• Non ci sono risultati.

Pregare in ascolto. Introduzione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Pregare in ascolto. Introduzione"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)

Sussidi per la preghiera personale dopo gli EVO - 6 dicembre 2013

Pregare … in ascolto

Quest’anno per la preghiera quotidiana seguiremo l’itinerario proposto dal Card.

Carlo Maria Martini nel testo: “Gli Esercizi Ignaziani alla luce del Vangelo di Luca” ed. AdP. In questa proposta non troverete il testo del Cardinal Martini, ma un sunto preparato da alcune guide.

Introduzione

Questa sesta meditazione conclude la tappa degli Esercizi chiamata Prima Settimana,coincide con la fine del primo anno degli EVO. Nelle meditazioni precedenti abbiamo fatto esperienza della nostra “peccaminosità” e insieme vissuto l’esperienza di Dio Amore Misericordioso che ci libera, ci rinnova, ci rigenera, ci riaccoglie sempre come Suoi figli. Amore infedele il nostro, amore tenacemente fedele e paziente il Suo.

Serviamoci di questo sussidio per la nostra preghiera: utilizzeremo la scheda per diversi “tempi di sosta” fermandoci nei punti dove troviamo nutrimento spirituale, senza fretta di passare avanti perché, come ci insegna Sant’Ignazio, “non è il conoscere e sapere molte cose che soddisfa lo spirito, ma il sentirle e gustarle interiormente”.

Chiederemo le tre grazie suggerite da Sant’Ignazio nel “libretto degli Esercizi. La domanda di queste tre grazie orienterà la preghiera dei prossimi quindici giorni.

Consigliamo, a chi lo avesse abbandonato o trascurato, di riprendere l’uso dell’ESC (S.P.16): è un mezzo prezioso per cogliere come il Signore ci stia conducendo e come noi rispondiamo ai suoi inviti. Educherà la nostra capacità di vigilanza e ci farà vivere ogni attività della nostra vita quotidiana con la consapevolezza che anche

“questo tempo contingente” è un “esercizio spirituale”, luogo di offerta di sé, di apertura alla grazia di Dio, di conversione del cuore

Come siamo stati invitati alla fine del primo anno EVO, (S.P.17), vi invitiamo nuovamente a ricevere il Sacramento della Riconciliazione.

Il papa Francesco nella udienza di mercoledì 7 novembre ha detto: “Anche i sacerdoti devono confessarsi, anche i vescovi, anche io mi confesso, ogni quindici giorni, perché anche il papa è un peccatore… e il confessore sente le cose che gli dico, mi consiglia e mi dà il perdono. E ho bisogno di questo perdono”.

Inoltre, lasciamoci interrogare da quest’insistenza di Sant’Ignazio. Egli si esaminava molto, anche nella fase più avanzata della sua vita mistica, era fedele all’esame della giornata (l’ESC): se continuava a farlo, vuol dire che trovava motivi concreti per cui leggere il suo mondo interiore. Non dava niente per scontato.

Domandiamoci quindi se c'è qualcosa che non funziona nella nostra vita spirituale, quando i nostri esami ci sembrano superflui, quando ci sembra che siano una perdita di tempo, una cosa che si fa “pro forma”.

(2)

Sesta Meditazione SULLA VIA PENITENZIALE

Nella Prima Settimana degli Esercizi Sant’Ignazio consiglia di chiedere tre grazie [63]:

la prima perché io senta profonda conoscenza dei miei peccati e ne senta disgusto;

la seconda perché senta il disordine delle mie attività in modo tale che, detestandolo, mi corregga e mi riordini;

la terza per chiedere conoscenza del mondo così da biasimare e allontanare da me le cose mondane e vane.

Queste tre grazie vengono chieste per tre volte, con tre colloqui: prima con Maria perché mi ottenga grazia da suo Figlio, poi con il Figlio perché me le ottenga dal Padre e infine con il Padre perché me le conceda.

Chiediamo anche noi, con il triplice colloquio, queste tre Grazie usando la stessa insistenza di Sant’Ignazio (ci ricorda la preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi).

Siamo invitati a insistere ancora “sulla via penitenziale”: chiediamo che il Signore ci conceda di conoscere meglio il peccato che si annida in noi e ci conceda, con la Sua grazia, di rieducare il nostro cuore, di trasformare la nostra affettività e di allineare il nostro cammino al cammino di Dio.

Vi propongo alcune vie che ci guideranno alla ricerca della radice della nostra tendenza al peccato.

Il timore di perdere (Eb 2, 14-15)

Leggiamo il passo indicato della lettera agli Ebrei. È un testo fondamentale per capire la radice della tendenza al peccato che sta nell’uomo, la sua fragilità di fronte a tutte le scelte che richiedono un atto di coraggio e di umiltà di cuore: siamo soggetti a schiavitù per tutta la vita.

Tale schiavitù non abbandona mai l’uomo, può riapparire in ogni momento dell’esistenza: è la paura di perdere, è l’incapacità a compiere azioni in cui c’é un rischio e non si vede chiaramente ciò che ne può derivare.

Prigionieri di questa schiavitù, la morte poi diventa la perdita assoluta, il segno e culmine di tutte le perdite, di tutte le sconfitte, di tutti gli insuccessi, dei fiaschi da cui vogliamo fuggire chiudendoci in un castello di egoismo.

Questa nostra “impotenza” non è altro che “paura di dare la vita”.

Ci sarà di aiuto riferirci all’esperienza di Abramo, nostro padre della fede.

Rileggiamo il capitolo 12 della Genesi: Abramo si muove con entusiasmo, sembra obbedire con determinazione alle parole “Vattene dalla tua terra…”.

Pochi versetti dopo leggiamo che lo stesso Abramo, per paura di perdere la vita, diventa menzognero, fino a sacrificare l’onore di Sarai, la donna per mezzo della quale Dio gli aveva promesso di dargli discendenza. Dio ha promesso la nascita di

(3)

un figlio, ma non nasce, la promessa di Dio tarda a realizzarsi. Per questo la fede di Abramo tentenna.

Vediamo quali difficoltà, quali tentennamenti attraversi questa povera fede di Abramo. Egli recalcitra. Di fronte alle promesse di Dio si mostra scettico e ride.

Arriva a chiedere al Signore: “Che cosa mi darai?”. Cerca per conto proprio delle uscite di sicurezza, si dà da fare per trovare da solo la soluzione (Gen 16,17).

in ognuna di queste occasioni, Dio continua a verificare l’autenticità del suo abbandono a Lui, a chiedergli la sua parola di adesione e non si stanca di cercarlo, e Abramo gradualmente abbandona la sua sfiducia, si misura con le sue insicurezze, impara a sbarazzarsene per camminare liberamente. Ma quale cammino faticoso!

Che cosa avremo fatto noi al posto di Abramo?

Nelle situazioni gravi, difficili, non abbiamo la certezza di riuscire a essere in grado di sopportare le persecuzioni e di non cadere in raggiri. Cerchiamo di assicurarci che ci sia sempre una uscita di sicurezza, che le cose non vadano troppo male…

La Parola della Lettera agli Ebrei ci rivela la radice della nostra ambiguità.

Dio non ci rimprovera per la nostra fragilità, ma ci chiede di riconoscerla perché possiamo con nuova fiducia sottometterci alla “potenza” della sua Parola e avere fede nella sua promessa di liberarci.

Riconosciamoci nelle parole dei Salmi: “Sono un peccatore… la tua grazia mi sostiene… sotto le tue ali mi rifugio…”. Queste parole che Dio ci pone nel cuore esprimono la certezza di essere amati e accolti da Lui. Le possiamo esprimere in una situazione avversa, imprevista, drammatica, in cui ci troviamo di fronte ad eventi che possono cambiare la nostra vita: una improvvisa malattia, un incidente, una morte…

“Signore che cosa ne hai fatto della vita di Abramo, che cosa vuoi fare di me?”

I movimenti del nostro cuore e le sue tendenze (Mc 7, 21-23) (Mt 15, 15-20)

Nel testo c’è un elenco di “intenzioni cattive”, di “propositi di male” che escono dal

“di dentro dell’uomo”. A prima vista tale elenco sembra lontano dalla nostra esperienza, ma in realtà sottolinea atteggiamenti, tendenze, movimenti del nostro cuore che ci toccano e ci riguardano da vicino, costituiscono la radice dei nostri peccati.

Non è un elenco rivolto agli uomini cattivi, ma a ciascuno di noi.

Esaminiamo le singole intenzioni cattive, una per una: forse riconosceremo come nostre anche quelle che, a prima vista, ci sembrano estranee. Cominciamo dal fondo.

L’ultima è la stoltezza. Gesù rimprovera chi fa progetti senza tener conto di Dio (Lc 12,19-20): “stolto” è chi si basa solo su se stesso, sulla sua autonomia, vive come se Dio non esistesse. Solo quando è colpito da un cambiamento improvviso, si rende conto che gli manca, in parte o in tutto, la disponibilità all’accoglienza del disegno di Dio; allora si deprime per i disguidi che buttano all’aria i suoi progetti, si inquieta perché scopre di non essere come gli piacerebbe.

La superbia è molto affine alla stoltezza. È biasimata da Maria nel suo Magnificat

(4)

(Lc 1,51): è caratteristica di coloro che hanno potere, di chi si sente il padrone delle cose che gli sono affidate; consiste nel credere di essere importanti, superiori agli altri, di valere molto per quello che si possiede, di poter contare su appoggi, amicizie ragguardevoli; induce alla convinzione di avere il diritto di giudicare.

Passiamo alla calunnia: quante calunnie ci sono in giro, quanti giudizi e pregiudizi affrettati, maligni… si fa calunnia quando si parla male di un singolo o di una comunità con il desiderio di metterlo in cattiva luce, insistendo su colpe o su negatività, spesso non vere ma solo presunte. Quasi sempre, la calunnia deriva dall’invidia. Gesù chiama l’invidia “occhio cattivo” (Mt 20,15). Anche questo movimento esce impercettibilmente dal nostro cuore e ci prende senza che ce ne accorgiamo: non vogliamo che l’altro conti di più o stia meglio di noi, stiamo attenti che non riceva di più, che non abbia maggior risultato o successo… ci porta a ragionare come gli operai che sono andati alla vigna alla prima ora. Continuiamo a scorrere a ritroso questo elenco…

Prendiamo coscienza delle tendenze che ci portano ad assumere atteggiamenti negativi di cui non ci accorgiamo e che non riconosciamo come colpa: senza che ce ne rendiamo conto, possono diventare nostro stile di vita. Il brano del Vangelo di Marco evidenzia quanto siamo lontani dallo stile di vita di Gesù.

Riconosciamo questa lontananza. È il solo modo per lasciarci guarire e liberare da Lui.

Le colpe collettive, di cui siamo corresponsabili

La Chiesa riconosce atteggiamenti, azioni, carenze, omissioni che contribuiscono di fatto a conservare situazioni di ingiustizia. Riconosce di non essere stata immune, nel corso della storia, da pregiudizi verso i fratelli separati e gli ebrei, dal compimento di ingiustizie, dal desiderio di potere e di ricchezza…

Il Papa Giovanni Paolo II, anni fa in un Venerdì Santo, ha chiesto pubblicamente perdono a nome della Chiesa di tutte queste colpe commesse nei secoli.

Dobbiamo essere consapevoli della nostra compartecipazione alle colpe collettive, che possiamo e dobbiamo rinnegare.

L’ideale di comunità che siamo chiamati a realizzare

Noi tutti viviamo in qualche forma di vita comunitaria: famiglia, comunità religiose…

Anche le persone che vivono sole sono inserite in una rete di relazioni comunitarie.

Si può definire comunità un insieme di persone che sono legate tra di loro da vincoli d’affetto o di amicizia o di unione spirituale, che danno luogo a interdipendenza e corresponsabilità.

Chiediamoci: quale ideale di comunità ci propone la Scrittura, la Chiesa? In che modo noi favoriamo la sua realizzazione nella nostra realtà quotidiana? Oppure, col nostro comportamento la allontaniamo, la rendiamo inattuale, inutile, un guscio vuoto?

Dopo ogni incontro con una persona ci dovremmo chiedere, come faceva Sant’Ignazio, come abbiamo accolto quella persona, come abbiamo agito, come

(5)

l’abbiamo ascoltata, come ci siamo preoccupati delle sue cose, come abbiamo contrastato in noi la tentazione di non voler sentire…..

Se facessimo questo esame ci accorgeremmo di quanto siamo recalcitranti al richiamo a costruire dei rapporti di fraternità. Solo se ci sentiamo mancanti, bisognosi del perdono e della misericordia di Dio e dei fratelli, la strapotenza della grazia di Dio ci può rendere pienamente umili e liberi, disponibili a lasciarci usare e correggere, uniti nella fede in una comunità vera.

Con le nostre sole forze possiamo formare solo “comunità” utilitaristiche fondate sulla convenienza e sullo scambio, “do ut des”, come i pagani.

Quando temiamo che ci sia da perdere qualche cosa viene a mancare in noi la capacità di formare vera comunità d’amore e di servizio.

Essere famiglia, associazione o comunità cristiana, richiede di vivere la gratuità del dono di sé e il rinnovarsi del perdono, così come fa continuamente Cristo con la Chiesa.

Riconciliazione

Abbiamo camminato “sulla via della penitenza”, abbiamo chiesto la grazia di alimentare in noi il desiderio di conoscere di più, di andare più a fondo nella conoscenza delle radici del peccato, con la consapevolezza che la nostra mentalità e il nostro stile di vita sono ben lontani dal Vangelo di Gesù.

Sentiamo che anche la confessione tradizionale non soddisfa il desiderio di autenticità che si è fatto spazio in noi.

Seguiamo il suggerimento del Cardinal Martini: un esperimento di trasformazione della confessione individuale in un “colloquio penitenziale”.

Inizio con un ringraziamento a Dio, come insegna Sant’Ignazio nell’Esame Spirituale di Coscienza (S.P. 16), con una lode per ciò che nella mia vita mi ha fatto toccare con mano la Sua misericordia, per i momenti in cui Egli mi è venuto visibilmente incontro: è la “confessio laudis”.

Passerò poi alla “confessio vitae”: che cosa, nella mia vita, non mi piace davanti a Dio, che cosa mi pesa, cosa vorrei che non ci fosse? Da che cosa invoco di essere liberato, alleggerito, purificato? Emergono non solo i peccati formali, ma anche i movimenti del cuore, gli atteggiamenti di fondo, l’incapacità di sopportare una situazione pesante...

Il sacerdote mi aiuta e prega con me: è la “intercessio”, perché il sangue di Cristo Gesù scenda su di me e mi purifichi.

Il perdono è la “remissio peccatorum”. Con l’imposizione delle mani il sacerdote invoca il Signore affinché infonda su di me lo Spirito Santo: mi dona la grazia della fiducia, vince la mia diffidenza, mi dona uno sguardo positivo su di me e su chi mi sta attorno e mi trasforma con la sua azione creatrice.

Il perdono di Dio non è un condono. Mossi da questa esperienza del perdono che Dio stesso ci offre in continuazione, senza stancarsi, noi possiamo a nostra volta divenire operatori di pace, capaci di far nascere e far crescere in noi e intorno a noi la riconciliazione e di accogliere ed offrire il perdono nella nostra vita quotidiana.

(6)

Preghiera Dio, Padre nostro,

tu che per Gesù Cristo, tuo Figlio morto e risorto, datore dello Spirito di vita che è in mezzo a noi,

ci hai chiamato a vivere in comunione

effondi su di noi lo spirito di penitenza, lo spirito di riconciliazione;

per mezzo di esso cresca la mutua fiducia e possiamo riconoscerci tuoi fratelli,

salvati dal sangue della Tua morte e della Tua resurrezione.

Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Riferimenti

Documenti correlati

Nella festa di San Girolamo (30 settembre), il santo che dedicò tutta la vita alla Sarittura traducendo dall’ebraico e dal greco il primo e secondo testamento, il Papa ha firmato

Dopo aver ricordato i grandi padri nella fede, da Abramo a Mosé, dai Giudici a Davide, scrive: “Ecco dunque perché anche noi, circondati da una così grande nuvola di

Leggeremo questi testi in un clima di preghiera, ci domanderemo che cosa ci dice l’annuncio del kerigma alla luce della nostra esperienza spirituale, della nostra

preziosissimo Sangue per il quale noi tutti siamo redenti, con l’intercessione di Maria Santissima, di tutti i Santi Arcangeli, in particolare di San

Tradotti in comportamenti da realizzare all’interno della nostra comunità, gli atteggiamenti di comunione dovranno dare luogo a scelte precise, capaci di attivare

Le attenzioni, pastorali e spirituali, che possono sgorgare dalla celebrazione della “Domenica della Parola di Dio” sono numerose, anche alla luce dei significativi

• Nel suo discorso presso il portico di Salomone Pietro dice: «Il Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo Figlio Gesù, che voi

(Sant’Ambrogio).. Un aneddoto: Un giorno Madre Teresa parlò con un seminarista. Guardandolo con i suoi occhi limpidi e penetranti gli chiese: "Quante ore preghi ogni