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Report Agricoltura sociale - Progetto Provincia di Pisa - Assessorato Agricoltura, Forestazione, Turismo, Difesa Fauna

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Progetto Provincia di Pisa

Assessorato Agricoltura, Forestazione, Turismo, Difesa Fauna

Agricoltura Sociale e reti di protezione sul territorio provinciale di Pisa: stru-menti e metodi per il consolidamento delle pratiche

Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali

“Enrico Avanzi”

A CURA DI: Prof. Francesco Di Iacovo

Dott. Michele Sargenti

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INDICE

Capitolo 1 ... !2

L’agricoltura sociale: nuova forma di accoglienza ed integrazione nelle campagne... !2

1.1. - Costruire nuovi modelli: perché parlare di agricoltura sociale... !2

1.2. - Evoluzione dei sistemi di welfare ...!2

1.3. - Aree rurali e welfare rigenerativo ...!3

1.4. - Agricoltura sociale: una possibile definizione ...! 5

1.5. - Gli obiettivi e le pratiche in agricoltura sociale ...! 7

Capitolo 2 ...! 9

Alcune indicazioni di scenario per l’agricoltura sociale in Italia ed in Europa...! 9

2.1. - L’avvio del dibattito sull’agricoltura sociale in Italia ...! 9

2.2. - Il quadro di riferimento organizzativo per l’AS in Italia ...! 10

2.3. - Il riconoscimento delle pratiche d’AS in ambito comunitario ...! 12

Capitolo 3 ...! 15

L’agricoltura sociale nella provincia di Pisa ...! 15

3.1. - La diffusione delle esperienze di agricoltura sociale ...! 15

3.2. - Le esperienze di agricoltura sociale in provincia di Pisa ...! 16

3.3. - Punti di forza e limiti delle esperienze locali ...! 16

3.4. - Gli elementi della discussione: il risultato dei tavoli di discussione ..!17

3.5. - Dagli incontri alla rete ... 22

Capitolo 4 ...! 23

L’agricoltura sociale in Valdera: un’iniziativa di innovazione sociale ...! 23

4.1. - Il contesto di riferimento ...! 23

4.2.- Il percorso che ha portato all’avvio dell’iniziativa/progetto ...!24

4.3. - I soggetti coinvolti nell’iniziativa ... 26

4.4. - Gli obiettivi dell’iniziativa ...! 26

4.5. - Le tipologie di utenti coinvolti ...! 26

4.6.-Gli strumenti e le metodologie di lavoro adottate ...! 27

4.7. - La codifica delle pratiche di agricoltura sociale ... !27

4.8. - Il monitoraggio e la valutazione delle pratiche di agricoltura sociale. 28 4.9. - Gli esiti attuali del progetto ...!29

4.10. - Gli elementi di riflessione ...! 30

Capitolo 5 ...! 30

Casi di studio ...! 30

Az. Agr. Bio Colombini ... !31

Fattoria Sant’Ermo...! 34

Az. Agr. Il Lischeto ...! 37

Az. Agr. Il Querceto ... ! 40

Associazione Mondo Nuovo ...! 43

Cooperativa Sociale La Ficaia ...! 46

Cooperativa Ponte Verde ...! 49

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Capitolo 1

L’agricoltura sociale: nuova forma di

acco-glienza ed integrazione nelle campagne

1.1. - Costruire nuovi modelli: perché parlare di agricoltura

so-ciale

Le comunità locali, i sistemi urbani, le aree rurali, le imprese, i cittadini e le strutture istituzionali ed amministrative che li rappresentano, si trovano a fare fronte ad un processo significativo di cambiamento nella gestione delle pro-prie attività quotidiane. Un modello di società, quello che faceva leva sulla produzione della ricchezza da parte delle imprese, sulla leva fiscale nazionale e sulla redistribuzione della ricchezza ai ceti più deboli da parte del sistema pubblico nazionale, sta venendo meno, senza che siano del tutto chiare le co-ordinate del nuovo possibile sistema di relazioni. Anche nel campo della pro-duzione del cibo, acquisisce maggiore evidenza la necessità, da parte dei si-stemi locali e nazionali, di affondare le basi della loro sicurezza alimentare, non più e non tanto su flussi di mercati eterodiretti, quanto, sempre più, su fonti di approvvigionamento controllabili, nelle quantità e nelle qualità realiz-zate. La crisi ambientale, spesso lasciata al margine del dibattito quotidiano, fa emergere con sempre maggiore evidenza la necessità di incorporare il con-cetto di limite nella gestione delle pratiche e delle politiche quotidiane, rispet-to ai molti campi del vivere sociale e civile.

Ciò che appare chiaro è che, proprio in conseguenza dei rischi e delle poten-zialità derivanti da mercati e società più aperte, dall’evolvere delle organizza-zioni sociali nelle diverse aree mondiali, diventa nuovamente rilevante, da parte delle comunità locali, generare nuova coerenza tra bisogni e risorse di-sponibili e rafforzare i livelli di organizzazione e coesione interna.

Il tema dell’agricoltura sociale si inquadra, e per molti versi anticipa, que-sta esigenza di cambiamento. Essa nasce dalla possibilità di valorizzare alcune risorse disponibili localmente per diversificare ed ispessire la rete dei servizi alla persona. Ma consente anche di guardare all’agricoltura ed al mondo rura-le in una nuova prospettiva, più strettamente rura-legata al protagonismo ed

all’at-tivismo degli imprenditori e degli operatori coinvolti, piuttosto che all’ano-nimato di alimenti resi disponibili da filiere lunghe. Allo stesso tempo, resti-tuisce alla responsabilità dell’atto del consumo la scelta di privilegiare prodot-ti, comportamenprodot-ti, imprese, capaci di operare in modo attivo a sostegno delle comunità locali e delle risorse del territorio. In questo report, cercheremo di chiarire meglio il significato, gli obiettivi, i protagonisti e le possibili evolu-zioni delle attività di agricoltura sociale. Cercheremo anche, di fornire delle indicazioni rispetto a quanto si sta realizzando nel campo dell’agricoltura so-ciale nel territorio Pisano e proveremo a fornire delle possibili indicazioni di percorso per inserire le pratiche di agricoltura sociale all’interno del sistema dei servizi alla persona.

1.2. - Evoluzione dei sistemi di welfare

E’ difficile affrontare il tema dell’agricoltura sociale senza fare riferimento all’organizzazione della rete dei servizi alla persona dal punto di vista so-cio-assistenziale, della formazione e dell’inclusione lavorativa. Non è obietti-vo di questo rapporto entrare in modo dettagliato nella tematica, che sconte-rebbe, necessariamente, una carenza di competenze, quanto, al contrario, pro-vare ad offrire alcuni spunti da non esperti, coerenti con il tema dell’agricoltu-ra sociale.

Quello dei sistemi di welfare, dei criteri d’ispirazione, della loro sostenibilità, della loro evoluzione, è un dibattito che attraversa l’intera discussione delle società occidentali e non solo.

In Europa, diversamente da quanto avvenuto per il mondo agricolo e rurale, il processo d’integrazione delle politiche sociali e del lavoro procede da meno tempo ed in modo più lento rispetto a quanto avvenuto per le politiche agri-cole. La scelta del metodo di coordinamento e la diffusione di buone pratiche ne rappresentano i due strumenti principali.

Peraltro, l’uso dei fondi strutturali e, in particolare, delle politiche del Fondo Sociale Europeo, hanno ripetutamente messo a disposizione degli Stati Mem-bri strumenti e risorse ingenti per promuovere innovazione dei servizi ed adeguati livelli di coesione sociale all’interno della Comunità.

Gli stessi documenti comunitari tendono ad offrire una lettura comparata del-le scelte assunte dai singoli Paesi, competenti per l’intervento in campo socia-le e socio-assistenziasocia-le, anche con l’intento di valutare la coerenza rispetto alsocia-le decisioni assunte in sede comunitaria dagli stessi Stati membri (Frazewr, Mar-lier, 2008)

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Peraltro, il dibattito sulle politiche sociali, viene di solito articolato in modo generale e trasversale per categorie di utenze e per tipologie di soggetti sociali, e non sempre tiene adeguato conto della diversità dei bisogni e del-l’organizzazione sociale di aree e territori, specie per quanto riguarda la di-stinzione tra ambiti urbani e territori rurali. Al contrario, quanti si occupano di sviluppo rurale, guardano con crescente attenzione al tema dei servizi alla persona come possibile ostacolo all’avvio di adeguate opportunità di cam-biamento e di attrazione di questi territori.

Ancora, all’interno di uno schema, oramai consolidato di ragionamento, l’arti-colazione e la ricchezza dell’offerta dei servizi, viene solitamente messa in stretta connessione con il raggiungimento di adeguati livelli di sviluppo eco-nomico. Al contrario, proprio le evidenze offerte dalla crisi economica ed am-bientale, pongono la necessità di ridefinire modelli concettuali alternativi ca-paci di guardare ai servizi come possibile volano di crescita dello sviluppo locale, sebbene più scollegato dalla crescita finanziaria ed in modo più condi-zionato da una crescente interazione ed integrazione locale tra settori e risor-se, materiali (finanziarie e fisiche) ed immateriali (conoscenze professionali e reti di relazione informali).

Questa affermazione è tanto più evidente quando si osserva come la sosteni-bilità economica e l’efficacia della spesa socio-sanitaria riguardi aspetti diversi tra cui: la crisi di risorse pubbliche, che spinge a cercare soluzioni innovative rispetto ai meccanismi fino ad oggi adottati; l’innalzarsi della spesa pro-capite per l’affermarsi degli elementi tecnologici nelle cure e l’aumento dell’età me-dia della popolazione.

Il tema dell’efficacia, invece, si lega al dibattito sui sistemi d’inclusione sociale e di cura. Questi mettono in discussione servizi che si caratterizzano per una forte istituzionalizzazione e professionalizzazione, per porre una crescente attenzione nei confronti di servizi modellati sulla persona, dove acquisisce rilevanza la relazione e la umanizzazione del servizio, ma anche la creazione di un sistema di caring capace di assicurare un sistema qualitativamente vivi-bile ed inclusivo.

Per le ragioni descritte, al tema della organizzazione dei sistemi di welfare si è andato legando, in modo sempre più stringente, l’idea di welfare munici-pale e di governance locale. La necessità di generare coerenza tra risorse di-sponibili e bisogni locali implica sempre maggiori livelli di responsabilità.

Allo stesso tempo, è sempre più pressante la necessità di trovare i livelli e le modalità di decisione utili per tenere legate tra loro: la capacità di gestire ri-sorse trasferite attraverso i diversi livelli istituzionali con quella, sempre più pressante, di reperire risorse locali. Allo stesso tempo, è sempre più forte la necessità di generare innovazione nell’organizzazione dei servizi, in modo da renderne la gestione più efficiente dal punto di vista economico, assicurando livelli, se possibile, più elevati di efficacia. Per queste ragioni l’idea di welfare locale è legato alla programmazione e alla gestione delle risorse su scala locale e rimanda alle amministrazioni locali, attraverso logiche di partecipazione e di sussidiarietà, il compito di trovare soluzioni pertinenti in un quadro dive-nuto più difficile.

Nell’esperienza Toscana, questo processo di decentramento decisionale è stato avviato da tempo, anche grazie ad una certa coerenza del quadro politico di riferimento. La sperimentazione, e poi l’avvio, delle Società della Salute ne rappresentano l’esempio più evidente, sebbene sia richiesta un processo di continua integrazione di missione e funzioni di queste con le strutture della formazione e, in modo evidente per quanto concerne l’agricoltura sociale, con gli stessi assessorati che si occupano di agricoltura e sviluppo rurale.

1.3. - Aree rurali e welfare rigenerativo

Le aree rurali presentano delle specifiche esigenze in termini di organizza-zione dei sistemi di welfare e sollecitano un rinnovamento più profondo del dibattito sul sistema dei servizi in generale.

Nelle aree rurali è compito del welfare, non tanto e non solo, porre riparo ai processi di esclusione generati da uno sviluppo economico ineguale, quanto, anche quello di rigenerare e rinsaldare le comunità locali e renderle vitali, at-traenti e coerenti con la nuova domanda di ruralità. Per questo motivo è stato introdotto il termine di welfare rigenerativo. Il welfare rigenerativo ha una natura pro-attiva e punta a ridefinire, nell’ambito dei livelli minimi di assi-stenza, la rete dei servizi nelle aree rurali in modo coerente con le risorse, le specificità ed i bisogni locali. Questa visione del welfare tende ad attivare energie nuove nei servizi pubblici e negli operatori, sebbene si scontri con la difficoltà di un’effettiva integrazione delle politiche pubbliche e/o gestite da Enti Locali diversi di una stessa area. L’idea di welfare rigenerativo si

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svilup-pa nel solco del dibattito che lega insieme l’idea stessa di welfare, quella del welfare municipale e l’organizzazione di sistemi portanti.

Nelle aree rurali, peraltro, la crisi pubblica di risorse è resa più viva dal maggior costo unitario dei servizi1, che ne determina la rarefazione e una crisi di vivibilità. Al welfare rigenerativo, quindi, viene chiesto di operare ritro-vando sostenibilità economica e, allo stesso tempo, efficacia per i singoli por-tatori di bisogno, come per l’intera comunità.

Le aree rurali hanno bisogni specifici che si legano alla struttura sociale della popolazione, alle modalità d’insediamento e ad alcuni trend evolutivi in atto (la rarefazione e l’invecchiamento della popolazione, il difficile ricambio ge-nerazionale, la trasmissione di conoscenze tacite tra residenti nuovi e vecchi, giovani ed anziani, le parità di genere alla luce della domanda di emancipa-zione delle giovani donne2, l’ingresso di nuovi migranti in comunità già frammentate).

Per fare fronte a tali bisogni sono necessarie scelte innovative nella rete di protezione sociale, capaci di definire un welfare mix, governato dal soggetto pubblico ma capace di avvalersi di un forte contributo dei privati e della so-cietà civile, fortemente disperso sul territorio attraverso strutture flessibili e multiscopo, pubbliche e private. Per raggiungere questo obiettivo è necessario definire scelte innovative nei metodi come nei contenuti.

Le questioni di metodo mirano ad evitare di riprodurre modelli di servizio diffusi e poco pertinenti e attivare risorse nuove e non scontate. In questo sen-so, l’adozione di forme partecipate di progettazione sociale e di sussidiarietà

nella gestione dei servizi (patti e carte di cittadinanza)3 hanno il compito di mobilizzare le risorse di comunità, ed in particolare le risorse del volontariato e del mutuo aiuto (Moro G., 1998). Queste sono dotate di una forte componen-te di relazionalità, utile per ricostruire dialogo e trasmissione di saperi locali. A tale riguardo, la presa in carico dei bisogni degli abitanti da parte della co-munità locale, deve avvenire in forte connessione con le reti istituzionali capa-ci di assicurare professionalità e qualità (grazie agli operatori socapa-cio-sanitari pubblici e del privato sociale), mediante l’organizzazione di meccanismi isti-tuzionali e contrattuali, ma anche attraverso una rivisitazione delle relazioni locali, dei valori del dono e della reciprocità, propri del modo di vivere delle comunità tradizionali. L’avvio di processi d’innovazione sociale si basa sul-l’apprendimento collettivo e multicompetente, l’adozione di sistemi volti a premiare il monitoraggio, la valutazione qualitativa dei progetti e l’efficacia dei risultati ottenuti.

Per quanto riguarda gli aspetti di contenuto, invece, il welfare rigenerativo deve favorire una riflessione attenta circa le soluzioni tecniche ed organizzati-ve utili per assicurare risposte adeguate ai bisogni delle componenti più fragi-li della popolazione rurale. Esse devono basarsi su alcune specificità delle aree rurali, tra cui, i condizionamenti legati ad una diversa gestione del tempo e dello spazio. Connettività, e conciliazione dei tempi di vita, sono parole chia-ve nelle aree rurali, specie se si considerano le specificità dei ritmi di lavoro (ad esempio dell’agricoltura) e la distribuzione spaziale della popolazione. Per favorire l’accesso ai servizi è utile favorirne la loro dispersione territoriale,

1! Per la difficoltà di raggiungere le economie di scala indispensabili per modelli di servizio concepiti per ambiti urbani ed elevate densità di popolazione, oltre che per una struttura sociale spostata verso le classi d’età più elevate

2! Nelle aree rurali la presenza di giovani donne è spesso ridotta, in parte per i maggiori tassi di scolarità, ma anche per una visione diffusa che le costringe a ruoli poco adeguati alla domanda d’in-dipendenza delle generazioni più giovani.

3! L’adozione di strumenti pattizi facilita la condivisione di strategie, obiettivi, strumenti, risorse e facilita il coordinamento locale, responsabilizzando ad un’azione trasparente. Quando questi pro-cessi sono adottati in modo non strumentale alla predisposizione di un progetto di finanziamento, ma in modo fattivo ed operante, è possibile avviare nuove possibilità di organizzazione delle reti di servi-zio e di risposta ai bisogni degli abitanti locali e non, spesso per categorie specifiche di utenti non locali. Ad esempio in Valle del Serchio (LU) è stato attivato un progetto per le disabilità che tende a legare le strutture pubbliche più classiche, quali i centri diurni, con alcune aziende agricole disponibili a svolgere attività di formazione ed avvio al lavoro per persone con diversa abilità. Alcuni di queste hanno poi preso in gestione un piccolo podere destinato a produrre vino che viene poi acquistato dalle mense gestite dalla ASL. Nel comune di Massa Marittima (GR) la ristrutturazione di un vecchio convento consen-te di legare insieme più funzioni: la presenza di servizi per minori e per le famiglie, spazi per gli anziani, attività di contatto per turisti, etc. L’inconsen-tento è quello di favorire nuove inconsen-terazioni tra soggetti inconsen-terni e tra questi e i fruitori dell’area.

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individuando strutture con una molteplicità di funzioni, per target multipli di utenza (centri aggregativi, sportivi, luoghi di incontro familiare, centri multi-servizio, strutture di aggregazione e di recettività turistica allo stesso tempo, e-government, piazze virtuali, e-biblioteca). Studiare con attenzione la mobili-tà delle persone sul territorio mediante soluzioni del tutto diverse da quelle diffuse in aree urbane, mediante l’uso di soluzioni di trasporto su domanda e promiscue4 (poste e farmaci, bambini ed anziani), supportate dal volontariato delle associazioni o dei privati, anche mediante forme innovative di compen-sazione5 (Osti G., 2000). La chiave di intervento per la riorganizzazione della rete dei servizi nelle aree rurali è legata alla realizzazione di adeguate econo-mie di scopo6 o, grazie alla tecnologia, alla riduzione della scala minima di convenienza. Per operare nella direzione descritta è possibile far leva tanto sull’uso dell’informatica (dalla telemedicina alle reti), ma anche, come nel ca-so dell’agricoltura ca-sociale, sull’uca-so delle rica-sorse disponibili localmente. Queste ultime, si prestano meglio all’organizzazione di servizi flessibili e/o a richie-sta (è il caso degli agri-asili ad esempio), come per la domiciliazione e l’avvi-cinamento delle reti di servizio a diverse categorie di utenza (gli anziani, i bambini, i genitori)7, stimolando dialogo e accoglienza, relazioni e reciprocità, più intense relazioni tra generazioni e tra fasce di popolazione di estrazione diversa, con l’intento di ricreare comunità d’intenti. Tutti esempi, questi, utili per assicurare un adeguato livello di servizi, li dove le ordinarie strutture (un servizio di catering, un nido appositamente realizzato, etc.) non troverebbero ragionevole sostenibilità economica. Soluzioni, che operano nel solco della tradizione innovativa, assicurano servizi e, allo stesso tempo, una più intensa interazione sociale tra gruppi diversi di persone, alimentando il dialogo socia-le e il formarsi di nuove reti di relazione e di solidarietà.

L’agricoltura sociale può concorrere alla costruzione di un welfare rigene-rativo, attraverso una più piena valorizzazione delle sue strutture a fini di accoglienza e di servizio. In molti casi si tratta di ripensare le strutture agritu-ristiche largamente disponibili sul territorio provinciale, sebbene esclusiva-mente dedicate ad offrire servizi alla persona che si reca nei territori rurali per motivi di svago e di turismo. Le strutture agricole possono diversificare la

loro offerta di servizio rivolgendosi anche alle popolazioni locali mediante l’organizzazione di una rete di protezione sociale capace di legare le istituzio-ni pubbliche e le strutture private, capace di caratterizzarsi per il suo carattere diffuso, di semi formalità, mediante soluzioni tecniche (scheda allegato 2). Il tema dell’agricoltura sociale e del welfare rigenerativo è stato introdotto a vantaggio dellì’organizzazione del cambiamento di taluni servizi nelle aree rurali con l’intento di fare fronte ad esigenze sempre più pressanti e specifi-che. Allo stesso tempo, entrambi i temi si prestano ad essere praticati anche a vantaggio delle aree urbane, valorizzando il rapporto tra queste e le aree rura-li contermini e potenziando i rura-livelrura-li di interazione e scambio tra città e campa-gna. Non è un caso che, già oggi, una parte rilevante di utenti dell’agricoltura sociale sia rappresentata da ceti provenienti dalla città. Proprio il riconosci-mento dell’utilità di queste risorse e di un nuovo rapporto tra aree urbane ed aree rurali costituisce una premessa utile per ristabilire, più in generale, mag-giori livelli di coerenza e di interazione nei sistemi locali, tra bisogni e risorse disponibili.

1.4. - Agricoltura sociale: una possibile definizione

“L’ AS è quella attività che impiega le risorse dell’agricoltura e della zoo-tecnica, la presenza di piccoli gruppi, famigliari e non, che operano nelle aziende agricole, per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di in-clusione sociale e lavorativa di ricreazione, di servizi utili per la vita quotidia-na e di educazione”.

L’ AS rappresenta, quindi, un aspetto particolare della multifunzionalità del-l’agricoltura. “Essa svolge azione di ponte tra politiche agricole e politiche sociali, formative, sanitarie, della giustizia, in un processo di progressivo, seb-bene non semplice, avvicinamento. E’ possibile distinguere alcuni ambiti di attività di agricoltura-sociale:

• ! Riabilitazione/cura: esperienze rivolte a persone con gravi disabilità (fi-sica, psichica/mentale, sociale) con un fine principale socio-terapeutico; 4! Quello dei trasporti è un aspetto particolarmente sentito in tutte le aree rurali, sia per lo spostamento delle persone che per la domiciliazione dei servizi (spesa, farmaci, lavanderia, etc.)

5! Ad esempio, attraverso la costruzione di banche del tempo verdi e lo scambio di servizi disponibili nelle aziende agri-turistiche –piscine, centri ippici, mediante una mediazione del comune.

6! Mentre le economie di scala si realizzano grande alla possibilità di ripartire i costi di gestione delle strutture su un numero elevato di utenti, nel caso delle economie di scopo, i costi di una struttu-ra sono ripartiti gstruttu-razie ad una flessibilità e ad una molteplicità di impieghi delle strutture stesse (mezzi di tstruttu-rasporto a destinazione plurima, centri multifunzionali, valorizzazione di risorse non dedicate in modo esclusivo ad una missione esclusiva di servizio.

7! Un’azienda agricola che dispone di spazi per la recettività turistica può convertire in alcuni momenti dell’ano queste strutture al servizio delle popolazioni locali. Sono già esistenti esperienze di agriasilo dove è di-sponibile il pasto per i bambini e per le stesse famiglie che passano a riprendere i figli. Stessa logica può essere adottata nel caso degli anziani.

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• ! Formazione e inserimento lavorativo: esperienze orientate all’occupa-zione di soggetti svantaggiati (con disabilità relativamente meno gravi o per soggetti a bassa contrattualità –detenuti, tossico dipendenti, mi-granti, rifugiati);

• ! Ricreazione e qualità della vita: esperienze rivolte ad un ampio spettro di persone con bisogni (più o meno) speciali, con finalità socio-ricreati-ve; tra cui:

o! particolari forme di agri-turismo “sociale”;

o! le esperienze degli “orti sociali” peri-urbani per anziani4; • !Educazione: azioni volte ad ampliare le forme ed i contenuti

dell’appren-dimento per avvicinare alle tematiche ambientali persone giovani e me-no giovani; esperienze rivolte a mime-nori con difficoltà nell’apprendimen-to e/o in condizioni di disagio, a rischio di esclusione nei percorsi scola-stici ordinari con la definizione di azioni di educazione parallele e con-cordati; possono essere legate a casi di affidi familiari, a rapporti con istituti scolastici o di giustizia minorile, all’inclusione di minori migran-ti, a ragazzi con difficoltà di concentrazione o iper-cinetici, ma anche ad adulti in momenti particolari della loro vita (burn out, malati termina-li)” (da Di Iacovo F. 2008 Agricoltura Sociale: quando le campagne col-tivano valori)

L’agricoltura sociale non costituisce una novità assoluta, come concetto e nelle pratiche. Tradizionalmente, ed ancora oggi, nelle aree rurali, le famiglie agri-cole, si fanno carico di percorsi inclusivi di famigliari in difficoltà. Nelle aziende agricole, la disponibilità di spazi e di processi che ben si prestano al contributo attivo di persone con diverso grado di conoscenza e di capacità, consente, più che in altri settori ed attività, di assicurare la partecipazione e l’inclusione di soggetti a più bassa contrattualità. Oggi, questa capacità delle strutture e dei processi agricoli viene resa disponibile, all’interno di un siste-ma di welfare fortunatamente più strutturato che nel passato, per tutti quei soggetti delle comunità locali che dall’agricoltura sociale e dai suoi servizi possono trarre beneficio.

L’idea di fondo è di valorizzare di nuovo alcune delle risorse disponibili nei sistemi locali, per ampliare la gamma dei servizi disponibili, creare nuove al-leanze tra settori e competenze, innalzare la capacità di tenuta sociale di terri-tori e sistemi che, spesso, si trovano di fronte alla duplice difficoltà di innalza-re l’efficacia dei servizi offerti e, allo stesso tempo, di continuainnalza-re ad assicurainnalza-re una rete estesa di servizi, indipendentemente dall’ammontare delle risorse

finanziarie rese disponibili a livello locale dai trasferimenti pubblici regionali e nazionali.

Nelle aree rurali, poi,la crisi fiscale, si traduce quotidianamente in una ridu-zione dei servizi e della capacità di tenuta delle comunità locali, spesso, peral-tro, in contrasto con i fenomeni che vedono crescere, accanto all’età dei resi-denti, la presenza di nuovi insediati, l’esigenza dei giovani di rimanere ad abitare questi luoghi, una domanda crescente dei servizi e della loro coerenza con le specifiche insediative e della struttura sociale di questi territori.

Il modello tradizionale dell’agricoltura sociale si iscriveva in un sistema di regole dettato dallo stile di comunità, secondo il quale, in assenza di un inter-vento pubblico esterno, erano soprattutto il concetto di autosufficienza, di dono e di reciprocità che erano soliti regolare le relazioni interne. L’avvento dello Stato moderno ha favorito una crescita dei diritti dei singoli individui, nelle città come, sebbene con più lentezza, nelle campagne. I sistemi di rego-lazione usati erano rappresentati, quasi interamente, dal ricorso ai mercati, alla leva fiscale ed all’organizzazione di sistemi redistributivi, inizialmente pubblici, successivamente aperti al contributo del privato sociale.

La crisi e la revisione di questo secondo sistema di regolazione porta nuova-mente, al centro del dibattito nel campo dei diritti sociali, il ruolo del quarto settore, ovvero della responsabilità delle famiglie, ampliandone il ruolo e ri-assegnando compiti spesso demandati all’intervento sociale pubblico e priva-to. Più di recente, anche con l’affermarsi di attitutidini di impresa innovative e con il richiamo ai temi della responsabilità sociale d’impresa, anche queste ultime sono chiamate a confrontarsi con la produzione di beni pubblici, tra cui, oltre che la produzione di beni ambientali, anche quelli della produzione di salute.

Il tema dell’agricoltura sociale si inserisce, anche dal punto di vista dei mec-canismi di regolazione, in quest’ultimo scenario. Esso fa riferimento ad im-prese responsabili, capaci di produrre ricchezza, allo stesso tempo privata e pubblica, di introdurre scelte di responsabilità basate sul dono e sulla volonta-rietà, per assicurare, allo stesso tempo, la disponibilità di una maggiore quota di servizi sul territorio, una migliore capacità di presa in carico da parte delle comunità locali, anche grazie al loro contributo attivo e, allo stesso tempo, la possibilità di vedere crescere la loro reputazione e trovare un più diretto ap-prezzamento e riconoscimento da parte delle comunità locali, enti locali e consumatori.

Nella prospettiva descritta il tema dell’agricoltura sociale costituisce una tra-dizione-innovativa. Esso riesce a coniugare in modo nuovo dei modelli di

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re-lazione propri delle comunità tradizionali, adattandoli ed inserendoli in una domanda di innovazione che coinvolge profondamente le comunità locali e la loro capacità di sopravvivenza futura.

1.5. - Gli obiettivi e le pratiche in agricoltura sociale

L’agricoltura sociale si inserisce nel dibattito sull’agricoltura multifunzionale e sul discorso legato alla diversificazione del settore agricolo ed alla possibilità di offrire servizi all’interno del sistema locale, a vantaggio delle aree urbani e dei territori rurali.

Le innovazioni apportate possono essere distinte da più punti di vista.

Da un punto di vista prettamente tecnico socio-sanitario, vi è la possibilità di far interagire il mondo dei servizi ed i suoi utenti con la natura, ed è provato da più tesi che questo porta un aumento di benessere ed autostima da parte degli utenti finali, per combattere insicurezze e disagi. Inoltre questo compor-ta una più veloce capacicompor-tazione delle persone, che ritrovano un migliore equi-librio della propria personalità e, spesso, un ruolo più attivo nella società. Dal punto di vista del mondo agricolo, l’agricoltura sociale facilita un con-fronto di questo mondo con un più ampio e diversificato numero di portori di interesse, assicurando alle aziende la possibilità di una migliore integrazione con il sistema locale ed una maggiore quota di opportunità.

Dal punto di vista sociale favorisce la compenetrazione di conoscenze più ampie e multidisciplinari, accrescendo la formazione di nuovi saperi e favo-rendo legami tra settori inizialmente distanti.

Il tema apre delle riflessioni anche dal punto di vista del tema dell’innovazio-ne e di quali possano essere le modalità di procedere per facilitare l’adegua-mento delle risposte locali ai problemi di cambial’adegua-mento che la società pone. Quello dell’agricoltura sociale, infatti, è un modello di innovazione organizza-tiva che implica una intensa dinamica sociale, mediante l’atorganizza-tivazione di reti e lo scombinamento di logiche operative settoriali e specialistiche.

In Italia le pratiche di agricoltura sociale sono piuttosto diffuse, sebbene non codificate e ancora in ombra agli occhi del dibattito. Se confrontate rispetto all’universo delle aziende agricole italiane, quelle di agricoltura sociale costi-tuiscono una piccola percentuale rispetto a quella presente in altri paesi euro-pei quali l’Olanda e le Fiandre. Allo stesso tempo, la sola Toscana conta circa un centinaio di progetti (tra aziende agricole, esperienze del volontariato e della cooperazione sociale), fermo restando la difficoltà di censire esperienze e pratiche che vivono in autonomia e, spesse volte, lontane dai riflettori e dal pubblico dibattito.

L’agricoltura sociale presenta alcuni punti di forza, affiancati ad altri elementi di debolezza. Che è utile evidenziare.

Tra i punti di forza, va messa in evidenza la possibilità di personalizzare i ser-vizi alle esigenze individuali dei singoli soggetti. Le pratiche possono essere rivolte sia a piccoli gruppi di utenti che a nuclei più ampi di persone. L’agri-coltura sociale affianca, alle reti formali dei servizi, l’organizzazione di reti informali e di risorse specifiche, utili per facilitare i percorsi di inclusione.In questo senso, l’affiancamento tra operatori agricole, famiglie e operatori pro-fessionali rende assai più flessibile e ricca la possibilità di azione.

In molte pratiche di agricoltura sociale, poi, si realizza una saldatura tra diffu-sione dei servizi, apprezzamento e crescita delle realtà d’impresa, includiffu-sione ed integrazione, anche lavorativa, di persone a più bassa contrattualità all’in-terno di un circolo virtuoso di promozione economica delle aziende che assi-curano disponiblità nell’organizzazione dei servizi.

Agli enti gestori dei servizi, l’AS, consente di diversificare l’offerta e, allo stes-so tempo, di accrescere la possibilità di presa in carico e il miglioramento del-l’efficacia delle prestazioni, anche a fronte di una contrazione delle risorse finanziarie trasferite dai livelli nazionale e regionale.

In sintesi:

AS: è sempre più pressante l’esigenza di rimodellare i modelli insediativi alla luce

della crisi ambientale e finanziaria;

AS: i sistemi di welfare che oggi dipendono dalla produzione di ricchezza

economi-ca prelevate attraverso la fiseconomi-calità hanno necessità di ridefinire ruoli, modalità di intervento e modalità di finanziamento

AS: le aree rurali hanno bisogno di ripensare I loro sistemi di welfare per motivi di

coerenza con I bisogni locali e in ragione dei percorsi di sviluppo che le caratteriz-zano;

AS: il welfare rigenerativo potenzia ed innova il concetto di welfare e tende a

ri-qualificare le reti di relazioni nelle aree rurali, rinsaldando valori di comunità e creando elementi di distinzione utili per rendere attraenti questi territori

AS: l’agricoltura sociale può rappresentare un valido strumento per potenziare e

diversificare la rete di protezione sociale nelle aree rurali.

AS: le aree rurali attraverso l’agricoltura sociale possono offrire maggiore vivibilità

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I Consumatori critici sono parte integrante di questo nuovo sistema di regola-zione che lega l’operato aziendale al mondo dei servizi e della formaregola-zione/in- formazione/in-clusione lavorativa, alle scelte di consumo degli abitanti locali i quali, privile-giando l’approvvigionamento presso le aziende che assicurano, accanto alla produzione di cibo, anche la produzione di servizi alla persona e/o ambienta-li, riescono ad assicurarsi, a prezzi ragionevoli e competitivi, non solo il ci-bo,ma anche parte di quella platea di servizi utile al mantenimento di comu-nità vitali ed attente.

Proprio questa nuova centralità dell’agricoltura nelle reti locali costituisce un aspetto promettente, capace di fornire una migliore visibilità del ruolo del mondo agricolo e maggiore riconoscimento degli imprenditori coinvolti. Un riconoscimento ed una reputazione, quelli dell’agricoltura sociale, capaci di accrescere il potenziale attrattivo del mondo agricolo agli occhi di giovani im-prenditori.

Infine, sebbene non per ordine d’importanza, bisogna tenere in considerazio-ne come l’agricoltura sociale sia in grado di offrire vantaggi tangibili per gli stessi utenti e per le famiglie coinvolte nella gestione di soggetti con disagio. Anche volendo guardare con scetticismo alla reale efficacia co-terapeutica del-l’agricoltura sociale, infatti, non vi è dubbio che l’offerta di servizi locali non può che risultare accresciuta dall’esistenza di una molteplicità di pratiche, con evidenti vantaggi per la capacità di offrire risposte più ampie e diversificate alla platea di potenziali utenti.

Non si possono, certo, sottovalutare i punti di debolezza che sussistono anco-ra su tale panco-ratica, e in particolare, quelli che riguardano, la confusione del quadro giuridico, che ostacola la diffusione di tale pratica, causando spesso un differenziale tra la domanda e l’offerta, dovuto, tra le altre cose, anche al mancato riconoscimento da parte pubblica, delle aziende coinvolte e del loro impegno.

Anche da parte dei soggetti che operano in campo socio-sanitario sussiste una certa tendenza ad evitare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore e una tenden-za a seguire routine e prassi consolidate.

La distanza culturale e giuridico-amministrativa esistente tra soggetti del so-ciale e del mondo agricolo rende, allo stesso tempo, più difficile l’avvio di nuovi progetti da parte delle aziende agricole– a meno di una forte motiva-zione da parte dei soggetti coinvolti – e una forte difficoltà nel trovare interlo-cutori nel mondo agricolo da parte degli operatori dei servizi interessati ad esplorare le opportunità offerte dal mondo dell’agricoltura sociale.

Proprio a causa della distanza oramai esistente tra mondo agricolo e mondo dei servizi alla persona, la diffusione delle pratiche di agricoltura sociale trova spesso ostacoli di rilievo. Allo stesso tempo, li dove si realizzano pratiche con-crete , diviene più facile favorire una diffusione ed una codifica delle espe-rienze. Una affermazione, questa che segna alcune linee operative utili per diffondere le pratiche di agricoltura sociale, ed in particolare:

la necessità di assicurare tempi di maturazione adeguati al confronto ed al dibattito necessario per superare distanze culturali e assicurare l’av-vio di percorsi di apprendimento collettivo e multicompetenti;

• l’utilità di realizzare pratiche pilota sulle quali testare metodi e modali-tà operative innovative, dalle quali favorire il dibattito ed il confronto allargato;

• la progressiva codifica delle pratiche ed il loro riconoscimento da parte degli Enti gestori e delle politiche pubbliche;

• il consolidamento della visibilità delle aziende agricole, del loro opera-to sui mercati di consumo;

• l’estensione del numero delle aziende coinvolte, dei servizi realizzati e degli utenti inclusi.;

• il monitoraggio e la valutazione continua delle pratiche e dei loro esiti, pubblici e privati, a diverso livello.

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Capitolo 2

Alcune indicazioni di scenario per

l’agricoltu-ra sociale in Italia ed in Europa

2.1. - L’avvio del dibattito sull’agricoltura sociale in Italia

Le pratiche d’agricoltura sociale, in Italia, stanno vivendo una fase di forte evoluzione che riguarda le esperienze sul territorio, le pratiche di discussio-ne-animazione e l’interesse delle parti sociali, gli interventi di politica in cam-po rurale e nelle cam-politiche socio-assistenziali, le iniziative della ricerca, di ta-glio socio-economico e medico.

Le pratiche sul territorio, infatti, stanno accrescendosi per numero, evidenza e complessità. La diffusione d’iniziative di incontro e confronto sul tema del-l’AS, hanno stimolato interesse e motivazione da parte di numerosi soggetti del mondo agricolo e della cooperazione sociale. Un interesse che ha spinto a riprogrammare le strategie d’azione degli operatori agricoli e sociali promuo-vendo nuove iniziative, rafforzando e rendendo più evidenti quei progetti che stavano operando nell’ombra ed in modo poco esplicito.

I primi portatori d’interesse che hanno avviato un lavoro di discussione, co-difica e comunicazione delle pratiche di agricoltura sociale sono state le Uni-versità (Tuscia e Pisa) insieme con Agenzie di supporto allo sviluppo agricolo e rurale (ARSIA, ARSIAL). Ben presto a questo primo nucleo si sono avvicina-te sia organizzazioni ed associazioni del mondo imprenditoriale di rilevanza locale (AIAB, Biodinamici, CTPB, CIA, Coldiretti, Unione Agricoltori in To-scana) e nazionale (AIAB, ACLITerra, ALPA, Coldiretti), sia soggetti del mondo politico amministrativo (la Provincia di Roma, la Provincia di Pisa e nel frattempo, la Regione Lazio, la Regione Sardegna, la Regione Toscana, la Regione Veneto). Sono nati i primi momenti organizzativi tra cui la Rete Na-zionale delle Fattorie Sociali, l’Associazione tra questa con AIAB, ALPA, Acli-Terra, e, nel frattempo, si sono andate consolidando iniziative di una certa

complessità su scala locale, ed iniziative di animazione organizzate da ope-ratori formatisi nel campo dell’AS (Lombrico sociale).

L’allargamento dei soggetti e della discussione sul tema ha finito per coinvol-gere una più ampia gamma di soggetti e il dibattito nel campo delle politiche

socio-assistenziali. Gli stessi enti erogatori delle prestazioni

socio-assistenzia-li a socio-assistenzia-livello locale, singole strutture di servizio, ovvero interi Dipartimenti e strutture di programmazione hanno iniziato a riflettere con attenzione sulla possibilità di sperimentare ed avviare il riconoscimento di pratiche d’agricol-tura sociale. Ciò è avvenuto soprattutto dove il dibattito era più avanzato co-me nella Regione Lazio (progetto la buona terra) e Toscana (esperienza della Società della Salute della Valdera), aree nelle quali si è avviato il consolida-mento di alcune progettualità condotte in accordo tra mondo agricolo e socio-sanitario. Nel frattempo, nuove esperienze si sono organizzate, in Friuli Vene-zia Giulia –Distretto di agricoltura sociale- e Torino -agriasili-.

L’interesse per l’agricoltura sociale, in questi casi, si lega ad alcuni aspetti, tra loro anche molto differenti, che fanno riferimento alla possibilità di:

• accrescere l’efficacia e la personalizzazione delle risposte di servizio me-diante l’uso di risorse nuove –quelle dell’agricoltura e delle strutture agricole – disperse sul territorio – a vantaggio della prossimità- e carat-terizzate da un elevato grado di informalità;

• assicurare il mantenimento di una rete di protezione ampia e dispersa anche a fronte della progressiva riduzione delle risorse disponibili per l’orga-nizzazione della rete dei servizi, mediante una diversa mobilizzazione delle risorse disponibili sul territorio e la definizione di nuovi patti tra mondo pubblico, del privato sociale e del privato d’impresa.

Anche il mondo politico legato all’agricoltura e allo sviluppo rurale ha guar-dato con attenzione alla tematica finendo per promuovere l’introduzione di specifici interventi negli strumenti di programmazione dello Sviluppo Rurale, tanto a livello nazionale (con espliciti riferimenti del Piano Strategico Nazio-nale), quanto a livello regionale (con l’introduzione di specifiche misure di sostegno per gli investimenti aziendali nel Piano di Sviluppo Rurale regiona-le).

Il mondo della ricerca, ha assecondato quest’evoluzione, promuovendo un legame tra le esperienze nazionali, tra queste e quelle europee, ma anche ap-profondendo meglio alcuni aspetti legati a:

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• ! le dinamiche dell’innovazione in agricoltura multifunzionale; • ! la precisazione dei campi di intervento dell’agricoltura sociale;

• ! l’articolazione della gamma di strumenti utili per facilitare la diffusione della pratica;

• ! la valutazione dell’efficacia socio-terapeutica delle pratiche di AS median-te la individuazione di protocolli operativi mirati.

Resta il fatto che, a distanza di un lasso di tempo relativamente ristretto nel quale è stato avviato il dibattito sull’AS, sono stati compiuti passi notevoli, sia nel campo delle pratiche, sia in quello della ricerca, sia ancora, negli strumenti di politica messi in atto e nella gestione delle dinamiche organizzative. Questo aspetto è, per se, esemplare rispetto alla produzione d’innovazione ed alla definizione delle politiche a supporto del cambiamento nello sviluppo rurale,

sebbene in un campo di forte intersezione con quello d’altri campi di inter-vento a sostegno del capitale sociale ed umano e dell’inclusione sociale. Proprio l’intensa dinamica di cambiamento appena descritta ha finito per ac-crescere l’interesse e la domanda di procedure capaci di avviare un riconosci-mento più esplicito delle pratiche di agricoltura sociale in Italia, se non di vero e proprio accreditamento.

Compito di questo rapporto è quello d’indagare con più attenzione rispetto ai passi in atto e alle possibili soluzioni da percorrere al fine di riconoscere e rendere pratica diffusa l’AS nei territori rurali italiani.

2.2. - Il quadro di riferimento organizzativo per l’AS in Italia

In considerazione della dinamica secondo la quale l’AS ha trovato diffusione in Italia, si assiste oggi ad una notevole varietà di pratiche e di modalità e campi d’intervento.

Il concetto d’agricoltura sociale si distingue per i seguenti elementi:

!Il fatto di legare insieme attività di produzione e processi agro-zootecnici e l’erogazione di servizi sociali per persone e comunità;

!l’informalità e, allo stesso tempo, la responsabilità e la mutualità da parte dei soggetti coinvolti, ed in particolare delle imprese agricole, aspetti che consento di mettere a disposizione degli utenti contesti e servizi inclusivi anche perché caratterizzati da un basso tasso di medicalizzazione;

!la flessibilità e l’adattabilità delle strutture di agricoltura sociale ad un’ampia gamma di bisogni e d’utenti;

!la possibilità da parte delle imprese agricole di partecipare alla produzio-ne di beni collettivi e di comunità;

!la diffusione di attitudini d’impresa più attenti alle esigenze dei portatori d’interesse locali e non, in un’ottica di responsabilità sociale d’impresa; !il legame che si può generare tra la responsabilità dei produttori e quelli

dei consumatori nell’ambito di relazioni più dirette ed improntate su comportamenti contraddistinti da valori etici più profondi;

!la possibilità, nei percorsi socio-terapeutici e di formazione/inclusione lavorativa, di favorire percorsi di transizione e di continuità favoriti dalla partecipazione a processi economici;

!la possibilità di ri-orientare delle risorse disponibili localmente alla mis-sione dei servizi alla persona e di generare strategie win-win, secondo cui

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ognuno dei soggetti partecipanti riesce a trovare un proprio vantaggio diretto, immateriale e materiale;

!l’opportunità di offrire e rigenerare beni di relazione nelle comunità locali e d’integrare concetti di mutualismo e di professionalità nella rete dei ser-vizi.

Allo stesso tempo, ci sono alcune caratteristiche indispensabili che devono essere assicurate nell’esperienze d’agricoltura sociale, ed in particolare:

!la necessità di favorire una stretta integrazione tra la rete dei servizi di protezione sociale e delle professionalità degli operatori in essa coinvolti e le reti informali assicurate dal mondo dell’agricoltura sociale;

!la necessità di porre al centro delle pratiche di agricoltura sociale, ed in particolare di quelle che coinvolgono soggetti a più bassa contrattualità, le persone coinvolte.

I servizi che i progetti d’agricoltura sociale possono assicurare offrono diverso supporto all’organizzazione della rete di protezione sociale territoriale. In particolare:

!

in ambito peri-urbano, le risorse dell’agricoltura consentono di diversifi-care l’offerta della rete dei servizi rivolta a ceti di estrazione prevalente-mente urbana. I progetti di agricoltura sociale, peraltro, riescono a stabi-lire nuovi contatti tra mondo urbano e rurale, favorendo la crescita di nuove relazioni e di nuova conoscenza tra gli abitanti della città ed im-prese agricole. L’esito di questi percorsi può favorire la definizione di

nuovi significati intorno al cibo, e l’apertura di nuovi campi di opportu-nità, per i produttori come per i consumatori, con risvolti spesso positivi anche dal punto di vista dei percorsi d’inclusione sociale e lavorativa;

!

Nelle aree che si caratterizzano per maggiori connotati di ruralità, ac-canto alla missione sopra descritta, si aggiunge la possibilità di ispessire la rete di protezione sociale, lì dove, per carenza di risorse e di adeguate economie di scala, questa stessa rischia di essere erosa. Allo stesso tem-po, le pratiche di agricoltura sociale consentono di riavviare nuove rela-zioni sociali e nuovi processi di presa in carico, accrescendo il capitale sociale nelle aree rurali e riorganizzando stili di vita distintivi e di mag-giore attrazione negli stessi percorsi di sviluppo legati al turismo rurale.

Nel panorama nazionale, le esperienze d’agricoltura sociale, nella loro diver-sità, nascono e si consolidano prevalentemente su scala locale.

In funzione dei diversi campi di applicazione, infatti, sono essenzialmente i Comuni, le Comunità Montane e le AUSL a rappresentare interlocutori privi-legiati dei portatori di progetto, essendo questi soggetti ad essere deputati alla erogazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari. Nel campo delle politiche della formazione e dell’inclusione lavorativa, invece, sono prevalentemente le Province ad operare.

Resta il fatto che, trattandosi di esperienze nate dal basso, quelle dell’AS sono pratiche che rischiano di essere a lungo confinate in ambito locale. Qui, so-prattutto dove la programmazione tende a fare maggiore leva sull’impiego di forme partecipative allargate, in sede di progettazione e gestione dell’offerta di servizi, diviene più facile per i portatori di progetto maturare e fare diffon-dere nuove consapevolezze e conoscenze. Nel contesto locale, quindi, l’inno-vazione sociale riesce a penetrare più facilmente, promuovendo l’integrazione nella rete di nuove risorse, tra cui, anche quelle dell’agricoltura.

Fatta eccezione per il campo della giustizia, dove il Ministero tradizionalmen-te ha sviluppato proprie iniziative che vedono l’uso del lavoro e delle pratiche agricole nei percorsi di riabilitazione della popolazione carceraria (attraverso le tradizionali colonie penali agricole, oppure mediante specifiche esperienze progettuali), i livelli amministrativi più alti, Regioni, ma in particolare Mini-Grafico: L’organizzazione dei network e l’evoluzione dell’AS in

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steri, difficilmente riescono ad essere soggetti attivi nel capo dell’agricoltura sociale. La spontaneità delle pratiche e una certa carenza nella documentazio-ne tecnico-scientifica riguardo l’organizzaziodocumentazio-ne, i metodi di lavoro ed i risulta-ti conseguirisulta-ti nelle esperienze di campo, non facilitano l’adozione di adeguarisulta-ti approcci valutativi e normativi in queste sedi, nonostante i passi già fatti in materia di riconoscimento nazionale delle pratiche di AS da parte di alcuni paesi dell’UE (Olanda e Norvegia).

Come conseguenza di questo modo di procedere, emerge un sostanziale scol-lamento tra pratiche di terreno ed approcci d’indirizzo e normativi di rilevan-za nazionale che, specie in una fase successiva a quella pionieristica, rischia di limitare e rallentare la diffusione delle pratiche di agricoltura sociale, specie in quei territori meno attivi ed aperti al cambiamento.

Il quadro tratteggiato, restituisce una certa complessità che è utile avere pre-sente allorquando s’intende avviare la discussione circa il riconoscimento del-le pratiche di agricoltura sociadel-le che, per forza di cose, oggi, non può che tro-vare sviluppo in ambito locale, secondo modalità anche molto diverse.

2.3. - Il riconoscimento delle pratiche d’AS in ambito

comuni-tario

Può essere utile avere un’idea di quanto sta avvenendo in ambito comunitario rispetto al tema dell’Agricoltura Sociale. Offre spunto per questa riflessione quanto emerge dal progetto SoFar finanziato dal VI programma quadro sul-l’agricoltura sociale in Europa (http://sofar.unipi.it).

In EU il termine di agricoltura sociale individua realtà organizzative e forme di intervento anche assai diverse da Paese a Paese. Infatti, accanto a realtà molto pionieristiche dove si registrano esperienze isolate (novelties) e caratte-rizzate dalla sperimentalità (Irlanda e Slovenia) si ritrovano paesi dove l’agri-coltura sociale inizia a trovare una certa diffusione in iniziative e progetti che tendono a formale dei primi grappoli (nicchie) seppure a seguito di azioni di-versamente coordinate da soggetti pubblici, privati o del terzo settore (Francia ed Italia con un contributo rilevante delle singole imprese agricole e del terzo settore, in Germania con un prevalere dell’intervento pubblico), fino a paesi dove si striutturano nuove conoscenze (paradigmi) l’agricoltura sociale viene parzialmente riconosciuta (Belgio, sviluppata nelle aziende agricole e ricono-sciuta dalla politiche agricole ad integrazione della rete di protezione sociale) fino ad essere formalmente inserita in un nuovo sistema di regole (regimi) nel-la rete dei servizi (Onel-landa e Norvegia).

Il passaggio dalle novelties ai regimi è spesso il frutto di un’intensa azione operata da networks che consentono, a diversi livelli (locale,regionale, nazionale,

internazionale) di fare convenire nuovi soggetti, costruire comunità, facilitare il

confronto per sviluppare nuove azioni di supporto al processo di cambiamen-to, amplificare la tematica, fare crescere la capacità d’ investire.

Le azioni sviluppate sono di diverso tipo e riguardano: !l’organizzazione di buone pratiche,

Grafico: Consapevolezza degli attori pubblici e modelli d’AS in EU

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!attività di ricerca,

!training/educazione,

!supporto alle reti,

!

raccolta di fondi.

Nella totalità dei casi si tratta di percorsi che richiedono tempo per essere portati avanti e i cui esiti, a livello locale e sovra-locale non sono stabiliti in partenza, bensì risentono delle condizioni in cui si trovano ad operare.

In conseguenza delle specificità territoriali, ad oggi, l’AS trova diverso rico-noscimento da parte degli attori pubblici e privati e viene diversamente rego-lata e riconosciuta.

In particolare, in funzione del grado (alto-basso) di consapevolezza sviluppa-ta dagli operatori pubblici dei settori non agricoli che fanno leva sull’AS e quella di coloro che operano nel settore dell’agricoltura, si realizzano condi-zioni e modalità d’intervento assai diverse tra loro.

Ad un estremo si trova il caso Olandese dove, il riconoscimento da parte dei settori extra-agricoli dell’AS e la diffusione di un sistema di organizzazione dei servizi basato sul personal budget degli utenti, ha consentito un pieno riconoscimento delle pratiche e delle aziende di agricoltura sociale su scala nazionale, l’accreditamento del servizio ed il pagamento dello stesso ad aziende che tendono a strutturarlo in maniera specialistica.

Di diverso segno è la situazione nelle Fiandre (Belgio), dove sono le politiche agricole a prevedere una compensazione dell’impegno e dell’accoglienza pre-stata dalle aziende agricole in un sistema di aiuti notificato in ambito comuni-tario. In questo caso la prestazione aziendale non si configura come un servi-zio accreditato, bensì come una disponibilità delle aziende agricole ad acco-gliere persone a più bassa contrattualità in azienda ed inserirle/avvicinarle allo svolgimento delle loro attività quotidiane, che viene ad essere integrata nella rete dei servizi e con questa armonizzata.

Nel caso Francese, invece, tendono a prevalere progetti mirati da parte delle politiche d’inclusione lavorativa, piuttosto che regimi regolati con continuità. Questa situazione ricorre anche in Italia nel caso delle cooperative sociali di tipo B che operano in agricoltura e che spesso collaborano con le strutture del-la formazione in progetti d’inclusione sociale e del-lavorativa. Allo stesso tempo, in Italia, nel mentre si accresce la consapevolezza, specie a livello locale, di

una pluralità di portatori d’interesse, tende a strutturarsi un modello, piutto-sto informale, che sebbene oggi incentivato dalle politiche pubbliche (il PSR per interventi sulle strutture aziendali) e ad essere regolato con forme contrat-tuali da parte dei servizi (quantomeno dal punto di vista assicurativo) trova maggiore riconoscimento da parte dei consumatori o della comunità locale, a vantaggio della reputazione aziendale e, in alcuni casi, della possibilità di ri-costruire nuovi mercati per i prodotti offerti dalle aziende d’AS.

In altri Paesi, si registrano situazioni di stampo più fortemente pionieristico. In questi casi la consapevolezza dei principali attori pubblici si presenta assai limitata, mentre, le esperienze avviate si sostengono grazie ad iniziative pun-tuali e a supporti provenienti da donazioni di parte pubblica e privata, sulla scia di uno spirito prevalentemente caritatevole.

Di conseguenza, ad oggi, le iniziative di agricoltura sociale rispondo a quattro diverse tipologie organizzative:

!AS normata: l’erogazione di servizi è codificata secondo le pratiche socio sanitarie, che la riconoscono, la remunerano e la accreditano, al pari di altri servizi e secondo modalità contrattuali di quasi-mercato;

!AS riconosciuta: una disponibilità aziendale informale viene integrata nella rete dei servizi e non codificata, sebbene riconosciuta e compensata da parte pubblica;

!AS a progetto: le esperienze d’agricoltura sociale s’inseriscono in inter-venti di tipo innovativo e/o in azioni progettuali finanziate a cadenza temporale;

!AS etica: i percorsi d’inclusione che coinvolgono le aziende agricole s’in-seriscono all’interno della riorganizzazione di una rete di presa in carico responsabile da parte di un esteso numero di soggetti pubblici e privati. I servizi sono riconosciuti ed organizzati insieme tra privato sociale, d’presa e soggetti pubblici. La compensazione per i servizi offerti dalle im-prese agricole proviene da un riconoscimento indiretto, da parte del con-sumo etico, dei prodotti agricoli ottenuti.

!AS di carità: fa riferimento a supporti esterni mutevoli e non codificati. La stabilità dei progetti è spesso legata al rapporto con fondazioni ed enti caritatevoli capaci di assicurare con una certa continuità le risorse neces-sarie per la gestione delle iniziative progettuali.

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Tipo di AS Aspetti rilevanti Modo di ricono-scimento

Aspetti comple-mentari

AS normata Diritti utenti ed efficacia

Pagamento servizi codificati e accre-ditati

Professionalizza-zione sociale ope-ratori agricoli

AS riconosciuta Diversità di servi-zi offerti ed ispes-simento reti in-formali

Gestione e verifica incongruenze

Integrazione e supporti comple-mentari per agri-coltori coinvolti

AS a progetto Esiti inclusivi/ ammortizzatore sociale Indicatori risulta-to singoli progetti Correttezza am-ministrativa e gestionale

AS etica Informalità, cam-biamento di mo-dello inclusione utenti

fiducia da parte dei consumatori con controllo in-formale sulla re-putazione e san-zione etica, panel di controllo opera-tori sociali

Estensione del concetto di benes-sere ad una molti-tudine di campi, dall’alimentazione a l l ’ i n c l u s i o n e , processo parteci-pativo

As di carità Costruzioni di reti di supporto per soggetti con forte svantaggio e ri-schio sociale

Reputazione di progetto e reti del mondo professio-nale

Scarso livello di inclusione sociale

I diversi sistemi di riconoscimento delle pratiche di agricoltura sociale ten-dono a modellarne la natura secondo sentieri anche molto differenti.

Così, se nel caso olandese (AS normata) prevale una grande attenzione orga-nizzativa nei confronti dei diritti degli utenti come dei diritti ed ai doveri del-le imprese coinvolte. L’accreditamento autonomo, ovvero l’interazione con strutture accreditate, rappresenta un momento fondamentale per potere ero-gare servizi come anche la professionalità degli stessi operatori agricoli. D’al-tra parte, la necessità di formalizzare l’organizzazione del servizio, che pure ha come controparte pagamenti interessanti, favorisce una specializzazione ed una formalizzazione delle pratiche che, in alcuni casi, ne riduce la carica d’in-novazione e ne confina il risultato ad un intervento dai tratti marcatamente

socio-assistenziali, riducendo le possibilità di inclusione lavorativa conse-guente a processi di cambiamento che fanno leva sulla riorganizzazione dei processi di produzione economica e sui mercati esplorati. In aggiunta, la pro-fessionalizzazione e la specializzazione nell’area dei servizi alla persona può finire per distogliere attenzione nei confronti delle pratiche di produzione agricola.

Nel caso delle Fiandre (AS riconosciuta), in considerazione della limitatezza del trasferimento monetario (una compensazione di 20€/utente per mezza giornata), la vera natura economica aziendale resta incentrata sui processi produttivi agro-zootecnici. Allo stesso tempo, l’esistenza di forme contrat-tuali chiare accresce la possibilità di nuove aziende di entrare nella rete di AS e facilita per gli stessi servizi, la possibilità di potere contare su una maggiore gamma di soluzioni per i propri utenti. In questo caso, quindi, la disponibili-tà aziendale viene confinata all’interazione con i servizi, senza che si riper-cuota sulle forme di gestione dell’impresa che continua a seguire i propri orizzonti produttivi. Da parte dei servizi viene impostata in forma nuova la

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capacità di integrare soggetti non professionali nella rete, mediante supporti e tutoraggi direttamente nelle aziende agricole.

Nei modelli alimentati da progetti mirati (AS a progetto), così come in quelli che si fondano su donazioni (AS di carità), la natura aziendale e produttiva resta spesso confinata mentre tende a prevalere la rilevanza del servizio d’in-clusione, spesso reso discontinuo dall’incertezza della continuità del finan-ziamento. Nel primo caso, è l’azione pubblica a promuovere progetti che si caratterizzano per una coerenza con le politiche nazionali e comunitarie che regolano l’inclusione sociale e lavorativa. Nel secondo caso, invece, le espe-rienze possono aderire alle sole convenzioni sociali ed etiche in uso sul terri-torio.

Infine, nel modello reputazione/responsabile (AS etica), che si sta sviluppan-do in Italia, emergono alcuni aspetti positivi accanto ad altri elementi più pro-blematici. Tra i primi, la possibilità di infittire con le reti informali quelle for-mali dei servizi, con risultati in molti casi inaspettati per gli utenti. Dall’altra la possibilità di legare in un percorso di crescente consapevolezza, la riflessio-ne sulle risorse locali e sui meccanismi di produzioriflessio-ne e distribuzioriflessio-ne della ricchezza, anche a fini di produzione dei servizi. Questo dibattito tende a ve-dere come soggetti privilegiati le imprese ed i consumatori, a fronte d’interes-santi percorsi che coinvolgono gli utenti in traiettorie di inclusione sociale e lavorativa. Gli organizzatori dei servizi, da parte loro, riescono finalmente ad inserire la loro azione in percorsi che escono dalla carità e dal sostegno per fare confliuire la loro azione in dinamiche che conferiscono dignità e rispetto degli utenti coinvolti. D’altra parte, le ombre sono legate ad una certa inde-terminatezza delle pratiche, alla forte dipendenza dalle interpretazioni dei soggetti coinvolti, alla necessità di assicurare controllo e discussione sui risul-tati acquisiti, seppure secondo modalità diverse dalle logiche proprie dell’ac-creditamento. Infine, da una certa limitatezza delle possibilità d’impiego delle pratiche di agricoltura sociale a quelle imprese che, dotate di una forte moti-vazione e da una scala produttiva adeguata meglio si prestano a percorsi di questa natura. In questi percorsi la verifica delle pratiche è affidata ad un con-trollo sociale – da parte dei consumatori utenti- rispetto alle pratiche avviate e ad un elevato livello di partecipazione condivisione da parte degli enti gestori dei servizi.

Resta il fatto che, in considerazione della diversità delle pratiche esistenti e delle relazioni che si instaurano tra modalità di regolazione dell’AS,

ricono-scimento delle pratiche ed effetti che si riescono a conseguire, è necessario sviluppare una riflessione attenta e mirata sul tema del riconoscimento in modo coerente con quelle che sono le caratteristiche rilevanti dell’AS e con le attese che i portatori d’interesse rivestono in tale modello di lavoro.

Capitolo 3

L’agricoltura sociale nella provincia di Pisa

3.1. - La diffusione delle esperienze di agricoltura sociale

Sul territorio provinciale sono presenti numerose iniziative di agricoltura so-ciale che, ultimamente, fanno registrare un’attenzione crescente da parte di più soggetti del privato sociale, delle imprese agricole private, del mondo as-sociativo, istituzionale, della ricerca.

Forse, il territorio pisano è uno dei più ricchi dal punto di vista del patrimonio di esperienze disponibili, per la qualità e la diversità delle iniziative in atto, per la complessità dei soggetti istituzionali coinvolti e per le potenzialità di sviluppo esistenti. Un patrimonio che continua ad arricchirsi con il passare del tempo ad indicazione della vitalità delle iniziative in atto.

Proprio in ragione di queste evidenze è possibile pensare come possibile, sul territorio Pisano, il passaggio da progetti isolati e di nicchia, verso un sistema regolato, capace di favorire e modulare l’interazione tra soggetti pubblici (del sociale del sanitario, della formazione e lavoro e dell’agricoltura, della ricerca) e privati (privato d’impresa, privato sociale, volontariato) con l’intento di promuovere missioni locali ad elevato grado di inclusività.

Nell’analisi delle realtà più significative presenti sul territorio pisano è utile sottolineare come alcune di esse presentino le caratteristiche dell’iniziativa pilota, consolidata e riproducibile su una scala più ampia, come utile esempio per l’avvio di iniziative analoghe. I progetti nati sul territorio provinciale sono legati alle specificità aziendali in cui si sono sviluppati e alle caratteristiche degli stessi attori coinvolti, che hanno saputo modellare le iniziative proposte.

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Compito dell’iniziativa coordinata dal CIRAA è stato quello di precisare il concetto di agricoltura sociale, analizzare le pratiche esistenti sul territorio locale, promuovere un’azione di animazione e comunicazione volta a genera-re le condizioni utili alla promozione di questo specifico aspetto della multi-funzionalità dell’agricoltura nei confronti delle aziende agricole, ma anche degli altri soggetti coinvolti da questa tematica, ed in particolare: il mondo della cooperazione sociale, gli operatori attivi nella gestione delle diverse ti-pologie di servizio, le Società della Salute ed i servizi delle AUSL, le strutture dell’Amministrazione provinciale che si occupano di formazione e di politiche sociali, oltre che di agricoltura e di sviluppo rurale.

Il lavoro è risultato complesso, in quanto ha inteso promuovere ed avviare quel percorso di innovazione sociale ed organizzativa volta a promuovere sapere multicompetente sul tema dei servizi alla persona e dell’uso delle ri-sorse dell’agricoltura a fini sociali ed inclusivi.

L’azione svolta nel progetto di comunicazione ha: o individuato le realtà coinvolte nella tematica;

o promosso incontro e scambio tra esperienze spesso isolate; o favorito l’avvicinamento di nuovi portatori di interesse al tema;

o promosso dialogo istituzionale tra soggetti coinvolti nella gestione della tematica;

o favorito azioni di coordinamento e codifica delle pratiche di agricoltura sociale, in accordo con gli attori istituzionali Enti gestori delle diverse ti-pologie di servizio.

Al termine di questa fase del progetto sono state messe a disposizione del-l’amministrazione provinciale i seguenti prodotti:

o un sito web, con informazioni sulle pratiche esistenti, i modelli di con-venzione usati ed ai materiali realizzati nel corso delle attività;

o seminari formativi e workshop sul tema dell’agricoltura sociale realizzati con i principali attori coinvolti;

o partecipazione attiva, mediante supporto metodologico ed animazione, in accordo con la SdS della Valdera volta a definire procedure e codifiche delle pratiche di agricoltura sociale;

o avvicinamento della SdS area Pisana e della SdS della Valdicecina alla tematica dell’agricoltura sociale.

Nel rapporto, viene fornita evidenza dei risultati acquisiti dal punto di vista: o delle pratiche esistenti;

o dei punti di vista emersi dal confronto con gli operatori;

o dei percorsi di codifica realizzati in accordo con la SdS della Valdera. Successivamente, saranno delineate alcune possibili linee di sviluppo per l’agricoltura sociale in provincia di Pisa.

3.2. - Le esperienze di agricoltura sociale in provincia di Pisa

Il Panorama delle esperienze provinciali è ricco per tipologia e caratteristiche dei soggetti coinvolti, come in precedenza sottolineato.

o Le esperienze individuali della Cooperazione: La Ficaia.

o Le esperienze dell’Associazionismo: Ass. Mondo Nuovo CESVOT. o Le esperienze autonome delle imprese: Azienda Cannas Volterra.

o Le reti territoriali pubblico-private: SdS Valdera e Giardino dei semplici, Colombini, Il Querceto, San Ermo,

o Le esperienze pubbliche: Farm Therapy CIRAA-DSM ASL5,

o Provincia di Pisa Formazione: il database su migranti/agricoltura della Provincia di Pisa.

o Il CIRAA: polo e divulgazione Arsia su AS,

Allo stesso tempo sono state registrate manifestazioni di interesse da parte dei seguenti soggetti:

SdS Area Pisana

SdS Val di Cecina

Ente Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli

APA

CIA

CTPB

AIAB

3.3. - Punti di forza e limiti delle esperienze locali

Le prime attività di animazione e di incontro hanno focalizzato l’attenzione sui limiti e i punti di forza emersi nelle esperienze locali e comunitarie, al fine di evidenziare i modelli operativi presenti sul territorio provinciale e presen-tare alcune metodologie di progettazione, sia per i servizi a sostegno delle aree rurali, sia per l’inclusione lavorativa nell’ambito di agricoltura sociale.

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