L'ECONOMISTA
G A Z Z E T T A S E T T IM A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, F E R R O V IE , IN T E R E S S I P R IV A T I
Anno X - Voi. XIV
D om enica 4 Marzo 1883
N. 461
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La presentazione e la discussione negli uffici della Camera del progetto di legge sulla perequa zione dell’imposta fondiaria ha risuscitata la lotta vi vace non solamente tra i deputati, ma anche nelle colonne della stampa. È infatti questa una delle poche questioni finanziarie, intorno alle quali il giornalismo si appassiona. Non occorre dire che si leggono accuse e difese di tutti i generi ; ad alcuni sembra che non abbia bisogno di dimostrazione la patente giustizia della legge proposta, ad altri sem bra evidentissima la ingiustizia della legge stessa.
Fra i molti articoli che leggemmo in un senso e nell’altro su pei periodici politici, ci ha fermato l’attenzione uno della Rassegna, dove quel giornale, per solito così misurato nelle sue affermazioni, si schiera avversario deciso del progetto, non solo per opportunità politica — su di che noi non possiamo discutere — ma anche sul merito della questione.
La Rassegna appoggia la sua opposizione a que sto ragionamento. L’imposta fondiaria come tutte le imposte reali, diminuisce il prezzo del fondo di una somma eguale all’imposta capitalizzata, per cui i nuovi proprietari si trovano esentati dalla imposta, e non ne sentono il peso; e siccome il contingente principale della imposta fondiaria fu fissalo nel 4864, ed il catasto proposto dalla legge presentata, servirà alla distribuzione del contingente di qui a dieci anni, nel 1894 non vi sarà più nemmeno un pro prietario che paghi col suo danaro l’imposta che fu fissata trent’anni prima. Tutti i proprietari si troveranno perequati nella condizione di pagare l’im posta non coi propri danari ma con quelli dei loro autori.
Questa, in riassunto, l’argomentazione della Ras segna; — a noi pare però che essa abbia confuso due ordini diversi di cose. Ammettiamo pel mo mento che nel caso di vendita l’acquirente riceva il fondo per tanto meno prezzo quanta è l’imposta capitalizzata e quindi egli, in fin dei conti non pa ghi l’imposta. Ma non è lo stesso in caso di suc cessione.
La Rassegna dice : « abbiamo un patrimonio composto per metà di fondi, per metà di danari, e due coeredi che consentono di far un lotto tutto di terreni e l’altro di denari. Il lotto di terreni come sarà valutato? Precisamente come nel caso di com pera e vendita? con la detrazione del capitale o c corrente a pagare la imposta. Anche qui è evidente che la fondiaria fu scontata dall’autore; il passag- I
gio di proprietà l’ha fissata nel suolo; il nuovo proprietario, l’erede, non sente il peso dell’imposta, essendosi trattenuto in mano il capitale occorrente a pagarla. »
Ci scusi l’autorevole giornale di Roma se ne ghiamo assolutamente la giustezza del suo calcolo, e ci permetta di rifarlo.
A e B muoiono lasciando una eguale sostanza, che A ha impiegato in fondi, Il in denaro. Al mo mento della successione si valutano le due sostanze e da quella A si leva il valore della imposta fon diaria capitalizzata, da quella di II non si fa que sta sottrazione. Chi è che paga l’imposta fondiaria? Non è forse l’erede di A, con tanto meno valore di eredità? E nel caso dalla Rassegna, indicato non sono i due coeredi insieme che ereditano tanto meno valore quanta è l’imposta fondiaria capita lizzata?
Ci ricordiamo che altra volta, discutendo sullo stesso argomento ’), abbiamo cercato di confutare una simile teoria che era stata esposta se non er riamo dal deputato dott. Panizza ai suoi elettori di Mantova, e dimostravamo che Tessersi la società adattata ad un regime ingiusto, non autorizza a mantenere la ingiustizia. Ma l’adattamento non sus siste che in quanto si tratti di compere ed acquisti, poiché vi è il meno correspettivo, ma non già in quanto si tratti di successioni, dove, mancando il correspettivo, vi è un effettivo minor guadagno, cioè una perdita. Perciò non si può dire che in trent’anni la fondiaria siasi spontaneamente pere quata, inquanlochè bisognerebbe ammettere che tutti i fondi italiani abbiano subito un passaggio di pro prietà p er vendita; il che è assurdo.
D’altra parte il concetto della Rassegna se fosse esatto, menerebbe diritto alla più eccessiva fisco- crazia, e lo Stato, perchè tutti pagassero in propor zione dei loro averi, non avrebbe che a stabilire una sola imposta sulle terre; essa si perequerebbe per effetto di ripercussione. Ma la Rassegna non accet terebbe una simile conseguenza della sua dottrina. Ed è prova che la dottrina non è buona.
Ritorneremo ancora su questo argomento della perequazione, qui abbiamo voluto solamente chia rire un punto il quale, ove fosse frainteso, potrebbe condurre a decisioni addirittura sbagliate, sopra una questione di tanta importanza.
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IL PROGETTO DI LEGGE SOL RIMBOSCHIMENTO
Le immense sventure prodotte recentemente dalle terribili inondazioni che funestarono una nobilissima regione d’Italia, commossero la pubblica opinione, e la stampa che se ne fece interprete invocò prov vedimenti atti a prevenire pel futuro simili infor tuni!. E per vero, se sarebbe vano sperare che la scienza e l’arte possano giungere a scongiurare i danni derivanti da fenomeni olimatologici eccezio nali, certo è però che la cerehia del male potrebbe restringersi. Resta a vedersi se il progetto presen tato alla Camera dal Governo sia atto a raggiun gere lo scopo desiderato.
A chi lo consideri sine ira et studio, il progetto in questione apparirà senza dubbio dettato da una eccellente intenzione. Il male si è che disgraziata mente le buone intenzioni di per sè non servono a nulla, tanto è ciò vero che secondo il proverbio ne è tappezzato anco l'inferno.
Noi non ci sentiamo competenti a sentenziare in torno al lato tecnico della questione. Nondimeno ci sia permesso osservare che la scienza è ancora lon tana dall'aver detta la sua ultima parola sugli ef fetti del diboscamento e su quelli del rimlioschi- mento. Se ci attentassimo ad emettere un qualche giudizio, ci sentiremmo inclinati a sostenere che si è molto esagerato in proposito, e che il vero si è che in certi casi il diboscamento può aver pro dotti effetti dannosi e il rimboscare sarebbe utile,
ma che sarebbe illusione il credere di riparare alle funeste conseguenze delle inondazioni solo col prov vedere al rimboschimento. Ed invero uomini com petentissimi affermano che ben più che questo oc correrebbe regolare la discesa delle acque con op portuni lavori a cominciare dalla montagna. Il pro blema è specialmente idraulico, e niuno può sa perlo meglio dell’on. ministro dei lavori pubblici, la cui competenza in queste materie è indiscutibile.
Onde il disegno di legge di cui si tratta ci ap parisce piuttosto come diretto a dare una soddisfa zione alla pubblica opinione commossa da inaudite sciagure che come frutto di maturi studi, e si sa pur troppo che presto e bene non stanno insieme.
Il progetto comincia dallo stabilire che dentro un anno dalla promulgazione della legge verrà compi lato dall’Amministrazione forestale l’elenco dei ter reni sui quali dovrà essere eseguito il rimboschi mento e verrà anche formata la mappa topografica dei compartimenti in cui saranno raggruppati i ter reni da rimboschirsi. Basta avere una lontana idea di ciò che sono operazioni di questo genere per essere convinti che non è serio chiedere all’ ammi nistrazione forestale coi mezzi di cui dispone un lavoro così ingente in uno spazio di tempo tanto ristretto, ne’ più serio ci sembra ammettere i re clami e stabilire che i comitati forestali debbano dentro trenta giorni presentare il loro parere. Come fu ben detto, è presumibile che i reclami sarebbero tanti quanti gl’interessati. Eppoi la relazione stessa del ministro non pare abbia troppa fede nello zelo dei comitati istituiti dalla legge del 1877. Anzi le conseguenze di questa legge sembrano al governo tanto scarse, ed era da prevedersi e noi lo dicemmo a suo tempo, che oggi vuol provare a mettersi su una nuova via. Ed invero il punto culminante della legge sta nell’ imporre ai proprietari l’obbligo e
l’ onere dei lavori di rimboschimento, riunendoliin consorzio obbligatorio e imponendo sui loro terreni una tassa speciale, sulla quale si preleveranno i fondi occorrenti per eseguire i lavori, terminati i quali i proprietari determineranno le spese ordina rie di manutenzione e di conservazione.
In verità che è deplorabile questa facilità con cui in oggi lo Stato va incontro alle violazioni della proprietà. Un giorno pretende togliere agli uni per dare agli altri; un altro giorno per compiere opere utili a intere regioni pretende di farle pagare a chi non solo non ne profitterà, ma ne risentirà cella maggior parte dei casi un danno, almeno per un tempo non breve.
E valga il vero. Quando voi imponete al pro prietario il rimboschimento dei propri terreni, voi lo private della libera disponibilità della proprietà sua, e per lungo tempo lo private del suo reddito. Non siamo dunque nel caso di una servitù imposta per ragioni di utilità pubblica, e parrtbbe quindi equo clic a questo proprietario che la legge mette in si dura condizione venisse dato un compenso. Invece si pongono a suo carico le spese della ese cuzione dei lavori !
E ammettiamo in ipotesi che i più degli inte ressati formanti il consorzio trovassero utile di sot toporsi a tale spesa; sarebbe giusto obbligare i meno a contribuire alla medesima? Se Tizio è ab bastanza ricco per aspettare e Gaio si trova in con dizione diversa, con quale diritto gli si vieta di go dere del reddito della sua proprietà, l’unica forse che egli possegga e che gli dia modo di vivere? Anche in questo senso il progetto fa, a nostro av viso, a’cozzi con la giustizia.
Dato e non concesso che la minoranza degl’ in teressati possa essere obbligata a formar parte del consorzio, si dirà che al rispetto della proprietà è provveduto coll’art. 17, pel quale quando i proprie tari di almeno due terzi della superficie compresa in un’area di rimboscamento o i due terzi degli in teressati che rappresentino più della metà della delta superficie dichiarino in via di reclamo di non volersi costituire in consorzio, il Governo avrà fa coltà di espropriare i terreni stessi. Anzi l’art. 18 lascia aperta a que’ proprietari espropriati la via a recuperare i loro fondi compiuto il rimboschimento.
Certo la relazione ha ragione. La espropriazione per causa di utilità pubblica non è violazione di proprietà. Anzi, a nostro avviso, quando fosse pro vato che il rimboschimento in una data località è necessario e il proprietario non credesse di eseguirlo a sue spese, lo Stato sarebbe nel suo diritto espro priandolo. Quello però che ci sembra singolare si è che dopo avere tirato fuori il consorzio obbliga torio, non si sia pensato che novantanove per cento i proprietari che verrebbero posti nelle dure con dizioni che abbiamo accennate- disopra profitteranno dell’art. 17. E allora a clip servirà l’avere scoperto quel rimedio? Dove il Governo troverà i denari per espropriare tutti o quasi i terreni che l’Amministrazione forestale dirà essere necessario il rimboschire?
ammettendo quella necessità anche su larga scala, occorra mettersi per una via che non abbia per ef fetto di offendere la proprietà nei suoi legittimi in teressi o di risolversi in nulla. Si direbbe che l’au tore del progetto fosse combattuto da due opposti sentimenti. Esso passando sopra ad ogni riguardo delle condizioni dei proprietari, vuole imporre loro il consorzio obbligatorio ; poi quasi impaurito del l’opera propria apre una piccola porta per la quale a qualcuno sia permesso di uscire. Ma badi che per quanto piccola, aperta che sia, non ci passino tutti a uno a uno. Insomma il disegno di legge o è ingiusto o è inefficace, e questo ci pare sufficien te per condannarlo, qualunque possa essere il me rito della relazione e di alcune particolari dispo sizioni.
L’ ABOLIZIONE DEL CORSO FORZOSO
Questa grande operazione finanziaria che tanto occupa l'attuale amministrazione è ornai prossima a divenire un fatto compiuto. Il decreto che fissa il giorno della ripresa dei pagamenti in numerario per l’aprile prossimo è già firmato e sarà al più presto pubblicato. Nulla hanno più da dire gli scettici, che quando l’ abolizione fu proposta, si mostrarono molto più che veramente noi fossero, persuasi del- l’impossibilità della sua attuazione. Nulla più dicono neppure i profeti di sventure, secondo i quali l’abo lizione del corso forzoso significava la morte delle nostre industrie, la rovina del nostro commercio, il naufragio dei nostri istituti di credito. Tutti sem brano ormai rassegnati, anzi contenti di vedere le loro terribili profezie restare irrealizzate.
Ma non è senza fatica che l’onorevole Ministro delle Finanze è sulla via di giungere, se pur non è giunto ancora totalmente, ad ovviare agli incon venienti che sono sempre inevitabili in operazioni grandiose quale è quella a cui legherà il suo nome. Parlammo al.re volte in queste colonne della situa zione di alcune Banche, che non buona attualmente, si sarebbe fatta intollerabile qualora avessero dovuto provvedere da sole a! cambio dei loro biglietti in oro. Esse sono varie, ed a tutte sarà dall’onorevole Magliani provveduto, onde farle uscire con onore da questa crisi; finora tutte le cure di esso si ri volsero alla Banca Romana, la quale se non riu scisse a sormontare questo momento difficile, trar rebbe dietro di sè nella rovina una gran parte del commercio della capitale. Sia perchè, essa era una delle più compromesse, sia perchè risiedendo nella capitale, la sua importanza ne diviene maggiore, era naturale che le cure fossero ad essa prima che ad ogni altra rivolte.
La Banca Romana ebbe sotto il governo ponti ficio una situazione privilegiata che si protrasse fino al 1874 epoca nella quale il governo italiano, che non potea ammettere i privilegi, la fece rien trare nel diritto comune, obbligandola ad accrescere il suo capitale, a restringere la sua circolazione, a espurgare il suo portafoglio ; queste importanti ope razioni, ognuna delle quali portava non piccolo crollo all’andamento degli affari della Banca, diven nero anche più difficoltose per doversi eseguire al medesimo tempo, e si aggravarono anche di più pel
bisogno di non sospendere al commercio le antici pazioni sulle quali esso contava, o quanto meno a non restringerle al di là della giusta misura.
Con una si tristo eredità ila liquidare non deve far meraviglia che la Banca Romana sì sia da quel l’epoca in poi trovata in non troppo buone condi - zioni. A quanti dicono ch’è sua la colpa, essa po trebbe rispondere che la sua situazione privilegiata giustificava non solo, ma perfino imponeva ad essa di dare un liberale aiuto al commercio e all’indu- slrie, e che solo il cessare del privilegio la rimet teva nei limiti dei doveri delle altre Banche.
Comunque sia, la banca romana interrogata dal ministero delle Finanze e da quello d’agricoltura e commercio quali fossero le condizioni nelle quali •avrebbe potuto operare il cambio dei suoi biglietti in oro, essa rispose che sarebbe stato necessaria la ferma di 17 milioni dei suoi biglietti sia nelle casse dello Stato che in quelle di altra banca. Da princi pio la cifra apparve grande, ma non rimase tale agli occhi del pubblico, quando si seppe che a que sti 17 milioni corrispondevano beni immobili pro venienti da espropriazioni dei suoi debitori.
Portata la questione su questo terreno il governo ufficiò la Banca Nazionale e altri stabilimenti di credito onde effettuassero questa ferma, e la banca romana potrà cosi, sicura da qualunque eventualità, dedicarsi interamente ad espurgare il suo portafo glio, che a quanto si dice non è dei più scelti.
Fu fatto carico ai due ministri delle finanze e del commercio di aver preso tanto a cuore gli af fari di uno stabilimento di credilo, comunque im portante. Noi crediamo invece, si possano lodare per questo fatto gli onorev. Magliani e Berti ; essi hanno salvato non la sola Banca Romana da una certa rovina, ma buona parte del commercio della capitale, e delle provincie circostanti. Non vogliamo però affermare che non si potesse fare assai me glio provvedendo più per tempo alla situazione delle banche minori, le cui difficoltà non dovevano essere sconosciute al governo.
Certo però che se un momento di sua natura seris simo come quello della ripresa dei pagamenti in oro dovesse esser turbato da fallimenti di banche e da rovina di buona parte del commercio della capitale, la grande operazione sarebbe compromessa, e forse resi inutili gli sforzi fatti onde attuarla.
Ma quelli che accusano i due ministri, e più ac canitamente l’on. Magliani, di troppa condiscendenza verso la Banca romana, sono in gran parte quelli appunto che si dichiararono sempre contrari al l'abolizione del corso forzoso; fra le altre obiezioni da essi avanzate, non fu ultima quella che essa avrebbe provocato una crisi bancaria ; perchè dun que disapprovano ora essi stessi 1’ unico rimedio capace di neutralizzare un inconveniente da loro pure segnalato?
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scontro nell’ostinazione degli avversari a creare ostacoli; e fu una vera fortuna dell’amministrazione attuale l’aver saputo indovinare nell' on. Magliani un forte inge gno, un grande amministratore, un ardito impren ditore di miglioramenti, un energico esecutore, e soprattutto un vero economista; mentre prima di essa si credette troppo che gl’ intelletti pratici in materie finanziarie fossero in ristrettissimo numero in Italia, numero che appena appena, potea chia marsi plurale.
IL LAVORO DEI DETENUTI
L ‘ on. Barazzuoli presidente della Unione Monar chica Liberale di Firenze ha avuto la felicissima idea di proporre allo studio e alla discussione dei componenti quella associazione importanti questioni economiche e finanziarie, cominciando da quella tanto dibattuta e non ancor definita del lavoro dei de tenuti.
A noi piacciono molto queste discussioni fatte alla buona, senza tuono cattedratico, nelle quali uomini competenti per larga coltura o per pratica degli af fari o per esercizio di una professione espongono la loro opinione e si combattono ad armi cortesi. E conviene dire, almeno a quello che appare dai re soconti, sebbene brevi, che abbiamo avuti soli’ oc chio, che la prova per l’Unione fiorentina è riuscita bene. Abbiamo notato con vero piacere che anche un operaio tipografo ba presa la parola e ha par lato con garbo e con senno, e ci auguriamo che I’ egregio deputato che degnamente dirige l’associa zione segua il proposito che gli si attribuisce di chia mare in seno della società le persone più compe tenti anco estranee alla medesima mano a mano che si discuteranno altri interessanti argomenti.
Ci sia permesso di notare per incidenza che qual che anno fa il sistema delle conferenze fece ottima riuscita nell’Accademia dei Georgofili e nella Società Adamo Smith, malgrado la diversa indole di queste due istituzioni. Oggi dormono ambedue il sonno de’ giusti, vorremmo credere non senza speranza di risurrezione. La prima ba nobilissime tradizioni da conservare, ed è doloroso che taccia ; quanto alla seconda, nata per la lotta, non mancherebbe davvero campo a combattere.
Ma tornando al tema del lavoro dei carcerati, di remo che dopo due giorni di discussione la Unione Liberale Monarchica votò il seguente ordine del giorno, sul quale faremo alcune osservazioni.
« Ritenuta per ragioni morali, politiche e finan ziarie la necessità del lavoro dei detenuti, ordinato in modo da fare la minor concorrenza possibile al l’industria privata.
« Ritenuto non potersi segnare al Governo regole assolute circa il lavoro dei detenuti, che preferibil mente dovrebbe secondo le circostanze applicarsi o a certe opere pubbliche dello Stato e di bonifica o alla fornitura delle cose necessarie agli Stabilimenti di pena o fin dove fesse possibile, a industrie meno sviluppate nel Regno.
« Ritenuto che se per il lavoro da eseguirsi si debba in qualche caso preferire il sistema degli ap palti, questo debba esser regolalo in modo da non
creare per gli intraprenditori un mezzo di formida bile concorrenza al lavoro libero.
« Ritenuto che, quasi a compenso della qualsiasi concorrenza che il lavoro dei carcerati può fare al l’industria privata, sarebbe desiderabile si destinasse una qualche parte del prodotto di quel lavoro an che a sussidio della cassa di pensione per la vec chiaia degli operai, riservato il rilascio solito a farsi dal Governo ai detenuti sul prodotto del loro lavoro.
« Passa all’ ordine del giorno. »
Quest’ ordine del giorno in primo luogo afferma due verità per noi indiscutibili. La prima si è che il lavoro dei detenuti è una necessità, considerata la sua potenza moralizzatrice. D’altra parte è inne gabile che si venga in tal mòdo a creare una con correnza. Bensì, a vero dire, questa concorrenza, se le cose fossero ordinate diversamente da quello che sono, non potrebbe colpire che i lavoratori. Infatti se il Governo tenesse conto del vero costo di pro duzione, si vedrebbe chiaro, e l’on. Senatore Digny 10 dimostrò colle statistiche alla mano, che non solo 11 Governo stesso non guadagna, ma ci rimette un tanto. E siccome è ormai provato da mille fatti che a parità di condizioni la spesa pubblica supera quella privata corrispondente, dove il Governo mettesse sul mercato il prodotto al suo vero costo di produzione, non potrebbe fare una concorrenza ai produttori. Ma resta pur sempre inevitabile una concorrenza ai la voratori, essendo evidente che se non lavorassero i carcerati, il lavoro da loro compiuto verrebbe affi dato a operai liberi. Data la necessità del lavoro dei detenuti, il problema dell’abolizione di ogni concor renza diventa insolubile.
Senza dubbio in questi giorni la portata della concorrenza al lavoro libero si è stranamente esa gerata, giacché le non molte migliaia di detenuti che lavorano sono poca cosa di fronte alla gran massa dei lavoranti liberi. Nondimeno troviamo per fettamente ragionevole ch e , pur ridotta la concor renza in auguste proporzioni, si abbia a cercare che il lavoro libero e onesto ne risenta il minor danno possibile. A questo proposito conveniamo che non possono segnarsi al Governo regole assolute. Il le gislatore non deve fare l’amministratore, e qui en trerebbe veramente nel campo che spetta all’ammi nistrazione. Al Governo conviene limitarsi a fare delle raccomandazioni. E ci piace si dica che possi bilmente si dovrebbero applicare i detenuti a in dustrie meno sviluppate nel Regno, e aggiungeremmo a industrie che non creino una concorrenza locale. E più ancora ci piace l’ idea di preferire le opere pubbliche dello Stato e di bonifica e la fornitura delle cose necessarie agli stabilimenti di pena. In fatti se il Governo deve fare lavorare i detenuti, visto che deve mantenere le carceri, visto d’ altra parte che dà una mercede minima ai carcerati, quella qualsiasi economia che potrà fare sulle mercedi equi varrà a una diminuzione di spesa, la quale in ogni caso andrebbe a benefizio dei contribuenti.
Ciò avverrà quando senza fare sul mercato una concorrenza all’industria privata, faccia lavorare i detenuti per conto proprio. Quanto alle opere pub bliche e di bonifica, naturalmente si dovrà tener conto delle ragioni di pubblica sicurezza, nè ci par rebbe savio consiglio, ad esempio, agglomerare i detenuti in prossimità di una città.
qualche caso. Noi non pretendiamo escluderli af fatto perchè nulla in fin de’ conti vi è di assoluto. Però in generale crediamo quella la peggiore tra le forme che si possono prescegliere. Inflitti il Go verno ci rimette, l’appaltatore invece lucra alle spalle del Governo e a quelle dei detenuti, e nò l’una nè l’altra cosa ci pare giusta. Lo Stato, a senso nostro, può pagare meno i detenuti perchè essi hanno offesa la società che egli rappresenta, e la loro minore retribuzione può in parte rappre sentare un compenso pel danno recato alla società stessa e che il più delle volte è irreparabile, ma non troviamo ragione perchè l’appaltatore che non rappresenta che il proprio interesse debba impin guarsi, sia pure a scapito dell’operaio detenuto. De sideriamo che lo Stato faccia il meno possibile di quello che i privati possono fare meglio di lui o come lui o anco, in ipotesi col Mill, peggio di lui; ma dove non può dispensarsi di fare, faccia esso stesso: non ha forse i direttori e gl’impiegati delle carceri che potrebbero bastare, senza dar luogo alla concorrenza dell’appaltatore ?
Il tipografo Coppini rilevò un fatto non senza importanza. Nella tipografia delle Murate a Firenze non ci sono che 25 detenuti che lavorano, ma il Governo li cede al concessionario per circa 17 lire, e questo permette al medesimo di lavorare a meno degli altri, e se volesse potrebbe recare non lieve danno alle altre tipografie della città.
Quanto alla seconda parte dell’ordine del giorno che abbiamo riportato, avremmo creduto più op portuno lasciarla da parte. Anzitutto si entra nella questione di per sè già grave della Cassa pensioni per la vecchiaia che è di là da venire. In secondo luogo se il Governo, e ci parve indubitabile in seguito alle cifre addotte dall’ on. Digny, ha uno scapito, è savia cosa che egli sul guadagno che real mente non esiste prelevi un contributo alla Gassa a fa vore dei lavoranti liberi? Può il Governo disporre del danaro dei contribuenti a favore di una classe determinata ? Non risolviamo la questione indicata nell’ordine del giorno, ma ci limitiamo a meltere dei punti interrogativi, sembrandoci che abbia an cora bisogno di essere molto studiata.
IL PRIMO ESERCIZIO
DELLA
Navigazione Generale Italiana
In questi giorni è stata pubblicala la Relazione presentata dal Consiglio d’ Amministrazione all’ As semblea Generale degli Azionisti della Società N a vigazione Generale Italiana (Società riunite Fiorio e Rubattino) la quale Relazione, accompagnata dal Bilancio, volge sul primo anno di esercizio della So cietà predetta compreso tra il 1° luglio 1881 e il 50 giugno 1882.
Qui è d’uopo avvertire che quantunque la Società venisse autorizzata in epoca posteriore al comincia- mento dell’ anno sociale, ossia precisamente il 16 marzo 1882 data del decreto reaie, pure, in omaggio alla convenzione passata tra i promotori e consacrata dall'atto notarile costitutivo delia Società medesima,
fu siahililo che le sue operazioni dovessero conside rarsi incominciate dal I o luglio 1881.
— Abbiamo fatta questa osservazione, per rile varne la conseguenza che nel primo anno del suo esercizio la società di navigazione non ha potuto an cora esplicare tutta la forza di cui è stata dotala, come quella che si trovava nella maggior parte del- Findicalo periodo di tempo in uno stadio prepara torio e provvisorio ; e ciò non tanto perchè fosse incipiente — giacché in fin de’conti non nasceva dal nulla, ma risultava dalla fusione della Compagnia Ru battino di Genova colla Fiorio di Palermo — quanto perchè non essendo ancora regolarmente e legal mente costituita, non aveva peranco potuto coordi nare i servizi delle due Società precedenti, le quali, sebbene applicate alla medesima industria, avevano sistemi differenti e di contabilità e di esercizio. — Malgrado c iò , il suo primo anno di vita ha pro dotto risultati assai soddisfacenti, come vedremo tra poco. Ma prima è utile premettere un’ altra cosa: ed è che, nonostante la fusione delle due Società marittime, le loro antiche sedi rispettive di Genova e di Palermo non hanno subito fuorché una lieve capitis diminutio. Esse continuano a sussistere col nome di Sedi Compartimentali, e sono di loro spet tanza l’iniziativa degli affari commerciali e il mate riale disbrigo dei medesimi, nonché tutto il servizio tecnico, mentre hanno inoltre ciascuna una conta bilità separata. La Direzione Generale di Roma non fa fuorché imprimere unità di indirizzo alle opera zioni della Società intera, riassumere le due conta bilitàseparate, in un unico bilancio, regolare la na vigazione straordinaria e la pubblicità, e soprattutto, trovandosi nella capitale del Regno, mantenere i con tinui e svariali rapporti che, come Società di navi gazione postale e sovvenzionata, essa ha col Governo. — 11 ramo principale della consistenza patrimo niale della Società, che è il naviglio, da L. 49,806,185, quale era al 30 giugno 1881 , aumentò fino a L. 54,744,971. Tale aumento è dovuto all’acquisto di sei piroscafi, i quali, durante l’anno sociale decorso, hanno già portato il loro concorso allo sviluppo della libera navigazione. Cosicché di 83 vapori, quanti ne esistevano alla data della fusione e rappresentanti insieme 59,627 tonnellate di registro e 19,246 ca valli nominali, la Società si è trovata a possederne, dopo non molti mesi, 89 con un tonnellaggio di 67,029 ed una forza complessiva di 21,810 cavalli.
— Oggi la Società possiede altri piroscafi in più del numero sopra notato, i quali però non furono contemplati nella lista del naviglio il giorno al quale si riferisce la chiusura del bilancio, giacché allora non erano peranco finiti di costruire, nè per conse guenza erano state pagate fuorché alcune rate del loro prezzo. Due di essi, il China e il Raffaele Ru battino, di 5000 tonnellate ciascuno, sono i due più grandi piroscafi della marina mercantile italiana. Ag giungendo pertanto il loro tonnellaggio, la forza delle loro macchine e il loro valore di costo alle cifre sopra espresse, si ha un totale di 92 vapori della portata in registro di 74,579 tonnellate e una forza di 23,910 cavalli nominali, del complessivo valore di circa 61 milioni. — A questi si aggiungeranno fra breve due vapori testé acquistati, ed altri due j di grande portata che trovansi in costruzione nei
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le due Società separate ne percorsero in complesso 65,000 di meno.
Dal rendiconto annesso alla Delazione risultano gli introiti della navigazione per merci passeggieri in L. 24,029 ,3 7 8 ,9 0 , a cui, aggiunti i proventi vari che sono accessorio naturale del movimento indu striale ed amministrativo, si ha una cifra totale di L. 24, 864,770,45. La sovvenzione governativa poi ascese a lire 8,125,010, offrendo cosi un comples sivo introito di lire 32,989,780,45. — A questa somma debbonsi ancora aggiungere L. 340,194.93 per interessi al giro dei fondi presso la sede cen trale , per avere un insieme di L. 33,329,975,38. — D’altra parte le spese della navigazione ammon tarono a L. 26,265,656,62 ; ma a questa bisogna aggiungere gli oneri sociali per interessi sul capi tale, sulle obbligazioni di un prestito contratto dalla cessata Società Rubattino, sui conti correnti, oltre alle tasse governative, quote d’ ammortamento del materiale, di fondazione , impianto e simili, per la somma di L. 4,284,101,11 , formando così una massa di spesa per L. 30,540,857,73.
Ne risulta quindi un utile di L. 2,789,227,65, da ripartirsi a norma dello Statuto sociale.
— Seguono nella Relazione le cifre delle somme destinate alla assicurazione del materiale navigante, ed una di L. 2,606,530,48 che rappresenta per l’anno in discorso la quota destinata come fondo di riserva per l’ammortamento graduale del costo dei piroscafi.
— Fra i titoli di attivo figurano L. 400,205,05, prezzo della baia d’Assab. È noto come quel territorio sul mar Rosso, acquistato anni sono dalla Compa gnia Rubatiino, sia stato ceduto al Governo italiano mediante contratto approvato colla legge 5 luglio 1882. Il prezzo della cessione fu di L. 416,000, ma vi sono comprese L. 15,794 per interessi sulle rate di pa gamento, le quali figureranno sui bilanci futuri della ¡Società. È parimente noto infatti come, a tenore della citata legge, il governo debba pagare il detto prezzo a rate, anziché in una sola vola.
— La Navigazione Generale Italiana assunse al 4° giugno 1882, insieme con alcuni Istituti di cre dito, I’ esercizio delle Saline di Sardegna mediante contratto concluso col Governo. Sul capitale di co- testa industria, che è di due milioni, la detta So cietà ha una partecipazione per L. 800,000. Ma i conti non ne appariscono sul bilancio di questo primo anno sociale, non essendo stato possibile, dice la Re lazione, impiantare le opportune scritturazioni nel breve periodo tra il 1° e il 30 giugno.
Similmente non .appariscono i conti dell’esercizio della strada ferrata Tunisi-Goletta, nella cui impresa trovavasi involta la Società Rubattino col concorso del Governo italiano. Alcune differenze con quest’ul timo in merito alla determinazione del capitale, che sono ora in via di accomodamento, non hanno per messo alla Navigazione Generale Italiana di stabilire con cifre nel suo primo bilancio la propria situa zione economica rispetto all’impresa in discorso.
La Società dà opera al presente ad unificare nel modo più completo i servizi dei suoi due Compar timenti, sia procurando una distribuzione e un im piego sempre migliore delle singole parti del navi glio, sia riordinando sotto uniche discipline il nu merosissimo personale marinaresco già dipendente da due amministrazioni diverse. — In quanto allo sviluppo del traffico, che è già ragguardevole, essa, come del resto tutto il commercio nazionale, pone
grandi speranze nella recente apertura dei nuovi valichi alpini, confidando che Genova e Venezia di ventino gli empori commerciali della bassa Europa. « Genova segnatamente, dice la Relazione, con l’aper tura del Gottardo è destinata per sì fortunata con comitanza a diventare l’ emissario della Germania tutta e dell’ Europa centrale. A Genova converge ranno le linee più grandiose delle Indie e delle Americhe, e la nostra Società concorrerà ben vo lentieri a tutto ciò che possa assicurare lo sviluppo di questo suo importantissimo centro d’armamento, insieme a quello non meno importante di Palermo, straordinario centro di attività commerciale colla America del Nord e sentinella avanzata nel cuore del Mediterraneo. »
Finalmente la Società si propone 1’ incremento delle due Sedi succursali di Venezia e Napoli, en trambe situate in posizione tale da divenire ba luardi della marineria mercantile sulle due opposte sponde della Penisola, la prima come importantis sima testa di linea, la seconda a sussidio della Sar degna, della Sicilia e della costa africana.
— Abbiamo creduto utile riassumere la Rela zione con una certa larghezza, visto che si tratta non di una industria qualunque, ma di una indu stria che oggi richiama su di se I’ attenzione e le cure della parte più previdente e più illuminata del paese e non di una Società assolutamente privata, bensì di una su cui ha luogo un sindacato, sia pure indiretto del pubblico , come quella che in corri spettivo del disimpegno di un pubblico servizio (quello postale) viene sussidiata col danaro di tutti i contribuenti.
« È da sperarsi, dice la Relazione, che in ap poggio dei nostri propositi, in un argomento che abbraccia così vasti e vitali interessi, quale è la marineria nazionale, non potrà il Governo non in tervenire con azione energica e decisiva onde avva lersi di questa inesauribile fonte di ricchezza e di attività, sia incoraggiandola all'Interno con ¡speciali cure, come sorregendola all’ estero contro concor renze di marine rivali meglio protette della nostra. » Non sappiamo se queste parole alludono alla spe ranza di vedere la marina mercantile liberata in gran parte dalle formalttà burocratiche e delle gra vezze fiscali, ovvero a quella di trovare Governo e Parlamento disposti a maggior larghezza nelle sov venzioni, secondo l’esempio di altri paesi. Probabil mente all’una cosa e all’altra.
Ma su quest’ ultimo argomento, che, come ab biamo avuto occasione di dimostrare un’altra volta ■ ) è indipendente dalle altre questioni relative al ri sorgimento della marina mercantile, avremo forse occasione di tornare fra non molto e a più riprese.
Rivista Bibliografica
Dott. Giuseppe Tom olo prof, ai economia politica nella R. Università di Pisa. — D ei remoti fa ttori della potenza economica di Firenze nel Medio-evo. —
Considerazioni sodali-economiche. — Milano, Hoepli edit. 1882.
Il prof. Toniolo si è proposto « di ragionare in torno ai fattori primi e remoti della potenza eeono- nomica di Firenze nel medio-evo; presumendo di
rinvenirli nello influenzo naturali telluriche, nelle ten denze antiche, nelle vicende storico-civili e nelle virtù morali, che operando sin dalle origini lunga mente sovra di quella, maturarono i posteriori suoi grandi destini nell’ordine della ricchezza » Ed ap punto in quattro parti l’ Autore ha diviso il suo lavoro parlando di ciascuno dei quattro fattori su indicali, e traendo infine dai suoi studi una con clusione.
Riguardo ai fattori naturali tellurici, l’Autore trova che la regione toscana racchiude in se un piccolo universo in cui si compendiano quasi tutte le ac cidentalità di territorio, di clima, dì produttività ; varietà queste atte a svolgere « nella popolazione armonicamente tutte le facoltà dello spirito ad un tempo, in proporzione alle molteplici forme in cui l’operosità di quello era incitata ad esplicarsi : e si multaneamente ad educare in essa quell’energia di propositi e delle opere, la quale consegue alla co scienza che un’alta rimunerazione rimane assicurata ai coraggiosi e perseverami, e ad essi soltanto. » E siccome l'Autore crede che « l’analisi dello stato territoriale di una regione ne illusua le vicende e risultanze storiche », a condizione però che « le popolazioni che si trovono a contatto con quegli agenti naturali e ne subiscono gli influssi, posseg gano tali qualità soggettive da non eludere l’azione di quelli, bensì da usufruirne debitamente ai fini dell meivilimenio », l’Autore conclude che « tale popolazione non mancò alla Toscana. »
Intorno ai fattori storici osserva che tre elementi si sovrapposero e si assimilarono successivamente : l’etrusco, il romano ed il germanico. L ’Autore crede che l’Etrusca fosse l’unica popolazione d’Italia an teriormente al dominio romano posseditrice di una civiltà che lasciasse durevoli monumenti. Accetta la affermazione del Perrens che gli Etruschi pro vengano dall’Oriente per l’intermezzo della Grecia, parla brevemente dello sviluppo della loro civiltà sopratutto economica e commerciale. La loro tempra spirituale cupa e fantastica ad un tempo ritiene derivata dalla tetra e sconfortante religione fatalista riportata dall’India, e dalle influenze posteriori dello spirito greco vago delle idealità, imaginoso, volu bile. Ed aggiunge che questi caratteri delle popo lazioni etrusche si riproducono presso le popolazioni toscane mèdio evali. « Il loro carattere morale se rio, austero e talora tralignante in fierezza, il quale, come dice Perrens, riscontrasi mirabilmente scolpito in Dante e Machiavelli (ma che in parte sotto di verse apparenze esteriori perdura anche oggidì), trovasi combinalo in modo singolare anche ne’ tempi di mezzo presso le popolari moltitudini con quella certa giovialità, apertura, pieghevolezza e grazia, con quegli abiti morali insomma, che prendendo più tardi il sopravvento nelle altre virtù più ma schie (senza però del tutto diradicarle) procacciarono ai toscani fama, forse esagerata di elegante rilassa tezza. » E questa tempra psichica del Toscano, l’Au tore dice che nei bei tempi repubblicani si tradusse per rispetto all’economia « nelle virtù caratteristiche di singolare ardimento e perduranza nelle intrapre se, che egli sapeva conservare anco in mezzo alla massima instabilità degli ordini sociali, politici e congiungere con gran dovizia di risorse e somma varietà di forme, di modi e di congegni ; e inoltre nel pregio di una rara colleganza del sentimento positivo coll’ideale, per cui i calcoli mercanteschi
non detraevano alle sublimi concezioni dell’artista, nè la tenacità del banchiere agli slanci del pa triottismo e della civiltà. » Rispetto alfelemento romano « mediocre produttore e voracissimo con sumatore », poiché si estinsero le alte classi poli tiche e sacerdotali etrusche, si sarebbe « attempe rato in larga misura all’elemento originario e più propriamente presso le moltitudini operose, contri buendo così a perpetuare insieme ad esse le pri mitive lor attitudini economiche. » Più lungamente l'Autore discorre intorno all’elemento germanico; tratta delle diverse ipotesi che gli studiosi propon gono sulla sua influenza in Toscana e crede con ciliarle notando che, per varie cause, non ebbero le invasioni grande stabilità in quella regione, e con clude che « l’elemento germanico non contribuì che assai scarsamente all’intrinseca composizione del popolo toscano e a modificarne perciò la fisonomía etnica primitiva; esercitando piuttosto sopra ui que ste una azione indiretta ed estrinseca.
Troppo lungo, seppure non impossibile, riusci rebbe un riassunto degli altri due capitoli nei quali l’Autore esamina i fattori storico-civili ed etico- economici della potenza economica di Firenze nel l’epoca medioevale; rimandiamo il lettore studioso al libro del prof. Tomolo, bastandoci qui di notare che riguardo ai fattori storico-civili conclude che essi « vennero di lunga mano a maturare la Costi tuzione del 1250, e contengono in germe le ra gioni ed i procedimenti così della grandezza come della decadenza politica ed economica di Firenze nei tempi posteriori »; e per i fattori etico-econo mici trova che « la superiorità economica dei fio rentini, della quale essi avevano altera coscienza, risponde esattamente a quella superiorità in ogni altra forma dell’incivilimento che offre Firenze nel nostro risorgimento m e d i e v a l e ; e perciò palesa il nesso o meglio la dipendenza dell’ordine materiale della ricchezza, da quello immateriale del pensiero e della moralità. »
Una lunga conclusione termina il libro, riepilo gando le cose dette e facendo qualche confronto tra le esigenze dello sviluppo economico dei nostri tempi con quelle del tempo passato e finisce di cendo « questi ragionamenti storico-induttivi mo destamente dedichiamo a que’ cultori della scienza economica, che con noi abbiano per fermo certe leggi e problemi di questa non ricevere luce suffì- cente se non dallo studio dei fenomeni suoi nelle attinenze con tutto il sistema e il processo della civiltà ; e quindi da que’ criteri più elevati e com plessi di Filosofia civile, da cui Romagnosi (oggi a tale proposito felicemente richiamato) voleva che l’economista andasse di continuo scòrto e avva lorato. »
Ora brevi parole per dire della impressione che abbiamo ricevuta dalla attenta lettura del libro, es sendo debito nostro esporre ai lettori anche la no stra opinione.
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L’ E C ON O M I S T A
4 marzo 1883
È ben vero che l’Autore ha cercato di prevenire la critica dicendo nella prefazione : « non è questo per tanto un lavoro di erudizione storica : ed invano i dilettanti di cotali indagini ricercherebbero in esso, a ino’ d’ esempio, il compimento della serie dei con soli o la correzione di qualche nomignolo o data delle vessate pagine di un cronista ». — Ma il pa racadute non salva, a nostro credere, anzi, perchè espresso in tuono ironico, aggrava il giudizio. — Va benissimo che chi scrive un libro di economia basato sulla storia non debba occuparsi delle minute questioni sulle quali si trattengono gli eruditi degli archivi, ma se si giova della storia, e da questa trae argomentazioni e conclusioni, deve anche sapere ben sciogliere le fonti a cui attinge i fatti storici, guar dandosi dal dare le ipotesi di uno scrittore come verità accettate dalla scienza, e soprattutto, ove vo glia venire a conclusioni originali, provarle. E la scuola economica che si chiama storica, ha a nostro vedere, per molti scrittori almeno, questo difetto, di credere cioè che basti accompagnare i fatti economici coi fatti storici purchessiano, per fare della scienza po sitiva. Olii ne manca e di molto! Noi pure crediamo che 1’ economia politica debba avere grandi aiuti dalla storia, ma riteniamo anche che la storia non possa procedere senza la conoscenza della economia. E sventuratamente gli storici ne sanno in generale assai poco di economia, gli economisti assai poco di storia; o credono che la erudizione storica, lo studio dei documenti negli archivi sieno meticolosità, ba stando per l’economista un’ epitome od un trattato ! Eppure storicamente lo questioni economiche sono ancora vergini quasi tutte, ed economicamente è quasi tutta vergine la storia.
Ma non possiamo qui lasciarci andare mo'to lon tani dal libro di che trattasi, il quale, appunto per chè ci parve troppo facilmente accettare delle conclu sioni storiche da cui trasse appoggio al proprio scopo, ci ha suggerite le brevi considerazioni sopra esposte. Vi troviamo ad esempio detto troppo degli etruschi, quando tanto poco di certo ancor se ne sa; e dei più re centi studi pare a noi l’Autore non abbia tenuto conto, basandosi egli specialmente sul Perrens, autorità non troppo valida per tali questioni di vera erudizione. L ’Autore afferma, ad esempio, che I’ etrusea fosse 1’ unica popolazione posseditrice di una civiltà in Italia? (pag. 12). Ma, a tacer d’ altro, la Magna Grecia, va dimenticata? — Il dire che l’ elemento germanico reagì sulla schiatta etrusco-latina in modo tale da rinverdirne I’ attività economica (pa gina 27), è bella idea, ma non è che una ipotesi gratuita , che serve molto bene allo scopo dell’Au tore, ma che manca di prova. — Come per lo meno non è provata neppure l’ altra affermazione che la Chiesa fosse nel medio-evo la naturale protettrice della democrazia nell’ ordine politico e delle classi operose nell’ordine economico (pag. 30). E non ac cettiamo neppur l’ altra alla pagina stessa, che la Toscana, sia pur assieme all’ Umbria, componesse « una striscia territoriale in cui risiedette il cuore delle vita religiosa d’ Italia nel periodo del risorgi mento comunale ». E ci suonò più rettorico che sto rieo il dire : « Il fattore religioso ecclesiastico colle sue influenze quivi (in Toscana) più dirette, pro fonde, continuate, riassume e riannoda in più ro busta contestura le fila della civiltà etrusco-latina ; e questa rinnova, innobilisce, solleva al lume di dot trine morali, e colla virtù di influenze sociali som
mamente propizie alla consistenza e dignità delle moltitudini lavoratrici, e per tal guisa contribuisce a svolgere massimamente la potenza produttiva delle stesse e a preparare alle medesime un posto pre valente nella vita civile e politica della Toscana » (pag. 34).
Ci piacque invece molto , per quanto lasci desi derare delle prove, lo studio sulle cause delle guerre di Firenze contro le città vicine, e sullo svolgimento graduale del suo commercio nella regione prima, nell’Italia poi.
In conclusione lodiamo assai il concetto dell’Au tore, solo crediamo che per trattarlo con vero me todo storico positivo avesse bisogno di più lungo studio e di larga documentazione.
Firenze, febbraio 1883.
Prof. Arturo J. De Johannis.
LE BANCHE POPOLARI
ed il nuovo Codice di Commercio
Abbiamo veduto in un recente articolo ') alcune delle principali disposizioni che riguardano le Banche popolari che si istituiranno sotto la nuova legge, man teniamo la promessa fatta di vedere quali condizioni sieno fatte alle Banche già esistenti. È noto infatti il principio giuridico che una nuova legge non potendo avere effetto retroattivo deve rispettare il negozio compiutosi regolarmente sotto l’ impero della legge preesistente. Ecco perchè il nuovo codice non può che tutelare con nuove disposizioni i diritti dei terzi, ma non mai sconoscere la validità dei pre cedenti contratti stipulati. Ed ecco infatti 1’ articolo 4 delle disposizioni transitorie, il quale dice : « Le Società e le Associazioni commerciali esistenti al tempo della attuazione del nuovo Codice sono r e golate dalle leggi anteriori ... » e fa eccezione sol tanto per alcune disposizioni che importa appunto vedere in quanto si applichino alle Banche popolari. Comincia il primo inciso del n° I dell’ articolo precitato a dichiarare che « le Società in acco mandita per azioni e le anonime sono esonerate da ogni autorizzazione e vigilanza governativa e dagli oneri relativi. » Però le assoggetta alle prescrizioni seguenti :
I o che in ogni atto lettera, pubblicazione od annunzio venga chiaramente indicata la specie e la sede della Società, e venga indicato il capitale se condo la somma effettivamente versata e quale ri sulta dall’ ultimo bilancio approvato (art. 104).
2° Che tengano tutti i libri prescritti dal nuovo Codice alle Società commerciali di nuova forma zione, quali abbiamo veduto domandati dall’ arti colo 140.
3" Che del libro dei soci e di quello delle adu nanze e deliberazioni delle assemblee generali, gli amministratori debbano permettere l’ispezione ai soci, e rilasciare certificati a spese dei richiedenti (art. 142).
4° Che gli amministratori sieno solidariamente responsabili e verso i soci e verso i terzi, della
verità dei versamenti fatti dai soci, della reale esi stenza dei dividendi pagati, della esistenza dei libri voluti dalla legge e della loro regolare tenuta, del l’esatto adempimento delle deliberazioni dell’ assem blee generali, e in generale della osservanza di tutto quanto è imposto loro dalla legge, dall’ atto costi tutivo sociale e dallo statuto (art. 147).
5® Che se un sindaco o rappresentante della società sia dichiarato fallito, Interdetto od inabilitato, o sia condannato a pena criminale per qualunque reato, od a pena correzionale per corruzione, falso, furto o truffa, cessi di pien diritto dal suo ufficio e debba essere surrogato (art 131).
6° Che se siavi fondato sospetto di grave irre golarità nell’adempimento dei doveri affidati ai sie daci od amministratori, possano i soci, rappresen tanti almeno l’ottava parte del capitale (e giustifi cano tale rappresentanza depositando le loro azioni presso una banca o presso un notaro o presso i sindaci), denunciare i fatti al tribunale, il quale, sen titi gli accusati, ove riconosca l’urgenza può ordi nare un’ ispezione e nominare uno o più commis sari , semprechè i denunzianti paghino le speso della ispezione ed a tal uopo versino una cauzione da determinarsi. I commissari riferiscono al tribu nale, il quale, udita la relazione può ordinare, se il sospetto era infondato, la pubblicazione di tutta la relazione o delle conclusioni, e se ò fondato la immediata convocazione della assemblea generale
(art. 153).
7° Che le deliberazioni prese dall’ assemblea generale entro i limiti dell’ atto costitutivo, dello statuto o della legge, sono obbligatori, e per tutti i soci ancorché non intervenuti o dissenzienti (arti colo 163), meno il caso in cui siasi deliberata la fusione con altre società, o la reintegrazione od au mento del capitale, od ogni altra modificazione del l’atto constitutivo, chè allora i dissenzienti hanno diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle loro quote od azioni in proporzione dall’attivo sociale (art. 138).
8° Che assieme al bilancio dell’ esercizio sociale venga pubblicata la situazione delle azioni indicante tulli i versamenti fatti, il numero delle azioni de cadute e non rimesse in circolazione e la somma so pra di esse versata (art. 167).
9° Che l’emissione di obbligazioni, anche se fosse preveduta dallo statuto o dall’ atto constitutivo, non possa aver luogo che mediante approvazione del l’assemblea generale presenti tre quarti del capitale sociale ed approvanti la metà del capitale stesso ; — e che, ove la emissione sia fatta per pubblica sottoscrizione, la deliberazione ed il progetto deb bano essere depositati presso il tribunale civile, che in Camera di consiglio e coll’ intervento del pub blico ministero, ordina la trascrizione e l’ affissione nella sala del tribunale in quella del comune e nei locali della borsa più vicina ; — che se il capitale delle obbligazioni da ammettersi fosse maggiore del capitale versato e tuttora esistente secondo I’ ultimo bilancio approvato, assieme alla deliberazione dovrà essere depositato il documento comprovante l’ ese guito deposito dei titoli amministrativi a debito dello stato, delle provincie e dei comuni, a garanzia della eccedenza (art. 172, 138, 91 171.)
10® Che per provvedere alla emissione di obbli gazioni mediante pubblica sottoscrizione, gli ammi nistratori debbono pubblicare un manifesto il quale
indichi : — il nome l’oggetto e la sede della so cietà; il capitale sociale ; la data dell’atto costitutivo e degli atti che lo modificano o modificano lo statuto, la situazione della società secondo l’ ultimo bilancio approvato ; — l’ ammontare delle obbligazioni da emettersi e di quelle già emesse, nonché il modo del loro rimborso, il valore nominalo di ciascuno, l’interesse che producono e se siano nominative od al portatore ; — finalmente la data della delibera zione dell’ assemblea generale che approva la emis sione. Che so il capitale da emettersi fosse mag giore di quello sociale versalo e risultante dall’ u l timo bilancio approvato, il manifesto indicherà an che la garanzia offerta, (art. 173).
11° Che le sottoscrizioni alle obbligazioni deb bano essere raccolte a piedi di uno o più esem plari del manifesto, e che i titoli delle obbligazioni debbano mantenere tutte le indicazioni del manife sto stesso (art. 174 e 173).
12° Che nei primi otto giorni di ogni mese le società che hanno per principale oggetto l’esercizio del credito, debbano depositare presso il tribunale di commercio la loro situazione riferibile al mese pre cedente, secondo il modello prescritto, certificata al meno da un amministratore e da un sindaco (ar ticolo 179).
13° Che il bilancio della società e la relazione di sindacò debbano rimaner depositati negli uffici della società durante i quindici giorni che precedono l’as semblea generale affinchè possano essere esaminati da ciascun socio.
14° Che, dopo approvato il bilancio della assem blea generale, gli amministratori entro i dieci giorni successivi, debbano depositarlo alla cancelleria del tribunale di commercio assieme alla relazione dei siedaci ed al processo verbale dell’ assemblea gene rale. Il tribunale provvede alla pubblicazione di questi alti (art. 1 80'.
13° Che steno obbligatorie per le nuove società tutte le prescrizioni del § 7° riguardante i sindaci ; perciò : I’ obbligo di nominarne tre o cinque e due supplenti in ogni assemblea ordinaria, prescrivendo il codice che i sindadf possano essere soci e non soci e che sieno rieleggibili, ma determinando la incompatibilità e quindi la nullità della elezione o la decadenza se sieno parenti od affini cogli ammi nistratori sino al quarto grado. In qualunque caso manchi l’opera di un sindaco lo sostituisce il sup plente, e mancando questi, i sindaci rimasti chia mano altre persone che rimangono in carica sino alla più vicina assemblea generale (art. 183).
ara-138
L ’ E C O N O M I S T A
4 marzo 1883
ministratoci, pubblicando 15 giorni prima un avviso nella Gazzetta uf/ìciale del Regno e nelle altre forine prescritte dall’ atto amministrativo o dallo sta tuto, ed indicando nell’avviso la nota degli oggetti da sottoporsi alle deliberazioni dell’ assemblea; — d’in tervenire a tutte le assemblee generali ; — ed in generale di sorvegliare che le disposizioni della legge, dell’ alto costitutivo e dello statuto siano adempiuti dagli ammistratori. E data poi facoltà ai sindaci di assistere alle adunanze dogli amministratori, e far inserire sui verbali di queste adunanze le proposte che credessero opportune (art. 184). la responsa bilità dei sindaci è quella che emerge del mandato (art. 185).
15° Finalmente sono estese le disposizioni penali del nuovo codice anche alle società già esistenti, meno la multa cominata dall’ art. 249 contro gli amministratori delle società cooperative con soci a responsabilità illimitata, che non depositi alla sca denza di ciascun trimestre l’elenco dei soci.
16° Le società esistenti rimangono soggette al nuovo codice in quanto riguarda la riduzione del capitale la fusione e la liquidazione della società.
1 7° Gli amministratori elio saranno rieletti o no minati dopo l’attuazione del nuovo codice, debbono prestar cauziono sino alla concorrenza della cin quantesima parte del capitale sociale ; però l’ atto costitutivo può limitare la cauzione a 50 mila lire di capitale o di valor nominale in azioni, e nelle società cooperative può l’ assemblea, come si è ve duto, accordare l’ esonero dalla cauzione.
BULLETTINO DELLE BANCHE POPOLARI
Banca mutua popolare di Camposampiero
pro vincia di Padova (autorizz. 1876). — Un piccolo capitale di L. 15,000 permetie alla Banca di Cam- posampiero una cifra relativamente considerevole di operazioni. Aveva il 51 dicembre scorso L. 94,245 di depositi a conto corrente, L. 27,168 a risparmio 0 L, 16,978 a scadenza fissa; il fondo di riserva saliva a L. 4,247. Il portafoglio ammontava a Li re 169,207 ed il numerario a L. 11,951. Gli utili del bilancio 1882 salivano a L. 4,247.Banca popolare di Cliioggia (
autorizz. 1875). Il capitale di questa Banca ascende a L. 70,000 diviso in L. 1400 azioni da L. 50, il fondo di ri serva a L. 9,516. Al 51 deeembre essa aveva tra 1 depositi, L. 265,777 a conto corrente, L. 55,933 a scadenza fissa, L. 40,585 a risparmio. In cassa esistevano L. 51,707 di numerario, in portafoglio L. 276,340 di effetti scontati e L. 1459 di effetti in sofferenza. Le spese dell'esercizio erano rappre sentate dalla cifra di L. 14,526 e le -rendite di Li re 22,918. Gli utili netti risultavano in L. 7962, di cui L. 1592 al fondo di riserva e L . 6370 di vise tra gli azionisti in ragione di Lire 4,55 per azione, cioè il 9,10 per cento.Da un quadro delle operazioni compiuto durante l’ esercizio ricaviamo che la Banca di Cliioggia ebbe una entrata di depositi a risparmio per L. 53616 ed una uscita per L. 3 5 ,7 7 0 ; clic scontò cambiali per L. 910,601 e ne furono pagate per L. 876,072.
Banca popolare
diGarlasco
provincia di Pavia (autorizz. 1872). — Il capitale è di L. 100,000, il fondo di riserva di L. 16,652. Teneva il 31 di cembre L. 254,290 per n. 118 buoni fruttiferi, L. 223,711 di conti correnti ad interesse, e ben L. 148,019 di risparmio, su 590 libretti. Nel por tafoglio aveva n. 795 effetti per L. 561,171, n. 6 anticipazioni per L. 1,858. Gli effetti in sofferenza erano 4 per L. 942. “Le spese ammontarono nel 1882 a L. 31,723 e le rendite a L. 48,804.La Banca dà il 4 per cento al conto corrente, il 4 1/4 ai Buoni da 6 a 9 mesi, ed il 4 1/2 da 10 a 12 mesi; al risparmio dà il 4 0/0.
Banca popolare di Legnago
provincia di Verona (iautorizz. 1876). — L. 600,000 di capitalo e Li re 16,929 di fondo di riserva; tra i depositi tro viamo L. 533,204 a conto corrente L. 27,100 senza interesse, L. 26,030 a cauziono. Nel portafoglio L. 585,705 di effetti scontati, e L. 16,000 di an ticipazioni su merci. Gli effetti e crediti in soffe renza ammontavano a L. 9,800. Le spese erano state nel 1882 L. 57,379, le rendite L. 65,899.La Banca sconta ed anticipa su titoli e merci al 6 per cento e dà il 4 per cento sui depositi.
Banca mutua popolare agrìcola di Lodi (
auto rizz. 1866). — Questa Banca nel 51 gennaio aveva un capitale sociale di L. 1,464,900 diviso su 24,415 azioni, ed un fondo di riserva di L. 730,544. I depositi a conto corrente ammontavano a L. 8,286,544 ed i buoni fruttiferi a L. 728,544. Nel portafoglio tro viamo L. 5,637,505 di cambiali scontate, e L. 4,790 a prestiti sull’onore, e L. 58,251 di effetti in sof ferenza. In quanto agli impieghi salivano a L. 72,100 in beni stabili, L. 1,095,608 in obbligazioni di corpi inorali, L. 38,000 in azioni ed obbligazioni garan tite dallo stato.Banca popolare cooperativa di Parma (
autoriz zata 1871.. Abbiamo sotfocchio la situazione 51 gennaio, la quale ci dà le seguenti cifre: — capi tale sociale L. 312,479 di cui 500,000 di 6000 azioni da L. 50. I depositi salivano a L. 1,072,208 di cui L. 1,029,388 a risparmio su 953 libretti. Aveva in portafoglio n. 1773 effetti scontati per L, 1,015,082, e 188 anticipazioni su pegno per L . 86,834. Aveva impiegato L. 280,861 in titoli ; gli effetti in sofferenza sommavano a L. 280,861 (!) di cui L. 5,920 garantiti da ipoteca.Da Banca dà il 5 1/7 al conto corrente ed il 4 al risparmio.
Banca popolare Piacentina
(autorizz. 1871.)È
una forte Banca che ha un capitale sociale di un milione, un fondo di riserva di L. 250,000 e di previdenza L. 20,567, I depositi giungevano quasi a 3 1/2 milioni, cioè L. 2,520,585 a risparmio, L. 553,249 a conto corrente, e L. 570,217 a ter mine fisso. Il portafoglio aveva L. 2,761,911 di ef fetti, e le anticipazioni e riporti salivano a lire 224,079. Più troviamo L. 78,577 di mutui ipote cari, L. 848,427 impiegato in titoli dello Stato. Gli effetti in sofferenza sommavano però a L. 123,100 di cui L. 52,056 con garanzia ipotecaria.Al 31 gennaio aveva 2243 libretti a risparmio, 558 di conti correnti e 99 buoni fruttiferi, in to tale 2900 libretti e buoni.