Capitolo 3
I
L SISTEMA TIRRENO-
APPENNINO:
I
NQUADRAMENTO GEOLOGICO2.1 Introduzione
La configurazione attuale del Mediterraneo (fig. 2.1) rappresenta il risultato di una complessa storia evolutiva che non può essere spiegata in termini di pura collisione continentale tra la placca europea e quella africana in quanto, in epoche diverse, hanno giocato un ruolo importante anche altri tipi di movimenti, come la rotazione di blocchi rigidi (blocco sardo-corso) o trascorrenze in prevalenza destre (ad es. lungo il lineamento dell’Atlante) (Patacca et
al., 1990). Attualmente la convergenza Africa-Europa è da considerarsi ancora attiva nella
regione del Mediterraneo centrale oltre ad altri processi geodinamici, inclusa la subduzione passiva di slab litosferici residuali (Arco Calabro) e l’apertura di bacini recenti di tipo oceanico (Tirreno sud-orientale) (Royden et al., 1987).
Nel sistema mediterraneo possono quindi essere distinti vari elementi (Scandone & Patacca, 1984): placche rigide (Europa ed Africa «stabili»), microplacche rigide (Iberia e blocco Sardo-Corso, che con tutta probabilità attualmente costituiscono un unico blocco cinematico), catene metastabili (Atlante, Sicilia meridionale ed Isole Pelagie, Apulia, ognuna delle quali ha avuto movimenti differenziali rispetto all’Africa «stabile» ed è stata affetta da deformazione di ordine minore) ed infine catene orogeniche frammentate e distorte (Patacca et al., 1990).
Figura 2.1 Schema tettonico del Mediterraneo (da Rosenbaum et al., 2002)
2.2 Il sistema catena appenninica-Bacino Tirrenico
L’Appennino Settentrionale è un segmento della grande catena alpino-himalayana, appena una piccola parte della lunghezza totale, ma certamente uno dei settori più interessanti e più studiati. Analogamente a gran parte delle catene montuose, anche l’Appennino è il risultato di un processo di raccorciamento di una larga fascia di crosta terrestre compresa tra due masse continentali in avvicinamento: in questo caso la “placca apulo-adriatica” a Sud-Est (Adria), una propaggine della più grande placca paleo-africana e il settore franco-iberico della “placca paleo-europea” a NW (Iberia). Al momento in cui paleo-Africa e paleo-Europa hanno cominciato ad avvicinarsi (circa 90-100 milioni di anni fa) tutta la fascia intermedia era occupata da un profondo oceano, la Tetide, la cui larghezza è stata stimata in diverse centinaia di chilometri. I bordi delle due masse continentali risultavano a loro volta sommersi sotto acque marine abbastanza profonde e il fondo di tutta la zona oceanica era coperto da coltri di sedimenti più o meno spesse (in media circa 500-1000 m). Una parte di questa pila di sedimenti poggiava su crosta continentale; i sedimenti della parte centrale della Tetide poggiavano invece su crosta oceanica. La presenza di un substrato di tipo oceanico nella parte centrale della Tetide era il risultato di un precedente periodo di allontanamento fra la
paleo-Africa e la paleo-Europa iniziato al passaggio Trias-Giurassico (più di 200 milioni di anni fa) con creazione di nuova crosta ai bordi della dorsale mediana.
Il processo di riavvicinamento tra paleo-Africa e paleo-Europa, iniziato 90-100 milioni di anni fa (inizio del Cretacico superiore), si è ripercosso in primo luogo sulla litosfera oceanica, composta dalla crosta oceanica e dalla sottostante parte superiore del mantello (più debole e più pesante) e relativi sedimenti. La litosfera oceanica ha cominciato a infossarsi e a scomparire sotto quella continentale consumando progressivamente il dominio oceanico e avvicinando sempre più i due bordi continentali. Il processo di subduzione non ha potuto interessare anche le coperture sedimentarie, troppo leggere per essere trascinate in profondità; esse si sono scollate dal loro substrato ofiolitico (o hanno conservato alla loro base solo piccoli frammenti del medesimo) e si sono accatastate in una serie di embrici o “falde” sovrapposte (denominate “falde o unità liguri” o “Liguridi”, perché il settore della Tetide in cui si erano deposte le loro successioni sedimentarie è noto come “paleo-oceano ligure”). La prima fase del raccorciamento (“fase ligure”) si è conclusa (circa 37 milioni di anni fa, nell’Eocene medio) con la chiusura dello spazio oceanico (anche se pare verosimile che piccoli settori del medesimo potessero risultare ancora aperti) e con la collisione dei due blocchi continentali. Questa linea di sutura passa attualmente in mezzo al Mar Tirreno. Da notare che alla fine della fase ligure, il dorso della coltre deformata di falde liguri, che si accavallavano già ampiamente sui bordi continentali, era ancora abbondantemente più basso del livello del mare, tanto che su di essa si andavano deponendo, in discordanza, nuovi sedimenti marini (la cosiddetta “successione epiligure”) (Guida geologica regionale, 2004). Dato il perdurare del processo di riavvicinamento Africa-Europa, gli ulteriori raccorciamenti sono avvenuti a carico dei margini continentali e delle loro coperture sedimentarie: soprattutto il margine apulo-africano, su cui si andava costruendo l’Appennino, è stato quello che ha subito una deformazione più intensa. Si sono formate così nuove falde a spese delle successioni continentali ed epicontinentali, nella zona che attualmente coincide col Tirreno orientale e la Toscana costiera. I movimenti di questa fase (“fase toscana”) sono stati caratterizzati da un generale spostamento verso l’esterno (cioè verso l’Adriatico), in modo tale che le successioni in origine più lontane dal continente africano (le Liguridi) sono andate ulteriormente a sovrapporsi a quelle situate in prossimità del margine africano (“successioni subliguri”, “toscane” e “umbro-marchigiane”. Queste ultime a loro volta si sono spostate progressivamente verso l’avampaese, dando luogo ad una pila embricata spessa almeno una decina di chilometri (costituita in gran parte dalle coperture sedimentarie liguri, subliguri e toscane ma anche, in parte minore, dal sottostante substrato). Gli embrici o falde più basse di questo edificio hanno subito metamorfismo per le elevate condizioni termobariche in cui sono
venute a trovarsi e ha cominciato ad instaurarsi un processo di sollevamento “isostatico” (legato cioè al fatto che nella zona centrale della catena in formazione del materiale relativamente leggero era stato trascinato troppo in profondità: questo materiale, appena si attenuavano gli sforzi laterali, tendeva dunque a risalire sollevando tutto l’edificio sovrastante). A differenza della fase precedente (fase ligure), in questa fase il sollevamento è stato tale che molte zone sono risultate emerse ed è iniziato il processo orogenico vero e proprio. Questo meccanismo di costruzione della catena appenninica ha avuto luogo sulle verticali del margine africano (corrispondenti al Tirreno orientale e alla Toscana costiera) circa 25-20 milioni di anni fa (Oligocene sup.-Miocene inf.), ma la parte più antica della catena è attualmente in gran parte sepolta sotto l’attuale Mar Tirreno a causa di un infossamento posteriore. Nelle zone più esterne (dominio umbro-marchigiano) corrispondenti alle attuali regioni Toscana orientale, Emilia e Umbria-Marche l’onda orogenica è arrivata più tardi (fra 20 e 10 milioni di anni fa); nella zona dell’attuale Adriatico perdura a tutt’oggi un regime compressivo.
L’orogenesi dell’Appennino settentrionale può essere perciò sommariamente divisa in tre fasi (Finetti et al., 2001): un primo stadio Cretacico inferiore- Eocene (stadio geodinamico eo-Alpino) durante il quale il settore ligure-piemontese della crosta oceanica della Tetide subduceva al di sotto della placca Adria (durante questo stadio geodinamico eo-Alpino si è formata la catena alpina e deformato il margine NW della placca Adria con thrust Europa vergenti e probabile back-thrusting delle Unità Liguri sul margine dell’Adria stessa); un primo stadio appenninico (Oligocene sup.-Miocene inf.); un secondo stadio geodinamico appenninico, dal Miocene superiore all’attuale, durante il quale si è formata la catena appenninica per collisione continentale, deformando la litosfera di gran parte della placca Adria. Durante gli stadi appenninici iniziarono a crearsi importanti aperture crostali che diedero origine ai bacini della regione mediterranea centrale: il bacino Ligure-Balearico durante l’Oligocene sup. fino al Burdigaliano ed il Bacino Tirrenico dal Miocene superiore fino all’attuale (Patacca et al, 1990).
2.3 Il Bacino tirrenico
L’evoluzione del Bacino Tirrenico, situato nell’area mediterranea centrale, risulta fortemente legata a quella della catena appenninica. Nei due domini si osservano, infatti, a partire dal Tortoniano superiore (Patacca et al., 1990), successioni sedimentarie controllate dalla tettonica e deposte in semi-graben (cunei clastici sin-rift) in bacini al dorso di unità di catena sottoposte a trasporto orogenico (bacini piggy-back) ed in bacini migranti di avanfossa i cui limiti appaiono come superfici deposizionali isocrone, indipendentemente dalla loro
collocazione strutturale. Nell’Appennino sono state distinte sette sequenze deposizionali che hanno registrato la migrazione spazio-temporale del sistema catena-avanfossa-avampaese a partire dal Tortoniano superiore e che corrispondono a tre diversi intervalli di deposizione clastica sin-rift e di espansione oceanica individuati nel Bacino Tirrenico. La disposizione di questi depositi implica che sia l’estensione nell’area tirrenica, l’arretramento flessurale verso est dell’avampaese con il conseguente spostamento del bacino di avanfossa, e la progressiva incorporazione di questi domini nel sistema di catena, rappresentino differenti espressioni dello stesso processo geodinamico (Patacca et al., 1990).
Per spiegare la tettonica estensionale che ha caratterizzato l’area tirrenica dal Tortoniano superiore sono stati proposti vari modelli:
- risalita del mantello che provoca scivolamenti gravitativi (Wezel, 1982)
- bacino di retro-arco (Malinverno & Ryan, 1986; Finetti & Del Ben, 1986; Finetti et al., 2001)
- delaminazione (Keller et al., 1994; Royden et al., 1987)
- estrusione laterale della catena appenninica legata alla direzione N-S della collisione tra la placca europea e quella africana (Faccenna et al., 1996; Mantovani et al., 2001) - collasso tardo orogenico del cuneo di accrezione ispessito (Carmignani & Kligfield,
1990)
Attualmente i modelli più accettati sono quelli legati ai movimenti di subduzione provocati dalla convergenza Africa-Europa. Prima della loro formulazione, sulla base dell’insieme dei dati allora disponibili, le strutture del Bacino Tirrenico venivano interpretate come manifestazioni di una tettonica post-orogenica essenzialmente verticale che deformava una litosfera indebolita e resa reologicamente plastica dal calore e dall’attività magmato-tettonica. E’ questo il caso, ad esempio, del modello proposto da Wezel (1982) che, sulla base delle conoscenze geologiche e geofisiche dell’area ed osse1rvando la disposizione arcuata delle
cinture orogeniche attorno al bacino stesso, ipotizzava, come meccanismo motore dell’estensione, il sollevamento di duomi di materiale derivante dal mantello ed il loro successivo collasso.
Questi modelli non erano però in grado di spiegare in maniera esaustiva le relazioni dinamiche tra il regime estensionale dell’area tirrenica e quello compressivo della catena appenninica. Malinverno & Ryan (1986) proposero un modello basato su quattro vincoli cinematici ritenuti fondamentali: 1) la formazione del Bacino Tirrenico è contemporanea agli eventi orogenici della catena appenninica; 2) il significativo raccorciamento crostale dedotto dal record stratigrafico e strutturale dell’Appennino; 3) le caratteristiche e la magnitudo dell’assottigliamento crostale del Bacino Tirrenico sono compatibili con un’estensione massima in direzione E-W di circa 350 Km; 4) nell’area mediterranea il movimento relativo della placca europea e di quella africana durante la formazione del Bacino Tirrenico era di
convergenza in direzione approssimativamente N-S. Secondo Malinverno & Ryan (1986)(Fig.X 1), quindi,
l’area estensionale tirrenica sarebbe perfettamente inquadrabile, nell’ottica della tettonica a placche, come un bacino di retro-arco legato ad una migrazione temporale verso l’esterno del sistema arco-fossa in seguito ai processi di subduzione, cioè ai moti convettivi del mantello e all’annegamento della lower plate nell’astenosfera (vedi Dewey, 1980), attivi sotto la catena appenninica. Infatti, se l’upper plate non compensa con la sua velocità di avanzamento l’arretramento flessurale della lower plate, è necessario ammettere un’area sorgente nella zona di retro-arco in grado di rendere nulla la velocità di convergenza tra le placche stesse (Patacca et al., 1990).
Altro modello basato sui processi legati alla subduzione è quello elaborato da Keller et al. (1994) secondo il quale la collisione continentale, seguita da una subduzione di tipo A (Platt, 1986) del microcontinente apulo al di sotto del blocco Sardo-Corso, provoca una delaminazione del mantello litosferico e la risalita, a livelli crostali, di un cuneo caldo astenosferico. Questo, secondo gli autori sarebbe in grado di spiegare, oltre al campo di forze estensionali nella regione di retro-arco, anche altri fenomeni caratteristici della regione tirrenica.
Didascalia della Fig.X. (A) Rispetto ad un sistema di riferimento solidale all’astenosfera, le due placche convergono a velocità V0 e Vu, ed
flessurale e Vr=Vg cot θ. Se V0=Vr (come in figura), l’arco è di tipo neutrale; altrimenti, lo stile tettonico potrà essere caratterizzato da
compressione lungo l’arco (se V0>Vr) o da estensione nella zona di retro-arco (se V0<Vr, Dewey, 1980). (B) Rispetto ad un sistema di
riferimento solidale alla placca in subduzione, le velocità che governano lo stile tettonico sono Vc (velocità di convergenza) e VIr (velocità
dell’arretramento flessurale). (C) Nel caso di non convergenza (Vc=0), l’estensione nella zona di retro-arco deve essere tale da compensare
l’arretramento flessurale ( da Malinverno & Ryan, 1986).
Carmignani & Kligfield (1990) proposero, invece, un modello alternativo per l’evoluzione del sistema Appennino-Mar Tirreno, nel quale il passaggio da regime compressivo a regime estensionale è causato da una variazione della dinamica all’interno del cuneo accrezionale. Nel loro modello il cuneo accrezionale è sottoposto, dopo la collisione del blocco Sardo-Corso con la microplacca Adria, ad un rapido processo di underplating con conseguente ispessimento e perdita di stabilità. Tale evento doveva aver provocato il collasso gravitativo dell’edificio precedentemente strutturato, generando una tettonica estensionale nella zona appenninica, che si realizza con zone di taglio a livelli alto e medio-crostali. Successivamente, l’intrusione di materiale astenosferico nella crosta continentale già indebolita ed assottigliata provoca un’estensione a grande scala con vulcanismo associato.
2.4
Evoluzione tettonica dei bacini neogenici peritirrenici
L’evoluzione dei bacini sedimentari neogenici del settore interno dell’Appennino settentrionale (Fig.), sviluppatisi a partire dal Tortoniano (Miocene Superiore) e comunemente interpretati come graben o semi-graben (Martini & Sagri, 1993), viene messa in relazione, da molti autori, con la tettonica estensionale migrante verso E-NE nello spazio e nel tempo legata alla formazione del bacino tirrenico (Trevisan, 1952; Boccaletti & Guazzone, 1972, 1974; Elter et al., 1975; Boccaletti et al., 1985, 1990; Malinverno & Ryan, 1986; Carmignani & Kligfield, 1990; Patacca et al., 1990; Bertini et al., 1991; Carmignani et al, 1995; Jolivet et
al., 1998; Jolivet & Faccenna, 2000). Il regime estensionale tirrenico, sviluppato in
corrispondenza della zona di sutura principale dell’arco dell’Appennino settentrionale, è stato generalmente interpretato come conseguenza della subduzione della placca Adria che ha prodotto assottigliamento crostale nella porzione interna. Studi strutturali hanno tuttavia messo in evidenza la presenza di deformazioni compressive che interessano i depositi di questi bacini ( Pertusati et al., 1977, 1978, 1980; Plesi & Cerrina Feroni, 1979; Cerrina Feroni et al., 1983; Boccaletti et al., 1980, 1995, 1999; Bettini et al., 1990; Bonini & Sani, 2002; Boccaletti & Sani, 1998). Le successioni stratigrafiche dei bacini sono infatti caratterizzate dalla presenza di discordanze angolari osservabili in tutto l’Appennino Settentrionale, messe in relazione con le deformazioni a carattere compressivo che, pertanto, assumono il significato di eventi tettono-sedimentari di importanza regionale (Bernini et al., 1990; Boccaletti et al.,
1992, 1994, 1995). In particolare, lo studio geologico-strutturale effettuato da Boccaletti et al. (1995), relativo ad alcuni bacini del settore interno dell’Appennino settentrionale (bacino del Mugello, bacino di Cinigiano-Baccinello, bacino di Radicondoli-Volterra, bacino del Valdarno Superiore), ha permesso di riconoscere deformazioni a carattere compressivo rappresentate da pieghe, talora rovesciate, e da faglie inverse che possono avere una continuità di alcuni chilometri.
Figura 2 Schema dell'Appennino Settentrionale: (1) Depositi alluvionali; (2) depositi continentali,
principalmente quaternari, dei bacini intermontani; (3) sedimenti neogenico-quaternari dei bacini interni; (4) rocce ignee; (5) substrato; (6) numero e posizione dei bacini (il numero indica i bacini mostrati in fig. ). (1) Bacino Tirrenico; (2) Bacino di Cecina-Riparbella; (3) Bacino del Fine; (4) Bacino dell’Era; (5) Bacino di Radicondoli-Volterra; (6) Bacino di Baccinello-Cinigiano; (7) Bacino dell’Albenga; (8) Bacino di Sesta Godano; (9) Bacino di Sarzana; (10) Bacino di Casino; (11) Bacino di Siena-Radicofani; (12) Bacino di Compiano; (13) Bacino di Pontremoli; (14) Bacino di Aulla-Olivola: (15) Bacino del Serchio; (16) Bacino di Lucca-Altopascio; (17) Bacino di Firenze; (18) Bacino dell’alta Valdarno; (19) Bacino di Chiana; (20) Bacino del Mugello; (21) Bacino del Casentino; (22) Bacino dell’alta Val Tiberina (modificata da Boccaletti e Sani, 1998)
Figura 3 Sezioni stratigrafiche dei bacini neogenico-quaternari del’Appennino Settentrionale: (1) Bacino
Tirrenico; (2) Bacino di Cecina-Riparbella; Bacino del Fine; (4) Bacino dell’Era; (5) Bacino di Radicondoli-Volterra; (6) Bacino di Baccinello-Cinigiano; (7) Bacino dell’Albegna; (8) Bacino di Sesta Godano; (9) Baciono di Sarzana; (10) Bacino di Casino; (11) Bacino di Siena-Radicofani; (12) Bacino di Compiano; (13) Bacino di Pontremoli; (14) Bacino di Aulla-Olivola; (15) Bacino del Serchio; (16) Bacino di Lucca-Altopascio; (17) Bacino di Firenze; (18) Bacino dell’alta Valdarno; (19) Bacino di Chiana; (20) Bacino del Mugello; (21) Bacino del Casentino; (22) Bacino dell’alta Val Tiberina (da Boccaletti & Sani, 1998).
Inoltre, lo studio dei rapporti tra i sedimenti presenti nei vari bacini ha evidenziato assetti della litologia in certi casi molto inclinati, fino al raggiungimento della verticale, soprattutto nei pressi dei margini dei bacini, dove peraltro la direzione dei depositi si mantiene parallela all’andamento dei margini stessi. In qualche caso è stata inoltre documentata la presenza di
progressive unconformities legate al sollevamento del margine durante la deposizione. Le
deformazioni riscontrate nei bacini sono state perciò correlate a strutture presenti nel substrato, nella maggioranza dei casi tali strutture sono rappresentate da thrust che presentano in genere un andamento sub-parallelo rispetto ai margini dei bacini stessi. In particolare, la presenza di progressive unconformities sulla rampa di un accavallamento ha portato a ipotizzare un’attività del thrust durante la sedimentazione (Boccaletti et al., 1995).
Bonini & Sani (2002), sulla base di dati sismici e strutturali, hanno ricostruito l’evoluzione tettono-sedimentaria del bacino di Siena-Radicofani e delle aree circostanti. Le indagini effettuate hanno permesso di evidenziare come lo sviluppo di tale bacino sia avvenuto in un contesto geodinamico compressivo dominato dall’attività di thrust lungo i margini del bacino stesso, sebbene siano state riscontrate anche strutture estensionali, quali faglie normali, che potrebbero però anche rappresentare strutture di secondo ordine relative all’ accomodamento dei thrust, oppure faglie recenti e ancora attive (Sani et al., 2001). I dati raccolti permettono comunque di ipotizzare che tale bacino, e in generale i bacini del settore interno
dell’Appennino Settentrionale, si sono formati in un regime compressivo, che secondo Boccaletti et al. (1995) si è protratto nelle aree interne fino a tutto il Messiniano (Fig.). Con il Pliocene inferiore l’area invece venne interessata da una tettonica estensionale, interrotta successivamente da nuovi eventi compressivi.
Questi aspetti portano a dover ridiscutere il significato attribuito ai bacini neogenico-quaternari del settore interno appenninico. Boccaletti et al. (1995) infatti, non hanno individuato faglie normali significative alle quali riferire la formazione dei bacini presi in esame e le strutture distensive presenti sono state messe in relazione con fasi tardive, dal momento che spesso sono oblique rispetto ai margini dei bacini e tagliano tutta la successione sedimentaria affiorante. Conseguentemente, la tettonica estensionale alla quale è stata riferita dagli anni ’50 la formazione dei bacini interni della Toscana (Trevisan, 1952; Giannini & Tongiorgi, 1958), potrebbe essere un regime tettonico relativamente recente che nel passato si è alternato con il protrarsi, anche verso aree interne, della tettonica compressiva legata allo sviluppo della catena. In lavori precedenti (Malinverno & Ryan, 1986; Boccaletti et al., 1993) è stata avanzata l’ipotesi che i bacini presi in considerazione possano essere interpretati come bacini di tipo piggy-back, secondo il modello proposto da Ori & Friend, (1984). Nell’accezione di questi autori il termine piggy-back basin si riferisce a bacini trasportati su
thrust-sheets attivi in progradazione piggy-back verso l’esterno della catena. Questo termine è
stato tuttavia utilizzato con un significato più ampio, non legato necessariamente ad una messa in posto dei thrust secondo una propagazione di tipo piggy-back (Beer et al., 1990; Hyppolite et al., 1994). Grasso & Butler (1991) e Butler & Grasso (1993) hanno proposto il termine di perched basin o thrust-top basin per bacini formati in regime compressivo indipendentemente dalle modalità di propagazione dei thrust. Secondo Boccaletti et al. (1995) questi ultimi termini, in particolare, potrebbero essere ben applicati al caso dei bacini neogenici Toscani.