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CAPITOLO 4 : MATERIALI E TECNICHE SPERIMENTALI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 4 : MATERIALI E TECNICHE

SPERIMENTALI

4.1 MATERIALI ESAMINATI E LORO PREPARAZIONE

In questo lavoro sono stati presi in considerazione essenzialmente due studi sugli acciai HSLA, un primo condotto sui prodotti lunghi industriali ed un secondo ottenuto da prove effettuate con simulatore siderurgico, Gleeble3800.

4.1.1 PRODOTTI LUNGHI INDUSTRIALI

L’obiettivo di questa tesi è quello di esaminare l’effetto dell’aggiunta di vanadio ad un acciaio di tipo strutturale, nel caso di prodotti lunghi, con particolare riferimento alla possibilità che, essendo il vanadio un elemento in grado di precipitare come nitruro o carbonitruro nella fase austenitica, si abbia una nucleazione intragranulare di ferrite a partire da questi precipitati.

A tale scopo sono stati prodotti tre laminati Fe430 su impianto industriale provenienti da colate senza vanadio (colata n˚34510) come riferimento, con vanadio e azoto (colata n˚34511) e ricca di vanadio e azoto contenente anche titanio (colata n˚34512).

Le composizioni chimiche degli acciai prodotti sono riportate in tabella 4.1.

Sono state prodotte travi con profilo UPN160 (in cui “U” indica trave con sezione di forma analoga alla lettera U, “PN” profilo normale e 160 è il peso lineare). Le travi in questione sono state realizzate presso la Riva Acciai.

Lo schema dell’impianto utilizzato è riportato in fig.4.1.

Nello schema rappresentato, G indica le gabbie di laminazione, mentre P indica i pirometri ( lettori ed indicatori di temperatura ). In particolare:

(2)

z Le gabbie da G2 a G7 costituiscono il laminatoio sbozzatore z La gabbia G12 realizza lo stadio finale di laminazione

In dettaglio, le gabbie e i pirometri presenti sull’impianto sono riportati nella tabella 4.2.

%ELEMENTO

COLATA N°34510 COLATA N°34511 COLATA N°34512

C

0.160

0.160

0.160

Mn

0.75

0.76

0.79

Si

0.20

0.18

0.19

P

0.011

0.016

0.020

S

0.023

0.030

0.033

Cr

0.09

0.12

0.15

Mo

0.01

0.02

0.01

Al

0.002

0.002

0.003

V

0.000

0.105

0.125

N

0.0107

0.0122

0.0140

Ti

0.001

0.003

0.010

Tab.4.1: Composizioni chimiche degli acciai 34510,34511,34512.

(3)

P1 PIROMETRO N˚ 1(lettura ali) P2 PIROMETRO N˚ 2(lettura ali) P3 PIROMETRO N˚ 3(lettura ali) P4 PIROMETRON˚ 4(lettura anima) P5 PIROMETRO N˚ 5(lettura ali) P6 PIROMETRO N˚ 6(lettura anima) P7 PIROMETRO N˚ 7(lettura ali) P8 PIROMETRO N˚ 8(lettura anima) G2 GABBIA TRIO SBOZZATRICE G3 GABBIA TRIO SBOZZATRICE G6 GABBIA TRIO SBOZZATRICE G7 GABBIA TRIO SBOZZATRICE G8 GABBIAUNIVERSALE REVERSIBILE G9 GABBIA UNIVERSALE REFOLA G12 GABBIA FINITRICE UNIVERSALE Tab.4.2: Riferimenti all’impianto di laminazione.

Per le colate 34510, 345111, 34512 sono state effettuate due combinazioni di lavoro variando le condizioni all’uscita della gabbia finitrice. Il primo ciclo consiste in un processo industriale standard, e il secondo consiste in un ciclo in cui si impone una riduzione della velocità di raffreddamento del profilato subito dopo deformazione plastica al finitore, con lo scopo di massimizzare la frazione volumetrica e le dimensioni dei precipitati di VN-V(C, N).

Allo scopo di realizzare questo obiettivo sull’impianto industriale, i trattamenti termomeccanici sono stati gli stessi per tutti i profilati fino all’uscita della gabbia finitrice.

(4)

A questo punto si sono prodotti due profilati per ogni variante Fe 430: il primo ha seguito l’usuale metodo di produzione e, raggiunto il finitore, è stato raffreddato in aria fino a temperatura ambiente (laminazione denominata “standard”); il secondo, invece, dopo aver attraversato il finitore universale, è stato isolato termicamente mediante una copertura per un tempo di 1.50 minuti, per poi essere raffreddato in aria fino a temperatura ambiente (laminazione denominata “hold”).

Queste tecniche sperimentali vengono realizzate:

• Per confrontare, in seguito ai processi di laminazione standard e hold, la microstruttura e le proprietà meccaniche del prodotto di riferimento (34510) rispetto alle varianti Fe 430 (34511-34512), per poter così valutare l’effetto dell’alto contenuto di vanadio e azoto.

• Per valutare l’effetto della precipitazione dei carbonitruri di vanadio ( formati dopo deformazione plastica nel finitore) come potenziale sito di nucleazione di ferrite intragranulare. La frazione volumetrica e le dimensioni dei precipitati, indotti da deformazione, potrebbero aumentare mantenendo il profilato dopo deformazione plastica alla stessa temperatura usando il processo di laminazione

hold.

Su questi campioni sono state condotte, ad opera della RIVA ACCIAI, prove di trazione e prove di resilienza. Sempre su questi acciai è stata condotta un’analisi metallografica quantitativa ed un’analisi con il microscopio elettronico in trasmissione (TEM).

4.1.2 PROVE CONDOTTE CON SIMULATORE SIDERURGICO

GLEEBLE 3800

Al fine di osservare il ruolo dei precipitati di vanadio come possibili siti preferenziali di nucleazione della ferrite, nei prodotti piani spessi, è stata prodotta una nuova colata (n˚115) di un acciaio a basso carbonio ma ricco di vanadio ed azoto, in cui è presente

(5)

anche il titanio.

La composizione chimica della colata è riportata in tabella 4.3.

C

Mn Si

P

S

Cr

Ni

Cu Al

Ti

V

N

2

0.05 1.66 0.33 0.017 0.007 0.07 0.02 0.01 0.03 0.014 0.134 0.0166

Tab.4.3: Composizione chimica della colata 115.

Alla colata sono state imposte differenti sequenze Tempo-Temperatura-Deformazione, indicate di seguito come ciclo 1 e ciclo 2, impiegando un simulatore siderurgico Gleeble 3800 (figura 4.2).Questo macchinario permette, tra le varie applicazioni possibili, di imporre deformazioni plastiche di compressione ed a caldo e con elevate velocità di deformazione. Il Gleeble 3800 è un’apparecchiatura estremamente complessa che ha svariati campi di applicazione. Fornendo una descrizione estremamente semplificata lo si può definire ( per le applicazioni di interesse del gruppo RIVA ) come un simulatore siderurgico, in grado di ricreare su provini appositamente ricavati il ciclo di fabbricazione dell’acciaio, partendo dalla colata continua di un’acciaieria, passando attraverso la laminazione per arrivare a tutti i tipi di trattamenti successivi sia termici sia meccanici effettuati sul prodotto. L’unità di carico del sistema è in grado di sviluppare forze fino a 20t in compressione e 10t in trazione e velocità di deformazione di 2000 mm/s. Un sistema idrodinamico permette un’impostazione accurata ed un preciso controllo di tutte le variabili meccaniche. Il sistema di riscaldamento ad induzione del sistema è in grado di sviluppare gradienti di temperatura elevatissimi con controllo della temperatura stessa mediante termocoppie e pirometri della superficie del campione; analogamente un sistema di insufflaggio di acqua ed aria permette di realizzare gradienti di raffreddamento ugualmente elevati. Tutte queste variabili sono controllate da un sistema informatico e possono essere impostate sulla base del tipo di simulazione fisica da[47].

(6)

Fig.4.2: Gleeble 3800.

(7)

Fig.4.3: Dilatometro Gleeble. a) provino posizionato tra le ganasce per la prova a trazione, su esso è montata una termocoppia per misurare la temperatura e un trasduttore differenziale per la misura della deformazione; b) vista generale di un provino di compressione.

Il dilatometro Gleeble, rappresentato nelle fotografie di figura 4.3, è costituito da un basamento, da un sistema di movimentazione e da un sistema di riscaldamento.

Il campione è tenuto orizzontalmente tra due ganasce, movimentate, in funzione del tipo di prova che si vuole eseguire, da un sistema pneumatico. Le ganasce sono raffreddate con un sistema di raffreddamento ad acqua; tra loro è posta una resistenza elettrica, collegata a un generatore, che ha lo scopo di portare il campione in temperatura. La temperatura del provino è controllata da una termocoppia saldata nella zona centrale della sua superficie. In questo modo si può procedere a un preciso ciclo di riscaldamento, con lo scopo di riprodurre le condizioni di lavorazione a caldo, sotto determinati valori di tempo e temperatura. Il carico può essere applicato in qualsiasi momento del ciclo.

Temperatura, carico, e movimento della testa del pistone sono tutti funzioni del tempo. I campioni utilizzati, in queste prove, hanno una forma geometrica prismatica con dimensioni 55mm×35mm×15mm, e sono 4 per ogni ciclo per un totale di 8 campioni e vengono siglati come indicato in tabella 4.4.

No. provino Sigla Gleeble Temp. fine raffreddamento 19 DT_720 720 20 DT_750 750 21 DT_780 780 22 DT_820 820 No. provino Sigla Gleeble Tempo mantenimento fine raffreddamento 23 Dtm_20 20 24 Dtm_100 100 25 Dtm_200 200 26 Dtm_500 500

(8)

Tab.4.4: Identificazione dei campioni Gleeble.

I due cicli sono descritti rispettivamente negli schemi delle tabelle 4.5 e 4.7, ed il trattamento termomeccanico è riportato nei grafici raffigurati nelle figure 4.4 e 4.5.

(9)

SIMBOLO GRANDEZZA VALORE

V

ris Velocità di riscaldamento 3 °C/s

V

ri Velocità raffreddamento intermedio 3 °C/s

V

rf Velocità raffreddamento finale 12 e 3 °C/s

T

max Temperatura massima

1120 °C

t

m Tempo di mantenimento a temperatura massima 60 s

t

mi Tempo di mantenimento durante deformazione 7 s

TL1-Tlf

Temperatura di laminazione 820 °C

Tlv

Temperatura fine raffreddamento 720,750,780,820 °C

ε , ε’

Deformazione e velocità di deformazione Tabella 4.6 Tab.4.5: Parametri di processo riguardanti il ciclo 1.

PASSATA

ε

ε’

T,

°C

1

0.01

2.50

980

2

0.01

4.98

950

3

0.01

7.74

926

4

0.2

10.07 933

5

0.25

10.37 930

6

0.05

11.79 920

7

0.2

11.90 906

8

0.19

12.08 887

9

0.14

11.34 864

10

0.11

10.72 839

11

0.08

9.33

818

Tab.4.6: Deformazioni e velocità di deformazione imposte ai cicli.

(10)

Il primo ciclo può essere descritto tramite lo schema seguente: 1. Riscaldamento a Tmax a 3˚C/s.

2. Permanenza a Tmax per tm. 3. Raffreddamento a 3˚C/s.

4. Permanenza durante deformazione per tmi. 5. Deformazione plastica. 6. Raffreddamento fino a TLf. 7. Permanenza a TLf per tm. 8. Raffreddamento fino a TLv in 100s. 9. Raffreddamento fino a 480˚C a 3˚C/s. 10. Permanenza a 480˚C per 60s.

11. Raffreddamento fino a Tamb.

(11)

Tab.4.7: parametri di processo riguardanti il ciclo 2.

SIMBOLO GRANDEZZA VALORE

V

ris Velocità di riscaldamento 3 °C/s

V

ri Velocità raffreddamento intermedio 3 °C/s

V

rf Velocità raffreddamento finale 12 e 3 °C/s

T

max Temperatura massima

1120 °C

t

m Tempo di mantenimento a temperatura massima 60 s

t

mi Tempo di mantenimento durante deformazione 7 s

TL1-Tlf

Temperatura di laminazione 820 °C

tmv

Tempo di fine raffreddamento a 750°C 20,100,200,500 s

ε , ε’

Deformazione e velocità di deformazione Tabella 4.6

Analogamente per il ciclo 2 si è proceduto secondo questo schema:

1. Riscaldamento a Tmax a 3˚C/s. 2. Permanenza a Tmax per tm. 3. Raffreddamento a 3˚C/s.

4. Permanenza durante deformazione per tmi. 5. Deformazione plastica. 6. Raffreddamento fino a TLf. 7. Permanenza a TLf per tm. 8. Raffreddamento fino a 750˚C a 3˚C/s. 9. Permanenza a 750˚C per tmv. 10. Raffreddamento fino a 480˚C a 3˚C/s.

(12)

11. Permanenza a 480˚C per 60s. 12. Raffreddamento fino a Tamb.

Il primo ciclo prevede innanzitutto il riscaldamento fino ad una temperatura di 1120°C, riscaldamento che ci porta nel campo austenitico del materiale, in modo da solubilizzare tutti i composti degli elementi di lega. Dopo un tempo di mantenimento di 60 s a 1120°C si procede con una velocità di raffreddamento di 3°C/s. Il provino dopo aver subito deformazione plastica ed ulteriormente raffreddato fino alla temperatura di fine laminazione di 820°C, è mantenuto, a tale temperatura, per un tempo di 60 s per permettere la precipitazione delle particelle di VN-V(C, N). In seguito si ha un raffreddamento, in un tempo di 100s, fino a temperature differenti (720,750,780,820°C), imponendo così differenti velocità di raffreddamento, per poter valutare l’effetto delle diverse velocità di raffreddamento durante la trasformazione austenite-ferrite.

Nel secondo ciclo la sequenza alla quale viene sottoposto il provino è la stessa fino alla temperatura di fine laminazione di 820°C: a questo punto, si ha sempre un raffreddamento ma questa volta fino a 750°C e in un tempo di 3°C/s, al quale segue un tempo di attesa tmv variabile (20,100,200,500 s).

Entrambi i cicli Gleeble descritti terminano con un raffreddamento fino 480°C ad una velocità di 3°C/s, e successivamente raffreddati in aria fino a temperatura ambiente. Lo scopo di questi esperimenti è quello di osservare il possibile effetto della precipitazione di carburi/carbonitruri di vanadio come siti di nucleazione di ferrite intragranulare e di valutare sia l’effetto delle diverse velocità di raffreddamento durante la trasformazione γ→α, sia l’effetto della differente quantità di precipitati di VN-V(C, N) formata all’interno del campo intercritico prima del raffreddamento finale.

(13)

I provini sono stati sottoposti a delle prove meccaniche ( prova a trazione e prova di resilienza Charpy). E’ stata inoltre condotta un’analisi metallografia quantitativa.

4.2 ANALISI MICROSTRUTTURALE

La microstruttura degli acciai di cui abbiamo parlato precedentemente è stata studiata attraverso l’utilizzo del microscopio ottico ed elettronico TEM. I principi di queste tecniche sono riportate nei paragrafi successivi.

4.2.1 METALLOGRAFIA OTTICA

L’analisi metallografica dei materiali è stata condotta mediante l’impiego di un microscopio ottico a riflessione Reichert, il cui principio di funzionamento è riportato schematicamente in fig.4.6.

(14)

I metalli essendo opachi, richiedono un’illuminazione tale che la luce che colpisce il campione sia riflessa da quest’ultimo e entri successivamente nell’obiettivo. Quindi il microscopio ottico è detto a riflessione poichè il campione riflette la luce incidente verso l’obiettivo. Il microscopio metallografico è un normale microscopio, costituito nella sua forma più semplice da due lenti biconvesse: l’obiettivo e l’oculare. L’ingrandimento totale, in questo caso, si può esprimere nel modo seguente :

⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + ⋅ ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ − = 1 1 2 1 f D f d I

dove i parametri dell’equazione hanno il significato riportato in fig.4.6.

L’ingrandimento non può essere accresciuto a piacimento, facendo lavorare in serie un opportuno numero di lenti, infatti il limite alla finezza dei dettagli che si possono osservare è posto dal limite risolutivo delle lenti. Viene definito potere risolutivo r la distanza minima tra due punti della superficie dell’oggetto che siano distinguibili e si può esprimere nel modo seguente:

α µ λ sin r ⋅ ⋅ = 2

dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione impiegata, µ è l’indice di rifrazione del mezzo di propagazione e α è il semiangolo che sottende l’apertura di obiettivo; il prodotto di queste due ultime quantità è detta apertura numerica (NA).

(15)

Fig.4.7:Schema per il taglio dei campioni dei campioni per MO, con profilo UPN

Fig.4.8: Schema per il taglio dei campioni Gleeble per MO,

(16)

La preparazione dei campioni in acciaio microlegato per l’esame al microscopio ottico metallografico consiste nelle seguenti fasi:

1) taglio: dai campioni cilindrici viene effettuata una sezione trasversale, mediante mola diamantata, vedi fig.4.7 e 4.8;

2) inglobatura: mediante pressatura a caldo vengono preparati dei cilindri in resina termoindurente;

3) lucidatura meccanica e al panno: la superficie del campione viene prima lucidata meccanicamente mediante il passaggio alle carte abrasive ( SiC, 600-800-1200µm) e poi lucidata con panno e pasta diamantata di granulometria di 1 µm;

4) attacco metallografico con l’applicazione di Nital (soluzione alcolica al 2% in peso di HNO3).

4.2.2 METALLOGRAFIA QUANTITATIVA

Per tale analisi è stato utilizzato il “metodo delle intercette lineari”, impiegando allo scopo di analizzatore di immagini il software applicativo “ProImage Plus”.

Si tracciano delle linee parallele sulla foto del campione, ogni linea intersecherà più grani ferritici: la misura della dimensione del grano è rappresentata dalla lunghezza del segmento avente come estremi i punti di intersezione suddetti. Poiché si desidera una misura statistica del grain size stesso, si avrà cura di scegliere delle linee che distino tra loro almeno un diametro ferritico medio, per garantire l’indipendenza delle misure effettuate. Sempre a tal fine, inoltre, occorre misurare un numero abbastanza elevato di grani.

Il metodo si basa sul conteggio del numero dei grani attraversati da un segmento di lunghezza L, secondo l’equazione:

N g L N L d 1 1 ⋅ = =

(17)

d = Dimensione del grano

L = Lunghezza della linea tracciata nella scala reale L1= Lunghezza della linea tracciata nella scala ingrandita n = Numero di grani intercettati

g = Ingrandimento dell’immagine sulla micrografia

4.2.3 MICROSCOPIA ELETTRONICA IN TRANSMISSIONE

(TEM)

Il microscopio elettronico in transmissione è costituito da una colonna che deve essere mantenuta in condizioni di alto vuoto (P ≅ 10-6 Pa), in modo da garantire che il

cammino libero medio degli elettroni sia dell' ordine dell'altezza della colonna stessa (∼ 1 m ). In fig.4.9 è riportato lo schema essenziale di un microscopio elettronico in transmissione; nella parte superiore della colonna, è posto il cannone elettronico; nel caso di generatori termoionici, questo è costituito da un filamento di tungsteno o LaB6, che sottoposto a una differenza di potenziale, genera e accelera un fascio di elettroni. Nel corpo della colonna è situato un sistema di lenti elettromagnetiche: quelle poste tra il cannone e il campione da osservare, costituito da una lamina metallica sottile, sono lenti condensatore e permettono all'operatore di variare l'intensità e la convergenza del fascio elettronico; il campione è montato su un portacampioni che permette la translazione e la rotazione attorno a due assi, ortogonali fra loro, in modo da poter variare, entro certi limiti, la posizione e l’inclinazione del campione rispetto al fascio elettronico.

(18)

Di seguito è posta la lente obiettivo che è molto importante, essendo la lente deputata alla formazione della prima immagine del campione.

Le prestazioni offerte da questa lente, determinano in gran parte il potere risolutivo del microscopio.

Il sistema seguente di lenti è detto di proiezione: esso provvede essenzialmente a formare una immagine ingrandita della prima immagine intermedia (= 50 X) formata dalla lente obiettivo ( fino a ≅ 106 X).

Le immagini sono visualizzate su uno schermo fluorescente che ha lo scopo di trasformare la variazione di intensità del fascio elettronico transmesso in variazione di luminosità. Al di sotto dello schermo fluorescente è situata una camera fotografica, che permette la registrazione delle immagini osservate .

(19)
(20)

Preparazione di campioni per l’esame al TEM:

La preparazione delle lamine sottili per l’analisi al TEM procede attraverso le seguenti fasi:

1) Vengono estratti dal materiale più dischetti, ognuno con spessore di circa 700÷800 µm, mediante taglio con mola diamantata.

2) I dischetti vengono applicati con una particolare colla termoplastica, su un portacampioni dotato di un micrometro a vite, e vengono assottigliati meccanicamente su entrambi i lati, su carte abrasive di granulometria di 1200 µm, fino a raggiungere spessori di circa 100 µm. Successivamente le due superfici contrapposte vengono lucidate al panno con pasta diamantata.

3) Mediante un apparecchio di taglio ad ultrasuoni (disk cutter), dalle lamine vengono ricavati dei dischetti di diametro pari a circa 3mm. In altri casi questo passaggio è effettuato per punzonatura.

4) Il provino viene ulteriormente assottigliato nella parte centrale, utilizzando un apparecchio “dimpler”: esso esegue una operazione meccanica ma molto accurata, tramite delle apposite mole sagomate che portano lo spessore finale al centro del campione fino a poche decine di µm (circa 30 µm) (vedi figura 4.10)

5) Il campione viene posto in un “ion mill”, dove per mezzo di un fascio ionico di argon, viene forato al centro: questo è necessario per ottenere la massima trasparenza dell’area attorno al foro nei riguardi del fascio elettronico. L’apparecchiatura impiegata, è costituita essenzialmente da una “ion source” (una serie di anodi ), che, per mezzo dell’applicazione di una differenza di potenziale pari a 0.5-2kV genera il fascio ionico, che viene accelerato fino a 200mA. Gli ioni, effettuano così lo sputtering cinetico del campione. In genere occorrono più di 5 ore per completare questo processo (vedi figura 4.11). Altre tecniche (risultate non applicabili a questi acciai) utilizzano metodi

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elettrochimici: in una cella si fa comportare il provino da anodo, controllandone lo spessore per mezzo della tensione applicata.

Fig.4.10: Schema dell’assottigliamento eseguito tramite dimpler.

Fig.4.11: Schema di funzionamento dello ion mill.

Oltre alle lamine sottili, per l’analisi al TEM sono state preparate anche le repliche ad estrazione. Una replica ad estrazione è una riproduzione della superficie del campione, realizzata attraverso la deposizione sulla superficie di uno strato di carbonio, che è in grado, venendo estratto, di intrappolare le particelle di fasi secondarie.

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1) Spianatura meccanica e lucidatura su panno con pasta diamantata. 2) Attacco chimico con acido picrico e Nital.

3) Lavaggio con getto d’acqua per rimuovere le eventuali particelle scalzate durante l’attacco, e successivo lavaggio in alcool, a cui fa seguito un’accurata asciugatura.

4) Deposizione di uno strato di grafite sulla superficie del campione.

5) Estrazione attraverso un attacco elettrochimico dello strato di grafite: durante il distacco dal campione, la grafite trattiene le particelle di precipitato presenti in superficie, fornendo una sorta di negativo della morfologia della superficie stessa.

6) Raccolta su retini di diametro di 3 mm dei frammenti di replica così ottenuta.

Analisi dei reticoli di diffrazione.

Un reticolo di diffrazione elettronica è definito come la variazione angolare degli elettroni scatterati elasticamente e anelasticamente a una distanza infinita dal campione esaminato.

In un TEM convenzionale è visibile un reticolo di diffrazione se il piano retro-focale della lente obiettivo, su cui vengono focalizzati sia gli elettroni transmessi che quelli scatterati, risulta coniugato con lo schermo fluorescente.

Le diffrazioni elettroniche normalmente osservate in TEM [48] sono :

a) diffrazione ad anelli

b) diffrazione a punti

c) linee di Kikuchi

(23)

Si può far funzionare il microscopio elettronico in due modi nettamente distinti: in transmissione e in diffrazione .

Il fatto che entrambe le tecniche possano essere realizzate dallo stesso apparecchio, e si possa passare facilmente da un metodo all'altro, rappresenta una caratteristica molto interessante, in quanto consente di associare immediatamente le particolarità di diffrazione (scattering elastico) con le specifiche caratteristiche microstrutturali che le hanno generate.

Per comprendere la differenza fra il funzionamento in transmissione e quello in diffrazione occorre considerare il meccanismo di formazione della prima immagine intermedia.

Supponiamo che la zona illuminata del campione appartenga a un singolo grano. Su di essa viene focalizzato il fascio elettronico proveniente dal sistema condensatore: alcuni di questi elettroni attraverseranno il campione senza subire deviazioni, formando un fascio detto transmesso, mentre gli altri incontreranno i vari piani cristallografici secondo l'angolo di Bragg e verranno deviati, formando in tal modo dei fasci detti diffratti .

Sia la legge di Bragg sia il fenomeno della diffrazione verranno analizzati approfonditamente in seguito.

L’atto di formazione dell’immagine della lente obiettivo porta sia il fascio transmesso che quelli diffratti a convergere singolarmente su un piano comune, detto piano retrofocale. Pertanto l’inserzione di un diaframma di dimensioni opportune in corrispondenza di tale piano, permette di selezionare quale fascio elettronico comporrà l’immagine finale.

Intercettando i fasci elettronici diffratti dal campione si ottiene un’immagine contrastata detta campo chiaro (vedi fig.4.12) .

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Fig.4.12: Formazione dell’immagine in campo chiaro

Al contrario, se intercetta il fascio transmesso o, operazione analoga, si inclina il fascio incidente in modo da rendere parallelo all'asse ottico il fascio diffratto selezionato, sarà quest'ultimo a formare l’immagine finale, ottenendo in tal modo un’immagine detta

campo scuro (vedi fig.4.13)

(25)

Quando il microscopio funziona in diffrazione è necessario che il reticolo di diffrazione formato provenga da una specifica regione del campione.

Questo modus operandi, conosciuto come SAD (selected area diffraction) può essere compreso facendo riferimento alla fig.4.14.

Come si può vedere, il fascio incidente illumina il campione e sia il fascio transmesso sia quelli diffratti contribuiscono a formare il reticolo di diffrazione sul piano retrofocale della lente obiettivo.

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Se viene inserita un’apertura, di dimensioni opportune, coplanare al piano immagine, solo i raggi provenienti dalla regione AB del campione verranno selezionati. Conseguentemente, sebbene tutti gli elettroni provenienti dal campione contribuiscano a formare il reticolo di diffrazione sul piano retrofocale, solo quelli provenienti dalla regione AB contribuiscono a formare il reticolo di diffrazione visibile sullo schermo Fluorescente.

Cenni sulla teoria cinematica della diffrazione

Le informazioni che possono essere ottenute mediante il microscopio elettronico a transmissione derivano dai processi di scattering che si verificano quando il fascio di elettroni attraversa il campione in osservazione.

La funzione d'onda di un elettrone incidente sul cristallo può essere approssimata con quella di un'onda piana.

Consideriamo il caso particolare in cui il fascio incidente sia costituito da due onde planari in fase ed inclinate, rispetto a due piani (h,k,l), di un angolo θ (vedi fig.4.15).

(27)

Le due onde saranno riflesse dai piani con lo stesso angolo di incidenza; se risultano in fase, l'ampiezza delle stesse sarà rafforzata e il fascio diffratto sarà molto intenso, se invece si presenteranno in opposizione di fase o interferiranno tra loro in una certa misura, il fascio diffratto sarà assente o comunque molto debole. Perchè si verifichi la formazione di un forte fascio diffratto, la differenza di cammino percorso delle onde incidenti e riflesse, POD, deve essere esprimibile tramite un numero intero di lunghezze d'onda, cioè :

POD = n⋅λ ( n ∈ I ) Eq.4.1

Dato che PO = OD = OL sin (θ) e OL è uguale a dhkl ,distanza interplanare tra i piani (h,k,l), l'eq.4.3.2.1 può essere modificata nel seguente modo :

2⋅dhkl ⋅sin

( )

θ = ⋅n λ Eq.4.2

equazione conosciuta come legge di Bragg .

In generale, solo pochi sistemi di piani cristallini saranno orientati in modo da soddisfare tale condizione e quindi, oltre al fascio diffratto, ci sarà anche un fascio trasmesso ; in questo caso l'onda piana elettronica attraverserà il campione indisturbata; (vedi fig.4.16).

(28)

La legge di Bragg può essere espressa anche con una notazione vettoriale, considerando l'interazione del fascio elettronico con il singolo atomo. Questo approccio [48] è molto interessante, poichè consente di descrivere il fenomeno della diffrazione anche dal punto di vista quantitativo.

Facendo riferimento alla fig.4.17 le onde incidenti e quelle scatterate vengono descritte, rispettivamente, dai vettori unitari rp0 e rp .

Fig.4.17

Siano O e L due atomi del cristallo; la posizione di L rispetto ad O può essere espressa tramite un vettore di traslazione fondamentale rr , tale che:

rr =m a⋅r1 +n a⋅r2 +l a⋅r3 (m,n,l ∈ I) Eq.4.3

dove , sono i vettori che esprimono le coordinate degli atomi lungo gli assi cristallografici .

r r r a a a1, 2, 3

I segmenti OP e OD potranno quindi essere descritti in termini vettoriali come segue :

(29)

Eq.4.4 OD= •r pr r conseguentemente , si ricava : POD= •rr (p pr r− 0) ) Eq.4.5

Se definiamo un vettore uguale a Pr (rp p−r0 si può scrivere la seguente equazione:

r rr P• = ⋅λn (n ∈ I) Eq.4.6

Dividendo il vettore r nelle sue componenti lungo gli assi cristallografici e ricordando la definizione degli indici di Miller, si ottengono le seguenti equazioni, note come condizioni di Laue .

r

P ar r• 1 = ⋅h λ

P ar r• 2 = ⋅k λ Eq.4.7

P ar r• 3 = ⋅l λ

Le condizioni di Laue sono analoghe alla legge di Bragg e devono essere soddisfatte per avere una forte diffrazione .

Reticolo reciproco e sfera di Ewald

(30)

Quest'ultimo è un ausilio importante, insieme alla sfera di riflessione di Ewald [48], per interpretare più facilmente la diffrazione elettronica di un cristallo.

La soluzione delle equazioni 4.7 è un vettore r r g= P λ tale che: g h ar= ⋅r1∗ + ⋅ + ⋅k ar l ar ∗ 2 ∗ 3 Eq.4.8

dove h, k, l sono gli indici di Miller e ra1

, ra

2

, ra

3

sono i vettori che individuano il reticolo reciproco, definiti in modo da soddisfare le seguenti equazioni:

r ra a Eq.4.9 0 per i j (i , j = 1,2,3) 1 per i = j i • j = ≠ ⎧ ⎨ ⎪ ⎩ ⎪ ∗

La prima condizione indica che i vettori del reticolo reciproco e quelli che individuano la cella unitaria del cristallo sono fra loro ortogonali; la seconda che le loro grandezze sono una il reciproco dell'altra. Da quest'ultima condizione deriva anche il nome del reticolo stesso .

In fig.4.18 si può vedere la relazione esistente tra i piani cristallografici di una cella cubica e i rispettivi punti del reticolo reciproco .

(31)

Il reticolo reciproco ha due proprietà fondamentali:

1) Il vettore , che lo definisce, è normale alla famiglia di piani (h, k, l) . rg

Fig.4.19: Definizione di rg.

La fig.4.19 mostra il generico piano (h, k, l) che intercetta gli assi cristallografici nei punti A, B, C. I segmenti OA , OB, OC ricordando la definizione degli indici di

Miller, si possono esprimere anche come ar r r h a k a l 1 , 2 , 3 .

Consideriamo il vettore AB; questo sarà uguale a OB OA− cioè:

AB a

k a

h

= r2 − r1 Eq.4.10

Se è perpendicolare ad rg AB deve aversi:

r

(

r r r

)

r r g AB h a k a l a a k a h • = ⋅ + ⋅ + ⋅ •⎛ − ⎝⎜ ⎞ ⎠⎟ = ∗ ∗ ∗ 1 2 3 2 1 0 Eq.4.11

(32)

Con l'ausilio delle equazioni 4.10, che definiscono il reticolo reciproco, l'eq.4.11 risulta verificata.

2) La lunghezza del vettore coincide con il reciproco della distanza interplanare rg 1 dhkl della famiglia di piani (h, k, l).

Sia il versore normale al piano (h, k, l) e quindi parallelo a ru rg. Si può scrivere:

ru grr

g

= Eq.4.12

Facendo riferimento alla fig.4.12:

d ON a h u hkl = = ⎛⎝⎜ ⎞ ⎠⎟⋅ r r 1 Eq.4.13

Con l'ausilio delle equazioni precedenti diventa:

d a h g g hkl = ⎛⎝⎜ ⎞ ⎠⎟• ⎛ ⎝ ⎜ ⎞ ⎠ ⎟ r r r 1 Eq.4.14 d a h h a k a l a g g hkl = ⎛⎝⎜ ⎞ ⎠⎟• ⋅ ∗+ ⋅ ∗+ ⋅ ∗ ⎛ ⎝⎜ ⎞⎠⎟ = r r r r r 1 1 2 3 1 r Eq.4.15

(33)

Il processo di diffrazione può essere visualizzato più facilmente ricorrendo a una costruzione geometrica nota con il nome di sfera di Ewald (vedi fig.4.20).

Fig.4.20: Costruzione della sfera di Ewald.

Per ottenere la costruzione suddetta si traccia un segmento LO di lunghezza 1 λ , giacente sulla direzione del vettore rp0 , corrispondente alla direzione dell'onda elettronica incidente, e si sovrappone ad esso il reticolo reciproco del cristallo considerato, avendo cura che la sua origine coincida con il punto O e che sia rispettata l'orientazione esistente tra la direzione di rp0 e il reticolo diretto del cristallo.

Si disegna quindi un'altro segmento LG, inclinato, rispetto al precedente, di un angolo 2θ, dove θ è l'angolo che soddisfa la legge di Bragg; il segmento LG viene allora a giacere sulla direzione del vettore rp corrispondente alla direzione dell'onda elettronica diffratta. Ricordando che l'equazione r

r g= P

λ definisce i punti del reticolo reciproco, risulta chiaro che il segmento OG corrisponde al vettore di diffrazione rg. Poichè il

(34)

reticolo reciproco è tridimensionale la costruzione di fig.4.20 rappresenta la sezione di

uno spicchio di sfera avente raggio 1

λ , conosciuta appunto come sfera di Ewald. Vediamo come varia l'intensità del fascio diffratto quando la condizione di Bragg non è esattamente verificata .

Il campione in osservazione è molto sottile e si può considerare di dimensioni pressochè infinite nelle direzioni x e y. Conseguentemente i punti del reticolo reciproco sono molto vicini nella direzione z, facendo sì che la distribuzione dell'intensità, ovvero la probabilità che si abbia un elettrone in quella direzione, sia maggiore. Ciò è equivalente ad affermare che le condizioni di Laue sono rilassate lungo z e quindi che il fenomeno della diffrazione può essere osservato significativamente anche quando la condizione di Bragg non è esattamente verificata.

Si può modificare la costruzione della sfera di Ewald in modo da tenere conto di questo fenomeno (vedi fig.4.21).

(35)

Si definisce, tramite l'equazione 4.16, un vettore rs, che esprime lo scostamento del vettore di diffrazione dal punto del reticolo reciproco del cristallo corrispondente all'esatta soddisfazione della legge di Bragg .

gr′ = +r rg s Eq.4.16

Chiaramente quando r aumenta l'intensità del fascio diffratto decresce, la grandezza di essendo dipendente dallo spessore del campione e dall'orientazione dello stesso rispetto al fascio elettronico incidente. L'intensità del fascio diffratto dipende anche dalla posizione e dal tipo di atomi presenti all'interno della cella unitaria; di questo si tiene conto tramite un fattore F, detto fattore di struttura, per la cui definizione si rimanda a testi specializzati [48].

s rs

La relazione geometrica tra la sfera di Ewald e il reticolo di diffrazione è mostrata in fig.4.22.

(36)

La sfera di Ewald è disegnata schematicamente con centro nell'intersezione tra il piano mediano del campione e la direzione del fascio elettronico incidente. Essendo l'inverso della lunghezza d'onda, corrispondente al raggio della sfera, molto più grande della distanza tra i punti del reticolo reciproco, la porzione di sfera che viene a contatto con questi ultimi può essere approssimata con un piano; quest'ultimo interseca il reticolo reciproco in più punti provocando l'eccitazione contemporanea di più fasci .

La distribuzione dei punti sulla superficie della sfera di Ewald viene ingrandita e proiettata sullo schermo luminoso dalle lenti immagine del microscopio, dando quindi luogo ai reticoli di diffrazione elettronica normalmente osservati.

Reticolo di diffrazione ad anelli.

Un caso tipico di diffrazione ad anelli è quello osservato nel caso in cui piccoli precipitati di fase secondaria casualmente orientati, si trovino all’interno di una matrice metallica.

Si ha la presenza di anelli concentrici , alcuni più intensi , altri più deboli a seconda dei piani riflettenti interessati .

Ciò che accade è che un certo numero di precipitati, saranno orientati in modo da soddisfare per alcuni sistemi di piani la legge di Bragg, producendo quindi specifiche riflessioni in diffrazione.

Per particelle orientate casualmente e per uno specifico piano di riflessione (h,k,l), questi fasci giaceranno su una superficie conica con angolo di apertura uguale a 4θ, dove θ è l'angolo di Bragg, centrata sulla direzione del fascio elettronico incidente . Quando le particelle riflettenti sono molto numerose, la proiezione di questa superficie sul piano coniugato con lo schermo fluorescente darà luogo a un anello; vedi fig.4.23.

(37)

Fig:4.23: Formazione del reticolo di diffrazione ad anelli.

Il raggio di ciascun anello è correlato alla distanza dhkl tra i piani riflettenti e alla costante di camera,

λ ⋅

L

, dalla equazione 4.17 :

d L R hkl = ⋅ λ Eq.4.17

dove λ è la lunghezza d'onda degli elettroni e L è la lunghezza di camera utilizzata nell'osservazione. Questi parametri dipendono dalla tensione di accelerazione a cui opera il microscopio a transmissione. Nel nostro caso si lavora con una tensione V di

200 KV, a cui corrisponde una lunghezza d'onda λ = 0.0254

A

o come calcolato nell'equazione seguente :

(38)

λ = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ ⋅ h m V e e V m c 2 1 2 2 Eq.4.18

dove h è la costante di Planck, m è la massa dell' elettrone, e la sua carica e c la velocità della luce. Per quanto riguarda la lunghezza di camera, è stato utilizzato un L = 100 cm. La procedura generale per indicizzare gli anelli è piottosto semplice, ma non sempre dà un risultato sicuro, questo perchè i piani riflettenti interessati sono moltissimi e danno luogo a una moltitudine di anelli spesso sovrapposti l'uno all'altro.

1) Si misurano i diametri degli anelli più intensi e quindi si ottengono i loro raggi . 2) Si convertono i raggi in distanze interplanari.

3) Si confrontano le distanze interplanari sperimentali con i valori teorici delle fasi più probabili sulla base dei costituenti della lega esaminata.

Di particolare utilità risulta anche il confronto delle intensità relative delle riflessioni

operanti, con i rapporti di intensità I

I0 delle diffrazioni con raggi X (files ASTM). Sebbene esistano differenze rilevanti tra la diffrazione elettronica e quella con raggi X, i rapporti di intensità delle riflessioni vengono, nella maggior parte dei casi, rispettati.

Diffrazione a punti.

Come già detto in precedenza, questo tipo di reticolo di diffrazione, corrisponde a un'immagine ingrandita di una sezione del reticolo reciproco del campione, normale alla direzione del fascio elettronico incidente

B

r

.

Le informazioni deducibili possono essere :

(39)

2) Informazioni sull’eventuale ordinamento cristallino e sulle relazioni di orientamento tra le fasi secondarie e la matrice.

3) Determinazione della direzione del fascio elettronico incidente

B

r

.

4) Informazioni cristallografiche essenziali per l'interpretazione di immagini di difetti .

Nel caso di strutture cristalline semplici (cubiche, esagonali) e note, se la direzione del fascio incidente è parallela ad un polo cristallografico principale (cioè a basso indice), il reticolo di diffrazione esibisce di norma un’elevata simmetria e può essere facilmente indicizzato anche per semplice confronto con reticoli standard.

Se la fase non è nota o se il reticolo è complesso, bisogna procedere nel modo seguente:

a) Si misurano le distanze Ri tra l'i-esimo fascio diffratto e il fascio transmesso. Questo parametro è collegato alla distanza d(hikili) dalla equazione 4.18, dove in luogo di r, raggio dell'anello, si trova Ri .

b) Si verificano gli angoli formati tra le linee tracciate dallo spot relativo al fascio trasmesso fino agli spots dei fasci diffratti ( hi,ki,li ). Questi sono gli angoli tra i piani reticolari individuati dai corrispondenti indici di Miller. Infatti tali linee corrispondono a , detto vettore di diffrazione, e sono effettivamente parallele alla normale ai piani, essendo trascurabile l'errore introdotto dal vettore scostamento

rg

(40)

Per indicizzare un reticolo di diffrazione si utilizza l'espressione che fornisce la distanza tra i piani cristallografici a seconda del tipo di struttura cristallina.

Nel caso qui considerato ad esempio (struttura cubica):

d a

h k l

hkl =

+ +

2 2 2 Eq.4.19

Dove a è il parametro reticolare caratteristico del cristallo e h ,k ,l sono gli indici di Miller dei piani reticolari corrispondenti .

Il primo passo è quello di utilizzare la distanza R definita in precedenza e di conseguenza, grazie all'eq.4.18, la distanza interplanare .

Sostituendo quest'ultima nell' equazione 4.19 e manipolandola oppurtunamente, si ottiene :+ h2+k2+l2 = a R L ⋅ ⋅ ⎛ ⎝⎜λ ⎞⎠⎟ 2 = N (N ∈ I) Eq.4.20

Utilizzando opportune tabelle si ricavano in funzione di N gli indici più probabili h, k, l. In questo modo si è trovata una combinazione di indici generale, senza un definito valore e segno. Per stabilire questi ultimi si segue la seguente procedura :

1) Si assegnano, come descritto in precedenza, gli indici più probabili allo spot più vicino a quello centrale, siano (h2, k2, l2) (vedi fig.4.24).

(41)

Fig.4.24: Schema di diffrazione a punti indicizzato [47]

Si procede allo stesso modo per i due spots (h1, k1, l1) e (h3, k3, l3) ; gli indici scelti, se esatti, sommati vettorialmente daranno (h2, k2, l2) :

r r r h2 =h1 +h3 3 r r r k2 =k1 +k Eq.4.21 r r r l2 = +l1 l3

2) Si verificano ulteriormente gli indici ipotizzati confrontando gli angoli formati tra le linee tracciate dallo spot centrale agli spots diffratti con quelli formati tra i vettori appena indicizzati.

(42)

cos

( )

φ = ⋅ + ⋅ + ⋅ + + + + + h h k k l l h k l h k l 1 2 1 2 1 2 1 1 1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Eq.4.22

Per quanto riguarda la determinazione di B , se l'indicizzazione degli spots è stata r corretta, consiste in una semplice operazione vettoriale .

Sia =[u,v,w]. Le sue componenti possono essere determinate utilizzando le relazioni seguenti : r B u=k l1⋅ −2 k l2⋅ 1 v l h= ⋅1 2 − ⋅l h2 1 Eq.4.23 w=h k1⋅ 2 −h k2⋅ 1

Essendo i vettori e i vettori di diffrazione corrispondenti rispettivamente a (h1, k1, l1) e (h2, k2, l2) le relazioni espresse dall'eq.4.3.3.2.5 potranno essere espresse in questi termini :

rg1 rg2

B gr r= 1 ×gr2 Eq.4.24

Proiezioni stereografiche.

La proiezione stereografica o stereogramma è essenzialmente un mezzo per rappresentare le relazioni angolari tridimensionali, tra i piani cristallografici, su un unico piano. Nella fig 4.25 si suppone che un cristallo si trovi al centro della sfera e uno

(43)

qualsiasi dei suoi piani (hkl) sia indicato. Questo piano può essere rappresentato in due modi:

1) Tramite la sua normale . La proiezione richiesta di P si trova unendo P con S, nel qual caso il punto corrispondente sulla proiezione stereografica è P

→ OP

1. Il piano di

proiezione è denominato piano equatoriale e P1 è il polo del piano (hkl).

2) Estendendo il piano scelto in modo tale da intersecare la sfera in un grande cerchio e, in seguito, proiettare questo cerchio sul piano equatoriale.

Fig.4.25: Costruzione base di una proiezione stereografica.

Quindi, in uno stereogramma, i poli possono avere una doppia identità: un gruppo di poli che giace sul piano equatoriale può rappresentare un set di zone axes per un piano il cui polo è il centro del grande circolo. Al contrario, i poli che giacciono sul cerchio

(44)

possono rappresentare un set di piani, la cui zone axis è situata al centro del piano equatoriale.

Ciò implica, naturalmente, che un piano cristallografico possa giacere in zone differenti. Per quanto riguarda la definizione di zone axis, si ricorda che, in cristallografia, un set di piani che contengono una comune direzione forma una zona. Tale direzione a comune rappresenta un polo cristallografico o zone axis.

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