pp. 351-440.

45 Sull'importante viccregno del marchese del Carpio cfr. in particolare G. GALASSO, Napoli spagnola dopo Masaniello: politica, cultura, società, Napoli, 1972 (1. ediz.).

46 Sulla società napoletana nel periodo a cavallo tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del Settecento cfr. R. COLAPIETRA, Vita pubblica e classi politiche nel viceregno napoletano (1656-1734), Roma, 1961.

47 Sulle vicende relative alla Sicilia cfr. G. E. DI BLASI, Storia cronologica dei viceré, luogote- nenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo, 1867, pp. 393-493; Storia della Sicilia, diretta da R. Romeo, in particolare i voli. VI e VII, Palermo, 1978; V Scuri Russi, Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI- XVII, Napoli, 1983, pp. 191 e ss.; D.

MACK SMITH, Storia della Sicilia medievale e moderna, Roma-Bari, 1983; fondamentale G.

GIARRIZZO, La Sicilia dal Cinquecento all'Unità d'Italia, in V. D'ALESSANDRO, G. Gi1uuuzzo, La Sicilia dal Vespro all'Unità d'Italia, in Storia d'Italia cit., vol. XVI, Torino, 1989, pp. 263-362; D.

LIGRESTI, Per un'interpretazione del Seicento siciliano, in L'Italia degli Austrias cit., pp. 81-106.

Sul Parlamento siciliano cfr. C. CALISSE, Storia del Parlamento in Sicilia dalla fondazione alla caduta della monarchia, Torino, 1887; G. BuTrA, Il Parlamento siciliano tra tradizione e riforma, in Storia della Sicilia cit., vol. VII, pp. 23-53; e Il Parlamento del 1505. Atti e documenti, a cura di R. Cancila, Catania, 1993; Il Parlamento del 1612. Atti e documenti, a cura di V. Sciuti Russi, Catania, 1985; Il Parlamento del 1615. Atti e documenti, a cura di E Vergara, Acireale (CT), 1991.

(23)

Messina, a causa del crollo del mercato della seta, perse il ruolo di città bor- ghese mercantile".

La rivolta scoppiata negli anni

1674

-

78

rappresentò il tentativo dell'oli- garchia messinese di sganciarsi dal governo spagnolo e dall'aristocrazia palermitana per entrare nell'orbita francese49. Ma, nella "gara municipale"

con Palermo, Messina ebbe la peggio: sconfitti i rivoltosi, seguì una dura repressione che portò all'annullamento di tutte le prerogative autonomisti- che municipali 50. Gli ultimi anni del secolo furono caratterizzati da una sorta di paralisi politica: Palermo attendeva ormai con rassegnazione la suc- cessione al trono di Filippo di Borbone, mentre Messina contrattava il suo autonomismo con il fiscalismo di sempre.

Il Regno di Sardegna costituiva per la monarchia spagnola il dominio meno importante 51

.

La sua economia, povera ed arretrata, basata esclusivamente sulla produzione cerealicola e sulla pastorizia, riusciva ad alimentare so' una modesta esportazione e, d'altro canto, la scarsità di risorse finanziane locali rendeva del tutto trascurabile la richiesta e l'importazione di manufat- ti, per cui i mercanti non erano sollecitati a frequentare gli scali portuali 52

.

48 C. DE SETA, L. DI MAURO, Palermo, Roma-Bari, 1980, pp. 65-92; A. IOLI GIGANTE, Messina, Roma-Bari, 1986, pp. 55-75.

49 Sui movimenti rivoluzionari in Sicilia cfr. R. VILLAR1, La rivolta di Messina e la crisi del Seicento, in La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo nella seconda metà del Seicento, Atti del Convegno storico internazionale (Messina 10-12 ottobre 1975) a cura di S. Di Bella, Cosenza, 1979, pp.11-39; L. A. RIBOT GARCIA, La revuelta antispagola de Mesina. Causas y antecedentes (1591-1674), Valladolid, 1982; E BENIGNO, La questione della capitale: lotta poli- tica e rappresentanza degli interessi nella Sicilia del Seicento, in «Società e Storia», n. 47 (1991), pp. 27-63; in particolare sulle differenze con i moti napoletani, cfr. A. Musi, La rivolta antispa- gnola a Napoli e in Sicilia, in Storia della società cit., pp. 317-358.

• 50 II viceré spagnolo conte di Santo Stefano, per cancellare la memoria cittadina, fece sparire dall'archivio municipale, portandoli nella madrepatria, tutti i privilegi e le carte di franchigia che la città possedeva, cfr. A. SPARTI, Il fondo Messina della Casa ducale Medinaceli di Siviglia e A. SANCHEZ, Messina a Sevilla. El largo peregrinar de un archivo siciliano por tierras espaliolas, entrambi in Messina. Il ritorno della memoria, Palermo, 1994, pp.119-128, 129-142; cfr. anche A. MATTONE, Sull'utilità e il danno degli archivi per la vita degli uomini, in «Le carte e la storia», III (1997), n.1, p. 27.

51 Sull'insularità e l'isolamento della Sardegna cfr. A. MATTONE, La Sardegna nel inondo mediterraneo, in L'età moderna cit., pp. 13-64. Sulle vicende storiche e sulle problematiche di carattere sociale, economico ed istituzionale in epoca spagnola cfr. inoltre J. ARCE, Espaiia en Cerdeiia. Aportación cultural y testimonios de su influjo, Madrid, 1960; B. ANATRA, G. PUDDU, G. SERRI, Problemi di storia della Sardegna spagnola, Cagliari, 1975; G. SORGIA, La Sardegna spa- gnola, Sassari, 1982; B. ANATRA, Dall'unificazione aragonese ai Savoia, in J. DAY, B. ANATRA, L.

SCARAFFIA, La Sardegna medioevale e moderna, Torino, 1984, pp. 365-663 (Storia d'Italia. X);

ID., La Sardegna "spagnola»: una crisi lunga un secolo, in L'Italia degli Austrias cit., pp. 107-118;

La società sarda in età spagnola, a cura di F. Manconi, voli. 2, Cagliari, 1992-1993.

52 B. ANATRA, Economia sarda e commercio mediterraneo nel Basso Medioevo e nell'Età Moderna, in L'Età Moderna cit., pp. 109-216.

(24)

Il suo gettito fiscale ordinario era quindi molto modesto ma, nonostante le limitate risorse di cui disponeva, l'isola contribuì con cospicui finanziamen- ti alla realizzazione della politica internazionale della monarchia e, contra- riamente a quanto avvenne a Napoli e in Sicilia, non vi furono aperte ribel- lioni antispagnole. La Sardegna veniva sempre tenuta in conto dai sovrani per la sua innata fidelitat e i funzionari regi nella loro azione di governo tro- vavano pieno sostegno non solo nei rappresentanti della nobiltà e del clero, ma anche nel ceto togato e nelle oligarchie urbane, a cui assegnavano feudi, titoli e habitos, concedevano diritti di esportazione, pensioni, arrendamenti e regalie ".

Tuttavia, proprio nei primi anni del regno di Carlo II il clima politico si offuscò. Le cattive annate agricole, le sempre più ingenti richieste di denaro da parte di Madrid, le epidemie di peste e le ripetute carestie portarono ad uno stato di tensione molto forte 54

.

L'istituzione parlamentare fu la sede in cui si manifestarono apertamente i primi dissensi all'azione di governo. Nel 1666, in occasione del Parlamento del viceré marchese di Camarassa, si verificò una vera e propria crisi politico-istituzionale: da una parte gli Stamenti decisi a votare il donativo solo dopo il riconoscimento e il rispetto di alcune prerogative fondamentali (l'esclusività delle cariche e delle prela- ture ai sardi), dall'altra il viceré che, per nulla disposto a cedere, sciolse l'as- semblea nel maggio 1668, dopo vari tentativi di mediazione. Seguirono, a distanza di due mesi, l'uccisione di don Agostino di Castelvì, marchese di Laconi, che come prima voce del Militare aveva sostenuto a Madrid le ragioni del Parlamento, ed un mese dopo quella dello stesso marchese di Camarassa. Una dura reazione accompagnata dalla condanna a morte dei

" Sul ruolo della nobiltà in Sardegna cfr. in particolare F. LODDO CANEPA, Cavalierato e nobiltà in Sardegna (Note storico-giuridiche), in «Archivio storico sardo», XVIII (1931), fase. 1, pp. 1-42; ID., Nuove ricerche sul regime giuridico della nobiltà sarda, in «Archivio storico sardo», XVIII (1931), fasc. IV, pp. 227-319. Lo stesso autore faceva notare come nell'ultima parte del secolo XVII si registrò un aumento considerevole dei titolati: «la Corona fu piuttosto parca, durante i primi tre secoli della conquista, nella concessione di diplomi di cavalierato e nobilità, agli indigeni, allora tenuti in sospetto, mentre ricompensò ampiamente, con feudi e titoli nobi- liari le più note e cospicue famiglie di origine iberica. Solo nei secoli XVII e XVIII essa segue per ragioni fiscali, (diritti di concessione nobiliare, dí sigillo e di mezz'annata), una condotta diversa creando a tutto spiano in Sardegna cavalieri e nobili, íl cui numero crebbe rapidamente, fino a raggiungere la cifra complessiva dí circa seicento, nelle ultime Corti del 1688 e 1698»

(cfr. Le prove nobiliari nel Regno di Sardegna. Estratto da Ad Alessandro Luzio gli Archivi di Stato italiani. Miscellanea di studi storici, Firenze, 1933, tip. 109-123, il passo è a p. 110).

54 Cfr. B. ANATRA, I fasti della morte barocca in Sardegna fra epidemia e carestia, in «Incontri meridionali», IV (1977), pp. 117 e ss; e soprattutto i saggi di F. MANCON1, Il grano del re.

Uomini e sussistenze nella Sardegna d'antico regime, Sassari, 1992, in particolare Gli anni della fame, pp. 14-48; ID., Il trionfo della morte fra peste e carestia, in La società sarda cit., pp. 14-23;

ID., Castigo de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Roma, 1994.

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