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DISAGIO PSICOLOGICO LAVORATIVO E PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI CORRELATE: ASPETTI CLINICI, EPIDEMIOLOGICI E ACCERTATIVI MEDICO LEGALI

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TAGETE 1 - 2018 Year XXIV ISSN 2035 – 1046

DISAGIO PSICOLOGICO LAVORATIVO E PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI CORRELATE:

ASPETTI CLINICI, EPIDEMIOLOGICI E ACCERTATIVI MEDICO LEGALI

Angelo Porrone 1 Cinzia Calabrese 2

ABSTRACT

Sindrome del “burn out”, mobbing lavorativo e “work addiction” rappresentano le principali fonti di disagio occupazionale aziendale.

L’interesse per l’argomento in esame nasce dalla considerazione che lo stress da lavoro recita un ruolo di primaria importanza nell’insorgenza e nell’evoluzione delle malattie cardiovascolari che rappresentano, per rilevanza epidemiologica e clinica, il principale gruppo di patologie collegato allo stesso.

1 Angelo Porrone - Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Specialista in Medicina del Lavoro, Specialista in Dermatologia e Venereologia, Specialista in Oncologia, Isernia - Roma

2 Cinzia Calabrese – Biologa, Master II livello “Consulenza tecnica di parte e di ufficio” presso la “Scuola Nazionale Peritale di Roma - Dipartimento di scienze forensi, Isernia - Roma

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La letteratura di settore attribuisce, infatti allo stress lavorativo un ruolo eziologico di causa o concausa scatenante, sia per eventi cardiaci acuti, come l’infarto del miocardio, da considerare alla tregua di un vero e proprio infortunio lavorativo, in caso di stress acuto, con capacità lesiva della noxa patogena scatenante, in prevalenza evidentemente legato ad un repentino rialzo pressorio, sia in caso di cardiopatia ischemica cronica, quale possibile concausa prevalente, in caso di stress lavorativo continuativo, diluito nel tempo.

Volendo, quindi esemplificare, in presenza di una cardiopatia ischemica cronica, può apparire complesso il problema del riconoscimento di una malattia professionale, evidentemente non tabellata.

Identicamente problematico, sotto il profilo del riconoscimento del nesso di causalità, può apparire il caso di un infarto miocardico acuto, insorto in una certa data, in un lavoratore magari dedito ad attività lavorativa sedentaria, con successivo immediato ricovero presso un Reparto di Terapia Intensiva.

Infatti il mancato riconoscimento dell’infortunio sul lavoro, nella circostanza, può costituire elemento di articolata discussione e valutazione sotto il profilo medico legale, anche considerata l’alta incidenza di ricorsi, in tal senso, in sede giudiziaria.

L’argomento merita, nella circostanza, anche una trattazione specifica sotto il profilo dottrinario e giurisprudenziale.

Dover, pertanto, accertare in una Consulenza Tecnica d’Ufficio, relativamente ai fatti ascritti, l'eventuale origine professionale di una malattia ischemica cardiaca cronica o l’evenienza di un infortunio sul lavoro, legato ad un infarto miocardico acuto, nelle immediate vicinanze dello svolgimento di un turno di lavoro, per le circostanze verificate di uno stress lavorativo acuto, associato o meno a coesistente cardiopatia ischemica, richiama in realtà due fattispecie interpretative e valutative spesso di ardua collocazione e soluzione.

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Essendo l’argomento molto dibattuto nella letteratura scientifica del settore, malgrado numerosi studi indichino, in modo inequivoco, che l’infarto del miocardio e la cardiopatia ischemica rappresentino le patologie principali stress – correlate, gli autori hanno cercato di mettere in risalto gli aspetti essenziali che risultano fondamentali ai fini della soluzione dell’annoso problema della dimostrazione del relativo nesso di causalità materiale.

INTRODUZIONE

Una puntuale e rigorosa raccolta anamnestica rappresenta il primo cardine di una relazione medico legale, in merito al possibile quesito del giudice sull’esistenza di una malattia professionale cardiovascolare stress – correlata, o sull’evenienza di un infortunio sul lavoro, legato all’insorgenza di un infarto miocardico acuto, sia nell’ambito di una consulenza di parte che di una consulenza d’ufficio.

L’insorgenza improvvisa di un infarto miocardico acuto in un soggetto, lavoratore dipendente in precedenza asintomatico, rappresenta un’evenienza tutt’altro che sporadica.

Appare in tal senso assai importante valutare appieno:

 modalità di esplicazione dell’attività lavorativa nel turno di lavoro considerato o appena antecedente all’insorgenza del fatto acuto cardiovascolare;

 riscontro di fatti di lavoro incidentali con potenzialità lesive di stress acuto verificatesi nel corso del turno di lavoro predetto considerato;

 concatenazione cronologica con l’insorgenza di un infarto miocardico acuto, ovvero tempi di latenza fra stress psichico acuto ed evenienza dell’infarto del miocardio;

 ricognizione della possibilità della dimostrazione eziologica, ossia del nesso di causalità materiale eventuale fra stress psichico acuto, con le relative potenzialità lesive e infarto del miocardio successivamente o contestualmente insorto;

 compatibilità biologica fra i tempi della sintomatologia d’esordio, i tempi del riscontro diagnostico dell’evento cardiovascolare indicato e la temporalità dello stress psichico acuto eventualmente patito;

 raccolta dei fatti circostanziali e delle eventuali testimonianze anamnestiche, atte alla dimostrazione e documentazione dei fatti e degli eventi clinici all’occorrenza accertati o dedotti;

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 analisi e dimostrazione dell’eventuale nesso di causalità fra fatti lesivi noti ed evento morboso vascolare o cardiovascolare verificatosi, con indagine eseguita secondo i classici e rigorosi canoni della medicina legale, atti a valutare la causa sotto il profilo quali – quantitativo, modale, topografico, della plausibilità biologica, della compatibilità cronologica, di esclusione di altre cause.

L’esistenza di uno stress cronico lavorativo, evenienza tutt’altro che sporadica, va analizzata cercando di ricostruire in modo puntuale tutta la carriera lavorativa del soggetto esaminato, registrando e valutando gli aspetti documentali e circostanziali, i cambi di mansione intervenuti nel tempo, altri tipi di stressors a cui il soggetto considerato sia stato esposto, gli spostamenti logistici intervenuti nella vita lavorativa del soggetto, gli elementi di disagio ambientale eventualmente riscontrabili, il vissuto lavorativo del soggetto esaminato e ogni altro elemento di conoscenza che possa essere reputato utile ai fini dell’indagine da condurre.

DISCUSSIONE

Nell’ambito della raccolta anamnestica posizioni di direzione e di sorveglianza sul lavoro altrui possono risultare molto più stressanti rispetto a mansioni meramente esecutive, laddove le carenze organizzative e il basso profilo lavorativo possono apparire elementi di non poca rilevanza ai fini dell’insorgenza di uno stress cronico o della provocazione di uno stress psichico acuto.

Anche l’esistenza altrettanto non infrequente di carenze di organico, con un conseguente sovraccarico lavorativo, è una circostanza che va indagata con scrupolo ed attenzione.

L’essere stato nel corso della vita lavorativa sottoposto, quindi, a numerosi cambiamenti e/o trasferimenti, in sedi o reparti disparati, ovvero ad un continuo cambio di mansioni, nell’ambito di una Organizzazione Lavorativa molto estesa, con diverse tipologie di professionalità afferenti e con necessità di svolgimento di compiti e mansioni disparate, per evidente carenza, molto spesso, di personale atto a svolgere in maniera puntuale, continuativa e soddisfacente i compiti e le mansioni, di volta in volta, richieste alla bisogna, può sicuramente costituire un presupposto assai importante, atto al conseguimento di un elevato e disturbante stress cronico, specie in soggetti in tal senso predisposti.

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Le vicende aziendali, specie in contesti lavorativi molto estesi e diffusi, con riduzioni del personale periodiche o incidentali, intervenute nel tempo e registrate in modo più o meno generalizzato, possono in gran parte spiegare la necessità da parte dei dipendenti di sopperire, nel migliore dei modi possibili, alle eventuali carenze di personale manifestatesi e alle deficienze organizzative e strutturali eventualmente esistenti.

Si può, quindi, rivelare sicuramente molto stressante un’attività svolta per molti anni, in qualità di dirigente o di capufficio, per la numerosità e la complessità dei compiti di gravosa responsabilità da assolvere e le diversificate attività a cui attendere, che, in molti o nella gran parte dei casi, possono anche esulare dalle specifiche mansioni della qualifica, con impegno, peraltro, talvolta, anche pomeridiano, e con possibile reperibilità anche nei giorni festivi.

Nella realtà pratica lavorativa può perfino accadere che un dirigente, in molte realtà aziendali, sia spesso costretto perfino a sostituire direttamente i colleghi, di volta in volta, assenti per i più svariati motivi, ovvero finanche per lo svolgimento di adempimenti meramente materiali; queste inattese competenze che possono incidere, a vario titolo, su uno stato di salute non ottimale e, laddove espletate per necessità, e quindi mal tollerate, rappresentano sicuramente un ulteriore aggravio del carico energetico e soprattutto mentale di lavoro del soggetto, al punto da costituire sicuramente motivo di grave stress lavorativo, ovvero del cosiddetto “job strain” e del conseguente “psycological distress”, aspetti e termini di matrice anglosassone, tutti ben noti nella Medicina del Lavoro e, con relative possibili severe conseguenze e riflessi sullo stato di salute psico – fisica del soggetto in esame.

Sono peculiari e ben note, rivelate da numerosi e approfonditi studi di settore, nell’ambito della Medicina del Lavoro e dell’Organizzazione Aziendale, le conseguenze nocive del clima e del disagio lavorativo, ovvero delle carenze ambientali e strutturali, ossia dei cosiddetti stressors lavorativi che notoriamente sono in grado di interagire negativamente con il benessere psico - fisico di coloro che ne sono esposti, fino al punto di provocare, in modo usurante, veri e franchi quadri patologici o di aggravarli specie in soggetti predisposti.

Le patologie che si possono verificare sono sia di natura meramente psichiatrica, sia, in larga prevalenza, di tipo psicosomatico e , quindi, da ultimo, indirettamente e più diffusamente di tipo organico somatico.

Esistono diversi studi di settore e lavori scientifici correlati inerenti che si sono nel tempo occupati, al riguardo, della specifica natura dello stress lavorativo, analizzato

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secondo le sue caratteristiche peculiari, che sono tali da renderlo facilmente riconoscibile e diagnosticabile, sia per via diretta che indiretta, attraverso tutto lo spettro non solo delle manifestazioni cliniche ad esso attribuibili, ma anche e soprattutto attraverso i cattivi stili di vita che lo stesso è sicuramente in grado di indurre, incrementare e alimentare al tempo stesso.

Prima di analizzare le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle patologie prevalentemente inducibili, più facilmente, dallo stress lavorativo, appare opportuno analizzare prima, nello specifico, quindi, le caratteristiche peculiari intrinseche dello stress lavorativo e del suo impatto sulla sfera psichica e sullo stato fisico del soggetto lavoratore ad esso eventualmente esposto.

Esistono, in base alle più recenti recensioni della letteratura del settore, dei modelli predittivi in tal senso sull’induzione dello stress, riguardanti job strain, ossia il carico mentale energetico, quindi quello psichico, e le sue conseguenze immediate in termini di stress o di distress.

In base a tale impostazione sul modello predittivo il carico mentale risulta da una interazione fra la richiesta di lavoro e la portata ed entità della decisione lavorativa conseguente.

E’ stato quindi riscontrato che la combinazione fra una bassa risposta lavorativa rapportata all’entità della elevata domanda lavorativa richiesta è in grado di ingenerare un alto carico energetico mentale, ossia job strain (5).

Questo tipo di combinazione è anche associata con una insoddisfazione lavorativa.

Esiste al riguardo sotto il profilo statistico, una correlazione lineare fra l’insoddisfazione e l’entità elevata della domanda lavorativa che ne è la causa, in rapporto proporzionale diretto, fra job strain, carico mentale, insoddisfazione e job demands e job decision latitude, ovvero tipo ed entità della domanda lavorativa e posizione, ovvero tipologia e livello delle decisioni lavorative (5).

Rigido ruolo strutturale o limitate decisioni alternative sono anche alla base del job strain mentale e delle sue conseguenze eziopatogenetiche.

In effetti è facile riscontrare, nel corso di un’indagine di consulenza, che un’azienda di grandi dimensioni, in rapporto alla tipologia lavorativa che può emergere nell’indagine conoscitiva lavorativa di un determinato soggetto in esame, corrisponda abbastanza efficacemente a questo tipo modello.

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Rigidità strutturale, posizione, livello e tipo delle decisioni assunte, carico mentale e insoddisfazione sembrano attagliarsi a tipologie di situazioni ambientali lavorative come quella emersa nella presente indagine.

Relativamente alla presenza di stressors lavorativi, le ricerche sono state in grado di accertare la stretta correlazione esistente fra condizioni lavorative, stressors e conseguenze patologiche sulla salute dei soggetti esposti, comprendenti, nell’ordine, reazioni affettive, manifestazioni psicosomatiche, tipo la cefalea e vere e proprie malattie, fra le quali spiccano quelle cardiache in base a tutti gli studi di settore effettuati (1).

Vale la pena di soffermarsi sulle caratteristiche dello stress e, in particolare, di quello lavorativo.

Lo stress può essere identificato sia per la natura degli stimoli sia per il tipo di risposte evocate.

Gli stressors si distinguono in:

 acuti, se limitati nel tempo

 conseguenti se legati ad accadimenti negativi di vita, separazioni, lutti, divorzi, perdita del lavoro;

 cronico - intermittenti, come nel caso degli esami degli studenti, ecc.;

 cronici, come nel caso di discordie maritali prolungate, malattie debilitanti ovvero esposizione cronica a fattori di rischio e lesività lavorativa.

Il tipo di risposta agli stressors ambientali è individuale e riguarda la maggiore o minore sensibilità e suscettibilità dei soggetti eventualmente esposti (1).

La risposta è quindi legata ai tratti di personalità individuale.

Il soggetto con tratti ansiosi risponde incrementando tali tratti.

In pratica la risposta è modulata dalle caratteristiche quali quantitative ambientali, con gli stimoli conseguenti e i tratti di personalità individuale esistenti.

Peraltro le caratteristiche, ovvero l’impatto positivo o negativo del lavoro, rappresentato altrettanti fattori di rischio per l’insorgenza di disordini psichiatrici.

Nello studio Whitehall II, in un lavoro apparso nel 1998 sono stati esaminati soggetti lavoratori per 10 anni, con le caratteristiche dell’ambiente lavorativo e la relazione con la salute (3).

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Si è verificato che le ipotesi legate al carico mentale lavorativo, job strain, si correlano a:

• richiesta lavorativa,

• la posizione lavorativa aziendale, ossia la tipologia delle mansioni rese,

• livello e tipologia delle decisioni, controllo delle decisioni, abilità nelle decisioni e nella discrezionalità, laddove l’abilità in rapporto alla variabilità dei lavori appare di maggiore necessità.

Lo stress lavorativo appare combinato con l’entità degli sforzi lavorativi, misurati in rapporto al tipo di lavoro eseguito, con una scarsa attenzione alle possibilità di promozione e ad un incremento dei rischi per la salute esistenti nell’ambiente di lavoro.

Ciò può comportare, fra l’altro, lo sviluppo di disordini psichiatrici (3).

E’ possibile, quindi studiare l’insorgenza di patologie psichiatriche in base alle caratteristiche degli stressors lavorativi esistenti (4).

L’insorgenza delle patologie psichiatriche in rapporto alle caratteristiche negative dell’ambiente di lavoro è stata dimostrata esistere in modo causale.

Molti studi hanno dimostrato che le richieste lavorative elevate possono interferire in modo importante con la salute mentale.

A livello eziologico gli studi hanno dimostrato che le richieste lavorative nocive comprendono due o più mansioni lavorative e richieste conflittuali fra loro (5).

In uno studio del National Health Service, NSH, elevate richieste lavorative sono associate con riflessi negativi sulla salute mentale.

Secondo lo studio citato Whitehall II (3) le stesse hanno specifici effetti sulla salute mentale e incrementano il rischio di malattie cardiache e di disordini psichiatrici.

L’individuo può reagire in modo differente all’ambiente lavorativo con percezione di alti livelli di stress, oppure no.

Le caratteristiche individuali influenzano l’impatto dell’ambiente lavorativo sulla salute mentale.

Ciò dipende dalla percezione individuale del lavoro, ovvero da diverso modo di reagire agli stressors esistenti in ambito lavorativo.

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E’ indubbio in ogni caso che il loro logico peso l’abbiano le caratteristiche specifiche oggettive dell’ambiente di lavoro che può essere fonte di stress, in ogni caso, a prescindere dalla suscettibilità individuale.

È stato dimostrato in modo inequivocabile che lo stile del management interferisce ed ha un chiaro impatto sulla salute.

Sono stati ipotizzati interventi preventivi per preservare la salute mentale e fisica che raccomandano azioni pianificate su molti fattori di rischio della salute mentale.

Un’area di flessibile intervento è rappresentata dalla postazione di lavoro.

Sono state anche raccomandate una maggiore attenzione della comunicazione e del coinvolgimento dello staff, e una supervisione del controllo delle attività lavorative.

In un articolo apparso nel 2001 si evidenziata l’esistenza di una relazione reciproca fra stressors lavorativi e depressione (7).

Lo stress lavorativo, insieme agli eventi stressanti della vita, può condurre alla depressione, specie in caso di persistenza strutturale dei fattori stressanti occupazionali, che in vario modo possono anche contribuire alla comparsa di disordini psichiatrici.

Anche in Italia sono state compiute indagini sugli effetti del mal da lavoro sulla salute.

Stress, attacchi d’ansia, insonnia, irritabilità, ecc., colpirebbero circa 11,6 % dei lavoratori, senza limiti di età e di ceto sociale (1).

Secondo un rapporto dell’Ocse nel decennio 1995 – 2005 ci sarebbe stato un incremento dello stress da lavoro del 3,2 %, per cui oltre 1 italiano su 10 oggi manifesta disturbi psicologici legati al lavoro.

Lo stress è oggi indicato come la malattia più diffusa in ambito professionale.

Gli aspetti che maggiormente rappresentano le cause portanti dello stress lavorativo sono da ritenersi, quindi, nell’ordine:

 frustrazione legata al proprio ruolo;

 incertezza nella definizione dei compiti;

 ritmi e carichi di lavoro eccessivi;

 difficoltà nei rapporti interpersonali;

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 ambivalenza, talora delle decisioni prese, ecc..

Si potrebbe quasi dire che l’ambiente di lavoro rappresenti un vero e proprio centro di produzione dello stress, per una molteplicità di motivi, pur essendo l’influenza degli eventi esterni legata in buona o larga parte alle caratteristiche individuali.

Sotto il profilo eminentemente medico legale è sufficiente che gli stressors lavorativi abbiano agito in modo incisivo e costante e siano stati di forza lesiva sufficiente allo sviluppo dei quadri patologici, sotto il profilo patogenetico, al punto da farli apparire non di mero carattere endogeno, ma come reazione ai fattori esogeni ambientali.

Sovrastimolazione reiterata legata a fattori di rischio strutturali e organizzativi presenti nell’ambiente occupazionale, complessità e molteplicità dei ruoli da assolvere, sovrabbondanza di pressioni e di richieste, con carico emotivo stressante conseguente, necessità di sopperire comunque alle deficienze organiche e alle carenze strutturali ed organizzative endemiche, problematiche di difficile soluzione di carattere interpersonale, ovvero spesso conflittuali con i dipendenti, da indirizzare e coinvolgere a livello organizzativo, sempre legate alle carenze di personale e a livello organizzativo, necessità di adempiere in ogni caso ai compiti prevalentemente direttivi assegnati, ecc., sono tutti fattori di rischio e stressors che possono emergere in un’indagine conoscitiva riguardante la realtà lavorativa ed operativa in cui si può trovare ad operare un determinato soggetto nell’ambito dell’ambiente lavorativo di appartenenza.

Tornando agli aspetti epidemiologici legati allo stress lavorativo, è notorio che esista una relazione causale fra stress e salute, che nei casi più frequenti si manifesta con cefalea, tendenza all’affaticamento e alla scarsa reintegrazione delle forze psichiche, disturbi del sonno, problemi digestivi, con perdita di appetito o, al contrario, eccessi alimentari, riduzione delle difese immunitarie, con maggiore suscettibilità ad ammalarsi, ipercortisolemia, ecc., tanto per citare le conseguenze più frequenti dello stress, specie quello lavorativo (4).

Un numero crescente di ricerche ha confermato l’effetto negativo dello stress da lavoro sull’apparato cardio – vascolare, specie negli uomini, con incremento della pressione sanguigna e insorgenza dell’ipertensione, cardiopatia ischemica, infarto del miocardio, tachi – aritmie, con rischio doppio, secondo uno studio finlandese di decessi per malattie cardiovascolari nei lavoratori stressati (4).

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Sotto il profilo psicologico lo stress da lavoro può manifestarsi con ansia, depressione, difficoltà nella concentrazione, paura di sbagliare, iperreattività, ossia eretismo psichico, facile distrazione nel ricordare cose ed impegni presi, insoddisfazione ed insicurezza (6), (1), (4).

In realtà lo stress è divenuto nel tempo un problema sempre più difficile da affrontare e gestire nel mondo del lavoro, con reazioni e strategie diverse per superare e vincere lo stesso e con diverse ricadute sul piano individuale.

Lo stress rappresenta, quindi, il prezzo che il lavoratore deve pagare al proprio datore di lavoro e alla comunità per assolvere talora ai propri numerosi e gravosi compiti, specie nel caso di persone coscienziose e responsabili, un prezzo che non sempre è governabile e soprattutto correttamente quantificabile e pienamente apprezzabile per le reali ricadute sulla salute psichica e fisica del soggetto esposto, come evidenziato da numerosi lavori che la comunità scientifica ha pubblicato in tempi più o meno recenti come anche finora evidenziato.

Lo stesso termine e concetto di stress ha subito nel tempo un’evoluzione, per cui è stata sviluppata una teoria sulle modificazioni psichiche e biologiche della reazione di stress, chiarendone le caratteristiche di adattamento i comportando le applicazioni nello specifico nello studio delle manifestazioni dello stress nell’uomo (6).

Il termine di stress è stato introdotto per la prima volta da Selye nel 1936 che lo definì come una “ Sindrome generale di adattamento”, ovvero la somma di tutte le reazioni di adattamento in seguito alla prolungata esposizione a degli stimoli stresso geni ambientali.

Tale sindrome, in effetti, è organizzata in tre fasi successive:

 la prima di allarme, con una reazione di stress acuto in cui vengono messe in funzione le difese dell’organismo;

 una seconda di resistenza, in cui l’organismo è impegnato a fronteggiare l’evento stressante;

 una terza di esaurimento in cui l’esposizione all’evento stressante si protrae in modo abnorme nel tempo e lo stesso organismo non può mantenere a lungo oltre un certo limite lo stato di resistenza, per cui avviene il cedimento.

E’ in questa fase che si producono nell’organismo patologie difficilmente reversibili fino all’evento estremo della morte (6).

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L’importanza della teoria di Selye risiede nel fatto che, per la prima volta, si stabilisce l’esistenza di una relazione fra stimoli esterni pericolosi o minacciosi ed una reazione interna nell’organismo.

Viene inoltre stabilito che la reazione di stress agli stimoli è identica anche in caso di stimoli diversi e viene specificata la sua natura e significato, quale reazione di adattamento e di difesa dell’organismo che, però, in determinati casi, può dare luogo a delle vere patologie.

In effetti lo stimolo esogeno, prima di indurre la reazione emozionale deve essere elaborato, a livello cognitivo nel Sistema Nervoso Centrale, acquisendo in tal modo una veste emozionale.

E’ quindi importante il significato che lo stimolo assume per l’individuo e la risposta conseguente è influenzata da almeno due tipi di caratteristiche:

 entità oggettiva dello stimolo;

 significato che lo stimolo ha per il singolo soggetto.

Volendo catalogare gli stimoli appare scontato che maggiore è la rilevanza oggettiva dello stimolo o della situazione tanto minore appare il ruolo della reazione individuale, soppesata sia come reazione aspecifica o specifica, ossia, nell’ultimo caso, individuale (6).

Essendo la maggior parte degli stimoli di gravità oggettiva relativamente di minore rilevanza, maggiore appare la differenza della risposta individuale, con reazioni di stress sempre più specifiche.

Lo stress più semplicemente può essere innescato non solo da stimoli minacciosi, con conseguente reazione di difesa ma anche da altre forme di stimoli che possono afferire, ad es., alla sfera riproduttiva, alle interazioni psicologiche e sociali che riguardino l’attaccamento o la perdita.

Lo stress trova sempre un maggiore significato di ordine psicosociale quale reazione di adattamento alle diverse situazioni ambientali.

In determinate condizioni e oltre certi limiti la reazione di stress non appare più una semplice funzione di adattamento ma una possibile fonte di rischio per la salute fisica e mentale (6) (8).

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E’ in questo caso lo stress cronico prolungato che gioca un ruolo decisivo nell’insorgenza di talune note patologie generali come le malattie cardiovascolari, come si andrà ad illustrare in seguito e come riportato in una copiosa letteratura specifica del settore, nell’ambito delle patologie occupazionali (9).

Lo stress cronico è quello in cui l’esposizione agli eventi stressanti è continuo ovvero reiterato e subentrante nel tempo, fino a portare alla cosiddetta fase di esaurimento.

La reazione allo stress cronico può essere attutita, nel soggetto sia da uno stile di vita che evita nei limiti del possibile gli eventi stressanti sia da un filtro che ne minimizza gli effetti emozionali a livello individuale.

La protezione di tipo psicologico può poi venir meno, con effetti molto più devastanti qualora vengano superati dagli eventi tutti i meccanismi di difesa messi in atto dal soggetto.

Gli stressors mettono quindi l’individuo in posizione di combattimento e suscitano fisiologicamente una reazione di allarme.

In pratica se l’eustress, positivo e vitale consente di aumentare la capacità di comprensione e concentrazione dell’individuo, permettendogli di assumere rapide decisioni, uno stress logorante, prolungato e cronico, ossia il distress, è in grado di provocare patologie devastanti (7) (9).

Sul piano della sfera individuale, ricerche condotte per oltre 50 anni hanno permesso di suddividere i comportamenti umani, in rapporto alla tolleranza allo stress e all’ambito delle reazioni da questo innescabili, sostanzialmente in due gruppi che sono rappresentati dal Tipo A e dal Tipo B (1).

Gli individui appartenenti al Tipo A sono molto più vulnerabili allo stress e presentano una maggiore probabilità di soffrire di patologie stress correlate, ossia di disturbi psichici e fisici.

Si tratta di soggetti, in particolare, molto più vulnerabili nei confronti delle malattie cardiovascolari, segnatamente, l’ipertensione, l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale, ecc..

Al contrario gli individui di Tipo B hanno una maggiore capacità di resistenza agli eventi stressanti e una maggiore capacità di fronteggiarli e, quindi di non ammalare per patologie cardiovascolari.

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In particolare il Tipo A esprime i seguenti tipi di comportamenti, come qui appresso riportato (Settimana del Cervello/Brain Awareness Week 2008) (1):

 Competitività spinta e generalizzata a tutti gli aspetti della vita. Tendenza alla sfida e alla lotta.

 Aggressività (spesso repressa) presente costantemente in tutte le interazioni personali e sociali.

 Impazienza, insofferenza per i diversi ritmi altrui e per l'insufficienza degli altri.

 Tensione muscolare, discorso-"esplosivo", ipervigilanza, difficoltà al rilassamento.

 Tendenza a voler fare e ottenere un illimitato numero di cose in un periodo di tempo molto breve.

 Necessità esasperata del controllo totale nelle varie situazioni.

 Spinta all'acquisizione di cose, oggetti, beni e in generale al consumo.

 Spesso fumo, alcool, attività orali ripetitive.

 Scarsa attività fisica.

 Pochi interessi alternativi al lavoro.

 Alimentazione irregolare ed eccessiva.

Al contrario il Tipo B esibisce:

 Competitività selettiva e proporzionata all’ importanza degli obiettivi da raggiungere.

 Aggressività "fisica" indotta da stimoli adeguatamente frustranti, ma scarsa aggressività di base.

 Capacità di adeguarsi e di tollerare la diversità degli altri ed i loro differenti ritmi.

 Rilassamento muscolare, discorso tranquillo, vigilanza "fasica" facilità di rilassamento.

 Tendenza a proporzionare le cose da fare e da ottenere in rapporto al tempo disponibile.

 Disinteresse ad avere costantemente il controllo in tutte le situazioni.

 Relativa indifferenza al consumo e all'acquisizione di cose inutili.

 Fumo e alcool molto limitati.

 Attività fisica.

 Interessi alternativi al lavoro.

 Alimentazione controllata

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Gli individui appartenenti al Tipo A risentono in misura maggiore dello stress lavorativo (1)poiché pressioni lavorative, scadenze, difficoltà a rapportarsi con i colleghi, e richieste lavorative, alle quali è difficile rispondere, possono incidere profondamente sui modi con cui una persona percepisce e considera il proprio lavoro.

Sentirsi sotto grave tensione costituisce un esito negativo mentre sentirsi sfidati ed in grado di rispondere a tali sfide rappresenta un risultato positivo. In altre parole, l'impatto degli stressors lavorativi e la risposta personale dipendono notevolmente da come la persona stessa percepisce i fattori di stress.

L’impatto degli stressors lavorativi, si di tipo acuto che cronico è, quindi sicuramente maggiore nei soggetti di Tipo A che sono, quindi maggiormente suscettibili, in ragione dell’esposizione agli stessi stressors occupazionali, alle malattie cardiovascolari, segnatamente l’ipertensione, la cardiopatia ischemica e l’infarto acuto del miocardio, ma anche alle malattie dismetaboliche e all’eccesso ponderale oltreché, da ultimo a tendenze tossicofiliche, come il tabagismo che può dai fattori stressogeni lavorativi stessi essere sia provocato che esacerbato.

All’atto di un’indagine di consulenza medico legale, per i tratti di personalità manifestati nel tempo, per il suo modo di reagire alle diverse situazioni ambientali e per le caratteristiche anamnestiche lavorative ed anche extralavorative palesate, si può affermare che un soggetto considerato rientri o meno nell’ambito del comportamento del Tipo A, quello quindi che maggiormente risente degli stressors lavorativi e che, in caso affermativo, ha una maggiore suscettibilità individuale alle malattie cardiovascolari e dismetaboliche.

Andando, poi, a guardare nel dettaglio le caratteristiche del lavoro che sono più facilmente associate con lo stato di stress, si verifica che le stesse, esemplificandole, sono:

 Il sovraccarico lavorativo ossia un numero di ore lavorative superiore alle 40 ore settimanali.

 La mancanza del tempo indispensabile per svolgere un compito. Dover quindi lavorare in fretta e in modo poco preciso.

 La scarsa varietà e monotonia delle attività svolte. Svolgere sempre le stesse mansioni in modo meccanico e senza partecipazione.

 Il lavorare in situazioni ambientali poco soddisfacenti, il che rende difficile la concentrazione e la comunicazione con i colleghi.

 L'insufficienza o la mancanza di un riconoscimento o di una ricompensa per una buona prestazione.

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 L'ambiguità di ruolo. Mancanza di informazioni chiare a proposito delle condotte lavorative da adottare e imprevedibilità delle conseguenze delle proprie attività.

 Il conflitto con i colleghi o con i superiori. Mancanza di accordo con i colleghi di lavoro circa le procedure lavorative e interferenze di ruolo.

 L'insoddisfazione, la mancanza di realizzazione personale. Mancanza della certezza di un lavoro stabile o di possibilità di avanzamento professionale.

Impossibilità di esprimere appieno le proprie capacità.

 L'assenza di discrezionalità e di controllo. Quando non è possibile controllare in modo diretto i propri compiti e viene a mancare la possibilità di poterli svolgere nella maniera che si desidera.

 La presenza di eccessive responsabilità (1).

Gran parte di tali situazioni sono, in genere, ampiamente rintracciabili nell’anamnesi lavorativa di un qualsivoglia soggetto considerato, specie laddove, ad esempio, lo stesso abbia lavorato in qualità di responsabile prima di un settore e successivamente qualche altro, anche con responsabilità crescenti, in un’Azienda di grandi dimensioni.

Assai interessanti, al riguardo circa le patologie stress correlate appare proprio una pubblicazione specifica dell’INAIL, dal titolo “Le patologie stress correlate nella causalità di servizio in ambito INAIL” (2), pubblicata in epoche recenti, dove si evidenzia che “ … fra il 75 % e il 90 % della popolazione lavorativa mondiale presenta disturbi psicosomatici correlabili allo stress lavorativo (Casilli 2000). .. omissis .. “ e che in base alle domande esibite da oltre 300 dipendenti impiegati dell’INAIL, le patologie cardiocircolatorie rappresentavano il 68,7 %, gli stati d’ansia il 14,8 %, gli insulti ischemici cerebrali il 7,8 %, ecc., con una larga prevalenza, quindi delle malattie cardiovascolari per categorie di lavoro impiegatizio.

Ad ulteriore conforto di quanto prima esposto, è un lavoro scientifico dello Studio Whitehall II dell’anno 2006 che, dopo aver condotto studi di Fase 1,2,3 sulla morbilità psichiatrica nell’ambiente di lavoro ha concluso adducendo un incremento del rischio sulla salute mentale da parte dei fattori di rischio lavorativo (3).

Del resto anche in uno studio del 1996 veniva rilevata una stretta relazione fra job strain, carico mentale, e psycological distress, ossia stress psichico cronico, come appare in modo inequivocabile dai risultati degli studi di settore di tutta la letteratura mondiale esistente sull’argomento.

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In particolare in tale ultimo studio con 2889 soggetti reclutati, si verificava l’esistenza di una prevalenza dello stress psicologico in ambiente di lavoro pari al 27,8

% dei casi considerati, ciò che appariva supportare ampiamente l’ipotesi della stretta relazione fra carico mentale e stress lavorativo (3).

In altri studi, come uno apparso nel 2002, si palesava come lo stress lavorativo interferisse anche con i rapporti familiari e interpersonali dei lavoratori, con un incremento dei conflitti familiari e, indirettamente dello stesso stress collegato al lavoro in via sinergica.

La stessa spossatezza, intesa come neurastenia, ovvero come fatica cronica non reintegrabile, viene associata sempre in un altro studio del 2002 con lo stress da lavoro, indicando i risultati dell’indagine, ottenuti attraverso la somministrazione di test psicometrici, ancora una volta un incremento dello stress e dell’affaticamento cronico (fatigue) come tipici delle popolazioni lavorative indagate.

In una consulenza medico legale, l’indagine sull’eventuale esposizione a fattori di rischio psicosociali, può, il più delle volte restare, purtroppo, indeterminata, in quanto gli strumenti valutativi idonei come il modello di stress di Karasek, solo in tempi vicini sono entrati a far parte degli strumenti utilizzabili da parte del Medico del Lavoro Competente, ma nella maggior parte dei casi non utilizzati in ambiente di lavoro, anche in quanto non previsti dal quadro normativo di riferimento.

Non può essere certo l’impossibile mancata applicazione di un modello teorico pur valido di stress, come quello di Karasek a lasciare un dipendente privo delle sue tutele giuridiche, in tal senso, atteso che per la dimostrazione del nesso di causalità materiale, trattandosi di un giudizio non solo semplicemente probabilistico, ma soprattutto e , in particolare, di tipo fattuale e legato strettamente alle situazioni e circostanze verificate, tutte in gran parte ben rivelabili sia dall’indagine anamnestica lavorativa che dalle eventuali circostanze e testimonianze esistenti e rese, nel corso di un eventuale ricorso giudiziario per il riconoscimento di una malattia professionale o di un infortunio sul lavoro.

In effetti tali aspetti documentali e circostanziali sono da reputarsi gli unici realmente dirimenti ed attendibili in tal senso.

Che la presenza di un altamente probabile Job strain e del conseguente psycological distress, con tutto il corredo di patologie da stress lavorativo attese, non possa essere adeguatamente testata nello specifico, rapportata all’epoca di eventuali fatti ascritti, ovvero esattamente misurata, mediante somministrazione di test

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psicometrici in rapporto a pur ben evidenti fattori di rischio stressogeno presenti nell’ambiente di lavoro, non può rappresentare motivo tale da far considerare del tutto indeterminata tale evenienza in relazione al tipo di indagine da condurre, potendosi basare, in ogni caso sugli strumenti oggettivi e documentali disponibili.

La presenza, all’epoca di fatti eventualmente considerati, di chiare defaillances a livello strutturale ed organizzativo lavorativo, verificabili anche attraverso eventuali testimonianze, permettono spesso di attribuire caratteristiche usuranti al contesto produttivo lavorativo esaminato e alla tipologia lavorativa di appartenenza del lavoratore; in effetti anche dalla documentazione prodotta o acquisibile è talora possibile valutare l’esistenza di eventuali carenze organiche, per cui è spesso possibile dimostrare, in sede d’indagine peritale, che nei vari turni di lavoro il dipendente considerato sia stato costretto a subentrare agli assenti, vicariandoli di volta in volta nei vari ruoli e che l’andamento dell’attività produttiva rappresentasse fonte costante di situazioni conflittuali all’interno dell’ambiente di lavoro, ovvero anche che gli elementi microclimatici e il supporto logistico non fossero adeguati e congrui, ovvero ergonomici, da ultimo che l’andamento delle turnazioni fosse in equilibrio precario e che il mantenimento di una singola posizione aziendale rappresentasse un’eccezione e non la regola, quindi che, in sostanza, nel ciclo di lavoro fosse possibile dimostrare la presenza endemica di forti fattori di stress cronico ambientale, tutte circostanze e fatti facilmente deducibili e riscontrabili sia in sede di anamnesi che attraverso il vaglio degli elementi documentali eventualmente esistenti.

In pratica la presenza di stressors ambientali lavorativi, anche a forte valenza oggettiva, rappresenta, in qualsiasi tipo di indagine di consulenza, una circostanza facilmente e intuitivamente riportabile e deducibile, riscontrabile deduttivamente in ogni caso.

Del resto una presunta “indeterminatezza” relativa all’applicazione di un modello teorico di studio comunque adottabile, non esclude l’evidenza delle situazioni lavorative eventualmente esistenti e verificabili.

In ogni caso non si può negare la legittimità dei fatti documentali e delle prove riscontrate, sotto il profilo meramente giuridico, ai fini della dimostrazione del nesso causale.

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La valutazione oggettiva della esposizione a evidenti stressors ambientali lavorativi, da parte di un lavoratore considerato, è l’unica circostanza meritevole davvero di essere realmente considerata e valutata, ai fini di una certa indagine conoscitiva, insieme a tutti i fattori di rischio presenti e riscontrabili nell’ambiente di lavoro del soggetto in esame, nel luogo e all’epoca dei fatti eventualmente ascritti.

Esiste, peraltro, come riportato in letteratura, una relazione lineare che lega stressors ambientali lavorativi e job strain, e quest’ultimo allo psycological distress, ossia la fonte di possibili patologie da lavoro (3), (4), (5).

L’incrocio fra elevata domanda lavorativa job demand, e basso controllo decisionale, job control, tali da definire una condizione di job strain o stress percepito, in grado di dimostrare poi la comparsa di uno stato di stress cronico, secondo il modello di Karasek, non sembra un’eccezione, e non si può escludere solo per l’assenza delle risultanze di test specifici atti a dimostrare e quantificare lo stress percepito a livello individuale, fermo restando che in situazioni di disagio lavorativo ambientale e con presenza di chiari fattori di rischio intrinseci all’ambiente di lavoro, lo psycological distress conseguente, in una larga fascia di lavoratori afferenti ad un certo e ben conosciuto ambiente di lavoro, appare un dato epidemiologicamente altamente atteso, per non dire certo (5).

Spostando in pratica la disquisizione dal piano oggettivo a quello soggettivo, in base al modello proposto, l’unico dato incerto potrebbe apparire la percezione dello stress collegato al lavoro da parte di un determinato soggetto in esame, i cui tratti di personalità però possono essere ascritti, anche con esami successivi, al classico Tipo A, quello maggiormente predisposto per definizione allo stress cronico lavorativo e alle sue conseguenze sulla salute, specie quelle di carattere cardiovascolare e dismetabolico.

Il soggetto esaminato in effetti può rendere una fedele testimonianza della percezione usurante del suo lavoro, all’epoca dei fatti, sia attraverso le notizie anamnestiche dichiarate in tal senso, che attraverso eventuali testimonianze rese, nel corso del procedimento giudiziale, che non da ultimo, attraverso la documentazione prodotta che può in buona misura certificare e qualificare come percepito negativamente e non ben tollerato l’ambiente di lavoro, laddove venga descritto, in modo circostanziato, come disorganizzato e conflittuale.

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La stessa circostanza eventuale di un infarto del miocardio intervenuto appena dopo un diverbio, per motivi di lavoro, con un dipendente, anche dopo una breve latenza, può già di per sé evidenziare e sottolineare le caratteristiche di disorganizzazione e conflittualità dell’ambiente di lavoro.

Trattandosi, in ogni caso di un giudizio da formulare prevalentemente in materia civile e non penale, la dimostrazione del nesso causale non necessita nemmeno di ipotesi di tipo controfattuale, né di probabilità molto elevate, vicine alla certezza (vedi Sentenza Franzese del 2002).

Il problema reale, ai fini della dimostrazione del nesso di causalità, è rappresentato dall’esclusione di altre cause di tipo extralavorativo.

Un patologia coronarica, con una cardiopatia ischemica residua successiva ad un infarto acuto del miocardio, riconosce eziologicamente un’origine multifattoriale, legata, apparentemente alle abitudini alimentari e comportamentali, laddove il fumo di sigaretta, la sedentarietà e un’alimentazione sbilanciata e ipercalorica, insieme a condizioni patologiche coincidenti e consensuali, come il diabete, l’ipertensione e l’eccedenza ponderale, la familiarità eventuale, ecc., rappresentano tutti, sicuramente, fattori predisponenti assai importanti e noti.

La coronaropatia cronica e la cardiopatia ischemica conseguente dipendono essenzialmente dall’aterosclerosi, in speciale modo da quella coronarica (11), (12).

L’aterosclerosi coronarica e la cardiopatia ischemica riconoscono numerosi fattori di rischio predisponenti, ossia, nell’ordine:

1) Fattori predisponenti non influenzabili che sono

predisposizione familiare;

età;

sesso maschile;

2) Fattori di rischio di primo ordine

dislipidemia, in particolar modo un aumento del colesterolo totale e LDL, un aumento dei trigliceridi e una diminuzione nei livelli di HDLemia;

ipertensione arteriosa sistemica;

diabete mellito;

sindrome metabolica, obesità, bulimia, resistenza all'insulina, iperinsulinemia, malattie associate.

tabagismo.

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3) Fattori di rischio di secondo ordine

aumento della lipoproteina Lp(a);

iperfibrinogenemia > 300 mg/dL;

iperomocisteinemia > 12 micromoli/L;

anticorpi antifosfolipidi;

sedentarietà;

fattori psicosociali: stress negativo, stato sociale inferiore, e altro (11).

Nell’ambito dell’infarto del miocardio esistono poi, a livello eziologico e patogenetico anche e soprattutto:

Fattori scatenanti:

sforzi violenti, stress con grandi variazioni della pressione arteriosa (e conseguente aumentato postcarico o effetti inotropi, che aumentano la richiesta circolatoria da parte del miocardio) (11)

angina instabile (rischio di infarto del 20%)

ritmi circadiani: il 40% di tutti gli infarti avvengono al mattino tra le 6 e le 12, probabilmente in seguito al picco cortisolico.

Esistono, quindi, fattori predisponenti familiari o di altro genere, ovvero fattori di rischio acquisiti fra cui, ipertensione arteriosa, dislipidemie, malattia metabolica, obesità, e anche il tabagismo, oltre al diabete e ad altre condizioni predisponenti, ritenuti tutti fattori di rischio di primo ordine nella eziopatogenesi della malattia coronarica e dell’infarto (11), (12).

Le dislipidemie, la malattia metabolica, l’ipertensione, l’obesità, vengono reputate le più importanti condizioni morbose predisponenti, ovvero i fattori di rischio prevalenti nell’insorgenza tanto della malattia coronarica che dell’infarto, rappresentando anche il tabagismo una delle condizioni di rischio di primo grado e sicuramente non la sola (11), (12).

Sicuramente il tabagismo, intesa anche come consistente abitudine tabagica, rappresenta una condizione grave di rischio di primo grado nella eziopatogenesi dell’infarto e in assenza o carenza di altri fattori di rischio di primo ordine, come quelli citati, il principale fattore di rischio, insieme ai fattori predisponenti di tipo familiare e non, nell’insorgenza di un infarto del miocardio.

Il tabagismo, in ogni caso non è in grado da solo, se non in rarissimi casi, di spiegare l’insorgenza di un infarto del miocardio, rappresentando lo stesso uno dei

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principali fattori di rischio ma non il principale se non esclusivo fattore di rischio, in assoluto, fra le cause eziologiche riscontrabili dell’infarto del miocardio e della coronaropatia cronica, avendo, gli altri citati fattori di primo ordine, specie l’ipertensione arteriosa, ma anche l’obesità e la malattia metabolica, pari o superiore dignità eziologica fra le cause accertate di insorgenza dell’infarto del miocardio, come dalla stragrande maggioranza dei lavori scientifici inerenti (11), (12).

Un discorso a parte meritano, poi, i cosiddetti fattori scatenanti, illustrati in precedenza fra i quali lo stress con grandi variazioni della pressione arteriosa rappresenta il principale o uno dei principali fattori scatenanti di rischio, con possibilità di spiegare, pur in soggetti già affetti da condizioni silenti predisponenti, come una già instaurata coronaropatia cronica asintomatica su base aterosclerotica, l’improvvisa, inaspettata e repentina insorgenza di un infarto del miocardio (11), (13).

Già in uno studio del 1991 veniva affrontato il rapporto fra “job strain” e i fattori di rischio cardiovascolari, malgrado lo studio non fosse stato in grado di dimostrare, in maniera certa, esattamente, il rapporto esistente fra lo stress e i fattori di rischio cardiovascolari (15).

Si sottolineava, in ogni caso, che fra i fattori di rischio prevalenti apparivano sicuramente l’ipertensione, il fumo di tabacco, la predisposizione ereditaria, ecc., crescendo i fattori medesimi con l’età.

Comunque interessanti appaiono i risultati riportati nel lavoro scientifico (15), specie nella Tabella 6 allagata allo stesso, in cui la concentrazione di fibrinogeno, la pressione arteriosa, l’indice di massa corporea e l’abitudine al fumo di tabacco, venivano testati nel gruppo di lavoratori con ambiente occupazionale caratterizzato da scarsa abilità strategica nelle scelte discrezionali aziendali e della posizione del livello decisionale, pur senza arrivare a delle conclusioni certe fra detti rapporti.

Appare comunque sintomatico che già nel 1991, in precedenti studi scientifici, erano stati considerati e indagati tali fattori di rischio dell’ambiente di lavoro, pur senza conclusioni certe.

Sicuramente più attendibili e più certe appaiono invece le conclusioni di un altro studio apparso sull’European Heart Journal nel 2004 (16) che individua nell’aterosclerosi il fattore epidemiologico fondamentale di morte nel mondo occidentale.

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Si tratta di un lavoro di grande pregio e valore statistico, trattandosi di uno studio prospettico, atto ad indagare l’associazione esistente fra fattori psicosociali di stress e morbilità e mortalità relativa alle malattie cardiovascolari, a lungo termine nella popolazione indagata.

Le conclusioni dello studio sono che lo stress cronico individuale rappresenta un fattore di rischio indipendente, ovvero con un proprio peso specifico, per le malattie cardiovascolari, pur correlato agli altri fattori di rischio esistenti già conosciuti, ma continuando ad essere un fattore di rischio proprio pur con aggiustamento degli stessi altri fattori di rischio conosciuti (16).

In pratica lo stress psicosociale esercita direttamente o indirettamente degli effetti sull’organismo permettendo o incidendo su un super aggiustamento degli altri fattori di rischio.

Lo stress psicosociale è, quindi, di per sé un fattori di rischio, forse il principale, avendo un importante ruolo nell’insorgenza dell’aterosclerosi.

I meccanismi di azione dello stress psicosociale che causano le malattie cardiovascolari non sono perfettamente conosciuti e andrebbero ulteriormente indagati in base allo studio svedese riportato.

Attraverso una revue dei lavori scientifici davvero numerosi intercorsi nel tempo sull’argomento in questione, rapporti fra stress da lavoro e malattie cardiovascolari, è stato possibile valutare e palesare i legami strettissimi esistenti.

Già un lavoro apparso nel 1988 sull’American Journal of Public Healt identifica le caratteristiche dell’ambiente di lavoro in grado di provocare un infarto del miocardio (17).

Nell’introduzione vengono anche riportati due lavori precedenti, uno americano e uno svedese che avevano riscontrato un’associazione fra lo stress psicosociale e le malattie coronariche, in base a due modelli di stress lavorativi.

Le ricerche effettuate suggeriscono che la struttura sociale del lavoro è correlata con l’infarto del miocardio.

Gli aspetti principali riguardano il quadro organizzativo del lavoro e la produttività.

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La bassa abilità delle decisioni lavorative rappresenta il fattore di rischio CV più chiaramente identificato, con necessità di una maggiore flessibilità gerarchica delle strutture organizzative del lavoro.

Una pubblicazione coeva del 1988 apparsa sullo stesso giornale dimostra la necessità di un supporto sociale sul posto di lavoro per ridurre l’impatto dello stress occupazionale (18).

Una dettagliata analisi dello stress psicosociale correlato alle malattie cardiovascolari è apparsa in un altro lavoro scientifico del 2005, pubblicato ancora sull’”European Heart Journal” (14).

In questo studio, viene ancora dimostrato che lo stress psicosociale rappresenta un significativo fattore di comorbilità nell’ambito delle malattie cardiovascolari, mentre altri studi, riportati, avevano stabilito un nesso fra stress psicosociale, morbilità e mortalità delle malattie cardiovascolari.

I risultati dello studio dimostrano che lo stress psicosociale è presente nella gran parte dei soggetti reclutati, associato con varie diagnosi di malattie cardiache.

La stima del numero totale di pazienti con una o più di queste malattie cardiache, con esperienza di distress psicosociale è superiore al milione.

In particolare i risultati suggeriscono che individui con malattie cardiache, infarto del miocardio o altro tipo di malattia cardiaca cronica hanno avuto più facilmente una storia di stress psicologico rispetto a quelli senza malattie cardiovascolari.

Viene più volte sottolineata l’esistenza di una maggiore morbilità e mortalità associata allo stress psicosociale.

Solo il 31 – 35 % dei pazienti con stress psicosociale e malattie cardiovascolari ha goduto di una buona salute mentale professionale nel corso di 1 anno (14).

Circa i meccanismi patogenetici con cui lo stress provoca le malattie cardiovascolari si verifica, da una pubblicazione apparsa sul Journal of the American College of Cardiology nel 2008, che il distress psicologico è collegato soprattutto con l’ipertensione arteriosa che, a sua volta, rappresenta uno fra i principali fattori di rischio di eventi patologici cardiovascolari (20).

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Viene ribadito che esiste una robusta associazione tra distress psicologico e rischio di malattie cardiovascolari, come già verificato dall’analisi della letteratura scientifica di settore.

Angoscia, ansietà, depressione, ecc., sono tutti fattori predittivi dell’ipertensione e che un trauma acuto psicologico può provocare un notevole incremento della pressione arteriosa.

Già lo studio Whitehall II evidenziava l’associazione fra stress e accidenti cardiovascolari (3).

Numerosi studi hanno anche dimostrato l’associazione fra stress acuto e risposta infiammatoria (22), (23), (24).

Un’alterazione biologica cronica dei fattori biologici infiammatori viene collegata al rischio cardiovascolare (21).

Viceversa una riduzione dello stress si associa ad una riduzione degli eventi cardiovascolari (20), (22).

Episodi di depressione maggiore sono associati ad un aumentato rischio CV in altre pubblicazioni (7).

La depressione agirebbe attraverso 3 meccanismi:

 ipercolesterolemia, da aumento del cortisolo ematico,

 iperattività delle piastrine e della produzione umorale dei fattori biologici correlati, con un aumento della coagulabilità ematica,

 aumento delle aritmie cardiache da deficitario controllo vagale.

La sindrome ansiosa è associata ad un aumento del rischio CV, parrebbe per aumento del rischio di aritmie ventricolari (7).

Il Tipo caratteriale A è associato, a sua volta, ad un aumentato rischio CV di infarto miocardico (1), (16), (19).

I meccanismi pato - fisiologici, in questo caso, sono rappresentati da un aumentato rischio di stress e di abitudine tabagica, innescata e incrementata proprio dallo stesso stress.

Studi di segno opposto, come quelli collegati alla giustizia e all’equità in ambiente di lavoro, ben organizzato e meritocratico, dimostrano che ci sono benefici sulla salute cardiaca dei lavoratori coinvolti, sempre in base allo studio Whitehall II (2005).

In letteratura è possibile trovare numerosi articoli sull’argomento inerenti il rapporto fra lo stress e le malattie cardiovascolari.

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Già nel citato articolo apparso nel 2005 sull’”European Heart Journal” vengono riportati i risultati di un’indagine compiuta nel 2002 da parte del National Health Interwiew Surwey che confermano che lo stress psicologico rappresenta un significativo fattore di comorbilità per le malattie cardiovascolari (19).

Ma è soprattutto lo Studio Whitehall II che avvalora e convalida l’ipotesi che il disagio psicologico in grado di conferire un notevole incremento del rischio di malattia coronarica negli uomini, in rapporto allo stile di vita, all’isolamento sociale e, in particolare, alle caratteristiche del lavoro (23).

L’ambito dell’autorità decisionale, l’abilità nelle scelte decisionali e, in definitiva, l’autonomia decisionale, opportunamente testati e valutati sono risultati gli elementi discriminanti principali riguardanti le caratteristiche psicosociali del lavoro.

In un articolo apparso in “Circulation” nel 1999, lo stress cronico o subacuto lavorativo, rapportato al modello del “job strain” di Karasek e al., legato alle tensioni in ambiente lavorativo, si dimostrava, sotto il profilo eziologico, sicuramente alla base di un incremento di eventi acuti cardiaci (21).

Ancora più specifico in tal senso appare un articolo del 2002 pubblicato sul BMJ che evidenzia in modo assai significativo l’incremento del rischio di mortalità dovuto a malattie cardiovascolari in caso di alto stress lavorativo, ovvero di job strain (24).

Nella pubblicazione lo stress lavorativo appare collegato alle caratteristiche del posto di lavoro, all’organizzazione lavorativa, alle condizioni di mercato del lavoro e si fa espresso riferimento sempre allo studio Whitehall II per l’associazione fra l’incidenza di malattie coronariche cardiache e aumentato carico psicologico da lavoro, con aumento consensuale di ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, basso tono vagale, deficit di capacità fibrinolitica (24).

Esistono due modelli di stress da lavoro in rapporto all’aumentata incidenza di malattie coronariche.

Il primo è il modello job strain che si basa sulla alta richiesta lavorativa in rapporto ad un basso controllo del lavoro (25).

Studi di settore evidenziano, in tal caso, una serie di risposte negative con incremento sia delle malattie cardiovascolari che di assenze per malattia dal lavoro (23), (24), (26), (27).

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Un altro modello di stress da lavoro è quello che prevede lo squilibrio del bilancio delle forze, ovvero una richiesta energetica mentale o fisica superiore alle reali possibilità individuali, ovvero superiore alla norma.

Nelle conclusioni di un articolo apparso nel 1998 sull’American Journal si evidenzia come un basso controllo lavorativo e un alto costo energetico influenzino lo sviluppo di malattie cardiache, con un alto rischio di malattie coronariche (25).

Il livello decisionale, il carico energetico mentale impegnato e l’organizzazione del lavoro appaiono in stretto rapporto con l’insorgenza dell’infarto miocardico da uno studio similare apparso ancora nel 1998 sulla stessa rivista (26).

In quest’ultima pubblicazione si evidenzia come le condizioni psicosociali del lavoro rappresentino un fattore di rischio per l’infarto del miocardio in Svezia.

Una pubblicazione del 2004 evidenzia ulteriormente l’esistenza di una associazione fra stressors psicosociali e infarto del miocardio (16).

Articoli risalenti al 1993 già evidenziavano l’esistenza di uno stretto rapporto fra lo stress psicologico, la mancanza di reintegrazione della spesa energetica mentale e fisica e l’insorgenza di malattia coronarica, per cui l’affaticamento, lo stress psichico lavorativo e il malessere generale o altri fattori situazionali appaiono in stretto rapporto con l’insorgenza di tali quadri morbosi, incidendo la soluzione o l’attenuazione di tali problemi direttamente sui fattori di rischio diretti della malattia coronarica, quali l’ipertensione arteriosa, il tabagismo e la dislipidemia, ecc..

Risultati abbastanza sorprendenti ed in gran parte analoghi sono venuti da studi similari sui soggetti lavoratori di sesso femminile (28).

Da ultimo, in epoche più recenti, un articolo già citato del 2006 dimostra ulteriormente lo stretto rapporto esistente fra stress psicologico, sintomi depressivi, stati di ansia e insorgenza di malattie cardiache (9).

Studi più specifici sono stati poi compiuti per individuare i rapporti fra stress lavorativo e incremento della pressione arteriosa.

Ancora una volta job strain ha avuto effetti significativi sull’aumento della pressione arteriosa controllata ambulatorialmente (1998) (29).

(28)

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Già in un articolo del 1992 si evidenziavano i rapporti esistenti fra stress lavorativo, alcool e aumento della pressione arteriosa (30).

Tali concetti sono, da ultimo, stati ribaditi con uno studio apparso nel 2000 su Hypertension che ha confermato come lo stress da lavoro sia associato tanto con l’ipertensione arteriosa che con un aumentato rischio di malattie cardiovascolari (31).

Tutto ciò trova un collegamento sempre evidente con lo squilibrio fra richiesta lavorativa e possibilità di risposta energetica individuale.

Nel 2006 è apparso, fra l’altro un articolo sullo stress cronico da lavoro correlato alla sindrome dismetabolica (33).

Si tratta di uno studio prospettico assai interessante che dimostra come lo stress da lavoro rappresenti altresì un importante fattore di rischio per l’insorgenza della malattia metabolica.

Nello studio si chiarisce il ruolo dello stress cronico lavorativo nell’insorgenza della malattia coronarica, confermata sia da studi retrospettivi che prospettici, sia per un effetto diretto di tipo neuroendocrino che indirettamente con effetti mediati (33).

La malattia metabolica è un insieme di fattori di rischio correlati alla malattia cardiaca ischemica cronica quali il diabete tipo II, l’obesità, la dislipidemia aterogenica, l’ipertensione, l’insulino – resistenza, gli stati pro trombotici e pro infiammatori.

Le conclusioni dello studio evidenziano come lo stress da lavoro rappresenti un importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia metabolica (33).

Lo studio dimostra che esiste un’associazione dose – risposta fra esposizione allo stress lavorativo e sindrome metabolica (33).

Inoltre evidenzia l’esistenza di una plausibilità biologica fra meccanismi dello stress psicosociale e l’insorgenza delle malattie cardiache.

Un discorso a parte merita poi il problema del tabagismo.

Si è verificato che nell’insorgenza del tabagismo intervengono cause di ordine psicologico ovvero particolari stress psicoemotivi protratti nel tempo (34).

In effetti l’ambiente lavorativo può essere classificato fra gli stressors.

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