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EPIGRAMMI LATINI

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Tradotti in parte da vari

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FRANCESCO DIONIGI BLANCARDI

Il CULTOBI DELLE LETTERE LATINE

Sappianointantoidotti e gl‘ignoranti....

«ha il Vitrioli è il Principe, il Re, l'Imperatore di tutti ilatinisti del mondo.

C. BAGGIOLI‘NI -l'tssfllod’Italia, ari. XXIII, una. 28.

Allo Xilìa del Vitrioli , pubblicato nel precedente volume, ed accolto con immenso plauso dal dotti (l), facciam seguire gli epigrammi latini, tradotti da vari.

Tra i lirici componimenti ultimo forse in ordine è l’epi gramma. Non però quanto a facilità; poichè in questa specie di componimenti incontrasi anzi, più che altri non si avvisa, difficoltà, la quale superata, acquista loro il principale e gran dissimo pregio, ond’ essi vanno distinti, e che solo può rendere

(i) Ne fan fede le tante lettere gratulatorie, che ci giungono da ogni parte. Intanto, oltre a quelli anunziati nel 1° volume, nuovi scritti prosaici e poetici vennero dettati in lode del nostro Diego. Tali sono i versi latini del Forti, due sonetti del Badodi, editi in Bologna, con una affettuosa Canzone dello stesso sulla 1‘icupcrata salute del Vi triolt'; un madrigale del Bellucci da Cervia, un’elegia latina del Gualdi da Torino, un’ epistola ed elegia latina del Dona in Rovigo, con un greco epigramma di questo passionato amico del nostro autore: altro epigramma latino del Vescovo di Mileto, e le belle terzine del Mon giardini di Bologna; ove il Mignani intitolavagli una monografia.

Or è nostro intendimento di produrre a quando a quando in questa edizione le testimonianze di celebrati uomini, segnatamente latinisti, intorno agli scritti del Vitrioli, come si usa nelle opere dei classici latini, con i Testimonia ac judicia doctorum virorum, scegliendone pochissime, cosi a casaccio, senza mutar sillaba, tra le infinite, che

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componimento, arguto, frizzante, satirico, felicemente espresso con brevità, scioltezza ed evidenza. E necessaria la brevità, non dovendo l’epigramma contenere che un solo pensiero; che troppo allora temerebbesi dalle muse chi di molti versi com ponesse l’epigramma, il quale non potrebbe ad un tratto essere raccolto dalla mente, e conservato nella memoria. Non vale lo addurre, che in Marziale e Catullo abbiansi esempi, anche bellissimi di epigrammi dillusi in molti versi: la brevità deve essere relativa, quantunque non possa determinarsi.

Dalla felicità di dar figura al pensiero dipendono la sciol tezza e l’evidenza: chè, se tu storpì il pensiero in una forma sproporzionata, non ha più la configurazione propria, e che sola gli conviene. Due maniere le più spiccate di epigrammi si riconoscono comunemente: alla prima appartengono quelli, che si contentano della delicatezza del pensiero, e dell’ele ganza della espressione: alla seconda quelli, che al brio, alla vivacità uniscono l’ acutezza della mente, e un non so che di frizzante. E forse tutti gli epigrammi greci, e quei di Catullo

si conservano in famiglia, e che è dato ad ognuno di poter verificare cogli occhi propri. E ciò faremo per affinare il giudizio dei giovani studiosi in fatto di latinità, e prevenirli contro quelle, che l’Altieri chiama chiacchiere gazzettarie; oggi segnatamente, che i magni giornali di Roma e Torino non cessano di travisare la pubblica opi nione, lodando a cielo tutte le latine gotîaggini, che vedono la luce a’di nostri. E si che per cotali uomini l’essere uno scritto latino scevro affatto di nobili pensieri, ed orrido, inelegante, disarmonico nello stile, è un titolo bastevole, perché ne intiorino con lunghi estratti le colonne dei lor giornali, e con una certa dilettazione mo

rosa ne discorrano ne’ così detti articoli bibliografici. E poi siamo in tempi, che M. Tullio Cicerone venne bistrattato da un Tedesco, ed esaltata da uno storico Milanese 1’ eloquenza del barbaro Tertulliano!

Miseria umana!!!

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possono ascriversi al primo ordine: al secondo quei di Mar ziale, e la maggior parte dei moderni; dappoicbè ance tra costoro non manca chi dilettossi della greca soavità, come i leggiadrissimi Cotta, Amalteo, Castiglione, Stiufalico e Bonifacio.

Di questi due generi son gli epigrammi del Vitrioli, epare a noi, che il nostro autore abbia felicemente imitati i greci nella disinvoltura, nella grazia e nella delicatezza; come ha forse superati i latini , e certamente i moderni nella brevità, scioltezza ed evidenza. Dico forse, perché non dee una stupida venerazione per l’antichilh farci apparire grande ed inappun tabile tutto ciò che e antico; come non deve l’invidia chiuderci la bocca sulle lodi dei viventi, per aprirla solo a’ sperticati panegirici dei morti. Ma quanto alla grazia ed alla espressione, il Vitrioli può dirsi felicissimo, inarrivabile. Si potrebbe forse asserire, che la bellezza di _un epigramma, appartenga a qual serie tu vuoi, non risulti tanto dalla simmetria dei concetti, come altri vorrebbe, e dall’artifizio pure leggiadro di farlo riu scire ad un motto arguto, e non previsto, quanto spicchi mag giormente gradevole e commovente dal felice modo di esprimere il pensiere. Ora quanto valga il nostro autore nella felice ma nifestazione del pensiero, anche negli epigrammi, la è cosa che colpisce subito la mente del leggitore. Poiché il verso, il giro della frase, l’espressione rispondono si perfettamente al pen siero, che tu non potresti o mutare, o traslocar parola, senza che il pensiero non perda a un colpo e chiarezza ehatura lezza, e leggiadria. Tu vi trovi inoltre quel suo proprio modo di esprimere il pensiero, sgombro d’ogni cosa inutile, condito di tutto il sale, ond’è capace, -e con tanto di lume, quanto basta a colpire la perspicacia del lettore, senza tutta scopririn l’intenzione del poeta; il che, pare a noi, costituisce la vera forma dell’epigramma. E vedrà ognuno che, quando tali poesie s’ aggirano in subjetti gentili, o sono indirizzate a dilicate don

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al contrario, toccando cose buffoncsche e da riso, il verso in cede dimesso, e son quasi volgari le parole. E reca meravi glia, come dalla satira passi poi felicemente a toccare i tasti del dolore; che non sappiamo se note più affettuose e dolenti possano scriversi, di quelle che leggonsi negli epigrammi 102, 105, ed altri funebri. Ma nei pochi epigrammi di subjetto ro mano, mostra lo stile un non so che della castrense asprezza dei Quiriti , ed appare conciso, laconico , con grave pensiero nella chiusa (05, 96, 104, 109). In somma troverai dapertutto quelle avvertenze, che il Conte Cibrario chiamava con bella frase magisteri tutti propri del Vitrioli, e che non possono trasferirsi nelle versioni italiane, come fu notato da vari let terati, le cui testimonianze riporteremo nel volume seguente.

Dopo Catullo e Marziale i più belli esempi di latini epigrammi gli abbiamo, come d’ogni altra latina cosa, dai cinquecentisti, quando ance le donne ne scriveano di vaghissimi. Eppure, nei invitiamo ehiechesia a paragonare questi del nostro Diego con gli epigrammi del Sannazzaro, e vedere se per armonia Virgi liana, e dilicatezza di pensieri si lascino addietro quelli del vate Partenopeo, e quanto giusta sia stata quella sentenza del Ponziglione (in epist. ad illustr. Virus. Auguslae Taurinor.

MDCCCLVIII , pag. 38) confrontando il Sannazzaro al Vi trioli : Si inafl‘ectalae, ut par erat, simplicilati studuisset. Quod autem ille nequicz’t, felici quodam fato, post trium saeculorum spatium tibi populari suo.... consectan' contigit. Se non fossero tutti bellissimi, ognuno nel suo genere, basterebbe quello am mirabile sopra Pompei (72) ove sono in brevi motti accennati i vari oggetti scoperti in quella città.

Ne’ secoli posteriori scemarono di pregio gli scrittori latini epigrammatici, tranne pochissimi, come il Grozio ed il Currich;

ma quanto a’ pensieri, i più belli epigrammi di questi due let

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terati sono versioni della greca Antologia; finché siam giunti al secolo presente; in cui, dopo il Vulpes, che stampava a furia elegic ed epigrammi in Napoli, e che chiamerei il Luca fa pn'esto della poesia latina, tali orrendi epigrammi si pub blicano tuttodl , cara e dolce delizia de’ nostri giornalisti, da vincere l’immaginazione!

Se non che i latini scrittori epigrammatici dit'ettano, chi per un verso, e chi per un altro. Nauseanti per nefande oscenità Catullo e Marziale: tra i moderni piacevole per_ ingegnosi pen sierucci l'0veno; ma eleganza e leggiadria di stile nel suffra ga. Elegantissimo in eccesso l’immenso Pontano: ma si perde in ristuccbevoli, perpetue descrizioni di ninfe, rose e giacinti, senza pur un nobile pensiero, senza riguardo a dignità di per sone, come nell’epitatlio del vescovo Altilio; difetto avvertito fin da’ tempi suoi. Risibili per giuochettì di parole gli epi grammi del Sarbiew: la loquacità del Bucanano sente dello stile di Claudiano e d’ Ausonio. la somma, è ben raro, anzi singolare trovare un libriccino antologico, come questo, il quale riunisca tutti quei pregi, che Tommaso Corea, scrittore del cinquecento nel suo libretto de epigrammale a ragione richiedea in cotali scritture. E qui avvertiremo i lettori, che molti di sitl'atti epigrammi furono, diremmo, improvvisati dal Vitrioli, poichè richiesto da vari con vivissime istanze a mandare il SUO ritratto con qualche motto latino per fregiarne gli Album dei grandi contemporanei, come tra gli altri dalla Pignocchi e dal Dottor Giacinto Menozzi di Bologna, e dal celebre archeologo Conte Concstabile di Perugia, egli così su’due piedi, in nostra presenza ne dettava dei bellissimi. Intanto noi, sempre conscii della nostra pochezza, ed incapaci di un giudizio inappellabile intorno ad ogni minimo componimento di colui,'che il chia rissimo Cristofani chiamava « splendidissima gloria dell’Italia nostra » faremo parlare il dotto Baggiolini.

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Articolo estratto dal Vessillo d’Italia, gazzetta Vercellese, an. XVII, u. 6.

DIDACI VITBIOLI'I EPIGRAMMATUM

LIBR SINGULARIS

Et ridenl stolidr' rerba Latina Gdae

Own.

In uno di questi giorni, mentre appena giuntami dalla Posta io stava leggendo la preziosa produzione che qui viene annun ziata, ruppi spensieratamente contro una specie di mammifero, che riconobbi tosto per un tal personcine di sesso ambidestro, possessore di una lunga barba , e di due non brevi orecchi, i quali affrontavano ogni artistica precauzione per aprirsi la strada a far atto della loro non poco imponente presenza. Noto a molti costui, e temuto, perché tempestator instancabile di parole, e narrator inesausto di avventure, siccome stato sino ai confini del Mondo, cioè sino a Parigi, dove tutto aveva tro vato bello; ragione per cui doveva trovar tutto brutto in Italia al suo ritorno.

E piantatomisi nel cospetto, fermo su le sue gambe ante riori alzò non senza qualche sforzo il mento per livellare alla stessa linea orizzontale il suo raggio visivo col mio.

Giacché tutti sono al fatto della moda trionfante nell’anno corrente della fruttifera Incarnazione: moda che obbliga a co prirci, o di un cappellinetto non più alto di un mezzo fungo, e non più largo di uno scudo: 0 di un tubo gigante e turrito come quello della Dea Cibele. Con la condizione severa però,

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che entrambi questi pilei debbano lasciare scoperti certi occi pizii lisci e lucidi come specchi di Venezia; e che per l’op posto vi discendano dalla fronte giù sin sul naso, si che dob biate alzarlo ad un angolo ben ottuso per servirvi della vista, come que’ ciechi «ii-cui parla Dante. Oh non è vero, che Dio - Os homim' sublime dedit, Coelumque tueri Iussit! -

E qui, il nostro individuo, toltomi di mano con leziosa di sinvoltura il libriccino. - In che idioma da Cristiano, mi disse, è scritta questa hazzecola? Ah l l’indovino: è Latinorum. E chi si sogna ancora di questi rancidumi al nostro tempo? - E co minciò a spiegazzare i pochi fogli, ed a leggicchiare alcuni di cotesti mirabili Epigrammi con tanto Sgangherata poltroneria, e con tanto belluina sgarbatezza di metro, che non è vero, che mai Tedesco alcuno strambellasse peggio la poesia. _

Quando, risposi io all’homuucolo poco sullodato, non si sa una Lingua (e voi mi avete l’aria di non saperne molte), in vece di disprezzo, il pudore insegna di mostrare almeno qualche rincrescimento di non averla imparata. Specialmente quella dei nostri grandi antenati, nella quale sfolgoreggia la più celestiale armonia fra tutte, per chi ha il timpano un po’ meglio orga nizzato che quello dei paracarri. Non intenderla, pazienza; che non è cosa da tutti. Ma non saperla leggere! Arri!

in questa, il mio vaghegghm, voltatemi leggiadramente le groppe, e balenando su le anche muli‘ebri a guisa di cutrec cola, mi l‘è lieto della sua lontananza - Et avertens rosea cer vice refulsit.

Oh animal grazioso e benignol dissi, contemplandone l’Afro disio portamento; e respirai! Ora dirigendomi agl’intelletti sani, sappiasi , che il volumetto del Vilrioli è una delle rare buone cose che si scrivano ai nostri giorni, e dissimile all‘atto da migliaia le quali nascono,.vagiscouo un momento, e muo iono. Cotesti epigrammi rimarranno. E perché l’esimio Autore

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nuovo lavoro, ne aveva, mancomale, già formato un giudizio preventivo molto favorevole , cioè giusto. E sapete anche il perche? Perché io feci il seguente ragionamento. Il mio illu stre Sani loda come eccellenti questi versi del gagliardo Ca labrese: dunque non voglio altra testimonianza per giudicarli roba squisita. Il mio illustre Sani è amico del Vitrioli? Dunque il Vilrioli non può mancare di essere il fiore de’galantuomini.

Faccia Aristotele entimemi più giusti de’ miei. Lo sfido.

In questi epigrammi domina. ... Ma perché mi crediate, voglio.citarne un solo, quello cioè in morte di un fanciullo molto devoto della Vergine: epigramma che innamorerebbe

un Turco: '

« Non mors Ianguidulos Hyacintho pressit ocellos:

« Dormit, et in somnis Virginis ora videt. »

« Quze jam nascenti adrisit, nunc brachia tendit.

« Labraque nunc labrîs admovet illa suis. » a Non mors labentes Hyacintho clausit ocellos:

« Dormit, et in somnis Virginis ora videt. »

Qui, come vedete, v’è un tal lepore delicato di Classica La tinitù, che è un incanto. E specialmente, se mi appongo, di quella di Ovidio, il quale per me è la più ricca e splendida fantasia del mondo. Ma sento un - Oh lungo e reco - di disapprovazione. Oh Farfarelli e Rubicanti pazzi! Beati voi se sapeste saporare le Metamorfosi! E'Ceice, e Aracne, e Bauci, e Filemone, e Niobe, e Piramo, e Tisbe, e mille altre sovru manc creazioni! Or sanno anche celesti Draghignazzi, che Ovidio è nello stesso tempo il più grande degli Oratori? - Nel credono?

Ebbene, presentino a qualunque Tribunale l’orazione di Aiace;

e le armi di Achille gli saranno subito aggiudicate. Presentino quindi quella di Ulisse, ed Ulisse ne è l’erede infallibilmente.

Prodigio unico di Eloquenza!

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