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Capitolo 1 I propulsori a perossido di idrogeno

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Capitolo 1 I propulsori a perossido di idrogeno

In questo primo capitolo viene introdotta la struttura di un propulsore a perossido d’idrogeno, i motivi per cui la comunità scientifica sta pensando ad un concreto utilizzo di tale propellente e le sue caratteristiche principali.

Ampia attenzione verrà dedicata alla descrizione della camera di combustione del motore e quindi del catalizzatore, descrivendo i materiali, le tipologie, i parametri caratterizzanti e le problematiche dei letti catalitici.

1.1 Generalità

Gli endoreattori a propulsione chimica funzionano sfruttando l’energia che si sviluppa da una reazione chimica violenta che innalza il contenuto energetico del propellente.

Questa energia termica viene trasformata in energia cinetica espandendo in un ugello di opportune dimensioni e forma i gas prodotti dalla reazione.

Esistono vari tipi di endoreattore a propulsione chimica che vengono classificati secondo lo stato del propellente.

- Motori a propellente liquido - Motori a propellente solido - Motori a propellente ibrido

A loro volta i motori a propellente liquido si suddividono in: - Monopropellenti

- Bipropellente

Tutte queste tipologie hanno caratteristiche diverse sfruttabili in funzione delle necessità della missione.

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I motori monopropellente liquido sfruttano la decomposizione di un unico propellente che viene attivata da un catalizzatore. Rientrano in questa categoria i motori a perossido di idrogeno (H2O2), nei quali il propellente viene prelevato da un serbatoio pressurizzato ed

immesso in una camera di combustione dove, entrando in contatto con una superficie catalizzante, avviene una reazione chimica violenta che genera come prodotti gas ad elevata temperatura che vengono fatti espandere in un ugello convergente–divergente generando la spinta. A questa categoria appartengono anche i motori ad idrazina (N2H4), attualmente il

propellente più utilizzato.

Questi propulsori trovano la loro applicazione in tutti i campi in cui nonsono richiesti elevati impulsi specifici ma affidabilità e semplicità costruttiva. Un esempio è l’uso nel controllo d’assetto dei satelliti.

gas di scarico

protettivo

schermo schermo intermedio letti catalitici iniettore alimentazione iniettore idrazina filtro valvola corpo

Figura 1.1 Schema endoreattore monopropellente

Nei motori bipropellente sono presenti due sostanze liquide, una combustibile ed una ossidante, che vengono iniettate nella camera di combustione dove avviene la reazione chimica ad alta pressione e temperatura.

L’impianto di alimentazione e molto più complesso e pesante richiedendo due serbatoi e due linee separate oltre ad un complesso sistema di turbopompe. Tali endoreattori vengono impiegati nei casi in cui è richiesto un impulso specifico elevato.

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Nei motori a propellente solido il propellente è costituito da un grano solido che costituisce al tempo stesso il combustibile e l’ossidante. Con una fonte di calore viene innescata la reazione e questa procede senza possibilità di controllo fino all’esaurimento del propellente. L’impulso specifico che è possibile ottenere e’ minore che quello dei motori a propellente liquido ma l’impianto di alimentazione è molto più semplice essendo quasi assente.

Figura 1.3 Schema endoreattore propellente solido

Nei motori a propellente ibrido l'ossidante ed il combustibile sono separati ed immagazzinati in due differenti stati, liquido l'uno e solido l'altro. Il combustibile è contenuto nella camera di combustione mentre l'ossidante è contenuto in un serbatoio che può essere una parte separata o parte integrante del motore. Al momento dell'accensione l'ossidante viene iniettato nella camera di combustione dove si trova il combustibile che brucia producendo i gas necessari a generare la spinta.

Con questo sistema è possibile ottenere impulsi specifici elevati con una complessità quasi dimezzata rispetto ai normali motori a liquido bipropellente.

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1.2 Motivazioni all’utilizzo del perossido di idrogeno

La ricerca è fortemente motivata a sperimentare e a promuovere il perossido d’idrogeno come futuro combustibile per i motori adibiti al controllo di assetto dei satelliti.

Per poter capire tali motivazioni è bene iniziare parlando dell’altro combustibile più utilizzato nei motori monopropellente a liquido: l’Idrazina.

Figura 1.5 Formula di struttura e modello molecolare dell'idrazina

L’idrazina, o idruro di azoto, è una sostanza altamente corrosiva, tossica e cancerogena. Già a 20°C la concentrazione di vapori nell’aria diventa tossica e già oltre i 38°C la miscela aria vapore può diventare esplosiva.

A livello di tossicità essa colpisce fegato, reni e sistema nervoso centrale. Per inalazione può anche provocare edema polmonare e l’ingestione è letale.

Reagisce facilmente con molti metalli.

Tutte queste sono caratteristiche che rendono l’idrazina altamente difficile da maneggiare e stoccare. Un tempo non veniva posta molta attenzione alla sicurezza ma ai nostri giorni i costi di manipolazione e stoccaggio per l’idrazina hanno raggiunto livelli proibitivi al punto da dare l’impulso alla ricerca ed allo sfruttamento di sostanze alternative.

La principale di queste è l’acqua ossigenata, o perossido d’idrogeno.

Figura 1.6 Formula di struttura e modello molecolare del perossido d’idrogeno

Le sue proprietà chimiche e termodinamiche lo rendono interessante per un maggiore utilizzo nel prossimo futuro.

Di seguito vengono elencate ed analizzate alcune di queste caratteristiche: - Alta densità

- Non tossicità - Immagazzinabilità

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1.2.1 Alta densità

La densità del perossido d’idrogeno ad una concentrazione del 90% a 15°C è di 1,4 kg/dm3.

Questa densità è molto superiore a quella dell’ossigeno liquido (1.14 kg/dm3) e a quella degli

altri propellenti (si veda la tabella 1.1).

Propellente Densità (Kg/dm3) NTO 1.431 MMH 0.874 Acqua 1 Perossido di idrogeno 1.4422 Ossigeno liquido 1.14 Etanolo 0.7893 Metanolo 0.7914 Propanolo-1 0.8035 Butanolo-1 0.8098

Tabella 1.1 Densità di alcuni propellenti

La più alta densità comporta per il perossido un impulso specifico volumetrico maggiore ed una possibile riduzione di volume del serbatoio in modo da renderlo un propellente ideale per i progetti in cui ci sono forti limiti di volume.

Nella figura 1.7 viene mostrato l’andamento della densità del perossido d’idrogeno a varie temperature in funzione della concentrazione.

Figura 1.7 Andamento della densità del perossido di idrogeno in funzione della concentrazione

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1.2.2 Non tossicità

Il perossido d’idrogeno e’ considerato non tossico comparato agli altri propellenti attualmente in uso, come ad esempio la già citata idrazina. Con le opportune protezioni, la sua manipolazione è più sicura rispetto a quella di altri propellenti. La sua bassa pressione di vapore comporta in questo ambito notevoli facilitazioni rendendolo appetibile per la maggiore manipolabilità anche se, viste le alte concentrazioni di utilizzo (>85%), si deve comunque prestare le dovute precauzioni in quanto il perossido d’idrogeno è altamente corrosivo e può essere letale.

L’inalazione di vapori di H2O2 irrita le vie respiratorie ed inoltre si può avere reazione chimica

violenta se il perossido entra a contatto con materiali incompatibili. Questi sono materiali da costruzione comunemente usati come ferro, acciaio, rame, ottone, nickel, cromo.

Anche i principali lubrificanti sono incompatibili in quanto possono creare pericolose miscele H2O2/organico. Sono invece compatibili i lubrificanti al silicone.

Vanno evitati anche materiali infiammabili come il legno e la carta .

1.2.3 Immagazzinabilità

A temperatura ambiente il perossido d’idrogeno è stabilmente liquido, può essere conservato in appositi serbatoi per lunghi periodi di tempo senza alterarne le proprietà e la sua stabilità. Questo lo rende preferibile ai propellenti criogenici quando vi è la necessità di tenere immagazzinato in missione per lungo tempo il propellente.

La minore esplosività, la maggiore stabilità e la minore vaporizzazione a temperature standard rende più semplice anche la sua conservazione in magazzino con costi competitivi e minori rischi rispetto all’idrazina ed altri propellenti chimici.

Acciai inossidabili austenitici possono essere utlilizzati per lo stoccaggio ed il trasporto. Nelle saldature e le rifiniture dei recipienti deve essere posta la massima attenzione onde evitare la presenza di elementi contaminanti che possano reagire col perossido.

Contenitori in alluminio di purezza del 99,5% possono essere utilizzati per contenimenti a lungo termine, anche in questo caso con le dovute attenzioni su saldature e rifiniture nella lavorazione del recipiente.

Nella gestione del perossido di idrogeno possono anche essere impiegate alcune gomme e plastiche come per esempio politetrafluoroetilene (PTFE o Teflon), floruro di polivinile (PVDF), VITON (un copolimero di fluoruro di vinilidene e esafluoropropilene) ed il PEHD (polietilene ad alta densità).

1.2.4 Non reattività con l’atmosfera

La non reattività con l’atmosfera contribuisce alla maneggevolezza di questo propellente e al suo utilizzo in veicoli di lancio riutilizzabili, cosa che con l’idrazina era problematica in quanto essa reagisce chimicamente con l’anidride carbonica formando dei componenti che potrebbero intaccare la struttura dei veicoli.

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1.3 Utilizzo in passato del perossido di idrogeno

Il perossido d’idrogeno vide il suo esordio già negli anni ’30 quando il tedesco Hellmuth Walter lo propose come propellente per sottomarini.

Nel 1938, sfruttando la decomposizione del perossido all’80% di concentrazione tramite un catalizzatore liquido di permanganato di potassio, Walter arrivò allo sviluppo del motore per il razzo vettore balistico V2.

Figura 1.8 Motore razzo V2

I risultati ottenuti dai tedeschi furono la base di partenza per lo sviluppo nel Regno Unito dei motori Gamma 201 che andarono a costituire il sistema propulsivo del Black Knight (figura 1.9). In questo caso il perossido d’idrogeno in concentrazione dell’85% reagiva con un letto catalitico a schermi di argento. I gas generati dalla decomposizione del perossido andavano così ad ossidare il cherosene che costituiva il combustibile..

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In seguito alla seconda guerra mondiale la General Electric negli Stati Uniti d’America sperimentò l’H2O2 a bordo dei velivoli sperimentali della serie X.

In tali veicoli non veniva utilizzato come propellente principale ma come ausilio del controllo di assetto o per il trascinamento delle pompe principali.

Prototipi di questo tipo furono l’X1 e l’X15 (figure 1.10 e 1.11).

Figura 1.10 Velivolo sperimentale X1

Figura 1.11 Velivolo sperimentale X15

Il perossido d’idrogeno fino agli anni ’60 non trovò applicazioni di rilievo ma venne utilizzato soprattutto nei sistemi di controllo di reazione e nei generatori di gas per turbopompe.

Si dovette arrivare al 1964 per ritrovare un uso del perossido come propellente vero e proprio. Questo si ebbe con il veicolo LLRV (Lunar Landing Research Vehicle) che era un veicolo di addestramento degli astronauti per la missione lunare Apollo. Serviva per simulare manovre in presenza di gravità lunare. I motori a perossido d’idrogeno consentivano il decollo e gli spostamenti orizzontali di tale veicolo.

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Figura 1.12 Veicolo LLRV

In seguito si ebbe un periodo quasi ventennale di inutilizzo dell’acqua ossigenata a vantaggio di propellenti più prestanti ma più pericolosi quali l’idrazina e l’idrogeno liquido. Si dovette aspettare l’arrivo degli anni ’90 per tornare al perossido d’idrogeno, spinti soprattutto da un maggior orientamento alla sicurezza e quindi dalla ricerca di propellenti meno pericolosi e meno costosi per lo stoccaggio e la manipolazione.

Attualmente l’interesse è crescente nei nanosatelliti e sui micropropulsori.

Il Lawrence Livermore National Laboratory sta sviluppando un progetto su un propulsore da 27 Newton e procedendo studi su motori bipropellente da 45000 N e la Purdue University e la University Of Surrey stanno conducendo ricerche su letti catalitici e motori ibridi.

1.4 Descrizione del funzionamento del motore e dei parametri

caratteristici

I propulsori che saranno sperimentati sono motori monopropellente liquido a perossido d’idrogeno.

Tali endoreattori sfruttano la dissociazione del propellente i cui prodotti, tipicamente gas, vengono fatti espandere in un ugello convergente-divergente di opportune dimensioni.

Il perossido d’idrogeno, di formula chimica H2O2, si dissocia venendo a contatto con un

materiale catalizzatore che costituisce il letto catalitico. Questa zona è la camera di combustione del nostro endoreattore.

Il letto catalitico è costituito da un materiale che favorisce la decomposizione dell’acqua ossigenata. A contatto con esso l’H2O2 si decompone in H2O (acqua comune) vapore e

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La reazione chimica è 2 2 2 2 1 H O (l) H O(g) O (g) 98kJ / mol 2 ↔ + +

Verrà ora analizzato il funzionamento di un endoreattore monopropellente a perossido d’idrogeno vedendone in breve le singole fasi in cui avviene la propulsione.

Figura 1.13 Schema di endoreattore monopropellente

Seguendo il verso delle frecce viene percorso quello che è il cammino del propellente iniettato nel propulsore.

Il perossido d’idrogeno arriva nel motore spinto dall’impianto di alimentazione che viene opportunamente pressurizzato. Da qui entra nella camera di combustione spinto ad elevata pressione.

Attraversando la prima piastra segnata in viola (piastra di iniezione) esso entra nel letto catalitico, nel quale avviene la trasformazione chimica esotermica dell’H2O2.

I gas prodotti a questo punto escono attraversando la seconda piastra colorata in viola e sono spinti nell’ugello (zona verde).

A questo punto interviene la speciale forma convergente-divergente dell’ugello che fa in modo di spingere all’esterno i gas combusti alla massima velocità possibile così da ottenere la massima spinta. L’ugello dovrà essere opportunamente dimensionato per consentire la migliore espansione dei prodotti della combustione.

I motori monopropellente ad H2O2 attualmente sono stati impiegati per piccole spinte di

50-100N. La temperatura di decomposizione raggiunge circa 1000°K e questo permette di impiegare materiali come Inconel e acciaio inossidabile. Questi materiali sono facilmente lavorabili e non molto costosi quindi anche questo costituisce un punto a favore all’utilizzo di tali propulsori.

Nella tabella 1.2 sono riassunte alcune caratteristiche principali di lavoro dei monopropellente a perossido d’idrogeno.

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CONCENTRAZIONE SPINTA [N] PORTATA [g/s] PRESSIONE IN CAMERA DI COMBUSTIONE [atm] VITA OPERATIVA [s] 85-90% 10-500 10-100 101 103

Tabella 1.2 Caratteristiche monopropellente H2O2

1.4.1 Parametri caratteristici

I due propulsori che verranno testati sono stati prodotti dalla ditta Alta S.p.a. In particolare sono stati progettati due motori distinti con spinte rispettivamente di 5 N e 25 N. Questi sono stati prodotti come parte integrante di una campagna di esperimenti sui letti catalitici.

Entrambi i motori utilizzano come propellente perossido d’idrogeno ad una concentrazione dell’87.5% in peso.

Nella tabella 1.3 vengono riportate le specifiche caratterizzanti le prestazioni dei due prototipi realizzati. Queste sono ricavate da modelli numerici, in particolare da modelli gasdinamici monodimensionali, quindi andranno verificate con la sperimentazione effettiva.

Spinta in condizioni di progetto 5 N (primo prototipo), 25 N (secondo prototipo)

Concentrazione in peso di H2O2 87.5%

Pressione in camera di combustione 10 atm (pressione assoluta) Pressione nella sezione di uscita dell’ugello 13800 Pa

Rapporto della camera di combustione L/D tra 2 e 4

Carico del letto catalitico (G)

2

kg 50

sec m⋅

Tempo di residenze del gas (τ ) 1÷2 msec

Tempo di residenza del liquido (t) 0.2÷0.5 sec

Tabella 1.3 Specifiche motori

Nel prossimo sottocapitolo verrà analizzato più in dettaglio il catalizzatore con una sintesi sugli studi compiuti su di esso.

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1.5 Il catalizzatore: tipologia e struttura

Nei motori a perossido d’idrogeno si sfrutta la decomposizione del perossido per via catalitica.

L’ H2O2 può essere decomposta per via termica o per via catalitica. E’ stata scelta la seconda in

quanto risulta molto più rapida della decomposizione per via termica.

Il fenomeno della catalisi si verifica quando una reazione viene accelerata (o ritardata) dalla presenza di sostanze (catalizzatori) che apparentemente non prendono parte alla reazione ritrovandosi inalterate alla fine del processo.

Esistono due forme di catalisi che verranno analizzate qui di seguito.

1.5.1 Catalisi omogenea

Il catalizzatore viene disperso in forma molecolare nella stessa fase dei reagenti.

Qui il materiale catalizzatore partecipa alla reazione come reagente, subisce una trasformazione e viene ricostituito alla fine del processo.

Applicato alla propulsione spaziale è come se il perossido d’idrogeno venisse iniettato in camera di combustione assieme ad un altro liquido che contiene il catalizzatore costituito da sali di permanganato di sodio, potassio o calcio disciolti in acqua.

Questo tipo di impianto non è consigliato per la propulsione spaziale in quanto si ha la diluizione del perossido dovuta al liquido che contiene il catalizzatore e si ha la necessità di due linee e due serbatoi per la gestione del propellente e del liquido catalitico.

Storicamente questa tipologia di catalisi è stata la prima utilizzata in campo aerospaziale, ad esempio nei generatori a gas dei razzi V-1 e V-2.

1.5.2 Catalisi eterogenea

La catalisi eterogenea è una catalisi di contatto.

Il propellente, che si trova allo stato liquido, entra in contatto con il catalizzatore che invece si trova allo stato solido.

La sostanza catalizzante in questo caso, a differenza della catalisi omogenea, si trova già nella camera di combustione e costituisce il “letto catalitico”.

Esistono tre tipi principali di letti catalitici: - a sfere

- a schermi - a canali

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1.5.2.1 Letti catalitici a sfere

Il letto catalitico è costituito da un contenitore nel quale sono forzate tante sferette di materiale catalitico.

Il perossido d’idrogeno viene forzato a passare in questo contenitore (che rappresenta anche la camera di combustione del motore) in modo da entrare in contatto con più sfere possibili. Tali sfere devono avere dimensioni opportune, quindi non devono essere troppo piccole da essere asportate assieme al getto fuoriuscente dal motore e nemmeno troppo grandi da diminuire la superficie di contatto tra il propellente e il catalizzatore. Devono anche avere sufficiente resistenza meccanica da non rompersi durante il funzionamento.

In tali letti la decomposizione non avviene immediatamente ma il perossido si decompone mano a mano che percorre il letto catalitico venendo a contatto con altre sferette..

Le sfere catalitiche sono tipicamente di metallo rivestito di argento o di altri materiali rivestiti di diossidi di manganese. Anche il platino sembra offrire buoni risultati di catalisi. L’argento viene elettrodepositato sull’anima in metallo mentre il diossido di manganese viene ancorato a materiali ceramici o organici altamente porosi.

Le sfere catalitiche sono soggette a fenomeni di rottura e polverizzazione del loro rivestimento metallico dovuto alla violenza del processo di decomposizione del perossido d’idrogeno ed alla temperatura di tale processo.

Per questo motivo tali letti non sono adatti ad usi che richiedono un numero elevato di spari i quali richiedano un elevato grado di ripetibilità.

La prima versione di letto catalitico a sfere è stata utilizzata dai tedeschi per i loro sottomarini propulsi a H2O2 e kerosene durante la seconda guerra mondiale.

Altri utilizzi si sono avuti fino agli anni ’60 su razzi spendibili con un numero ridotto di spari.

Figura 1.14 Sferette in platino per catalizzatore

1.5.2.2 Letti catalitici a schermi

Il letto catalitico a schermi è costituito da pacchi di griglie impilate in modo da alternare l’orientamento delle trame.

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Così facendo viene ottenuto un letto che è insensibile alle vibrazioni generate dalla decomposizione del perossido d’idrogeno così che si ha un aumento della vita operativa rispetto ai letti a sfere. La vita può raggiungere anche alcune ore di durata ed il principio di funzionamento è lo stesso dei letti a sfere.

L’impilamento così fatto dona al letto catalitico un rendimento volumetrico elevato che consente di diminuire il volume al 50% di un equivalente letto catalitico a sfere. Di contro vi è la possibilità di incappare in un degrado prestazionale del letto dovuto al deposito di impurità che ostruiscono alcune vie di passaggio per l’acqua ossigenata che quindi non verrebbe più a contatto con la totale superficie dell’elemento catalizzatore.

Figura 1.15 A sinistra griglie di vari materiali (Rodio, Palladio, Platino, Oro e Argento), a destra una pila di griglie impacchettate a formare un letto catalitico

Tipicamente gli schermi sono costituiti di argento o di altri metalli rivestiti di argento. Essi vengono montati con una piastra di iniezione posta a monte con la funzione di diffondere più uniformemente possibile nel letti catalitico il flusso di propellente entrante.

Lunghezze tipiche di letti a schermi sono dell’ordine di 2-3 pollici.

Catalizzatori a schermi sono stati in passato utilizzati per razzi monopropellente come il Centaur, il Viking, X-1, X-15, Mercuri e Black Arrow.

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1.5.2.3 Letti catalitici a canali

Questi letti sono formati da materiali porosi di tipo ceramico sulla cui superficie viene depositato, attraverso successivi processi di assorbimento e calcinazione, l’elemento catalitico. La forma geometrica tipica di tali letti catalitici è a nido d’ape.

Come vantaggi vi sono la riduzione delle perdite di pressione nell’attraversamento del letto e la minore sensibilità all’occlusione delle vie di percorrenza del fluido.

Tra gli svantaggi invece sono da citare fenomeni di incanalamento e di saturazione locale. Il substrato che sostiene il catalizzatore è soggetto ad elevate sollecitazioni sia di natura meccaniche che termica.

Figura 1.17 Letto catalitico a canali

1.5.3 Materiali per letti catalitici

Il letto catalitico nello svolgimento della sua funzione deve dimostrare notevoli qualità chimiche.

Queste sono quelle che rendono la catalisi più efficace o meno riuscendo a decomporre il perossido di idrogeno rapidamente e il più completamente possibile.

Durante la decomposizione chimica però il letto catalitico è soggetto anche a notevoli sollecitazioni termiche e meccaniche.

Per questo l’ideale sarebbero materiali che riuscissero a dare ottimi risultati sia dal punto di vista chimico che dal punto di vista meccanico e termico.

Per ottenere questo risultato si ricorre sia all’uso di materiali ottimi da entrambi i punti di vista sia all’uso di materiali costituiti da un substrato resistente alle sollecitazioni e da un rivestimento che rappresenta il catalizzante.

Le migliori sostanze catalizzanti sono l’argento, gli ossidi di manganese, il piombo, il vanadio, il cromo, il rutenio, l’oro, il platino, l’iridio ed il titanio. Con l’argento è possibile realizzare schermi in argento massiccio o utilizzarlo come rivestimento per nickel, inconel, acciaio e allumina.

Poiché la temperatura di fusione dell’argento è di 960°C, l’utilizzo di questi letti catalitici limita la concentrazione massima utilizzabile del perossido al 92%, concentrazione per cui la temperatura adiabatica di decomposizione risulta paragonabile a quella di fusione dell’argento.

Tra gli ossidi di manganese quello che offre migliori prestazioni è il biossido di manganese (MnO2). Solitamente vengono depositati per calcinazione su un substrato di altro materiale.

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Nei materiali per substrati si utilizzano sia materiali metallici che ceramici. Tra i metallici sono preferiti:

- Acciaio inossidabile - Nickel 200

- Inconel 625

I materiali ceramici preferibili sono: - Allumina

- Allumina + biossido di silicio - Cordierite

Questi ultimi hanno proprietà meccaniche inferiori ai materiali metallici ma hanno un’ottima resistenza alle alte temperature e comportano un minor costo.

Nella scelta dei materiali per catalizzatori si deve prestare attenzione anche alla possibile interazione di essi con gli elementi stabilizzanti contenuti nel perossido d’idrogeno. Questi, interagendo con i materiali catalitici, ne alterano le proprietà chimiche meccaniche variando di conseguenza il processo di decomposizione del perossido d’idrogeno.

1.6 Il catalizzatore: caratterizzazione

La vita e le prestazioni di un letto catalitico possono essere valutate tramite l’uso di alcuni parametri.

Tali parametri danno un immagine delle condizioni operative e dell’invecchiamento del sistema. I principali parametri caratterizzanti sono:

- Flusso di massa per unità di area (G) o “bed loading” - Caduta di pressione (P)

- Efficienza c* (ηc*) - Efficienza termica (

η

T)

Ne viene fatta una descrizione nei successivi paragrafi.

1.6.1 Flusso di massa per unità di area (G)

Questo parametro indica la quantità di propellente che va a bagnare il letto catalitico. Esso è il rapporto tra la portata di propellente che attraversa il letto catalitico e l’area della sezione trasversale del catalizzatore.

La massimizzazione del G è utile per ridurre l’ingombro trasversale del letto catalitico e di conseguenza l’ingombro laterale del motore.

Si deve comunque porre la massima attenzione nella massimizzazione di questo parametro in quanto si può incorrere ad un aumento della perdita di pressione ed all’allagamento degli

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1.6.2 Caduta di pressione (∆∆∆∆P)

La caduta di pressione nel catalizzatore è la differenza tra la pressione a monte e quella a valle del letto catalitico. Essendo conseguenza del contatto tra il perossido d’idrogeno e l’elemento catalizzante, la caduta di pressione dipende dalla portata e dalla geometria interna dei passaggi. Essa indica lo sforzo che il catalizzatore subisce e quindi dà una stima della vita del letto catalitico. Più è accentuato il ∆P e maggiori sono le forze che il letto catalitico subisce. La caduta di pressione è un parametro molto complesso da stimare in quanto dipendente da fattori che variano nell’arco dell’utilizzo.

E’ stata sviluppata una formula empirica che collega il ∆P in camera di combustione con il flusso di massa per unità di area.

Analiticamente è così rappresentata:

1 375 0 778 35000 . . C G P P ⋅ =

in cui:

Con: ∆P: differenza di pressione in psi G: flusso di massa in lb/(in2s)

PC : pressione in camera di decomposizione in psi

Oltretutto conviene ricordare che anche con l’aumentare della lunghezza del letto catalitico e con l’aumentare della pressione tra gli schermi costituenti il catalizzatore si ha l’aumentare della caduta di pressione.

Un letto catalitico raggiunge il termine della sua vita quando il ∆P aumenta del 10-40% (secondo i casi) rispetto alla perdita di pressione massima registrata all’inizio della vita operativa.

1.6.3 Efficienza c* (ηηηηc*)

Tale indice è il valore dell’efficacia del catalizzatore nel decomporre il perossido d’idrogeno allo stato liquido.

L’efficienza ηc* è il rapporto tra la velocità caratteristica realmente ottenuta in camera di

combustione e quella prevista in condizioni ideali tramite codici di calcolo. La forma analitica è la seguente:

1 1 2 1 ( ) ( ) act C t c* ad th c* P A RT m c* + − ⋅ = + γ γ

η

γ

γ

γ

in cui:

PC : pressione in camera di combustione At : area di gola

m: portata di massa

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R : costante dei gas di combustione

Tad : temperatura adiabatica di decomposizione

Nei catalizzatori attuali è possibile ottenere un’efficienza ηc* > 90%.

1.6.4 Efficienza termica (

η

T)

Questo coefficiente misura l’efficienza di decomposizione del perossido d’idrogeno in camera di combustione basandosi sulla temperatura in camera.

L’efficienza termica rappresenta numericamente il fenomeno del non raggiungimento della temperatura adiabatica di decomposizione, fenomeno che contribuisce alla riduzione dell’efficienza ηc* vista nel paragrafo precedente.

La forma analitica di

η

T è la seguente:

dec in T ad in T T T T − = − ∆

η

in cui:

Tdec: temperatura di decomposizione misurata

Tin : temperatura di ingresso del perossido di idrogeno Tad : temperatura adiabatica di decomposizione

1.7 Il catalizzatore: problematiche

In questo paragrafo verranno riassunte le principali problematiche che possono insorgere nell’uso del catalizzatore. Sono inconvenienti risolvibili con i dovuti accorgimenti e che influiscono negativamente sulle prestazioni della catalisi del perossido d’idrogeno.

Le tre problematiche che saranno esposte sono l’avvelenamento del letto catalitico, il fenomeno dell’ incanalamento o “channeling” e l’allagamento del letto (flooding).

Avvelenamento del letto catalitico

Col procedere della vita operativa le prestazioni del letto catalitico vanno a diminuire. Questo avviene per il degrado progressivo del catalizzatore. Tale degrado può avvenire sia per motivi meccanici, ovvero nel fenomeno di decomposizione del perossido d’idrogeno i gas espulsi riescono per attrito ad asportare del materiale catalizzante, sia per motivi chimici, ovvero il catalizzatore si ossida o viene reso impuro da sostanze che aderiscono con esso. Sostanze che sono causa d’impurità si trovano soprattutto negli stabilizzanti del perossido d’idrogeno.

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L’avvelenamento del letto catalitico avviene progressivamente col susseguirsi degli spari. Inizia nei primi tempi nella parte iniziale del letto catalitico per proseguire sempre più in profondità nei successivi spari fino ad arrivare all’avvelenamento totale di tutta la superficie catalizzante.

Incanalamento o “channeling”

Il fenomeno dell’incanalamento fa si che fuoriesca del perossido d’idrogeno liquido dal letto catalitico.

Questo succede perché all’interno del letto vi sono delle corsie libere in cui il perossido può passare liberamente senza entrare a contatto con la sostanza che costituisce il catalizzatore. Non trovando resistenza nel suo percorso queste diventano anche corsie preferenziali per l’H2O2 che in una certa quantità quindi non andrà a contribuire alla decomposizione e quindi all’erogazione di spinta del motore.

Una possibile soluzione di questo problema consiste nel rendere il percorso nel catalizzatore il più tortuoso possibile e garantire la migliore distribuzione di perossido d’idrogeno nella sezione del letto catalitico tramite delle piastre di distribuzione di forma opportuna. Piastre di iniezione a ruota di carro sembrano dare migliori risultati nell’evitare il fenomeno dell’incanalamento rispetto a piastre d’iniezione con semplici fori circolari.

Allagamento del letto (flooding) e la sua parziale otturazione (clogging)

Quando la portata di perossido d’idrogeno è tale da non venire interamente decomposta si ha il fenomeno dell’allagamento del letto catalitico. Questo fenomeno può interessare una parte o la totalità del letto.

Anche le impurità e gli elementi stabilizzanti presenti nell’H2O2 contribuiscono a ridurre l’efficienza della decomposizione andando ad otturare in parte gli interstizi nel catalizzatore. Tale otturazione causa un aumento delle perdite di carico ed una diminuzione della superficie bagnata del letto catalitico con conseguente degrado prestazionale della catalisi.

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1.8 Il catalizzatore: prospetto sintetico

La seguente tabella riassume in un unico prospetto le principali grandezze caratteristiche del catalizzatore nella catalisi eterogenea.

PARAMETRO VALORE TIPICO COMMENTO

Vita operativa 3000 s Elemento da massimizzare

Numero di cicli 10000

Elemento importante assieme alla ripetibilità nel controllo di assetto

c

T : temperatura di esercizio 1000 K (@90%)

E’ influenzata principalmente dalla concentrazione, dalla pressione di esercizio e dall’efficienza di decomposizione

c

p : pressione di esercizio 10-20 atm

Influenza la temperatura di decomposizione e le perdite nel letto catalitico

G: portata per unità d’area 50-400 kg s m/( 2)

Influenza le perdite di carico nel letto.

*

c

η

:efficienza della velocità

caratteristica 95-99%

Diminuisce durante la vita operativa. Convenzionalmente il catalizzatore raggiunge il termine della vita per

* 0.95

c

η

= (a volte 90%).

p

∆ : caduta di pressione nel

letto catalitico 4-20 atm

Dipende dal carico di compressione, dalla lunghezza del letto, da G e da

c

p .Quando aumentano del 10-40% rispetto al massimo valore iniziale il catalizzatore si considera alla fine della vita.

Oscillazioni di pressione ≤5% (da picco a picco)

Quando le oscillazioni aumentano di intensità rispetto al valore tipico il catalizzatore ha finito la vita utile

Figura

Figura 1.1 Schema endoreattore monopropellente
Figura 1.3 Schema endoreattore propellente solido
Figura 1.6 Formula di struttura e modello molecolare del perossido d’idrogeno
Tabella 1.1 Densità di alcuni propellenti
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Riferimenti

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