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Il movimento sindacale in Italia. Rassegna di studi (1945-1969)

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ALDO AGOSTI - ANNAMARIA ANDREASI GIAN MARIO BRAVO - D O RA M ARU CCO

MARIELLA NEJROTTI

IL MOVIMENTO

SINDACALE

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F O N D A Z I O N E L U I G I E I N A U D I

«Studi»

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IL MOVIMENTO

SINDACALE

IN ITALIA

Rassegna di studi

(1945-1969) di

ALDO AGOSTI - ANNAMARIA ANDREASI

GIAN M ARIO BRAVO - D O R A M ARU CCO - MARIELLA NEJROTTI

Seconda edizione

T O R IN O - 1971

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Scopo del presente lavoro collettivo è di tentare un primo bilancio storiografico delle ricerche sul movimento sindacale e sui sindacali in Ita­ lia. L ’intento che ci ha mossi è anche la prima conclusione che si può trarre da questa rassegna: la constatazione cioè che una storiografia speci­ fica su questi temi non esiste. Non mancano, per la verità, opere generali, anche ambiziose, di storia sindacale: ma non e dato, salvo casi marginali, di imbattersi in analisi storiche del movimento sindacale, inserito si nel più generale contesto delle vicende economiche e politiche del paese, ma considerato in modo autonomo. Proprio perché crediamo che la verifica degli strumenti di metodo, il riesame delle interpretazioni correnti, il rin­ novamento della problematica storiografica su questi temi siano prelimi­ nari a ricerche che vogliano colmare tali lacune, abbiamo ritenuto utile fare il punto sullo stato degli studi in questo campo.

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superamento riteniamo che possa scaturire la giusta prospettiva per af­ frontare storicamente la tematica sindacale.

Questa rassegna e opera di un gruppo di lavoro di cinque persone, ed e frutto di alcune letture comuni di base e di un’intensa discussione sia dei problemi generali sia dei rispettivi contributi. Poiché abbiamo tenuto conto soprattutto delle questioni di metodo, siamo incorsi in frequenti e consapevoli ripetizioni, che non era possibile evitare. A ll’interno di una prospettiva critica comune, ogni autore ha autonomamente adottato, per la parte trattata, i criteri che riteneva opportuni. Da ciò deriva una certa eterogeneità, che speriamo non pregiudichi l’unità fondamentale della rassegna.

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I.

Mariella Nejrotti

L e origini e le prime vicende

(1880-1904)

1. Nell’afirontare il problema delle origini del sindacato italiano si sono assunti, quale punto di riferimento, gli anni intorno al 1880, e non a caso. È ben vero infatti che a stretto rigore sarebbe legittimo parlare di sindacato anche per la federazione dei tipografi che vide la luce nel 1848. Ma il fenomeno che ci si propone di studiare non acquista una configurazione e una dimensione non settoriali se non in corrispondenza del periodo qui scelto, che vede il sorgere del partito operaio e l’inizio di tutta un’attività, sul piano operativo delle rivendicazioni proprie di una struttura sindacale, di tutti quei gruppi di socialisti sia evoluzionisti sia rivoluzionari, di democratici radicali e repubblicani, che già avevano svolto attivo ruolo nel panorama del movimento operaio italiano post­ unitario. Né d ’altra parte esistevano, prima del periodo da noi indicato quale data d ’origine del movimento sindacale, le premesse economiche e sociali che resero invece possibile il sorgere di organizzazioni sindacali vere e proprie in paesi come 1 Inghilterra. L Italia, superato il trauma dell’unificazione, si trova a dover affrontare proprio in questi anni tutti quei problemi che la faticosa strada dell’industrializzazione di un paese comporta. E il movimento sindacale che prende le mosse in questi anni si pone come risposta alle nuove esigenze che questo fenomeno mette, spesso drammaticamente, in evidenza.

2. Il primo impulso ad un’approfondita indagine storica sul movi­ mento sindacale, come momento a sé del movimento operaio, lo dà l’ope­ ra del Candeloro, Il movimento sindacale in Italia, apparsa nel 1950 Il 1

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10 MARIELLA NEJROTTI

Candeloro traccia a grandi linee il quadro del processo di formazione e di sviluppo delle organizzazioni sindacali, inserendolo nell’ambito della storia del movimento operaio e in quello più vasto della storia nazionale. Nella ricostruzione del Candeloro molti sono i punti lasciati compieta- mente in ombra o appena accennati, ed è questo il limite obbiettivo più rilevante del lavoro, limite in gran parte dovuto alla carenza, allora esi­ stente, di studi sul movimento operaio 2. Sono però messi in luce, attra­ verso una problematica ricca di spunti, i nodi centrali del processo sto­ rico e sono formulati giudizi acuti e stimolanti. Fra le notazioni più in­ teressanti sulle origini del sindacalismo è l’individuazione dei due fattori fondamentali che determinarono la trasformazione delle società di mutuo soccorso da istituzioni a carattere prevalentemente assistenziale in orga­ nizzazioni di resistenza. Il primo fattore è indicato nell’ampliamento de­ gli interessi delle società operaie (dovuto sia all’evoluzione dei rapporti di lavoro determinati dalla nascente industrializzazione, sia all’influenza della propaganda democratico-radicale) ai problemi dell’istruzione, della cooperazione, dei limiti dell orario di lavoro, della regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, della protezione dell’invalidità e della vecchiaia, ampliamento di interessi che « doveva inevitabilmente portar­ le... ad affrontare il problema della resistenza. Soprattutto le società co­ stituite su base professionale tendevano a scendere sul terreno della resi­ stenza, mentre quelle a base cittadina conservavano più facilmente un carattere assistenziale » 3. Nel mettere in rilievo le caratteristiche strut­ turali di organizzazioni di categoria delle società operaie nelle quali si diffonde il fenomeno della resistenza, e nella successiva analisi del « ca­ rattere chiuso e corporativo » delle loro rivendicazioni economiche, il Candeloro evidenzia 1 origine prima della componente tradeunionistica e riformista che sarà presente nel successivo sviluppo del movimento sin­ dacale 4. Il secondo fattore che determina l’evoluzione delle associazioni operaie da forme mutualistiche a politiche di resistenza è individuato nell influenza dell ideologia dell’Internazionale anarchica e successiva­ mente nell azione del partito operaio. L ’autore puntualizza la mancata chiarificazione, nell’ambito di queste due organizzazioni, dei due piani operativi della rivendicazione economica e di quella politica. L ’interna­ zionalismo anarchico, infatti, « sebbene... riconoscesse l’utilità dell’orga­ nizzazione di classe, capace di condurre la lotta economica contro il capi­

2. Per lo stato della storiografia sul movimento operaio negli anni cinquanta f ° Gangheri, Gli studi storici sul movimento operaio italiano dal 1944 al 1950, « Società », 1951, n. 2.

3. G. Candeloro, op. cit

.,

p. 13.

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 11

talismo, non riusciva a vedere chiaramente l’aspetto politico della lotta di classe perché subordinava tutta la sua attività al fine utopistico della rivoluzione da compiersi con un colpo di mano insurrezionale » 5. Nel partito operaio, d ’altra parte, la mancata chiarificazione, oltre che nella sua pregiudiziale strettamente operaista, nella sua « struttura assai più simile ad una organizzazione sindacale che ad un partito politico » e nel suo programma incentrato esclusivamente sulla lotta di mestiere, si evi­ denzia nella incapacità di mettere in luce il legame che « tale lotta di mestiere ha con la lotta politica generale » 6. Questo equivoco peserà sullo sviluppo successivo del movimento operaio e renderà ardua la chia­ rificazione dei rapporti tra partito e sindacati, anche dopo la differen­ ziazione organizzativa stabilita nel Congresso di Parma (1895) del par­ tito socialista.

In quest’opera del Candeloro si rinvengono considerazioni illumi­ nanti, che saranno poi riprese e approfondite da altri studiosi7, sulle Camere del lavoro e sulle federazioni nazionali di mestiere. Egli infatti mette in rilievo il carattere più politicizzato delle prime, determinato dalla loro funzione di rappresentanza degli interessi generali e comuni di varie categorie di lavoratori, ivi compresi i contadini, e le tendenze riformiste delle seconde che le portano a sostituire alla lotta di classe una lotta di categoria di natura prevalentemente economica. Egli rin­ traccia quindi la radice dei conflitti di competenza che sorgeranno all’ini­ zio del secolo tra Camere del lavoro e federazioni di mestiere non tanto in questioni di competenza organizzativa quanto in questioni di scelte di indirizzi politici.

5. Ivi, p. 18. I risultati delle ricerche storiografiche sulla Prima Internazionale in Italia confermano che l’attività degli internazionalisti nel campo dell’organizza­ zione economica rivendicazionista è sporadica e frammentaria, cfr. Aldo Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari, Laterza, 1966; Leo Valiani, Storia del movimento socialista, ha Prima Internazionale, Firenze, 1951; Elio Conti, he origini del socialismo a Firenze, (1860-1880), Roma, Rinascita, 1950; Francodel­

la Peruta, h'Internazionale a Roma dal 1872 al 1877, «Movimento Operaio»,

1952, n. 1, e II socialismo italiano dal 1875 al 1882, « Annali dell Istituto G. G. Feltrinelli », 1958; Nicola Badaloni, Democratici e socialisti livornesi, Roma, Ed.

riuniti, 1966; Richard Ho stetter, he origini del socialismo italiano, Milano, Fel­

trinelli, 1963. Un tentativo di rivalutazione dell’aspetto sindacalistico dell’attività degli internazionalisti è attuato da Pier Carlo Ma s in i, ha Prima Internazionale in Italia. Problemi di una revisione storiografica, in: Il movimento operaio e sociali­ sta. Bilancio storiografico e problemi storici, Milano, Ed. del gallo, 1965, p. 95; La Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei havoratori. A tti Ufficiali, 1871-1880, a cura di P. C. Ma s in i, Milano, Ed. Avanti!, 1964.

6. Ivi, pp. 21, 28.

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12 MARIELLA NEJROTTI

Nell esaminare il citato volume del Candeloro l’attenzione è stata ri­ volta soprattutto al problema delle origini e del primo sviluppo del mo­ vimento sindacale, poiché questo ne è tuttora l’aspetto meno approfon­ dito, specialmente nelle opere a livello di sintesi generale. Infatti, sia nei due volumi dedicati all’Italia della Storia del sindacalismo del Gradilone, sia nel libro dell’Horowitz II movimento sindacale in Italia \ che rap­ presentano 1 tentativi di più ampio respiro, comparsi dopo l’opera del Candeloro, di sintesi storica globale del movimento sindacale, questo problema non viene affrontato che in termini generici. Il Gradilone de­ dica tutto il primo volume al periodo compreso tra le origini del movi­ mento sindacale e i primi anni del secolo. Oltre che a gravi inesattezze sul piano della pura informazione storica, il rilievo che si può muovere a 1 autore è che egli non procede al benché minimo tentativo di identi- cazione di quei temi che qualificano una storia del movimento sindacale rispetto ad una più generica storia del movimento operaio italiano. Que­ sta distorsione di prospettive si riscontra, d ’altronde, anche nella parte dell opera dedicata al sindacalismo tedesco, inglese e francese. Manca inoltre un’analisi della composizione sociale della classe operaia, delle modificazioni delle strutture economiche della nazione, dei rapporti tra gh avvenimenti politici e i loro riflessi sul movimento operaio, delle in­ terrelazioni tra momento politico e momento rivendicativo all’interno del movimento stesso. Nell’esaminare le caratteristiche delle manifestazioni e degli scioperi nel decennio 1880-1890 che avvengono in varie località d Italia, il Gradilone ne individua semplicisticamente le cause a volte nella pura influenza esercitata dalle varie correnti socialiste o anarchiche e a volte nella stessa spontaneità del movimento operaio o contadino, evitando di porsi il problema delle differenziazioni regionali e strutturali di queste agitazioni. Egli non dà segno di aver compreso, tra l ’altro che la stretta connessione esistente nella storia del movimento operaio, in particolare italiano, tra momento economico e momento politico trova la sua ragione fondamentale nel fatto che sino alla fine del secolo si lotti per la garanzia delle libertà democratiche elementari, fra le quali in pri­ mo luogo la libertà di organizzazione sindacale. Si può dire in sostanza che 1 opera del Gradilone è soprattutto resoconto di avvenimenti, visti nella loro successione automatica o collegati da nessi così generali da ri- io

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 13

sultare generici9. Di positivo vi è solamente lo sforzo di riordinare e rac­ cogliere il molto materiale sparso in varie pubblicazioni.

Un discorso di natura diversa deve essere fatto a proposito del libro del- l’Horowitz, la più recente in ordine di tempo tra le opere di carattere gene­ rale sul sindacalismo. L’autore non si interessa che marginalmente del pro­ blema delle origini e dei primi sviluppi del movimento sindacale e ciò per la stessa motivazione della sua ricerca costituita dall’esigenza « di compren­ dere le ragioni dell’egemonia comunista » 10 nel movimento sindacale ita­ liano. La prima parte dell’opera, dedicata, secondo la precisazione del- l’Horowitz stesso, allo studio dell’« allestimento scenico » e del « sor­ gere dell’organizzazione sindacale », è sostanzialmente riassuntiva. Si può rilevare che l’autore, fondandosi quasi esclusivamente sulla documenta­ zione diretta, sulle opere del Michels e sul vecchio centone dell’Angio- lini, sembra ignorare la storiografia italiana del dopoguerra e i risultati da essa raggiunti. L ’Horowitz tende ad evidenziare le « tradizioni di ri­ volta », il carattere di « reazione disorganizzata contro le condizioni di vita » delle agitazioni operaie e contadine, e la « mancanza di esperienza organizzativa » delle masse lavoratrici11. Conseguentemente le conclusio­ ni a cui giunge nel valutare il fenomeno dello sciopero generale sono necessariamente discutibili. Esso è visto infatti « non tanto [come] uno sforzo disciplinato per esercitare una pressione calcolata che porti a pre­ cisi obiettivi, quanto invece [come] una manifestazione organizzata di un semplice e generico atteggiamento di rivolta » 12. L ’autore non ne vede quindi il valore di espressione degli interessi generali della massa prole­ taria nazionale, e non solo di una ristretta aristocrazia operaia, né la sua portata come azione eversiva nei confronti dell’intero sistema dei rap­ porti sociali e economici del paese — valori invece così presenti nel con­ cetto di sciopero generale proprio del sindacalismo rivoluzionario — . Lo stesso conflitto tra federazioni nazionali di categoria e Camere del lavoro non deve essere individuato nei limiti, posti dall’autore, di una diversa concezione dello sciopero e dell’azione sindacale, bensì nella più vasta cornice del contrasto tra una politica sindacale settoriale e corporativa e una politica di lotta di classe con obiettivi di potere. Il consenso ideolo­ gico a una politica di carattere tradeunionista del movimento sindacale conduce inoltre l’Horowitz a tracciare una correlazione puramente

mec-9. Ancora più rilevanti limiti di genericità e schematismo presenta l’opera di

ItaloM. Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, SEI, 1947, che inoltre volge scar­

sa attenzione al periodo qui considerato. 10. Cfr. D. L. Horow itz, op. cit., p. x.

11. Ivi, p. 132.

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14 MARIELLA NEJROTTI

canica tra lo sviluppo delle vicende politiche e quello delle vicende sin­ dacali, senza che vi sia un riferimento concreto alle modificazioni strut­ turali della società italiana del tempo.

Analogo consenso ideologico ad un sindacalismo di tipo tradeunioni- sta si riscontra nella Storia del movimento operaio italiano di Rinaldo Rigola, edita nel 1947 13. L’autore, pur proponendosi di affrontare global­ mente il tema del movimento operaio italiano, rivolge la propria atten­ zione quasi esclusivamente all’azione di carattere sindacale svolta dalle associazioni operaie, quali le prime leghe dei tessili biellesi14, le sezioni del PO I, le federazioni di mestiere e le Camere del lavoro. Nel Rigola il concetto di azione sindacale è ristretto all’attività meramente econo­ mica, soprattutto di carattere rivendicativo, senza aperture verso più ge­ nerali problemi di politica sindacale e di classe. La già menzionata vi­ sione tradeunionistica delle questioni sindacali e la sua adesione alla cor­ rente riformista condizionano l’impostazione dell’intera opera del Rigola. In effetti la valutazione ed i giudizi dell’autore, sono spesso determinati non tanto dai risultati di un’analisi critica condotta con rigore scientifico, quanto da prese di posizione aprioristiche sostenute con passione di par­ te. Questa distorsione di prospettive conduce il Rigola a sopravvalutare le funzioni e conseguentemente l ’opera svolta dalle federazioni professio­ nali rispetto alle Camere del lavoro nella guida del movimento di classe dei lavoratori. Gli sfuggono in tal modo i limiti categoriali e settoriali elle loro rivendicazioni e della loro scarsa aderenza, eccezion fatta per ristretti nuclei operai del nord, alla composizione strutturale del proleta­ riato italiano. Il suo giudizio sulle federazioni e sulle Camere del lavoro è il prodotto di un criterio valutativo ristretto al metro della loro rispet­ tiva efficienza e funzionalità nel raggiungimento di obiettivi rivendica­ tivi tradizionali, ma manca di un benché minimo respiro politico che ne giustifichi la validità storica. Da ciò deriva, tra l ’altro, una valutazione eccessivamente ottimistica dei risultati conseguiti con lo sciopero di Ge­ nova del 1900. Se giustamente l ’autore mette in luce che prima del 1900

« il problema fondamentale delle classi lavoratrici... [era] il problema

della libertà sindacale senza mezzi termini » 15, non si può concordare con

13.

1947 Rinaldo R igola> Storia del movimento operaio italiano, Milano, Domus,

14. Sul movimento di resistenza nel biellese, cfr. R. Rigola, Saggio sulla storia del movimento operaio. Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel Biellese.

Auto-lografia, Bari, Laterza, 1950. Utili indicazioni si trovano in Pietro Secchia, Capi­ tate e classe operaia nel centro laniero d ’Italia, Roma, Ed. riuniti 1960

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 15

lui nel giudicare pienamente conquistata tale libertà dopo lo sciopero di Genova.

Per il periodo qui preso in esame il volume del Rigola, pur nei limiti suaccennati, presenta notevole interesse per l ’attenzione dedicata alla for­ mazione delle prime leghe di resistenza e alla funzione determinante svol­ ta in questo senso dal partito operaio. L ’autore fornisce inoltre interes­ santi dati sui salari, sull’orario di lavoro, sugli scioperi, sulla composizione delle diverse società di resistenza, sulle prime conquiste operaie. Si tratta di un contributo che, se pure scientificamente discutibile, ha per lo storico soprattutto valore di testimonianza diretta e qualificata sull’incidenza de­ gli ideali riformisti nelle lotte sindacali dell’epoca.

3. Dall’esame dei testi visti, si riscontra la carenza di uno studio esauriente sul problema storico della formazione delle organizzazioni sin­ dacali di classe come passaggio dalle società di mutuo soccorso alle auto­ nome società di resistenza e inoltre delle traccie che di questo processo persistono nelle successive organizzazioni delle federazioni di mestiere e delle Camere del lavoro, soprattutto con riferimento all’incidenza che, in questo processo evolutivo, ebbero le componenti politiche quali elementi determinanti la formazione e la strutturazione delle organizzazioni stesse. Manca soprattutto un’analisi della composizione sociale della classe ope­ raia e contadina, della struttura reale del movimento sindacale, del pro­ cesso elaborativo della linea politica delle organizzazioni sindacali e della sua rispondenza al movimento concreto delle masse e ai dati oggettivi della realtà storica del momento. Né è approfondito il tema della valu­ tazione, da parte del nascente movimento sindacale, dell’assetto struttu­ rale della società, nell’ambito della determinazione dei compiti specifici del sindacato stesso come elaborazione di una propria alternativa pro­ grammatica nei confronti delle politiche avanzate dai gruppi dominanti. Tale analisi e approfondimento sono presenti in parte in numerosi studi di carattere « locale » o ristretti sia a un limitato periodo di tempo sia a un rilevante episodio di lotta del movimento.

Un pregevole contributo alla conoscenza delle origini del movimento sindacale è l’opera del Manacorda II movimento operaio italiano attra­

verso i suoi congressi (1853-1892) , apparsa nel 1953 16. Il Manacorda,

attraverso un rigoroso esame dei dibattiti e delle risoluzioni dei congressi operai delle varie tendenze, dai mazziniani agli anarchici, ai radicali, ai

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16 MARIELLA NEJROTTI

socialisti evoluzionisti e rivoluzionari, traccia le linee principali del pro­ cesso storico di sviluppo del movimento operaio fino al 1892, fissandone alcuni punti fondamentali e chiarendone la portata e l’incidenza sulla suc­ cessiva evoluzione del movimento stesso. Data la strettissima connessione esistente in questo periodo nel movimento operaio fra momento politico e momento sindacale, l’opera del Manacorda suggerisce valide indicazioni e interpretazioni sulle origini del sindacalismo, sia pure nei limiti di un’a­ nalisi centrata sul vertice organizzativo e non ricondotta alla realtà delle strutture e delle lotte della classe lavoratrice. Di particolare rilevanza ci pare 1 individuazione del momento in cui il concetto di resistenza — in­ teso come lotta di classe — si inserisce nel discorso sulle strutture fina­ listiche delle associazioni operaie, concretandosi nella assunzione di pre­ cisi criteri organizzativi che superano le astratte enunciazioni program­ matiche alle quali tali associazioni erano rimaste ancorate fino a questo momento. L ’autore mette in luce come già il congresso del 1877 della Federazione dell Alta Italia dell’Internazionale elabori una definizione dei compiti dell organizzazione sindacale come organo della lotta di classe sul terreno economico, e come tale organizzazione venga ad assurgere a scopo programmatico del P O I 17. Il Manacorda nota come il concetto di lotta di classe si diffonda nelle associazioni operaie mazziniane: le mo­ zioni della base sul problema degli scioperi e delle casse di resistenza a partire dal 1882 divengono più numerose e insistenti, determinando il fenomeno del repubblicanesimo socialisteggiante e collettivista che darà origine, unitamente ad altre componenti, al movimento dei Fasci siciliani e provocherà il passaggio di parte dei militanti repubblicani nelle fila del partito socialista. L indagine del Manacorda pone in chiara evidenza il ruolo che, nel processo di costituzione delle Camere del lavoro, sosten­ nero le componenti repubblicane, socialiste, radicali e operaiste, nonché il contributo del PO I alla formazione delle federazioni di mestiere, sebbene egli tenda a sottovalutare il peso dell’apporto del movimento anarchico, nell’ultimo ventennio del secolo, sul piano della creazione di nuovi quadri organizzativi del movimento operaio.

Il contributo anarchico nell’ambito del movimento sindacale è invece valutato nelle sue concrete dimensioni dal Del Carria nel volume Prole­

tari senza rivoluzione ls. L’autore infatti rileva come la presenza anarchica 17. Ivi, pp. 108 segg., 158 segg.

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 17

agli scioperi e alle agitazioni proletarie dell’epoca, che si manifestò sia sul piano direzionale delle manifestazioni stesse, sia su un piano più generi­ camente organizzativo, determinò l’assunzione da parte di un settore del­ le masse lavoratrici delle concezioni di lotta rivoluzionaria tipiche del­ l’anarchismo. Gli anarchici, dice il Del Carria, « sono divenuti dirigenti organici di masse operaie non moderne » 19 : è quindi la scarsa presenza nel proletariato italiano dell’epoca della figura del moderno operaio di fabbrica che costituisce la condizione obbiettiva della assunzione di que­ sti concetti di lotta, che si riscontreranno, come elementi caratterizzanti anche se non prevalenti, nelle strutture ideologiche delle successive orga­ nizzazioni sindacali.

Il tema tuttora scarsamente studiato dell’apporto anarchico all’orga­ nizzazione delle masse proletarie è affrontato da Letterio Briguglio nel

Partito operato italiano e gli anarchici20. L’azione degli anarchici, che si

concreta soprattutto nell’attività di promozione di autonome cooperative di produzione (e il Briguglio ricorda in particolare, tra quelle contadine, la cooperativa dei braccianti di Forlì) e nell’organizzazione di scioperi, è vista dall’autore in contrapposizione dialettica a quella del P O I, in un tentativo di rivalutazione della politica sindacale del movimento operaio nel senso di un superamento di quei limiti di economicismo e corporati­ vismo che secondo la storiografia del movimento operaio hanno sempre costituito i ristretti obiettivi delle politiche del POI. Questa operazione viene attuata dal Briguglio mediante una dettagliata analisi delle prospet­ tive operative del PO I e del pensiero politico e sociale dello Gnocchi- Viani e dei dirigenti del PO I. Purtroppo i risultati conseguiti in questo senso non sono molto convincenti, soprattutto in quanto quel « ripensa­ mento... in sede storiografica » che l’autore promette al lettore nella in­ troduzione critica alla sua opera non è in effetti attuato se non in termini assai ristre tti21.

Né il contributo portato dal Santarelli nelle Marche dall’Unità al fa­

scismo 22 * è rilevante al riguardo. Per questo autore solo « il ritardato svi­ luppo delle strutture » può spiegare « come e perché, ai margini del più moderno movimento operaio, abbia potuto sussistere una notevole e

in-19. Ivi, p. 162.

20. Letterio Briguglio, Il partito operaio italiano e gli anarchici, Roma, Ed.

di storia e letteratura, 1969.

21. Ivi, p. x i i.

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18 MARIELLA NEJROTTI

gombrante corrente di socialismo utopistico » a . Il socialismo anarchico è visto in termini di movimento piccolo borghese con istanze razionali­ stiche ed anticlericali, autonomiste e collettiviste e come tale, destinato a giocare un ruolo assai marginale nell’evoluzione della problematica che qui ci interessa. In realtà l ’autore non affronta affatto il problema del reale valore del contributo anarchico, limitandosi a rilevarne la funzione di « disturbo » che esso avrebbe esercitato nel processo evolutivo del fe­ nomeno sindacale. L ’apporto del socialismo anarchico al processo di for­ mazione del movimento sindacale, è visto nella sua operatività organizza­ tiva e nella sua rispondenza al reale movimento del proletariato da Re­ nato Mori, sia pure limitatamente alla sola Lunigiana24.

Un notevole contributo all’analisi della composizione sociale della classe operaia e alla reale configurazione del movimento sindacale è dato da un importante saggio di Giuliano Procacci La classe operaia italiana

agli inizi del sec. X X 25. Egli compie un esame della struttura organizza­

tiva delle federazioni di mestiere e degli strati della classe lavoratrice che ad esse aderivano, mettendo in luce che la base delle federazioni era com­ posta in prevalenza dalla mano d ’opera qualificata e specializzata. Ma il presupposto dell’efficienza e dello sviluppo delle organizzazioni di tipo professionale è, secondo l’autore, l ’esistenza di una organizzazione pro­ duttiva e industriale sviluppata e di un « proletariato numeroso e relati­ vamente omogeneo » 26: in Italia questi presupposti esistevano solo in parte. Da ciò derivano i limiti più rilevanti delle federazioni di mestiere: dalla persistenza di interessi corporativi alla difficoltà di elaborare una piattaforma rivendicativa unitaria, alla mancata penetrazione in quei

set-23. Cfr. E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 8.

24. Renato Mori, La lotta sociale in Lunigiana (1859-1904), Firenze, Le Mon-

nier, 1958. Preziose informazioni sull’attività organizzativa degli anarchici dà Lucia­

no Cafagna, Anarchismo e socialismo a Roma negli anni della febbre edilizia e della crisi (1882-1891), «Movimento Operaio», 1952, n. 6. Pure nelle seguenti opere, connesse in maniera generica con la storia del sindacalismo, si trovano utili indica­ zioni: Gigliola Din u cc i, Pietro Gori e il sindacalismo anarchico in Italia all'inizio del secolo, « Movimento Operaio e Socialista », 1966, n. 2 e n. 3-4; Gino Bianco, Rivoluzionarismo anarchico in Lunigiana nel 1894, « Movimento Operaio e Socia­

lista », 1961, n. 3-4; Gino Bianco - Claudio Costantini, Appunti sul movimento anarchico in Liguria, « Movimento Operaio e Socialista », 1961, n. 2; Gino Cer- RiTO, Il movimento anarchico dalle sue origini al 1914, « Rivista Storica Toscana », 1968; Pier Carlo Ma s in i, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta,

Milano, Rizzoli, 1969, nega che nell’azione degli anarchici sia presente « un vero im­ pegno organizzativo » (cfr. p. 272).

25. Giuliano Procacci, La classe operaia italiana agli inizi del sec. xx, « Stu­

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 19

tori in cui la manodopera non qualificata e avventizia era prevalente. La composizione stessa delle federazioni fa sì che i loro compiti consistano quasi esclusivamente nelle attività di contrattazione sindacale, di dire­ zione delle agitazioni e degli scioperi, di rivendicazione economica. Per questa ragione esse costituirono la base della corrente riformista. Ana­ loga analisi compie il Procacci per le Camere del lavoro, mettendone in luce le caratteristiche e confrontandole con quelle delle federazioni. L’au­ tore giunge alla conclusione che « le Camere del lavoro non erano sola­ mente un sindacato e che le loro funzioni non erano limitate al solo piano rivendicativo » 11. Questo perché, a causa dell’« eterogeneità e dispersio­ ne delle strutture organizzative » a base territoriale, il vincolo che teneva unita la Camera del lavoro non era, come per le federazioni, l’esistenza di una comune piattaforma ri vendicai iva, ma « era qualcosa che superava il mero piano rivendicativo-sindacale, un interesse meno specificato e più largo, un comune orientamento politico » 2S. La rivendicazione di que­ sta funzione politica delle C.d.L. conduce il Procacci a sottolineare il maggior peso che esse ebbero, rispetto alle federazioni, nella determina­ zione delle scelte operative del movimento operaio e socialista: « le C.d.L. riflettevano le profonde peculiarità e originalità del movimento operaio italiano, l ’intreccio tra istanze socialiste e istanze democratiche, di cui esso si era nutrito e sulla base del quale si era sviluppato; di un movi­ mento operaio che era certo in ritardo rispetto a quello dei paesi più avanzati e più industrializzati cui amavano riferirsi i riformisti, ma cui proprio questo ritardo conferiva la spinta necessaria per superare quella fase tradeunionistica in cui i movimenti di altri paesi rimasero più a lun­ go irretiti » 27 28 29. L ’esplicazione da parte delle C.d.L. di funzioni sindacali non ristrette alla sfera rivendicativa si inserisce dunque nella complessa situazione economica e politica del Paese come superamento dei limiti di una azione politica necessaria ad « assicurare quelle condizioni generali di democrazia e di livello civile in cui un movimento rivendicativo... può svilupparsi » 30. Le C.d.L., come rileva il Barbadoro, vengono così ad as­ solvere « primari compiti sindacali nella tutela della forza lavoro, intesa globalmente non solo nell’atto della sua erogazione, divenendo così lo strumento di affermazione della coscienza di classe oltre i limiti del “ me­ stiere ” e della stessa categoria » 31. Ciò si concreta nel tentativo, attuato

27. Ivi, pp. 57, 60. 28. Ivi, p. 60. 29. Ivi, p. 62. 30. Ivi, p. 62.

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fin dall’inizio del secolo, di elaborare autonomamente una propria poli­ tica di espansione economica e di riforme di struttura, legata ad obiettivi immediati e di potere contrattuale. Questo tentativo, che pure è desti­ nato a rimanere ad uno stadio primitivo e frammentario, costituisce cio­ nonostante il più valido strumento di opposizione contro 1 inserimento del movimento sindacale, in posizione subordinata, nelle strutture dello stato borghese 32.

Lo sciopero generale del 1904 mette in luce le contraddizioni e i limiti, oltre che i valori positivi, dell’azione svolta dal movimento sin­ dacale. Esso, come nota ancora il Procacci nel suo saggio Lo sciopero

generale del 1904, « costituì un riepilogo ed un bilancio del vario e

ostinato lavoro che negli anni precedenti era stato fatto nel campo del­ l’organizzazione sindacale e politica delle classi lavoratrici » . L aspet­ to più positivo dell’analisi del Procacci, a questo proposito, è costituito dal fatto di aver individuato, tra i significati più rilevanti di questo scio­ pero, i motivi intorno ai quali si incentra la problematica del movimento operaio in quel preciso momento storico: sono i « problemi del rapporto tra localismo e federalismo nell’azione sindacale, tra sindacato e partito, tra movimento operaio e movimento contadino e tra organizzazioni me­ ridionali, i problemi insomma dell’unità del movimento operaio e socia­ lista italiano » 34.

Ritornando al tema delle C.d.L., sono da segnalare alcuni pregevoli studi che esaminano la genesi e i primi anni di vita delle C.d.L. di alcune città italiane, quali Genova, Bologna, Firenze e Torino. Per Genova, ol­ tre a un più modesto contributo sostanzialmente informativo di Nora Doria Goldschmiedt35, abbiamo due importanti saggi di Gaetano Pe­ nilo 36. Questi mette in luce le peculiarità del movimento operaio

geno-32. Ivi, p. 266. . _ .

33. G. Procacci, Lo sciopero generale del 1904, « Rivista Storica del Sociali­

smo », 1962, n. 17, p. 436. . . . . , , 1Qfu

34. Ivi, pp. 437-438. Per notizie sul momento iniziale dello sciopero del 1VU4, cfr. anche Alberto Boscolo, Losciopero di Buggerru del 1904, « Movimento Ope­

raio », 1954, n. 2; Antonio Congiu, Il massacro di Buggerru, « Rinascita », 1954.

35. Nora Doria Goldschm iedt, Nascita della Camera del Lavoro di Genova, « Movimento Operaio e Contadino in Liguria », 1956, n. 1-2; Il primo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova, « Movimento Operaio e Contadino in Liguria »,

36. Gaetano Pe r il l o, Ricostituzione e secondo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova, « Movimento Operaio e Contadino in Liguria », 1956, n. 3-4; La Confederazione Operaia Genovese e le Borse del Lavoro, « Movimento Operaio e

Contadino in Liguria », 1956, n. 1-2; Socialismo e classe operaia nel Genovesato

dallo sciopero del 1900 alla scissione sindacalista, « Movimento Operaio e Sociali­

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vese, roccaforte del mazzinianesimo, e le difficoltà di quel settore della classe operaia che ruota nell’orbita socialista di costituire una C.d.L. che sia espressione dei suoi interessi, senza che le pesanti interferenze del partito repubblicano e della Camera di Commercio genovese ne possano limitare la portata operativa. Precaria è la vita della C.d.L. genovese, so­ prattutto a causa dell’ostilità della classe padronale, che ha fallito nel suo tentativo di impadronirsene. L ’autore mette in luce le pressioni esercitate dalla retriva e gretta borghesia industriale cittadina sull’autorità prefet­ tizia, pressioni che determinano ben due ordini di scioglimento della or­ ganizzazione nel giro di pochi anni. Al secondo scioglimento la classe operaia risponde con un ’esemplare manifestazione di protesta: lo sciope­ ro generale. Acuto e stringente è l’esame che l’autore compie di tale scio­ pero, valutandone esattamente le importanti conseguenze sia sul piano locale che su quello nazionale. Nel saggio del Perillo queste vicende del movimento operaio sono viste sia nella loro relazione con lo sviluppo economico della città, sia nella loro connessione con il più vasto movi­ mento operaio nazionale.

Analogo giudizio si deve esprimere per il saggio di Luigi Arbizzani sulla C.d.L. di Bologna37. L ’analisi dell’Arbizzani è fondata sull’esame minuzioso della struttura, dell’azione e delle vicende sia degli organismi operai che confluiscono nella C.d.L., sia della C.d.L. stessa. Le conclu­ sioni dell’autore sono analoghe a quelle a cui, come si è visto, perviene il Procacci e ne sono quindi una verifica e una conferma.

Nicla Capitini M accabruni3S, nel suo recente libro sulla Camera del lavoro di Firenze, analizza minuziosamente le origini e le vicende della C.d.L. sino al 1900, viste nella prospettiva più ampia del quadro econo­ mico e politico della città e del paese. L’esame condotto dall’autrice è esauriente sul piano della ricerca e sufficientemente valido sul piano del­ l’interpretazione storica. Di particolare interesse è, tra l’altro, l’indagine sulla concreta influenza esercitata sulle organizzazioni operaie dai gruppi politici locali, dai moderati ai socialisti; e penetrante è l’individuazione delle diverse istanze portate nella C.d.L. dalle varie categorie di lavora­ tori che ad essa aderiscono. La Capitini Maccabruni volge la sua atten­ zione anche al movimento sindacale femminile, seguendo gli sviluppi delle lotte rivendicative delle sigaraie e delle trecciaiole fiorentine,

manifesta-operaio genovese cfr. Bianca Montale, La Confederazione Operaia Genovese e il movimento mazziniano in Genova dal 1864 al 1892, Pisa, Domus Mazziniana, 1960.

37. Luigi Arbizzani, La Camera del lavoro di Bologna, « Movimento Operaio

e Socialista », 1962, n. 3-4.

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zione della prima presa di coscienza delle lavoratrici: l’autrice a fierma che se « si può notare un progresso nell’affrontare i problemi del miglio­ ramento delle... condizioni economiche e sociali [delle lavoratrici], il grado di sviluppo storico dell’Italia e le condizioni del movimento ope­ raio sono però tali che solo raramente è possibile tradurre 1 affermazione della parità salariale in lotta rivendicativa » 39.

Paolo Spriano nel suo volume Socialismo e classe operaia a Torino

dal 1892 al 1913 40, mette in evidenza le difficoltà funzionali in cui si di­

batte la C.d.L. torinese nel periodo che va dalla sua costituzione fino ai primi anni del secolo. Egli pone l’accento sulla « spontaneità » dei primi scioperi generali torinesi e sulla incapacità dei dirigenti riformisti e gra­ dualisti della C.d.L. non solo di prenderne la direzione e organizzarli, ma di capirli; dal mancato incontro fra dirigenti sindacali e classe operaia deriva dunque la fragilità del movimento sindacale nella sua fase iniziale. Altre penetranti valutazioni sulle peculiarità del sindacalismo torinese compie lo Spriano nella sua critica ricostruzione delle vicende del movi­ mento operaio cittadino, non trascurando il nesso esistente tra sviluppo industriale della città e sviluppo del movimento operaio. Accentua anzi la dipendenza del secondo dal primo cadendo in un certo schematismo che non può che nuocere alla sua indagine.

Interessanti notazioni fa il Ragionieri41 sulla peculiarità della C.d.L. di Sesto Fiorentino, sorta per ispirazione dei socialisti riformisti che

ave-39. Ivi, p. 162. Alcune notizie sulla partecipazione di leghe femminili al movi­ mento sindacale e sui rapporti tra sindacalismo e femminismo sono in: Franca Pie-

roni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia, 1848-1892, To­

rino, Einaudi, 1963, e Socialismo e femminismo nell’ultimo Ottocento, « Movimen­ to Operaio e Socialista », 1966, n. 2 e n. 3-4; Paola Gaiotti De Bia s i, Le origini

del movimento cattolico femminile, Brescia, Morcelliana, 1963; L. Capezzuoli - G . Cappabianca, L'emancipazione femminile in Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1963; Aspetti dell’attività femminile in Piemonte negli ultimi cento anni, (autori vari),

Torino, CAFT, 1963. . , _

40. Paolo Spriano, Socialismo e classe operaia a Tonno dal 1892 al 121),

io-rino, Einaudi, 1958. Essenzialmente commemorativa, pur fornendo numerose infor­ mazioni, è l’opera di Gino Castagno, 18)4. Centenario A.C.T., Torino, Alleanza

Cooperativa Torinese, 1954. Dati e notizie sulla Camera del lavoro di Pinerolo e sul locale movimento sindacale sono in: AlbertoG. Pr ete, Cinquantanni di lotta ope­ raia e socialista nel Pinerolese, 1896-1947, Pinerolo, Tip. Molino & Fina, 1947. Il volumetto del Prete ha carattere memorialistico. Uguali caratteristiche presenta 1 o- puscolo di Nicola Ba s il e, Il socialismo in Alessandria, Alessandria, Tip. Gilarden-

go e Roncalli, 1964. .

41. Ernesto Ragionieri, Un comune socialista: Sesto Fiorentino, Roma, Rina­

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LE ORIGINI E LE PRIME VICENDE 23

vano conquistato la maggioranza nelle elezioni amministrative e non per la spinta delle leghe di resistenza: è viceversa la C.d.L. che promuove la costituzione delle prime leghe locali. Da ciò, dopo un breve periodo di rapido sviluppo, il declino della C.d.L. che non risponde alle esigenze di lotta dei lavoratori per l’atteggiamento equivoco dei suoi dirigenti, che si attengono, per ragioni elettorali, a linee politiche moderate.

Sulle Camere del lavoro esiste già, si è visto, un certo numero di studi specifici42 che ne illuminano le peculiarità a seconda delle diverse zone del paese in cui esse operano. Si riscontra invece una carenza di studi spe­ cifici sulle federazioni di categoria. Il libro di Libertario Guerrini Orga­

nizzazioni e lotte dei ferrovieri italiani (1861-1907) 43, oltre a fornire

una ricca messe di dati e di informazioni valuta con rigore scientifico l’in­ cidenza del movimento dei ferrovieri sullo sviluppo del movimento sin­ dacale nel paese.

La federazione edilizia è stata recentemente oggetto di un attento esame in un saggio di Anna Maria A ndreasi44 : l’autrice ne considera sia gli aspetti strutturali e i problemi organizzativi, sia la politica sindacale avanzata, nella sua interrelazione con il più generale movimento sinda­ cale, fondandosi su un’ampia documentazione.

4. Un aspetto peculiare che caratterizza il movimento sindacale ita­ liano sin dall’inizio del nuovo secolo è dato dall’importanza e dalle di­ mensioni che assunsero, soprattutto nella pianura padana, le organizza­ zioni sindacali dei lavoratori della terra, riunite, nel 1901, in Federazione nazionale.

Il processo di formazione di questo movimento, avvenuto nell’ultimo ventennio del secolo, ha come punti di riferimento capitali le conseguenze della crisi agraria, l ’espansione del capitalismo nelle campagne, e quindi la formazione di un vasto strato bracciantile omogeneo, nonché la

diffu-42. L’opera di Fe l ic e An zi, Origini e funzioni delle Camere del lavoro, Mi­

lano, Camera del lavoro di Milano, 1953, è un opuscolo informativo di carattere me- morialistico.

43. Libertario Gu er r in i, Organizzazioni e lotte dei ferrovieri italiani, 1861- 1907, Firenze, Ed. Rinascita Toscana, 1957. Sullo stesso argomento cfr. il saggio di

J. Fantini, Brevi cenni sull’organizzazione dei Ferrovieri dal 1878 al 1909, « Movi­

mento Operaio », 1949, n. 2.

44. Anna Maria Andreasi, La Federazione edilizia e il movimento sindacale italiano (1900-1915), «A nnali della Fondazione Luigi Einaudi», Torino, 1969. Si

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sione del socialismo 4S. È infatti negli anni della grande crisi agraria (il quinquennio 1882-1887) che nella pianura padana si hanno lotte e agi­ tazioni bracciantili, con carattere di massa e con concreti obiettivi di ri­ vendicazione economica. Da questi movimenti traggono origine le leghe di resistenza e di miglioramento dei contadini. L’epicentro del movi­ mento, il mantovano, è stato oggetto di specifico studio da parte di Clara Castagnoli e Rinaldo Salvadori46.

La Castagnoli fornisce preziose indicazioni sulla diffusione dell’asso­ ciazionismo nella campagna, nonché sullo svolgimento del moto de « La boje » che assunse le caratteristiche di vero e proprio sciopero. Rileva inoltre come le differenze ideologiche delle due più influenti associazioni contadine, democratico-radicale l’una e socialista in senso lato l’altra, non siano avvertite dalla massa, soprattutto in quanto entrambe intervengono con funzioni moderatrici nella direzione del movimento quando 1 idea dello sciopero ad oltranza si è già diffusa spontaneamente fra i conta­ dini 47. La spinta rivendicazionista trova le proprie radici dunque nella base come movimento spontaneo. E con essa nasce il concetto di orga­ nizzazione come strumento di lotta economica. La « predicazione socia­ lista » immediatamente seguente incontra dunque un ambiente già aperto e sensibile.

Nella sua ricerca, ricca di documentazione originale, il Salvadori ten­ de invece ad accentuare l’incidenza esercitata sul movimento de « La boje » dai dirigenti delle associazioni, in particolare il Sartori, il Sili- prandi e il Barbiani dei quali esamina accuratamente il pensiero e l’azio­ ne 48. Ciò lo induce a misconoscere parzialmente la reale configurazione

45. Cfr. Renato Zangheri, Introduzione a Lotte agrarie in Italia, Milano, Fel­

trinelli, 1960, pp. xxviii segg.; G. Manacorda, formazione e primo sviluppo del Partito socialista in Italia. Il problema storico e i più recenti orientamenti storiogra­ fici, in: Il movimento operaio e socialista: bilancio storiografico e problemi storici

cit., pp. 157, 168 segg. Fondamentale per la comprensione del fenomeno del diffon­ dersi del capitalismo nelle campagne italiane nei suoi aspetti economici, politici e sociali, è il volume di Em il io Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Torino, Einau­

di, 1968 (ed. precedente 1947).

46. Clara Castagnoli, Il movimento contadino nel Mantovano dal 1866 al movimento de « La boje », « Movimento Operaio », 1955, n. 3-4; « La boje ». Pro­ cesso dei contadini mantovani alla Corte d‘Assise di Venezia, a cura di Rinaldo Sal- vadori, Milano, Ed. Avanti!, 1962; R. Salvadori, La repubblica socialista manto­ vana. Da Belfiore al fascismo, Milano, Ed. del gallo, 1966.

47. Cfr. a questo proposito le analoghe osservazioni di Leo Valiani, L Italia dal 1876 al 1915. La lotta sociale e l’avvento della democrazia, in: La storia d’Ita­ lia, Torino, UTET, 1960, pp. 466 segg.

48. La figura del Siliprandi è ampiamente lumeggiata in Francesco Silipran-

d i, Scritti e memorie, a cura di Renato Giu s t i, in: L’Amministrazione provinciale

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del movimento e a sottovalutare la rilevanza dei dati strutturali econo­ mici e sociali, che analizza in maniera affrettata e superficiale. Queste in­ sufficienze, che si riscontrano anche nella analisi del movimento coope­ rativistico 49 e della formazione delle leghe, impediscono all’autore di comprendere la portata dell’azione, di chiarire il significato delle scelte operative delle organizzazioni economiche e di affrontare il problema dei rapporti tra movimento sindacale e movimento politico. Scarsamente presente è inoltre il collegamento con l’insieme degli avvenimenti e delle questioni che in quel periodo erano al centro della vita politica italiana.

Luigi Preti nell’opera Le lotte agrarie nella Valle Padana 50 attribui­ sce un’importanza preponderante al ruolo esplicato dall’azione di propa­ ganda dei socialisti nel processo di formazione del movimento sindacale nelle campagne 51.

Questa distorsione induce l’autore a considerare il movimento quasi come meccanica proiezione del socialismo nelle campagne, sottovalutando le condizioni oggettive che rendono efficace l’azione socialista, e a misco­ noscere le capacità dimostrate dall’organizzazione economica nella elabo­ razione di una propria linea sindacale. Per le stesse ragioni l’autore ac­ centua la subordinazione ideologico-politica della Federterra al partito socialista, subordinazione che, come ha dimostrato recentemente il

Pro-49. Valida opera sul movimento cooperativistico Nullo Baldini nella storia del­

la cooperazione, (Saggi di Aldo Be r s e l l i, Alfeo Bertondini, Lu ig i dal Pane, Sergio Nardi, Aldo Pagani, Giorgio Po r is in i), Milano, Giuffrè, 1966; per l ’aspet­ to che qui interessa si vedano in particolare i saggi di Sergio Nardi, Il movimento cooperativo ravennate dalle origini al fascismo-, e L. dal Pane, La cooperazione e la scienza economica italiana-, un approfondito studio locale sulla cooperazione, ricco di

dati e di notizie, è l ’opera di Nazario Ga l a ssi, La cooperazione imolese dalle origini ai nostri giorni, Imola, Galeati, 1968.

50. Luigi Pr e t i, Le lotte agrarie nella Valle Padana, Torino, Einaudi, 1955.

51. Sulla « predicazione evangelica » e sull’azione concreta svolta dai singoli socialisti nelle campagne esiste un certo numero di scritti a carattere prevalentemen­ te commemorativo e memorialistico o puramente cronachistico: Rolando Balducci, Alessandro Balducci e gli albori del socialismo nel forlivese (1880-1904), Milano,

Garzanti, 1954; Arturo Colo m bi, Giuseppe Massarenti pioniere, combattente e martire del socialismo, Bologna, C.T.O., 1950; Enrico Ba s s i, Giuseppe Massarenti (Apostolato e opera), Bologna, STEB, 1951; Mauro Scoccimarro, Giuseppe Mas­ sarenti e la sua lotta per il socialismo, Bologna, « La Lotta », 1955; Anselm o Ma- RABin i, Prime lotte socialiste. Ricordi di un vecchio militante, Roma, 1949; Renato

Marm iroli, Giovanni Zibordi, Roma, 1953 e Camillo Prampolini, Firenze, 1948;

L. Mu s in i, Da Garibaldi al socialismo. Memorie e cronache per gli anni dal 1858 al 1890, a cura di Gianni Bosio, Milano, Ed. del gallo, 1966; Sergio Mo rini, La propaganda di C. Prampolini fra i contadini reggiani (1886-1900), in: Le campagne emiliane nell’epoca moderna cit.; Alessandro Schiavi, I pionieri nelle campagne,

Roma, Opere Nuove, 1955; Nino Mazzoni, Lotte agrarie nella vecchia Italia, Milano,

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26 MARIELLA NEJROTTI

cacci52, si pone invece quasi sempre come compenetrazione tra partito e organizzazione sindacale e talvolta come predominio di quest’ultima, nelle zone a prevalenza bracciantile, sull’organizzazione politica. A fon­ damento della parziale e distorta angolazione da cui si pone il Preti nella sua ricerca, è il consenso ideologico dell’autore a una politica socialde­ mocratica, che lo induce non solo a considerare superficialmente i dati concreti di una determinata situazione storica, ma a deformare la reale posizione politica dei dirigenti del movimento socialista, quale quella del Costa, presentato come evoluzionista e tradeunionista 53. Ciò nonostante non mancano nel Preti notazioni interessanti, quali le osservazioni sulla figura e sulla mentalità del bracciante. Molte sono inoltre le notizie for­ nite, anche se quasi mai ne e indicata la fonte documentaria.

Renato Zangheri nell’introduzione alla raccolta dei principali docu­ menti della Federterra54 indirizza la propria ricerca essenzialmente al momento costitutivo della Federterra e alla successiva elaborazione di una linea sindacale autonoma, con rivendicazioni specifiche e originali, quali l’azione per il collocamento e l’imponibile.

L ’analisi dello Zangheri è uno dei più validi tentativi di interpreta­ zione storiografica del movimento sindacale agricolo, considerato sia nelle sue caratteristiche intrinseche, sia nei suoi rapporti col partito socialista, sia nella sua interrelazione col più generale quadro della storia del paese. L’autore valuta il peso dei diversi fattori che conducono alla costituzione della Federterra: lo sviluppo delle lotte contadine, sovente vittoriose, a partire dai primi mesi del ’900, che è favorito dall’ampliarsi della sfera delle garanzie democratiche elementari e che dà nuovo vigore alle già esistenti leghe contadine; la propaganda, che assume toni mitici e evan­ gelici sul tema di un « avvenire di giustizia », e l’azione organizzativa che i socialisti intensificano nelle campagne; le condizioni oggettive delle strutture sociali ed economiche dell’Italia e in particolare della valle pa­ dana, dove « i vecchi insoluti problemi della terra » si intrecciano con « quelli posti dall’avanzante progresso produttivo » capitalistico e si for­ mano consistenti strati bracciantili largamente omogenei55. Nell esame della situazione dell’economia agricola lo Zangheri mette in rilievo, tra

52. G . Procacci, Geografia e struttura del movimento contadino nella Valle Padana nel suo periodo formativo (1901-1906), « Studi Storici », 1964, n. 1.

53. Per un’esatta valutazione storica della posizione e del ruolo svolto dal Co­ sta nei confronti della formazione del movimento contadino cfr. R. Zangheri, An­ drea Costa e le lotte contadine del suo tempo, « Movimento Operaio », 1955, n. 1.

54. R. Zangheri, Lotte agrarie in Italia cit. ; nell’introduzione 1 autore traccia a

grandi linee e coglie le caratteristiche fondamentali dei movimenti sindacali agricoli degli altri paesi europei, citando un’ampia bibliografia.

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l’altro, il fenomeno della massiccia disoccupazione e sottoccupazione del proletariato bracciantile, che pone alla Federterra i problemi dei livelli di occupazione, del collocamento, della distribuzione del lavoro. Di qui la permanente e caratteristica azione sindacale del collocamento 56 e poi dell’imponibile, che supera i limiti puramente rivendicativi per costituire un intervento, sia pure ristretto, nell’organizzazione della produzione. Lo Zangheri si muove dunque anche sulla direttrice di una analisi della politica sindacale delle organizzazioni di classe e di una valutazione del potere contrattuale sindacale a livello del processo produttivo, direttrice spesso trascurata dagli storici del movimento operaio 57. L’autore esamina inoltre le linee della politica agraria del partito socialista 58 e, pur rile­ vando i suoi limiti (incomprensione dei problemi della mezzadria e della piccola proprietà, mancanza di un collegamento coi problemi generali del­ la società, indifferenza verso i problemi dei contadini del mezzogiorno) e l’erroneità della utopistica formula programmatica della socializzazione della terra, staccata dalla concretezza delle lotte contadine, le giustifica storicamente come necessità, nella fase primitiva del movimento, del so­ stegno della credenza nel mito dell’avvenire, e come esigenza di affermare rigidamente la distinzione da un programma genericamente democratico. Ciò che lo Zangheri intuisce ma non esprime con chiarezza è il vuoto, nel partito socialista, di programmi fondati sulla conoscenza delle realtà strut­ turali del paese e, nel caso specifico, la carenza di una politica agraria a lungo respiro. Non evidenzia quindi come i dirigenti del partito siano condizionati dalla linea politica della Federterra che è essenzialmente espressione di un solo, per quanto vasto, strato del proletariato, il brac­ ciantato, e di una particolare zona geografica e economica del paese, la valle padana. Lo Zangheri non vede le leghe che predominano nei con­ gressi della Federterra in questo periodo come organizzazioni di carat­ tere essenzialmente professionale, di rappresentanza dei soli interessi del bracciantato agricolo. Non chiarisce di conseguenza che la proclamata

56. L’azione per l ’esercizio del collocamento è già sperimentata nell’ultimo de­ cennio del secolo dalla Lega di S. Rocco di Quistello, cfr. Aronne Verona, Appunti per la storia della Lega di S. Rocco di Quistello, « Movimento Operaio », 1955,

n. 3-4.

57. Su questa stessa linea procede la ricerca di Idomeneo Barbadoro, Proble­ mi e caratteristiche storiche del movimento sindacale italiano, « Rivista Storica del

Socialismo », 1963, n. 19.

58. Cfr. a questo proposito Alberto Caracciolo, Pendenze e ideologie di tipo

« rurale » nel primo socialismo emiliano, in Le campagne emiliane nell’epoca moderna.

Saggi e testimonianze, Milano, Feltrinelli, 1957, e dello stesso autore, La questione agraria e il movimento socialista nelle campagne, in: Critica sociale, Milano, Feltri­

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« coscienza socialista, vale a dire coscienza politica di classe » di tali le­ ghe è sostanzialmente « coscienza sindacale e tradeunionistica » 59. Da ciò deriva la mancata valutazione dei rapporti fra leghe agricole e Camere del lavoro e la parziale accettazione del pregiudizio, allora diffuso, sulla « apoliticità » delle C.d.L. stesse.

La configurazione dei rapporti tra leghe contadine e C.d.L. è oggetto di attenta analisi da parte del Procacci nel suo saggio Geografia e strut­

ture del movimento contadino della Valle Padana ( 1901-1906). L im­

postazione di questo saggio è analoga a quella adottata dall autore nel suo precedente lavoro, La classe operaia italiana agli inizi del sec. X X , che e già stato qui esaminato. Il Procacci analizza la composizione sociale della classe agricola, illustrandone le caratteristiche a seconda delle varie zone della pianura padana, sulla base delle strutture economiche e dei dati oggettivi dello stesso paesaggio agrario. A seconda della prevalenza nelle varie provincie della figura del bracciante o di quella del mezzadro, del colono, del piccolo proprietario, il rapporto con la C.d.L. del capoluogo si articola tra il rifiuto, la diffidenza, la collaborazione e 1 adesione. Spes­ so, inoltre, la scarsa aderenza dei quadri cittadini ai problemi del movi­ mento contadino — e in particolare l’incapacita di proporre e dirigere una valida controffensiva nei confronti della pesante reazione padrona­ le — nonché l’inadeguatezza del partito socialista nell’elaborare una poli­ tica a vasto raggio per gli strati intermedi, determinano il prevalere nelle organizzazioni sindacali dell’influenza politica dei democratici e pur anco dei cattolici60.

Il tipo di impostazione della ricerca ed il discorso iniziato dal Pro­ cacci nei citati saggi dovrebbe essere esteso a tutto il territorio italiano per giungere ad una visione più articolata del movimento sindacale e dei suoi collegamenti con il movimento politico ed ampliato sino ad operare una saldatura con i più generali problemi politici sia del partito socialista — quale il discorso sul revisionismo e sulle nuove correnti rivoluziona­ rie 61 — sia del paese — quale l’individuazione degli esatti termini del rapporto tra riformismo e giolittismo 62.

59. Cfr. G. Procacci, Geografia e struttura... cit., p. 60. . 60. Cfr. pure Mario Ronchi, Le origini del movimento cattolico nel Soresi- nese, (1901-1913), «Movimento O peraio», 1955, n. 3-4.

61. Nella storiografia non è stata ancora attuata una saldatura tra il discorso teorico sul revisionismo e i dati strutturali del movimento operaio e dell’economia italiana; cfr. E. Santarelli, La revisione del marxismo in Italia, Milano, Feltrinelli,

1964. ’

62. Cfr. FrancoDe Fe l ic e, L ’età giolittiana, « Studi Storici », 1969, n. 1, pp.

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Oltre a un approfondito esame della composizione sociale della classe contadina e delle strutture economiche delle campagne, Alessandro Ro­ veri, nella sua valida opera Socialismo e sindacalismo nel ferrarese (1870-

1915) 63 analizza l’incidenza nel movimento sindacale locale della propa­

ganda e dell’opera delle varie correnti politiche, dalla democratica radi­ cale alla socialista e alla cattolica, e le modificazioni che lo stesso movi­ mento sindacale provoca nell’ideologia e nei rapporti di potere delle cor­ renti politiche locali63 64. L’esame degli scioperi e delle rivendicazioni avan­ zate è approfondito e ne sono chiarite tutte le conseguenze; particolare attenzione è rivolta alla politica di controffensiva della classe agraria pa­ dronale, sia a livello locale (con la creazione ad esempio degli Uffici di lavoro per organizzare il crumiraggio) sia a livello parlamentare.

Gli orientamenti degli agrari in Emilia in rapporto alle lotte sindacali contadine sono definiti con chiarezza nelle loro linee principali nel sag­ gio di Maria Adelaide Salvaco, Riflessi parlamentari delle lotte agrarie

emiliane 65. Lo sviluppo della resistenza degli agrari, dopo la sua espres­

sione più massiccia e primitiva nel decennio reazionario di fine secolo con la repressione sanguinosa degli scioperi e la persecuzione delle coopera­ tive e delle leghe, è estremamente complesso e spazia dal mantenimento della mezzadria e dall’adozione su larga scala della compartecipazione al­ l’organizzazione del crumiraggio, all’opposizione al governo giolittiano e all’appoggio a Sonnino.

Nella storiografia dell’ultimo ventennio l’interesse è stato soprattutto rivolto all’epicentro del movimento sindacale contadino, la valle padana. Non mancano tuttavia alcuni pregevoli studi sulla configurazione del fe­ nomeno nell’Italia centrale e in Sicilia. Per l’Italia meridionale invece la carenza di ricerche specifiche è quasi totale.

Rigorosa e approfondita è la ricerca di Alberto Caracciolo, Il movi­

mento contadino nel Lazio. 1870-1922 66, nella quale viene messo in luce

come fino agli ultimi anni del secolo non esista alcun accenno di un mo­ vimento di resistenza di classe tra contadini. Sino al 1880 le agitazioni

63. Alessandro Roveri, Socialismo e sindacalismo nel ferrarese (1870-1915), Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea, Roma,

1963-1964, voli. 15-16.

64. Sull’influenza nel movimento sindacale della corrente repubblicana per un’altra regione della pianura padana, la Romagna, si hanno utili indicazioni in

Luigi Lo t t i, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza, F.lli Lega, 1957.

65. Maria Adelaide Salvaco, Riflessi parlamentari delle lotte agrarie emilia­ ne, in: Le campagne emiliane nell’epoca moderna cit.

66. Alberto Caracciolo, Il movimento contadino nel Lazio. 1870-1922, Ro­

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contadine, alla cui testa è il clero locale, sono rivolte « della fame », con caratteristiche di opposizione allo stato unitario. Il movimento associa­ zionistico, del resto, incomincia a svilupparsi solo dopo l’80, sotto l’in­ fluenza di cattolici, di moderati e di repubblicani, nella forma del mero mutuo soccorso. I pochi e ristretti scioperi di braccianti e di pastori nel quinquennio della crisi sono « movimenti completamente isolati rispetto a qualunque forma di organizzazione, sia essa politica o mutualistica o di altro genere » 67.

Il Caracciolo illustra come sia determinante per la formazione del mo­ vimento di resistenza la legge abolitiva degli usi civici: i palesi abusi dei proprietari provocano per reazione nei contadini l’acquisizione, sia pure embrionale, della coscienza dei loro diritti e della loro situazione di clas­ se. La loro opposizione si manifesta concretamente con l’occupazione delle terre sottratte agli usi civici: da queste manifestazioni nascono spon­ taneamente le prime leghe sulle quali, in un secondo tempo, confluirà l’opera di propaganda e di organizzazione dei gruppi socialisti cittadini. In questi primi movimenti è l’origine delle occupazioni di massa della terra, contro gli abusi latifondistici, che negli anni seguenti agiteranno il centro e il sud dell’Italia 68.

Enzo Santarelli69, nell’esame delle lotte contadine nel marchigiano, affronta l’analisi delle strutture sociali e dei problemi dell’economia agri­ cola in rapporto allo sviluppo economico della regione. Pur fornendo al­ cune utili indicazioni per il periodo qui considerato, l’autore incentra il suo interesse sul periodo successivo e, in particolare, sul problema dei rapporti città-campagna.

Sulla direttrice dell’analisi delle strutture economiche e sociali, dello svilupparsi dei rapporti capitalistici nelle campagne e dell’individuazione del significato delle rivendicazioni avanzate nei primi scioperi della cate­ goria mezzadrile in Toscana — dove la mezzadria è la configurazione pre­ valente nell’ambiente agricolo — si muovono Ernesto Ragionieri e Gior­ gio M ori70. Né trascurano di mettere in luce la prevalente incidenza sul

67. Cfr. A. Caracciolo, Il movimento contadino nel Lazio cit., p. 38.

68. Cfr. A. Caracciolo, L ’occupazione delle terre in Italia, Roma, ed. Cultura

sociale, 1950; Pietro Laveglia, Lotte per la terra e primi tentativi di organizza­ zione contadina in provincia di Salerno, « Movimento Operaio », 1955, n. 3-4.

69. Cfr. E. Santarelli, Aspetti del movimento operaio nelle Marche cit. e Le Marche dall’unità al fascismo cit.

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