L'ECONOMISTA
G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, F E R R O V IE , IN T E R E S S I P R IV A T I
Anno X - Voi. XIV
Domenica 5 Agosto 1883
N. 483
LA CIRCOLAZIONE M ONETARIA
Nell’ ultimo numero dell 'Economista, trattando di questo stesso argomento, (Tediamo di aver dimostrati alcuni punti che è opportuno di ricordare ; essi sa rebbero :I o che l’attuale imbarazzo della circolazione si verifica solamente nelle provincia dove hanno corso legale i biglietti delle Banche minori;
2° che tale imbarazzo ba luogo perchè, in quelle provincie manca un biglietto che abbia corso, con eguale potenza di acquisto e di circolabilità, in tutto il regno, e perchè quelli delle banche minori non si possono cambiare che in argento, con notevole spesa di trasporto, e perdita di tempo ;
5° che sarebbe impossibile obbligare tutte le Banche di emissione al baratto dei biglietti in due terzi d’oro, senza pericolo della Banche stesse e senza maggior danno al commercio ;
4° che il provvedimento dell’ora. Maglioni, che autorizza le Banche ad eccedere il limite dell’emis sione contro completa riserva metallica, non può essere profittevole che alla Banca Nazionale del Regno; che in date circostanze può riuscire dannoso alle Banche minori, che infine non può che molto lentamente riuscire a far aumentare la riserva metallica.
Infine abbiamo promesso di esporre alcune nostre idee che ci paiono atte ad ovviare gli attuali lamen tati inconvenienti, e ci affrettiamo a mantenere la nostra promessa.
Prima di tutto conviene premettere una discus sione, molto delicata è vero, ma in pari tempo n e cessaria ad essere precedentemente ricoluta.
Si vuole la Banca unica o la pluralità delle Banche? In altre occasioni abbiamo manifestato il nostro pensiero sull’argomento, affermando.che, non crediamo — nelle condizioni presenti della nostra economia nazionale — dannosa la Banca unica, sebbene non risponda ai principi che la scuola liberale difende. Tanto è vero che male ci si applica T epiteto di
dottrinari e di esclusivisti! — Però riconosciamo
in pari tempo che le apparenti disposizioni della Ca mera e del paese, disposizioni che provengono più che altro dalle conseguenze delle lotte politiche, non lasciano sperare in una soluzione in questo senso.
Abbiamo detto espressamente la Camera ed il paese, omettendo il Governo, poiché sebbene in argomento di tanta importanza sembri strano che gli uomini che sono al Governo non abbiano una opinione già nota, convien riconoscere — e altra volta lo rile vammo — che il Ministero si è finora ben guar dato dal far sapere i suoi desideri in proposito.
E questo è male, male assai, poiché lascia, forse a torto, temere che il Governo voglia avere la con vinzione che avrà la qualunque maggioranza che si potesse raccogliere alla Camera. — E, lo ripetiamo, la Camera non presenta probabilità di approvare una legge dalla quale esca un unico, grande e potente Istituto di emissione , capace di legare la sua pro sperila a quella dello Stato, e di aiutarlo efficace mente in ogni evenienza, come avvenne in Francia, come avverrebbe in Inghilterra, dato il bisogno.
Posto adunque che per ora e per molto tempo si voglia la pluralità delle Banche, ne succede come necessaria ed inevitabile conseguenza che tutta la nostra legislazione, e soprattutto la regolamentazione sia tale da assicurare veramente la vita alle Banche autorizzate alla emissione, in modo però che il pub blico, da questa molteplicità delle Banche, ricavi il maggior numero di benefizi ed il minor numero di danni.
Attualmente per l’art. 15 della legge, i sei Istituti che sono autorizzati alla emissione dei biglietti non godono del benefizio del corso legale, per tali loro biglietti, che nelle provincie in cui vi sia una sede o succursale o rappresentanza dell’Istituto, la quale assuma I’ impegno del cambio per tutta la durata del corso legale.
Era speranza in chi formulò questo articolo che ciascuno dei sei Istituti di emissione potesse, in un tempo relativamente breve, diffondere le sue sedi le sue succursali o le sue rappresentanze almeno in tutte le provincie del regno, cosi che i biglietti di tutti e sei gli Istituti potessero avere in breve il corso legale in tutto lo Stato.
Ma queste speranze non si realizzarono. Oggi che scriviamo la Banca Nazionale del Regno ha 71 sede o succursale ; cioè una in ciascuna provincia, meno Arezzo, Grosseto, Siena, e di più nelle città di Ca- stellamare di Stabia , Lodi, Savona, Vercelli, V i gevano.
Il Banco di Napoli non ha invece che 16 stabi limenti dei quali undici nelle provincie. meridionali e gli altri a Firenze, Milano, Roma, Torino, Venezia.
La B inca Nazionale Toscana ha nove stabilimenti tutti in Toscana eccetto uno che è a Bologna.
Il Banco di Sicilia ha otto stabilimenti, tutti in Sicilia, meno uno che è a Roma.
La Banca Romana ba un solo stabilimento a Roma, e quella Toscana di Credito uno solo a Firenze.
prò-482 L ’ E C O N O M I S T A 5 agosto 1883 vincie del Regno, che infine il biglietto delle, altre
banche è od esclusivamente regionale od anche so- ' lamento provinciale.
La seconda osservazione è che nel mentre la base della nostra Costituzione è l’uguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini dello Stato, la nostra legislazione bancaria obbliga i cittadini, ad esempio di Roma e di Firenze, a dar corso legale ai biglietti di quattro Istituti, il che vuol dire ad accordar la loro fiducia a quattro Istituti di diversa indole, im portanza e solidità, mentre quelli di molte altre pro vince non hanno detto obbligo che per i biglietti di un solo Istituto, che è anche il più forte ed il più solido. Aggiungasi che questa disugualianza di condizione tra i cittadini di una provincia e quelli di un’ altra si manifesta anche in ciò, che quelli ad esempio di Firenze e di Roma non possono, come gli altri, coi biglietti delle Banche minori farei pa gamenti in tutto il Regno, ma devono cambiarli in biglietti Sardi i soli elio abbiano corso in tutte le pro vincia ; — nè a questo inconveniente si ovvierebbe neppure se le Banche tutte barattassero in oro, poiché sempre, a Firenze ed a Roma, bisognerebbe cam biare il biglietto della Banca Toscana o Romana in oro, per poi implorare dalla Banca d’Italia il piacere — che non sempre potrà o vorrà concedere — di dar biglietti Sardi ; mentre dove questi soltanto hanno corso legale, il cittadino può chiuderli in una busta e senz’ altro mandarli in tutto il regno sicuro che vi trovano corso.
Oltre a tutti gli altri vi è adunque anche un mo tivo costituzionale che domanda urgentemente una riforma della nostra legislazione bancaria. Se non che la speranza che il Ministero presenti una legge 0 che la Camera la approvi, la quale risolva il pro blema dell’ unità o pluralità delle banche, è affatto vana. E troppo chiaro che mentre F interesse del pubblico e dello Stato esigerebbero la Banca unica, la situazione politica non permette neppure la pro posta di simile soluzione. E perciò a noi pare che prima di tutto nell’interesse del pubblico convenga venire ad uu provvedimento che tolga subito queste anomalie che si lamentano. E ci si presentano due possibili soluzioni : o stabilire il biglietto unico che abbia corso legale in tutto il regno, o stabilire che 1 biglietti dei Sei istituti abbiano tutti il corso legale in tutto il regno. Ora per giungere alla seconda pro posta, giacché la prima ci condurrebbe alla Banca unica, od almeno presenterebbe difficoltà pratiche insormontabili per la disuguaglianza nella forza degli Istituti, ci pare non si possano tenere che tre vie: 0 le banche convengono tra loro sul modo di scam biarsi rispettivamente i loro biglietti, come sperava che avvenisse la legge del 1871; — o ciascuno Isti tuto apre sedi, succursali o rappresentanze in tutte le provincie del Regno, o infine il Governo inter viene con qualche suo provvedimento ad ottenere lo stesso effetto. — La prima via sembra irraggiungi bile, inquantochè la disparità di forza delle diverse Banche lo rendo rivali tra loro, ma in modo che alcune dominano ed altre sono dominate; in parec chie circostanze si ebbe la prova che .le Banche mi nori hanno vita inquanto il Governo obblighi la Banca d’ Italia a lasciarle vivere. Nè crediamo che oasi le cose sieno mutate e possa intervenire un accordo | tra loro, il quale avrebbe per risultato che la Banca maggiore si impiccolisse spontaneamente per dar posto alle minori. Niente di meglio però se potesse vera
mente farsi uu accordo in questo senso, ed i sei Isti tuti convenissero di scambiare tra loro i rispettivi biglietti.
Nè minori difficoltà presenterebbe il secondo si stema, in quantoehè so le Banche minori, fino ad oggi, cioè in nove anni, hanno, come vedemmo così poco profittato della facoltà che loro accorda la legge, di aprir sedi, succursali o rappresentanze, vuol dire che non vi trovarono il loro tornaconto, ne è presumibile che lo trovino ora, almeno in cosi larga misura da poter moltiplicare le loro sedi lauto quanto sarebbe necessario, perchè in ogni provincia ciascun biglietto avesse corso legale.
E notisi bene che questo stesso argomento ci serve a dimostrare che quello che noi propugnamo è so prattutto un interesse del pubblico, in quanto le Banche col loro stesso contegno fanno vedere di non averne punto.
Ci rimane quindi la terza via, quella di un prov vedimento governativo. Non sappiamo se lo Stalo dopo lo convenzioni derivanti dalla legge I.S74 ab bi i diritto di imporre alle Banche un accordo tra loro per ì rispettivi cambi dei biglietti, o' perchè in ogni provincia aprano una sede, una succursale od una rappresentanza. Anzi l’articolo 15 della legge stessa paro escluda questo diritto da parte dello Stato. Ci pare però che indipendentemente dalle Banche stesse, e forse potendone ricavare qualche vantaggio in correspettivo, lo Stato potrebbe rime diare alla presente condizione di cose. Ogni pro vincia ha una Tesoreria e si sa bene che le ope razioni che si compiono nella Tesoreria di quasi tutte le provincie rappresentano una buona metà su! totale dei pagamenti del mercato. Ora se le Te sorerie fossero autorizzate a ricevere i biglietti di tutti gli Istituti non è evidente che il corso legale si manterrebbe di fatto in tutte le provincie? Il pubblico infatti il quale sapesse che i biglietti di ciascuna Banca può spenderli alle Tesorerie li ter rebbe tutti egualmente in circolazione ; poiché oggi al pubblico ciò che premo soprattutto è di avere uu biglietto che non faccia aggio colla moneta metallica e elio sia egualmente spendibile in tutto il regno. Ora che questo biglietto porti la leggenda Banca Nazionale del Regno o Banco di Sicilia al pubblico poco importa ; per il pubblico il fatto che le Tesorerie accettano indifferentemente qua lunque biglietto, sarà garanzia sufficiente della eguale solidità, davanti lo -Stato, di ciascun Istituto. In tal modo si realizzerebbe il corso legale dei bi glietti di tutte le Banche, poiché essi sarebbero tutti egualmente accetti al pubblico diventando egual mente spendibili.
E ci piace aggiungere un altra considerazione : — se è vero che il mercato italiano abbia bisogno di u i aumento della circolazione, il che è per lo meno discutibile, se, è vero che il Governo non abbia bisogno di fare concessioni a questa piut
tosto che a quella Banca, ma voglia trattarle tutte allo stesso modo, il provvedimento a cui noi ac cenniamo raggiungerebbe veramente il primo scopo di aumentare la circolazione senza farne uno spe ciale privilegio di fatto per una sola Banca. Poiché, insistiamo, F autorizzazione di oltrepassare il limite della emissione non è di profitto che alla Banca d’Italia ed al Banco di Napoli che soli si trovano ora in grado di raggiungere il massimo.
milioni 450 » 30 » 1 i l » .40 » 33 » 14 milioni 430 » 63
sembra tale da non domandare una apposita legge, ma una semplice istruzione impartita alle Tesorerie basterebbe. — In aln i termini si avrebbe il biglietto
unico a più forme apparenti. E siccome tutto l’im
barazzo attuale proviene da ciò che i biglietti esistenti, oltre avere differente forma apparente, hanno anche differente potenza d’acquisto nelle diverse provinole, si avrebbe tolto il male con grande vantaggio del pubblico. Sulle difficoltà tecniche che presenterebbe tale misura, ci pare inutile fermarci, inquantochè esse sono di lieve importanza, la Tesoreria che avesse sovrabbondanza di biglietti di una specie, potrebbe farne oggetto di versamento più largo alla Tesoreria centrale e questa riversarli alle Banche rispettive. In pari tempo la circolazione cartacea che oggi sarebbe ridotta, per la limitata sfera d’azione dei singoli Isti tuti, a circa Banca Nazionale . . . Banca Toscana . . . . Banco di Napoli . . . Banca Romana . . . . Banco di Sicilia . . . Banca Toscana di Credito
in totale 728 milioni diventerebbe di milioni 735 così divisi :
Banca Nazionale d’Italia. Banca Nazionale Toscana Banco di Napoli . . . Banca Romana . . . . Banco ili Sicilia . . . Banca Toscana di Credito
giacché il biglietto di ciascun Istituto acquisterei in potenza circolatoria e ciascuno potrebbe quindi raggiungere il massimo stabilito dalla legge 1874.
Concludiamo: è nostra convinzione, lo abbiamo già detto, che nelle attuali coedizioni economiche d’Italia si abbia a venire alla Banca unica, e sarebbe neces sario venirci subito per non aumentare le difficoltà che a questo provvedimento si possono opporre. Però fino a che dura l’attuale legge, che consacra il prin cipio della pluralità delle Banche, lieve il Governo adottare una condotta che le lasci vivere tutte e non metta le minori in balia delle maggiori. E a noi pare che le ultime misure prese dal Ministe ro non rispondano a questa necessità e quasi la scino intravedere che esso pure è convinto della necessità di una Banca unica e cerchi di arrivar vi opprimendo le B indie minori. Questa politica finanziaria sarebbe assolutamente dannosa agli in teressi del pubblico ; ed è al pubblico soprattutto che il Governo deve rivolgere le sue cure. L’at tuale stato di cose in alcune provincie è intolle rabile e costituirà a lungo andare una situazione sempre più difficile. Se il Governo non crede di af frontare oggi la soluzione del problema di un or dinamento bancario, si ispiri però nei suoi provve dimenti a quei principi di equità e di eguaglianza ai quali non dovrebbe mai venir meno, e non distrugga da se stesso l ’opera propria, rendendo difficile sem pre più la vita a quegli Istituti che esso ha crealo.
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A PROPOSITO DEL RIPOSO DOMENICALE
Nel nostro N° 478 trattammo la questione del > riposo domenicale sollevata dalla dimostrazione av-
J
venuta in Milano. Ora udiamo che dimostrazioni |simili som avvenute anco in Genova , non senza minacele di violenza eho hanno reso necessario l’in tervento della forza pubblica.
Nel condannare l’ uso di mezzi ¡Regali e violenti tutte le persone sensate sono d’accordo, ma non lo sono del pari sulla questione di massima. Noi di cemmo il parer nostro e ci dichiarammo contrari a qualunque vincolo che inceppasse la piena libertà del lavoro. Nulla è intervenuto in cosi breve spazio di tempo che ci possa aver fatto mutare opinione e quindi manteniamo quello che allora abbiamo detto, che cioè troviamo irragionevole ed ingiusta ogni di minuzione di libertà individuale finché essa nel suo esercizio non turba l’ordine sociale e non viola i di ritti altrui.
Nondimeno riteniamo opportuno di esaminare al cuni argomenti che si continuano a portare a so stegno della tesi del riposo domenicale, e l’occasione ci viene offerta da due opuscoli che abbiamo sot- t’ occhio, l’ uno del Prof. Mariano Mautero, l’ altro del Pruf. Ferdinando del Prato.
Il primo dei citati scrittori osserva che le que stioni sono due: 1° è ragionevole chiedere l’ inter vento dello Stato perchè venga lascialo agli operai un giorno di riposo nella settimana ? 2° dato che il legislatore non possa entrarci, è desiderabile che un giorno fra sette venga destinalo al riposo ? Sul primo punto l’ A. dice subito no, sul secondo sì colla stessa franchezza.Sul primo punto pertanto i| Prof. Man iero è d’accordo con noi e la sua dimostrazione è chiara, recisa, efficace. Ma chiarita tale questione, ritiene che un giorno fra sette dovrebbe da tutti essere lasciato liberamente al riposo. Nè gli pare suf ficiente argomento contro la sua opinione il dire che il giorno festivo provoca l’ubriachezza, chè, avverte, non vuoisi confondere l’ occasione colla causa, e fin qui ha ragione. E ha del pari ragione quando so stiene la insufficienza del riposo quotidiano e tira fuori tutti gli argomenti atti a provare che il riposo del giorno festivo giova alla salute e all’intelligenza dell’operaio. Quello cui non ci pare che il Prof. Mon terò tenga abbastanza conto si è se questo riposo di un giorno su sette sia sempre possibi'e. Come no tammo, speciali circostanze possono consigliare a un proprietario di negozio di far lavorare i suoi com messi anche la domenica, accordando loro piuttosto qualche giorno di congedo a quando a quando, e in certe industrie il lavoro continuato è una necessità. Coll’applicazione pura e semplice di quella massima si potrebbe dunque talvolta nuocere a quelli stessi che si vogliono proteggere.
L’ argomento che il Prof. Mantero ha trattato in modo spigliato e brillante è trattato pure dal Prof. Del Prato in forma diversa assai. Egli trova che il ri poso settimanale è una verità che discende dalla natura corporea e spirituale dell’uomo, dai suoi rap porti d’ordine religioso, domestico, civile ed umani • tario, e si propone di dimostrare la necessità di questo riposo per il raggiungimento dei fini umani, per l’ordine ed il progresso della società.
484 L’ E C O N O M I S T A 5 agosto 1883 to re , manifestò ancor più chiaramente la necessità
del riposo settimanale, come esigenza intellettuale e collettiva , come condizione della vita materiale e morale.
La stessa Convenzione francese istituì la decade, a cui con legge del 18 germinale anno X fu di nuova sostituita la dpmenica. Questo ritorno al ri poso settimanale prova, secondo il Prof. Prato, che il rispetto alla Domenica ha la sua base nella natura. Affermazione alquanto esagerata, alla quale l'Autore sembra tratto dal suo rispettabile sentimento reli gioso; più esatto sarebbe stato il dire che il con senso universale, per così dire, prova la necessità o almeno la convenienza clic dopo alcuni giorni di la voro se ne abbia uno di riposo.
L ’ Autore cita l’ esempio dell’ Inghilterra. « Nes suna nazione, egli dice, uguaglia la inglese nel ri - spetto del riposo settimanale, ed in questa parte la legislazione e la consuetudine accrescono la reciproca efficacia. Alla febbrile attività della manifattura e del commercio succedo la quiete ed il raccoglimento della domenica, giorno nel quale il popolo tutto ravviva i proprii sentimenti morali e religiosi. A Manchester vi sono 2000 stabilimenti che lavorano il cotone , 500 case commerciali che estendono le loro relazioni a tutto il mondo;.a Liverpool vi sono 36 docks; il Laneastro conta 550,000 telai e 30,000,000 di fusi; tutta l’ Inghilterra vanta un capitale di macchine uguale a 4,000,000 di cavalli a vapore. Ma nella domenica, lo ripeto, alla febbrile attività degli altri giorni settimanali succede la quiete più assoluta, chiudonsi i fondachi, le fabbriche, le botteghe, le banche, i tribunali ed i pubblici uffici. Nella Scozia è sospeso il servizio della ferrovia; sospeso ò pari menti quello della posta in tutta Scozia ed a Londra, e solo nelle altre Provincie si fa un’unica distribu zione. Lo botteghe stesse dei commestibili non re stano aperte che fino a mezzodì, e ciò per pura tol leranza, ma senza che siavi alcuna mostra nelle ve trine. » Eppure tutto questo non scema la potenza agricola, manifatturiera, commerciale dell’ Inghilterra, alla quale l’Autore scioglie un inno ili ammirazione, non senza aggiungere che l’ osservanza del riposo domenicale è uno dei punti fondamentali della le gislazione inglese sulle fabbriche.
Trahit sua quemque voluptas, e se nel Regno
Unito si crede di sospendere in tutto o in parte se- ■ condo i luoghi il servizio ferroviario o quello po
stale, noi non troviamo nulla da ridire. Solamente non ci parrebbe sistema possibile fra noi. Nei paesi protestanti in generale è il sentimento religioso che esercita la sua influenza non solo sui costumi, ma anche sulla legislazione. D’altra parte se l’Inghilterra osserva quelle pratiche, bisogna anche convenire che è giunta a un grado di sviluppo industriale e com merciale addirittura straordinario. Nel nostro paese invece, imporre a un industriale di interrompere forzatamente il lavoro nella domenica potrebbe equi valere a metterlo nel caso di non poter sostenere la concorrenza estera, ed allora si torna a quello che abbiamo detto, che cioè coloro che si vogliono prò teggere sarebbero danneggiati per i primi. Tutto quello che può porre il capitle in condizioni diffi cili o invogliarlo a cercare altro impiego che non sia l’ industria, si risolve' evidentemente'in fin dei conti in una diminuzione di lavoro per gli operai.
Lasciamo da parte gli Stati Uniti pur essi ammi rati dall’Autore, nel quale la preoccupazione religiosa
domina su tutte le altre considerazioni. Egli approva del resta la limitazione delle feste , ricordando che nello Stato Sardo qnesia fu sancita da un Breve pa pale del 1855 ed estesa dipoi alle altre parti d’Italia. Cita poi la nostra legislazione come prova di rispetto ai giorni festivi, e particolarmente il Codice Civile, quello di procedura civile e quello di commercio, il quale argomento non prova nulla, giacché, am messo, come tutti ammettono che i giorni di riposo ci hanno da essere, qui bisognava stabilirli regolar mente, nò vi poteva essere ragione per non am metterne uno su sette, secondo la generale con suetudine. L ’ Autore è tratto a concludere, come aveva avvertito in principio, che il riposo settima nale ha la sua ragione d’essere nella natura corpo rea e spirituale dell’ uomo. A questo punto discorre brevemente della necessità del riposo settimanale dal punto di vista dell’ igiene, della morale e della pub blica economia. Riguardo all’igiene, male si potrebbe impugnare quello che egli dice, specialmente intorno ai giovinetti che debbono passare molte ore nella scuola. Troppo idillico invece ci apparisce il periodo nel quale sostiene che I’ uomo sospendendo la lotta quotidiana per I’ esistenza s’ inalza ai grandi ideali dell’ umanità. Questo sarà vero per i pochi; non certo por i più, nè finché le cose anderanno come vanno attualmente, la domenica sarà pei più un giorno di vita intellettuale e morale. Se I’ Autore si fosse limitato a dire che la domenica pel riposo che pro cura. e magari per le ricreazioni che offre può ri temprare I’ animo dei lavoratori, sarebbe rimasto maggiormente nel vero, oom’è nel vero quando parla dell’influenza benefica esercitata dal passare un giorno in seno della famiglia. Ma pur troppo per molti la domenica è un giorno di dissipazione e non altro.
Finalmente l’Autore trova il riposo domenicale ne cessario dal punto di vista dell’ Economia politica , notando i rapporti di questa colla morale. Conclùde col dire (die la legge dovrebbe stabilire l’osservanza del riposo domenicale. Mancando questa legge, resta l’altro mezzo di stringere leghe fra gl’imprenditori, i commercianti, i commessi, gli operai, rendendole obbligatorie per un certo periodo di tempo ed av valorandole con ammende da infliggersi ai trasgres sori. Trova bensì l’attuazione di questo mezzo difficile a causa dell’egoismo ili deuni, i quali però dovrebbero essere mossi ad accedervi dai loro stesso interesse. Questo per i principali; quanto ai commessi ed agli operai, dovrebbero pensare che il riposo domenicale è un mezzo validissimo per diminuire la offerta del lavoro ed accrescere così i salari.
Indocti discant, ament meminisse periti. Noi non
condi-zinni deila locazione d’ opera. L ’ argomento poi pel quale l’ Autore sostiene le leghe fra commessi e e operai eo’me quelle che scemando la olferta del lavoro faranno crescere i salari, ci sembra singolare. Supponiamo al so'ito il caso molto facile di un in dustriale a cui l’interruzione del lavoro rechi gravi danni, e poi ci si dica se l’obbligarlo a codesta in terruzione-sarà il mezzo migliore per fare aumen tare i salari. Poiché non bisogna farsi illusioni; l’as sociazione dei commessi o dei lavoranti potrà otte nere in certi casi quello che isolati non avrebbero conseguito mai, ma se le pretese vadano al di là di un certo limite, il capitale dovrà rifiutarsi di accedere alla domanda, e potrà anco ritirarsi dall’industria. Ci sono oggi tanti mezzi d’impiego più comodi e ab bastanza lucrosi !
Da qualunque parte pertanto il problema si con sideri, pare a noi che non si possa, risolvere che ri spettando la libertà di tutti. La legge non farebbe che male coll’interveuire ; affidiamoci piuttosto alle consuetudini e all’ interesse stesso dei produttori, ai quali giova a non vedere stremate le forze dei loro dipendenti. Questi si uniscano pure nel loro interesse, ma non per propugnare I’ applicazione di massime troppo assolute di cui essi per i primi risentirebbero gli inconvenienti.
Li QUESTIONE FERROVIARIA I FRÀNCIA
S a ricordiamo i patti ai quali furono stipulale nel 1859 le convenzioni colle Società ferroviarie per la costruzione della 2 a rete — reseau — e le confrontiamo con quelle presentate alla Camera dei Deputati IT I giugno del corrente anno, indagando in pari tempo le loro cause determinanti, è debito di giustizia anzi tutto constatare che il Governo Imperiale, come il regime democratico, s’ informa rono all’identico concetto, quello cioè di tutelare gli interessi generali dello Stato e quelli dei capitali impegnati nella costruzione delle strade ferrate. Per farsi una idea esatta della questione, giova notare che nel 1859 la maggior parte delle So cietà ferroviarie era nella impossibilità di emettere nuove obbligazioni per adempiere, in fatto di costru zioni agli obblighi contrattuali, e quindi minacciata nella sua esistenza. Dopo accurati studi iti Governo concordò in due parti la divisione della rete di cui le Società erano concessionarie e proprietarie ; la l a fu composta delle linee già da molti anni eser citate, e iargamente produttive, la 2 a delle nuove linee di minor traffico, alle quali fu data garanzia d’interessi, — 4 per 0|0 e 45 centesimi per l’am mortamento — sopra un capitale determinato, ed altre condizioni accessorie; cosicché nel 1859, le Società ferroviarie chiedono la revisione dei con tratti nel senso,di un aiuto per l’avvenire e il Go verno Imperiale lo consente.
Nel 1885 lo condizioni respettive sono invertite tanto, che il Ministro dei lavori pubblici nella sua Relazione al progetti) di logge 11 giugno, si esprime come segue :
« La situation financière que nous nous garde
« rions de présenter dans un jour trop assombri,
« est bien loin cependant de s’être améliorée; en « presence des déficits des derniers mois, elle nécessite
« impérieusement des ménagements et des allégé—
« ments, et en premier lieu la réduction sensible des « budgets sur ressources extraordinaires. Cette con- « sidération devait nous conduire forcément a sub ii stituer dans la plus large mesure l'industrie pri- « vée à l’Etat pour la construction du 3° reseau, « et a étudier eu particulier le moyens d’ obtenir « le concours des Compagnies existantes.
lu sostanza nel 1859 il Governo Imperiale, richiesto, concorre in modo efficace. Al contrario il Ministro della repubblica, quando le speranze eccitate dal pro gramma Freycinet del 1878 si convertono in delusioni, la fantasmagoria si muta in realtà,reclama il soccorso delle società ferroviarie, i rappresentanti di queste, animati dallo spirito di conciliazione accettano nuovi onori, le convenzioni Raynal si stipulano, il pro gramma Freycinet è presso a poco in liquidazione, a grande insegnamento per coloro che, troppo fidu ciosi nel naturale incremento della pubblica ric chezza, credono potere impunemente dare eccessiva espansione di forza alle spese, dimenticando «he per la forza delle cose saranno loro malgrado trascinati al ristringimento. La Francia nell’ordine di fatti di cui è parola ci offre un salutare esempio. Ne faremo tesoro? Comunque accada sarebbe vano illudersi, fino ad ora i riordinamenti ferroviari anzi che la politica, l’amministrazione o le riforme economiche ebbero per causa In finanza, e per effetto le co struzioni e l’ esercizio affidati all’ industria privata. Se noi devoti per istinto, non che per raziocinio, alle libertà economiche, deploriamo la funesta mania d’accentramento, d’onde ebbero origine ostilità mi nisteriali precedute da polemiche giornalistiche con tro le società ferroviarie, a grave danno del pub blico erario, siamo lieti d’ osservare che in ultima analisi il vero s’ impone nell’ interesse bene inteso dello Stato e del Paese.
G .
Sa c e r d o t iLe convenzioni ferroviarie davanti la Camera francese
Avevamo in animo di offrire ai lettori dell’ Eco
nomista un largo riassunto delle discussioni che la
Camera francese avrebbe fatto intorno alle conven zioni per l’esercizio ferroviario. Ci consigliava a ciò non solo il fatto che quelle discussioni avrebbero po tuto molto illuminare la nostra situazione, ma anche la speranza di potervi incontrare delle novità. Infatti, riflettendo che l’opinione pubblica francese, la Ca mera ed il Governo poco tempo fa si mostravano avversi all’esercizio privato e volevano anzi il riscatto delle ferrovie, e la costruzione delle nuove linee fatta dallo Stato, ci pareva che, per quanto la mag gioranza avesse mutato idee, sarebbe rimasto ancora un forte numero di avversari dell’esercizio privato e tra i molti, credevamo ohe alcuni avrebbero so stenuto la loro tesi con nuovi argomenti.
Ora sarebbe stato preziosissima cosa per l’ inte resse del nostro D-aese tener conto di queste nuove ragioni, esaminarle attentamente ed apparecchiare cosi l’opinione pubblica italiana alla discussione che indubbiamente dovrà avvenire fra non molto nei nostro Parlamento.
486 L ’ E C O N O M I S T A 5 agosto 1883 rola per combattere le convenzioni, ina, spogliati i
discorsi da tutto ciò che riguarda le locali condizioni della Francia, la tesi generale dell’esercizio privato venne combattuta con ragionamenti molto al disotto della tenacità che dimostrano di possedere i difensori della onnipotenza dello Stato.
Gli avversari delle dottrino liberali si limitarono a sfoghi rettorici contro la « plutocrazia e banco crazia cosmopolita » ed invocarono in loro aiuto an che le ragioni strategiche e militari.
Ora in verità non valeva la pena di perdere tanti giorni per sentir ripetere dalla tribuna della Camera quello che più o meno sa dire anche il mittingaio, che cioè le Compagnie fanno l’interesse dei loro azio nisti, rappresentano l’alta Banca e che questa ar ricchisce per mezzo dell’esercizio privato.
Anche da noi, lo abbiamo già avvertito in un precedente articolo, si dicono su per giù le stesse cose. Ma questi facili oratori dimenticano che la loro tesi è diversa, e che essi la capovolgono per solle ticare la passione popolare con un ragionamento che nella sostanza manca di solidità.
Chi lo nega? Le Compagnie ferroviarie fanno il loro interesse, od almeno cerca o di farlo. Ma voi dovete dimostrare che questo interesse delle Com pagnie è contrario all’ interesse del pubblico, primo punto; secondo, dovete dimostrare che lo Stato, non avendo ad accontentare l’ interesse degli azionisti, sa soddisfare meglio delle Compagnie ¡’ interesse del pubblico. Ora invece i fatti hanno mostrato che le Compagnie, appunto perchè il capitale da esse im piegato frulli iì più possibile, hanno necessità di of frire al pubblico il miglior servizio; e che, guidate dal tornaconto, anima sola e vera delle industrie e dei commerci, le Compagnie devono studiare il modo di rendere accessibile al maggior numero di persone questo loro servizio. D’altra parte è noto che lo Stato, spinto quasi sempre da ragioni politiche, le quali sono, non solo di loro natura nobilissime, ma.anche ben diverse da quelle del tornaconto, non ha mai quella vera equità e giustizia distributiva che pos siede il privato, il quale vende la sua merce in modo eguale a qualunque compratore — lo Stato, lo si sa, favorisce colle tariffe, o in altro modo, la provincia tale, la -regione tal altra, il rappresentante di questo collegio o di quell’altro, per la stessa ragione per la quale distribuisce i reggimenti, non secondo le esigenze militari, ma secondo le influenze dell’ uno e dell’altro, costituendo dell’esercito un nuovo e sin golare stromento di beneficenza, col quale, se non la esercita, può esercitare la corruzione politica. E poi lo Staio, il quale comprende le spese ferroviarie nell’ immenso bilancio, sa nascondervi molte cose che vi sono e all’oecorrenza rnostrarvene molte al tre che non vi sono. Come nelle sue statistiche vi dice che la Posta, ad esempio, rende in Italia 10 milioni netti, mentre non lieti conto del fatto che il trasporto delle corrispondenze è bensì fatto dalle ferrovie senza correspsttivo valutato, ma ha certamente (poiché i trasporti non si fanno gratuiti) un correspettivo mag giore in qualche clausola dei contratti.
Ma coll’esercizio privato le Compagnie ed in genere l’alta Banca diventano potenti, dicono gli avversari ; e mostrano di temere questa p o t e n z a . N è lo ne ghiamo; quanto più si accumula il capitale in poche mani, tanto più esso diventa strumento formidabile. Ma è questa una ragione che milita a favore del l’esercizio privato. Poiché fino a tanto che questo
enorme capitale sarà in mano di liberi cittadini, che giustamente lo abbiano conquistato o raccolto, siamo sicuri che non ne potranno fare altro uso se non quello che la legge autorizza. E sarebbe strano a s sai che nel mentre si predica con tanta insistenza il risparmio, e si fa intervenire l’opera dello Stato ad aiutarlo ed organizzarlo, si volesse poi impedire la sua funzione nel migliore e più vantaggioso modo. Ma quando invece una potente accumulazione di ca pitale è in mano dello Stato, allora il pericolo è veramente gigante ; allora sono possibili, le corru zioni di ogni genere; allora uno stuolo di impiegali è, più o meno forzatamente, agli ordini del Ministro; allora influenze di ogni-genere si possono manife stare per togliere ogni verità alla volontà del paese. Nò gli esempi mancano.
Infine gli avversari si aggrappano alla questione militare. Se le ferrovie sono in mano dello Stato, dicono, siamo sicuri che iti ogni evenienza ci da ranno un servizio rispondente ai bisogni, ina se sono in mano della « Bancocrazia » chi ci dice che essa non si lasci corrompere dal i emico, o che almeno non voglia provvedere cou sufficiente zelo ai bisogni del l’esercito? — È giusto riconoscere che questo ar gomento non fece alcuna breccia alla Camera fran cose. Oggi il Governo ha delle forze militari espres samente addestrate al servizio ferroviario; può sempre nelle convenzioni imporre condizioni che bastino a tutelare le esigenze della sicurezza esterna ; ed oc correndo — salus patriae suprema lex — non gli manca il mezzo d’ impadronirsi d’ un tratto delle linee ferroviarie, cime si impadronisce delle cam pagne, delle case, e degli averi dei cittadini.
Dalla discussione adunque avvenuta colla Camera francese non abbiamo appreso che una sola cosa : gli avversari dell’esercizio privato sono allo stesso punto in cui erano per lo addietro, mentre i soste nitori di quel principio hanno accumulata tanta espe rienza, riuscita fatale all’esercizio governativo, da au mentare straordinariamente il numero dei seguaci delle dottrine liberali.
Sopra un ultimo punto dobbiamo discorrere, quello, degli scandali, per vedere se nessun insegnamento ne sia uscito. E veramente I’ insegnamento è solenne. Il sig. Laisant che si è fatto portavoce di quelli che sbraitano di carrozzini e carrozzoni, ha fatta alla tribuna della Camera una disgraziata figura « il s'est
exécutè » come dicono efficacemente i francesi ; dopo
aver affermato che la Camera si era lasciata comprare dalle Compagnie, non solo non. seppe nè dire un nome, nè dare una prova, ma ha dovuto dichiarare che non ha nè nomi nè prove.
ANCORA IL CANALE DI SUEZ
Come prevedevamo nell’ ultimo numero, la que stione del nuovo cauale di Suez va prendendo sem pre più un aspetto politico, sebbene coloro che uffi cialmente ne discutono si affatichino ad assicurare che vogliono mantenerla nei limiti di una discussione commerciale.Tuttavia, per quanto in questo caso gli interessi j del commercio sieno tali da far intervenire e so- I verrinare la politica, non cessa per questo che I l’argomento sia di suprema importanza per l’eeono- mia di tutte le nazioni europee e specialmente per ! le mediterranee; le conseguenze che potrebbero de rivare da un qualunque conflitto, anche diplomatico, col pretesto di difendere gli interessi commerciali di questo o di quello, sarebbero senza dubbio gra vissime anche per coloro che per la loro limitata potenza ed influenza sarebbero disposti ad accogliere di buon grado qualunque definitiva soluzione, la quale mantenesse libero a tutti il passaggio per l’istmo di Suez.
Sotto questo aspetto la discussione che il 30 luglio ebbe luogo alla Camera dei Comuni inglese è della massima importanza, poiché ci da una idea degli umori di quel paese, e ci crediamo quindi in obbligo di darne ai nostri lettori un riassunto.
Sir Staffimi Norlhcote aveva presentato una mo zione nella quale proponeva che fosse inviato alla Regina un indirizzo pregandola che, in tutte le trat tative alle quali S. M. potesse prender parte circa il Canale di Suez, pur rispettai do i diritti indiscu tibili della Società, voglia rifiutarsi di riconoscere qualunque domanda di monopolio esclusivo di ogni altro concorrente da parte della Società stessa, in quanto concerne le comunicazioni tra il Mediterraneo ed il Mar Rosso.
Sir Norlhcote prese la parola tra gli applausi dei membri del suo partito per svolgere lo loro [nozione. Dichiarò dapprima che desiderava, trattandosi di una questione delicata, di evitare ogni discussione che avesse un concetto irritante, ed affermò che consi derava la questione come un affare commerciale, e quindi non temeva, come molti erroneamente mo stravano di paventare, una discussione. Ammise quindi che ciascun membro della Camera il quale discuta affari che si collegano alle relazioni straniere assume una certa responsabilità, ma aggiunse che vi ha anche talvolta la responsabilità del silenzio, e che nulla più contribuisce agli equivoci quanto i mezzi termini. Perciò espresse il desiderio chi* la Camera pronunziasse sulla mozione da lui presentata una opi nione chiara e precisa, perchè il paese sia tolto dal l’imbarazzo nel quale lo lascerebba la silenziosa ac cettazione del linguaggio di qualche membro del governo.
Dichiarò quindi essere sua speranza che la Camera sconfessasse la ricognizione del diritto accampato dàlia Società del Canale per il monopolio esclusivo di ogni comunicazione d’ acqua attraverso l’ istmo di Suez. Così se la parola di qualche Ministero è stata mal interpretata, il Governo avrà occasione di ret tificarla ed egli se ne terrà soddisfatto' come di uno scopo raggiunto.
L ’oratore riconobbe che la Società ha senza dubbio un diritto esclusivo sull’uso e l’amministrazione del Canale che ha costruito e sopra certe concessioni
territoriali per allargarlo, ma sostenne che non ha affatto il diritto di impedire che altri scavi un altro canale attraverso l’ istmo di Suez. E tanto più si conferma in questo convincimento dacché lord Cairns ha approvato il parere espresso dall’avvocato Orazio Davoy contro il diritto esclusivo'. Conclude « agiamo verso la Società del Canale con spirito di saggia liberalità, ma non abbandoniamole il diritto di con correnza. »
Il sig. Norwod ha presentato il seguente emen damento: « la Cantera desidera di mantenere la sua intiera libertà d’ apprezzamento per tutto ciò ohe riguarda le comunicazioni per via d’acqua tra il Mediterraneo ed il Mar Rosso, e perciò si rifiuta di adottare qualunque proposta sulle future trattative intorno all’ argomento.
Quest’ emendamento venne accettato dal primo Ministro sig. Gladslone, il quale, pur riconoscendo che ii sig. Norlhcote aveva evitato nel suo discorso ogni allusione irritante, crede tuttavia che tale discus sione possa sempre essere nocevole agli interessi pub blici, poiché altri oratori potrebbero non avere la prudenza del capo della opposizione. Non divide poi l’opinione del sig. Norlhcote che si tratti di una que stione semplicemente commerciale e ricorda il lin guaggio della opposizione quando si trattò dell’acquisto delie azioni del canale; allora Jord Salisbury dichia rava che tnjttavasi più ili una questione politica che di una questione commerciale; e domanda a quelli che professano simile teoria, ch’egli ritiene insoste nibile, se credono che in questo affare il Governo in glese abbia un potere esclusivo, e se possa intervenire con un scopo politico senza che lo possano gli altri governi. Nè meno corrette gli sembrano le parole del sig. Sadsbury quando dice che con capitali in glesi si può scavare un canale britannico tra il Me diterraneo ed il Mar Rosso. Il sig. Gladstone osserva che non vi può essere canale britannico in altro luogo che non sia territorio britannico. E queste parole riscuotono gli applausi del partito liberale.
Il sig. Gladstone respinge la mozione del signor Norlhcote la quale, egli dice, non è in armonia col suo discorso, poiché essa cerca di escludere il mo nopolio delle comunicazioni tra i due mari e per conseguenza dì impedire che qualunque governo possa concedere al sig. Lesseps. il diritto di tagliare l’istmo ; e perciò quesia mozione sarà all’estero interpretata nel senso che ¡1 Kedive non abbia il potere di con cedere al sig. De Lesseps il diritto di formare una società universale, e che d’altra parte ciascuno abbia diritto di formare una società analoga senza autoriz zazione. Da ciò ricava che non solo la proposta Norlhcote è oziosa ma sotto molli punti di vista infelice.
perni-488 L ’ E C O N O M I S T A 5 agosto 1883 cioso e presenterebbe i più gravi inconvenienti se
per sventura la Camera, in un momento di debolezza, la approvasse.
Dopo il sig. Gladstone, il cui discorso Ita senza dubbio una grande importanza, ma che evidente mente mostra unica preoccupazione del Governo esser quella di nulla pregiudicare e intanto di gua dagnar tempo , presero la parola molti oratori, chi appoggiando chi combattendo la mozione del signor Northcote.
Finalmente, posta questa a votazione, 185 la ap provarono 2(>2 la respinsero.
Evidentemente la vittoria del sig. Gladstone, dal punto di vista della sua solidità politica è notevo lissima. Ma dal punto di vista generale, e diremo così internazionale, della questione non possano che preoccupare i 183 voti che approvarono la proposta del sig. Northcote. Infatti dcvesi riflettere che il Governo ebbe una maggioranza di 7!) voti dopo aver ritirata la Convenzione già stipulata col sig. De Lesseps, e quando si trattava non già di risolvere la questione ardente della esclusività nel diritto di escavare canali ne,'l’istmo, ma solamente di dichia rare che la Camera per ora non voleva pregiudicare con un voto la questione.
Quando fosse il momento di decidere, quanti dei 262 saranno per non riconoscere d diritto esclusivo? — Basta che 59 membri della Camera -abbiano la opinione dell’avv. Davey e di lord Cairns perchè il Governo sia in minoranza. — Non si può negare che la situazione non sia allarmante, visti gli inte ressi che sono impegnati in tale questione.
Rivista Bibliografica
Alessio Giulio. — Saggio sul sistema tributario e sui suoi effetti economici e sociali. Parte "prima : I.e basi economiche del sistema tributario. Voi. I. Le imposte dirette. — Torino, fratelli Bocca, 1883.
Stavamo incerti se attendere o no la pubblicazione dell’altro o degli altri volumi, prima di render conto di questo lavoro, poiché, lo confessiamo francamente, in mezzo alle numerosissime questioni che l’Autore discute o sfiora, rimandando ad altro punto una più larga trattazione, ci riuscì difficile, malgrado I’ at tenta lettura, di afferrare il concetto dominante, quasi diremmo lo scopo a cui egli mira. Aggiungasi che l’esposizione è fatta con una forma così pesante, così monotona da domandare al lettore una seria tensione della mente per non perdersi in mezzo alla succes sione contiuua di idee sempre nuove che escono fuòri da ogni inciso. Comprendiamo bene che un libro di scienza non ha lo scopo di divertire, e che esige anzi, da parte di chi legge, uno studio; ma pare a noi che prima cura di chi scrive debba esser quella di fissar bene un concetto il quale, anche se non espo sto, debba apparire alla mente del lettore, come una conseguenza logica delle cose lette. Questo lavoro a noi fece l’ effetto d’ un lungo, incessante, immutato mormorio di chi borbottasse, anche le più belle cose del mondo, con voce sempre uguale ; giunti alla fine, ci sentimmo stanchi.
Non già, diciamolo subito, che manchino alcune os servazioni meritevoli del più serio esame, ma forse perchè l’Autore non seppe bene ordinarsi la materia
prima di esporla, e non si prefisse: qui voglio dir questo e qui quest’altro ; e invece si lasciò dominare dalla smania di dir tutto fin dalla prima pagina, per cui ad ogni momento è costretto a ripetere: ma di questo parleremo più innanzi; di quest’ altro tratte remo in altro capitolo, ec., ec.
Alla sua opera che consterà, crediamo, di parecchi volumi, l’ A. premette una introduzione, dove, come è oggi di prammatica, comincia ad elogiare i pro fessori di economia ed anche i loro germogli; brutto sistema che fa sospettare ai maligni che in tal modo (e certamente qui non è il caso) si vogliano solle citare le grazie dei futuri giudici ;■ tanto più legit timato tale sospetto quando si vedono messi a pari altezza il Ferrara ed il Cosse, il Messedaglia ed il Boccardo : e peggio quando viene ammesso che tutti concorrano ad uno stesso indirizzo della scienza ; e peggio ancora quando si attribuisce al Ferrara l’in tento « di correggere i concetti teoretici fondamentali della scienza, tesoreggiando i resultati delle ricerche compite in Inghilterra ed in Germania ».
Lasciando però queste osservazioni, che hanno im portanza solo perchè in un lavoro di mole nuoce veder sprecate ingiustificatamente due pagine, e la sciando anche di rilevare le idee dell’Autore intorno al metodo di studio delle scienze sociali, idee che noi non dividiamo, diremo dello scopo dell’opera an nunziato nella introduzione « Posto, ìlice l’Autore, che nelle condizioni attuali della nostra civiltà sia forza prelevare, e in gagliarda misura, una parte del reddito dei cittadini, poiché altrimenti non sarebbe possibile allo Stato di esercitare, non tanto le funzioni com plementari e sussidiarie all’iniziativa industriale, ma le funzioni essenziali e costanti del suo istituto, ri cercheremo quale sia l’effetto, che nelle singole eco nomie private e nel complesso dell’economia nazio nale proviene dall’ assetto e dall’ ordinamento dei tributi. La scopo principale perciò è di riconoscere quale infine za eserciti la loro attuale conservazione sulla ripartizione della ricchezza, espressione econo- mica di quel fatto sociologico, che è la distribuzione delle classi nella società. » Perciò l’Autore divide in due parti la sua opera; la prima uno studio delle basi economiche delle imposte, la seconda la condizione dei singoli partecipanti al reddito netto e lo sviluppo della economia nazionale nelle varie sue forme.
un esame delle singole parti del lavora; diremo in vece mia parola sul giudizio generale che 1’ Autore emette intorno all’ attuale sistema tributario.
L’Autore osserva che l’ esercizio del potere legi slativo era affidato in Italia, fino a poco tempo fa, ad un corpo in parte eletto a suffragio ristretto con criteri notevolmente angusti, in parte di nomina regia fra date categorie designate più che dalla capacità individuale, dal grado e dal titolo ottenuto, e che anche nelle provincia e nei comuni, malgrado il più largo potere elettorale, vi ha prevalenza incontra stata la parte più agiata della cittadinanza; — con ciò spiega perchè il sistetna tributario abbia avuto un indirizzo esclusivamente fidanzano, in cui gli aggravi nel consumo e sulla ricchezza mobiliare furono in tal guisa ordinati, da renderne molto più sensibile il peso per le classi inferiori e per le classi medie, di quello che per le agiate.
Non negheremo che il sistema tributario italiano presenti questa condizione,- ma non dividiamo l’opi nione .dell’Autore rispetto alla causa. La Francia ha il suffragio universale, l'Inghilterra ristrettissimo; ma la differenza tra i sistemi tributari dei due paesi ci pare che rovesci completamente la dottrina soste nuta dall’Autore. Più valido ci sembra il suo ragio namento laddove parla della sconfinata azione del potere esecutivo in materia d’ imposte esercitata me diante i regolamenti ; ma ci parve esagerato il dire che « dimenticandosi la rappresentanza delle reali condizioni della società italiana, veniva a costituirsi nello Stato un’ ente artificiale, troppo separato, e di stinto dalla vita di essa. » D’ altra parte l’ Autore iti un lavoro -di janta mole doveva esaminare la questione confrontando leggi e regolamenti e non contentarsi di una semplice affermazione.
In tale giudizio sul nostro sistema tributario l’Au tore ha dimenticato uno studio che gli avrebbe forse dato modo di rettificare molte idee e di mo dificare alcuni apprezzamenti. Va benissimo che. il sistema tributario debba prima di tutto adattarsi alle condizioni economiche della nazione, ma quando lo Stato si trova nelle condizioni in cui si trovò I’ Italia in questo ultimo ventennio, bisogna tener conto che il sistema tributario deve mna izi tutto adattarsi alla esigenze del bilancio, esigenze che, prima di essere economiche, sono politiche e finanziarie. L’Autore non ha una sola parola per mettere in rapporto que sti due fatti, ed uscendo dalla vita reale, giudica il nostro sistema trìbutario relativamente alle dottrine economiche e non già relativamente alle condizioni in cui si trovò lo Stato. E questo è grave errore.
Avremo a dir qualche cosa anche sulla classifi cazione delle imposte e del diritti; nel mentre tro viamo eommendevoli gli sforzi che fa l’Autore per una razionale classificazione, non sappiamo com prendere come, senza discussione alcuna, ponga la imposta comunale sul valor locativo delle abitazioni tra le imposte sulla proprietà e non tra le imposte sul consumo, dove iuvece troviamo il lotto ; e la tassa di bollo e tariffa giudiziaria tra le imposte sulla circolazione, invece che tra quelle sulla proprietà.
E dove, parlando delle cause economiche e sociali che arrecarono un mutamento nel reddito fondiario, tien conto del debito ipotecario e per quanto riconosca che da quello non si può dedurre la quantità pre cisa di capitali erogati a vantaggio della proprietà terriera, vorrebbe però ammettere che « dove è maggiore la somma di mutui ipotecarli sia anche più
rilevante 1’ impiego- a favore della proprietà. Il che noi contestiamo. Troppi mutui ipotecari servono a pagare lo spreco del proprietario anziché i miglio ramenti fondiari, perchè le condizioni economiche, sociali, morali, giuridiche ecc. delle diverse regioni non abbiano influito, in misura differente, alla crea zione dei mutui.
E neppure dividiamo le idee dell’Autore in quanto riguarda « la sconto dell’ imposta su! prezzo di ac quisto dei terreni ». Egli prova impressione leg gendo nel Bianchini ii fatto che nelle provineie me ridionali, si toglie dal prezzo degli acquisti di terreni, una parte del capitale, corrispondente alla rata della tassa fondiaria. Ma questo è un l'atto generale che si manifesta non solo nelle provineie meridionali, ma da per tutto e da tempo immemorabile, tanto nei terreni regolarmente accatastati, come in quelli a catasti definitivi.
Ma lo ripetiamo non è.possibile un esame minu zioso di questo lavoro ; esso contiene troppe cosa, ed è naturale che, appunto per questo, ve ne sieno alcune di non buone. Sventuratamente, la forma poco chiara, od almeno pesante dello scritto, non fa spiccare quelle buone che pure non manche rebbero.
Annuario del r. Istituto tecnico e nautico di B ari — Anno 1882. Volume I. — Bari, Cannone, 1883.
Il sig. Vito Eugenio, Preside dell’Istituto tecnico di Bari, ci favorì un esemplare dell’Annuario 1882 che quell’istituto Ita intrapreso a pubblicare. In quel volume di quasi duecento pagine troviamo una serie di notizie degne della massima considerazione inquan to forniscono quasi la storia di quell’istituto tecnico e mostrano gli importanti miglioramenti che furono introdotti in tutte le sue parti specialmente in que st’ultimo anno scolastico, sotto la direzione solerte ed attiva del Prot. Eugenio. In una breve prefazione il sig. Preside avverte che questo primo volume è dedicato in gran parte alle notizie statistiche ed am ministrative dalla fondazione dell’ Istituto a tutto l’anno 1 8 8 2 , ma che nei volumi successi, doven dosi limitare queste notizie ad un solo anno, ri marrà largo posto per le memorie dei Professori. Ed aggiunge che la pubblicazione dell'Annuario « mira ad un altro scopo importante, quello di diffondere in quelle Provincie le notizie non ancora ben note sull’ insegnamento tonico, dal quale dipende in gran parte I’ avvenire di quelle popolazioni. » L’Istituto di Bari, — continua la prefazione — unico nelle Puglie, può rendere al riguardo grandi servigi, e special- mente oggi che, mercè le incessanti ed amorevoli cure del Governo, della Provincia , del Comune e della giunta di vigilanza, ha potuto mettersi in con dizioni tali da non invidiare nulla ai primari istituti d’Italia : auguriamoci — conclude — che queste cure sieno sempre ampiamente corrisposte da benefici ri sultati ».
li-490 L’ E C O N O M I S T A
5 agosto 1883 cenziati 21 stanno proseguendo gli studi o nelle Uni
versità o nella Scuola di Commercio di Venezia; — uno studia all’estero, — 8 alunni non hanno occupa zione nota; — 4 sono proprietari ed attendono allo faccende del loro patrimonio; — 5 esercitano la pro fessione di ingegneri ; — 10 sono professori presso istituti governativi ; — 3 sono ufficiali nell’esercito; — 18 esercitano la professione di agrimensori; — uno è Agente del Iti Tasse; — 5 sono impiegati presso Agenzie delle T a sse ;— 6 sono impiegati nelle Pre fatture; — due impiegali di Questura; — uno al Ministero della Pubblica istruzione; — uno al Mi nistero dell Interno; — tre ai Telegrafi; — uno al Genio militare ; — due al Genio civile; — tre alle j ferrovie; — due all’Intendenza ; — uno al Tribunale civile ; — uno ai Commissarialo militare; — uno alle Capitanerie di Porto; — uno ragioniere Municipale; — tre sono negozianti ; — 13 impiegali governativi senza indicazione; — due impiegati all’ estero; — due nelle Banche ; — uno avvocato ; — 9 hanno im pieghi privati diversi. Degli l i licei ziati cielTIstituto nautico, due sono imbarcati come secondo, uno è soldato, uno è marinaro nella r. Marina, un’ altro sotto-ufficiale, tre sono imbarcati come marinari; tre senza occupazione indicata.
Quante considerazioni si potrebbero fare su queste cifre! vorremmo che losse pubblicata un’analoga sta- ! tistica di tutti gli istituti tecnici e di tutti i licei del regno. Vi sarebbe molto da apprendere, e furse si raddrizzerebbero molle false idee che fanno persi stere nel correr dietro agli strascichi del tempo pas sato, mentre la vita reale incalza sempre più e do manda che le scuole dieno giovani i quali a vent’auni sappiano pure quanto si vuole della vita dei Greci e dei Romani, conoscano Senofonte, Eschilo, Platone, Cicerone e Cesare, ma non ignorino che cosa sia una cambiale e che cosa vog'ia dire testamento, con
tratto, eco.
Per terminare diremo che l’ Annuario contiene inoltre una « nota del prof. C. Berlocchi sui mo vimenti del suolo nell’Isola di Madagascar e sulla teoria di Darwin sugli scogli madreporici » od un’al tra c nota del Prof D. Bizzarì sul comportamento del Cloruro di Cloro aceti le con alcuni sali ».
Auguriamo anche noi che l'istituto di Bari risponda coi suoi risultati alle cure di chi lo dirige con tanto zelo.
Prpf. A. J . Db Johannis. Notizie. — La Unione tipografico editrice di To rino ha pubblicato la dispensa 27a del VII volume (Sellatile — Struttura e vita del corpo sociale) e la dispensa I 6 a del IV volume (P. G. Proudbou — Sistema delle contraddizioni economiche) della Biblioteca dell’Economista serie terza.
— La stessa solerle Casa editrice sta intrapren dendo la pubblicazione di un’opera dell’oc. Michele Milano alla quale coopereranno altri giuristi, « L a le
gislazione commerciale universale » che conterrà i
testi dei codici e delle leggi di commercio d’Italia Francia, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Unghe ria, Svizzera, Inghilterra, Danimarca, Svezia e Nor vegia, Russia e Polonia, Turchia, Rumenia, Serbia, Grecia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Messico, S. Salvadore, Nicaragua, Costa Rica, Haiti, Guate mala, Honduras, Columbia, Venezuela, Brasile, Pesè, Bolivia, Repubblica Argentina, Chili, Uraguay, Pa- j
raguay. — L ’ opera si pubblicherà in dispense e consterà di 10 volumi circa. Appena riceveremo la prima dispensa daremo conto del disegno dell’opera, intanto ne annunciamo la prossima pubblicazione, lieti che l’ardita impresa sia trovata di possibile at tuazione nel nostro paese dove gli studi del diritto commerciale non sono, in verità, troppo diffusi, per quanto contino delle illustre personalità che li col tivano. Ed alla coraggiosa Gasa editrice mandiamo un augurio perchè abbia un felice risultato dal suo ardimento.
Il movimento della navigazione italiana nel 1882
Nel numero precedente riassumemmo il movi mento commerciale, adesso ci varremo dei dati rac colti dalla Direzione generale delle Gabelle per render conto del movimento della navigazione nei porti del Regno durarne il 1882. Eccone in riassunto i resul- 1 luti principali :
Il 1882 fu per numero di bastimenti, inferiore al precedente; per capacità di navi e volume di mer canzia trasportata , superio e. Tra partite e appro date si contarono 237 ,7 4 2 navi, 394 meno che nel 1881 ; ma stazzavano 37,452,(162 tonnellate, cioè circa 3 milioni più che le 238,136 navi dell’ anno antecedente, e la mercanzia presa o scaricala am montò a 9,679,435 loirn., 88,502 piu che nel 1881. Tanto nella navigazione internazionale, quanto in quella di cabotaggio, appare scemato-il numero e il tonnellaggio dei bastimenti a vela * mentre cresce l’uno e l’altro per i piroscafi. I velieri del 1882 fu rono 166,876 stazzanti 6,869,188 tonnellate; mentre nel 1881 erano stali 169,590 d’uua stazzatura com plessiva di oltre 7 milioni di tonnellate.
In una delle tabelle annessa alla pubblicazione fatta dalla direzione predetta viene espresso con le cifre di un ventennio il movimento della navigazione italiana a vela e a vapore, cioè della navigazione internazionale e di cabotaggio dei velieri e piroscafi con bandiera italiana, il ventennio comincia dal 1863 e cominceremo dalla navigazione internazionale.
Dal 1863 sino al 1867 la vela italiana ebbe uno sviluppo continuo, ascendente, senza alcuna pertur bazione ; il tonnellaggio dei nostri velieri, che nel primo di questi due anni superava di poco il mi lione e mezzo, nel secondo oltrepassava di 40,600 lonnellete i due milioni. Nel successivo quadriennio il vento non le spirò più tanto propizio, pure, sei» bene depressa, resistette e si riebbe, sicché nel 1872 il tonnellaggio affidatole saliva a 2,362,427, la più grossa cifra di tutto il ventennio. Ma fu sforzo su premo. Nel 1876 la stazza dei velieri era discesa a 1,750,000 tomi., nè, checché si facesse, fu potuta lermare la discesa , sebbenee un qualche vantaggio si notasse nell’anno successivo. Nel 1878 la stazza tura scemò ancora, nè valse a nulla l’essere tornata nel 1879 alla misura del 1876.