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I propulsori magneto-plasma-dinamici sono dispositivi che generano e accelerano un plasma.

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(1)

35

3

LA PROPULSIONE MAGNETOPLASMADINAMICA

3.1 Introduzione

I propulsori magneto-plasma-dinamici sono dispositivi che generano e accelerano un plasma.

Il plasma può essere definito come una miscela di ioni, elettroni e atomi neutri, aventi tutti circa la stessa temperatura (5000÷50000K), in cui ogni elemento di volume può essere considerato elettricamente neutro e nel quale una qualunque perturbazione viene schermata entro una lunghezza caratteristica detta lunghezza di Debye così definita:

2 0 0

q n

KT

e

D

λ = ε

dove n

0

e T

e

sono rispettivamente densità e temperatura degli elettroni del plasma.

Più chiaramente, la lunghezza di Debye è la lunghezza massima entro cui sono sensibili gli effetti di non neutralità e, per questo, deve essere minore di una qualunque altra lunghezza caratteristica del sistema per soddisfare il requisito di neutralità macroscopica del sistema stesso.

Se il plasma, caratterizzato da una conducibilità e da una velocità v, è sottoposto all’azione di un campo magnetico B ed un campo elettrico E tra loro perpendicolari, genera una corrente:

( E v B )

j = σ ⋅ + × (3.2)

(3.1)

(2)

Tale corrente elettrica interagisce a sua volta con il campo magnetico generando una forza di volume detta forza di Lorentz:

B j

f

b

= × (3.3) che accelera la massa del plasma.

Per spiegare il processo in termini di traiettorie medie degli elettroni è bene analizzare il moto di una singola particella soggetta a campi elettromagnetici.

Iniziamo col considerare una particella di carica q e massa m che si muove con una velocità v perpendicolarmente al solo campo magnetico B.

Essa è soggetta ad una forza:

B v q

F = × (3.4)

Sotto l’azione di tale forza il moto della particella è circolare uniforme con raggio, detto raggio di Larmor, espresso da:

qB

r

L

= mv (3.5)

e velocità angolare, detta frequenza di ciclotrone:

m qB

B

=

ω (3.6)

Se la velocità della particella ha una componente parallela a B (v

||

), questa non è influenzata dal campo e quindi la particella seguirà una traiettoria elicoidale con asse parallelo a B, raggio dato dalla (3.6) e passo pari a 2 v

||

/

B

.

Se è presente anche un campo elettrico l’equazione del moto diventa:

( E v B )

q

F = + × (3.7)

In questo caso il moto è più complesso, in particolare al moto

elicoidale espresso precedentemente si sovrappone il moto di deriva del

centro-guida (centro del cerchio di Larmor) con una velocità, detta velocità

di drift, diretta ortogonalmente ai due campi e data da:

(3)

37 B

2

B

v = E × (3.8)

mentre la componente del campo elettrico parallela al campo magnetico determina un moto uniformemente accelerato del centro-guida.

La particella soggetta a un campo elettromagnetico avrà, quindi, un moto rappresentato nella seguente figura:

Fig.3.1: Moto di una particella carica in presenza di un campo elettromagnetico.

Quando la densità e la temperatura sono elevate gli urti fra le particelle non possono più essere trascurati, quindi è opportuno considerare il moto di uno sciame di particelle in cui le collisioni sono da considerarsi fattori perturbativi. L’equazione del moto medio diviene:

m v E

v = q − ν

c

(3.9)

(4)

dove ν

c

, frequenza di collisione, deve essere considerata come un termine di smorzamento del moto. Si suppone che ad ogni urto la particella si ferma e ricomincia da quel punto un nuovo moto sotto l’effetto di campi elettrici e magnetici.

Per questa trattazione si può definire un parametro fondamentale, pari al rapporto tra la frequenza ciclotronica e la frequenza di collisione, noto come parametro di Hall:

c

ν

b

=

ω

(3.10)

Il parametro di Hall indica a quante collisioni è sottoposta una particella nel periodo che le è necessario a compiere una circonferenza di Larmor.

Si possono distinguere tre casi:

- Ω>>1: il plasma è poco collisionale e le particelle possono compiere molti cicli lungo la traiettoria cicloidale di drift prima di una collisione; la direzione della corrente è quella di E × , parallela al moto di drift delle B particelle.

- Ω<<1: il plasma è fortemente collisionale e le particelle difficilmente completano un ciclo senza una collisione; la corrente fluisce in prevalenza nella direzione parallela ad E .

- Ω ≅1: le componenti del vettore densità di corrente parallela e perpendicolare al campo elettrico sono di intensità paragonabile tra loro.

In un gas ionizzato ogni tipo di particella è caratterizzato da un ben

determinato valore del parametro di Hall che può essere anche

sostanzialmente diverso tra una tipologia di particella e l’altra; si possono

avere quindi correnti ioniche con comportamenti completamenti differenti

rispetto alle correnti elettroniche. E’ quindi opportuno distinguere, ad

esempio, un parametro di Hall Ω

+

relativo agli ioni ed uno Ω

-

per gli

elettroni; infatti il primo è molto più piccolo del secondo, avendo gli ioni

massa maggiore, e il comportamento dei due tipi di particelle sarà quindi

diverso come si può vedere in figura 3.2:

(5)

39 Fig.3.2: Effetto delle collisioni sul moto degli ioni e degli elettroni Dalla figura si vede che la corrente che nasce ha due componenti, una diretta convenzionalmente come il campo elettrico, l’altra diretta nella direzione E × . Questa seconda componente prende il nome di Corrente di B Hall.

3.2 Il processo accelerativo MPD

In un propulsore MPD il plasma ed i campi elettrico e magnetico necessari alla sua accelerazione, vengono prodotti semplicemente applicando un’opportuna differenza di potenziale agli elettrodi, presentando quindi un’estrema semplicità funzionale.

In un propulsore con geometria coassiale, che si è rivelata la migliore, la corrente, che tende a fluire quasi radialmente, induce un campo magnetico azimutale : la forza acceleratrice di Lorentz risulta quindi prodotta dall’intersezione tra il plasma, la corrente ed il campo magnetico indotto dalla corrente stessa.

Come mostrato nella seguente Fig. 3.3 le linee di corrente tra anodo e

catodo non hanno un andamento perfettamente radiale, quindi si hanno due

componenti della forza: una componente assiale detta di soffiaggio

(blowing), direttamente responsabile della spinta e una componente

centripeta detta di pompaggio (pumping) diretta verso l’asse del propulsore

che confina il plasma in un getto cilindrico

(6)

Fig.3.3: Schema di un propulsore MPD

In realtà il campo magnetico autoindotto non è perfettamente azimutale, e sono quindi presenti altre componenti di forza non utilizzabili ai fini propulsivi.

Fenomeni di natura elettrotermica e gasdinamica possono concorrere alla generazione della spinta. L’arco elettrico che si instaura tra catodo e anodo riscalda il propellente che successivamente si espande verso l’esterno del motore.

Solamente nelle fasi iniziali di funzionamento, cioè quando il plasma non ha ancora raggiunto la completa ionizzazione, e per regimi di basse correnti, tale componente di spinta risulta significativa. Opportune geometrie dell’anodo possono innalzare questo contributo fino al 30% della spinta totale.

Un’altra componente gasdinamica si deve, invece, all’iniezione in camera di accelerazione del fluido di lavoro da parte degli iniettori.

L’espansione è così esigua che è solitamente trascurabile.

Uno dei possibili approcci al problema della descrizione del processo accelerativo magneto-plasma-dinamico è quello macroscopico utilizzato dalla magnetoidrodinamica.

In tale contesto il plasma, definito come un insieme di ioni, elettroni

e neutri a carattere globalmente neutro, viene considerato come un continuo.

(7)

41 In figura 3.4 è rappresentato uno schema semplificato della configurazione reale degli elettrodi in un propulsore MPD.

Fig 3.4 Schema semplificato di un motore MPD

Attraverso i due elettrodi, a simmetria cilindrica, scorre una corrente che assume direzione puramente radiale nel passaggio da anodo a catodo.

La scarica di corrente induce quindi un campo magnetico avente direzione azimutale la cui intensità può essere facilmente calcolata tramite il teorema di Ampère e si può scrivere come:

⋅ ⋅

= ⋅

0

2 1 z

z r

) J z , r (

B π

ϑ

µ (3.11)

dove µ permeabilità magnetica nel vuoto

J = 2πrz

0

j

r

corrente totale nell’arco

j

r

componente radiale della densità di corrente

Dall’interazione della corrente (radiale) con il campo magnetico autoindotto (azimutale) si genera una forza in direzione assiale (blowing force):

r

c

r

a

B

θ

j

r

z

0

( - )

( + )

(8)

z

r

B e

j B j

f = × =

ϑ

⋅ (3.12)

Integrando sul volume del motore la (1.13) si ottiene l’espressione della forza assiale risultante, ovvero della spinta:

= ⋅

− ⋅

⋅ ⋅

=

0

0 2 0

2 2

0 2 0 2

2

4 4

z r

r c

z a

a

c

r

ln r dz J

r rdrd z z z

F

π

J

π ϑ µ

π

µ (3.13)

Il risultato trovato è applicabile anche a distribuzioni arbitrarie di densità di corrente lungo l'asse z, ammesso che sia mantenuta la simmetria assiale.

Nel caso di un catodo avente un’estremità conica con densità di corrente uniforme sulla sua superficie si ottiene, con un ragionamento analogo, per la spinta l’espressione seguente:

⋅ +

= 4

1 4

2

c

z

r

a

ln r F J

π

µ (3.14)

Nei casi reali la scarica di corrente non avrà direzione puramente radiale ma

sarà presente anche una componente assiale che, componendosi con il

campo magnetico azimutale, darà origine ad una forza in direzione radiale

(pumping force).

(9)

43 Fig 3.5 Schema di un propulsore MPD a geometria coassiale Tale forza viene bilanciata da un gradiente di pressione radiale;

essendo la forza radiale proporzionale al raggio (come si può dimostrare considerando l'interazione tra linee di corrente puramente assiali e campo magnetico azimutale), la distribuzione di pressione sulla faccia del catodo risulterà parabolica e, di conseguenza, non essendoci un bilanciamento di tale pressione sulla superficie esterna dell'anodo, ci sarà una componente addizionale alla forza assiale pari a:

π µ

8 J

2

F

z

= ⋅ (3.15)

La forza risultante diretta lungo la direzione assiale sarà dunque data

dalla somma della (3.14) e della (3.15)

(10)

⋅ +

= 4

3 4

2

c a

r ln r F J

π

µ (3.16)

In aggiunta, se vi fosse un campo magnetico applicato esternamente avente componenti sia in direzione assiale che in direzione radiale, si genererebbero altre componenti di forza assiale ed inoltre, ammettendo che siano presenti effetti del tensore di conduttività, varie interazioni con le correnti di Hall dovrebbero essere prese in considerazione.

3.3 Processi di ionizzazione del propellente

Per ionizzare un gas è necessario fornire agli atomi una quantità di energia tale da permettere l’allontanamento di un elettrone. Tale energia è detta potenziale di ionizzazione.

La ionizzazione del propellente può avvenire grazie ad eventi di diversa natura:

- per l’effetto di un campo elettrico che, mediante un’azione di natura elettrostatica, riesce a strappare un elettrone ad una particella neutra ionizzandola;

- per urti di particelle con elevata energia cinetica con particelle neutre che vengono così ionizzate;

- per trasmissione di energia elettromagnetica sotto forma di fotoni o per interazioni di tipo chimico.

Quest’ultima forma di processo di ionizzazione ha una rilevanza marginale nel caso di propulsione MPD.

Una delle teorie che riesce a spiegare in modo estremamente efficace il rapido processo di ionizzazione tipico dei propulsori MPD è quella degli elettroni sovratermici di Alfven[2].

Secondo questa teoria la ionizzazione del propellente subisce un brusco incremento quando la velocità relativa del flusso di particelle ionizzate rispetto al flusso di particelle neutre raggiunge il valore critico

a

ac

M

I

u = 2 ε (3.17)

(11)

45 dove ε

I

è il potenziale di ionizzazione e M

a

è la massa atomica del propellente; u

ac

è definita velocità critica di ionizzazione di Alfven; per l’argon, che è un tipo di gas molto utilizzato nella sperimentazione di propulsori MPD, assume il valore di 8700 m/s.

La (3.17) scritta in termini di energia diventa:

i ac a

u M

2

= ε 2

1 (3.18)

Un’interpretazione semplicistica della (3.18) è che si ha ionizzazione quando l’energia cinetica coinvolta nell’urto ione-neutro è tale da eguagliare il valore dell’energia di prima ionizzazione del neutro stesso. Questa interpretazione, tuttavia, non spiega la rapidità con cui avviene il processo una volta raggiunta la u

ac

. L’ipotesi che viene fatta è che la ionizzazione proceda grazie all’interazione tra particelle neutre ed elettroni che si trovano in un particolare stato energetico (elettroni sovratermici) a causa delle accelerazioni impartite loro da campi elettrici locali fluttuanti, dovuti all’istaurarsi di forme d’instabilità elettrostatica nel plasma.

Ammettiamo che in presenza di un campo magnetico B si abbiano un gas neutro ed un flusso di particelle ionizzate in direzione ortogonale al campo magnetico. Gli urti che si realizzano portano alla creazione di nuovi ioni, i quali, sotto determinate condizioni, acquistano un moto relativo rispetto alla corrente di ioni originaria. Quest’ultima condizione è riconosciuta come la causa dell’instaurarsi di una particolare forma instabilità detta two stream instability, che accelera gli elettroni liberi facendo loro raggiungere livelli energetici molto elevati. Sono questi elettroni i responsabili della rapida ionizzazione del resto del gas.

In un propulsore MPD, il campo magnetico azimutale autoindotto, il gas neutro iniettato in camera e gli ioni generati negli urti tra le particelle, creano le condizioni per il verificarsi di questo fenomeno.

Le condizioni indicate per l’instaurarsi dell’instabilità sono necessarie

ma non sufficienti; occorre che la densità di energia degli elettroni

sovratermici e degli ioni sia superiore a certi valori di soglia e che la

velocità relativa dell’urto ione-neutro sia all’incirca doppia di u

ac

. Questi

urti provocano anche la ridistribuzione della quantità di moto, limitando così

la velocità di scarico a valori inferiori a u

ac

finché la completa ionizzazione

non è stata raggiunta, solo allora il flusso esce dal propulsore con una

velocità pari a u

ac

.

(12)

Una volta raggiunta la piena ionizzazione, ogni incremento di potenza erogata al propulsore, in parte si traduce in un incremento della velocità di scarico, in parte alimenta i fenomeni di instabilità, di cui si dirà in seguito.

Alla condizione di piena ionizzazione corrisponde un valore ben preciso della corrente di scarica detta corrente di piena ionizzazione I

fi

.

Per caratterizzare il regime di funzionamento del propulsore si definisce il parametro:

I

fi

= I

ξ (3.19)

detto numero di scala di accelerazione elettromagnetica.

Se <1, la ionizzazione del propellente non è completata e le velocità di scarico scalano linearmente con :

ac

e

u

u = ξ (3.20)

Quando invece >1, il propellente è accelerato a velocità di scarico tali che:

ac

e

u

u = ξ

2

(3.21)

Pertanto con regimi di funzionamento caratterizzati da elevati valori di , si ottengono impulsi specifici significativi accompagnati, tuttavia, da fenomeni di malfunzionamento dovuti all’instabilità del plasma (onset). In queste condizioni il propulsore presenta un’usura elevata, con conseguente riduzione della vita operativa, una sensibile riduzione dell’efficienza propulsiva, effetto della natura dissipativa di questi fenomeni.

I dati sperimentali reperibili in letteratura, indicano che il campo entro

cui un propulsore MPD funziona in regime PQS senza incontrare problemi

cui si è fatto cenno, è caratterizzato da 1< <1.5.

(13)

47

3.4 Prestazioni di un propulsore MPD

Il raggiungimento di livelli di prestazioni più elevati di quelli attuali è uno degli obiettivi a cui è legato il successo della propulsione MPD.

Occorre quindi individuare opportuni parametri che consentano di caratterizzare le grandezze su cui è necessario e/o conviene agire per il miglioramento delle prestazioni.

3.4.1 Il modello della spinta

L’espressione generale della spinta può essere sempre posta nella forma:

u

e

m

T = (3.22)

in cui u

e

è la velocità efficace, ma è una quantità difficilmente misurabile e poco correlabile con le grandezze elettriche del propulsore. Nel caso di un motore MPD coassiale a campo magnetico autoindotto, se si integrano le forze elettromagnetiche di campo, assumendo una certa distribuzione delle linee di corrente e nell’ipotesi di catodo cilindrico di lunghezza infinita, si ottiene la seguente espressione per la spinta:

=

c a

r I r

T log

4

0 2

π

µ (3.23)

che è indipendente dalle caratteristiche del fluido.

Se si desidera un catodo di lunghezza finita dalla cui estremità, semisferica o conica, si suppone staccarsi la maggior parte delle linee di corrente, la (3.23) si modifica in :

+

= 4

log 3 4

0 2

c eff a

r I r

T π

µ (3.24)

A parità di corrente e dei parametri geometrici r

a

ed r

c

, la spinta ottenuta è superiore a quella che si ottiene con catodo di lunghezza infinita.

Si osservi però che le relazioni (3.23) ed (3.24) non dicono nulla sulla

potenza necessaria ad ottenere la stessa intensità di corrente per l’una o per

l’altra geometria; in definitiva non si può dire quale delle due sia la

soluzione più efficiente.

(14)

Queste espressioni della spinta per quanto ottenute da un modello semplificato del propulsore trovano una buona conferme sperimentale qualora la si scriva come:

+

= µ π ϕ

c eff a

r I r

T log

4

0 2

(3.25)

L’espressione della spinta può essere scritta come:

bI

2

T = (3.26)

con b coefficiente di spinta elettromagnetica, funzione della geometria del propulsore. La relazione di dipendenza quadratica della spinta dalla corrente trova buon accordo con i dati sperimentali per il regime di piena ionizzazione.

Nel regime di parziale ionizzazione i dati sperimentali evidenziano una dipendenza lineare tra la spinta e la corrente di scarica. Questa circostanza è in buon accordo con l’ipotesi che la spinta elettromagnetica sia dovuta alla sola componente ionizzata del flusso.

Per valori di corrente inferiori a quella di piena ionizzazione e nella condizione che il processo di ionizzazione del propellente avvenga secondo i meccanismi precedentemente descritti, il flusso di uscita possiede una velocità inferiore alla velocità critica di Alfvèn,[1] come è espresso dalla (3.17), pertanto la spinta può essere espressa come:

ac

e

m u

u m

T = = ξ (3.27) Sostituendo la (3.20) nella (3.27) si ha:

I I u T m

fi

=

ac

(3.28)

Questa relazione mostra come, in condizioni di parziale ionizzazione del propellente, la spinta elettromagnetica vari linearmente con la corrente di scarica. Per uniformità con la relazione valida in campo di piena ionizzazione si può esprimere la spinta come:

I

2

b

T =

pi

(3.29)

(15)

49 dove il coefficiente b

pi

, coefficiente di spinta nel regime di ionizzazione parziale, è funzione di I e coincide con b per I I

fi

.

3.4.2 L’efficienza di spinta

Per qualunque dispositivo a propulsione elettrica, l’efficienza di spinta è definita come il rapporto tra potenza fornita in termini di spinta e la potenza elettrica assorbita:

VI u m

e2

/ 2

η = (3.30)

Nel caso del motore MPD a campo magnetico autoindotto, in condizioni di piena ionizzazione del propellente e trascurando il contributo elettrotermico alla spinta, la (2.21) diviene:

V m

I b 2

3

=

2

η (3.31)

Risulta evidente dalla relazione (3.31) che per aumentare il rendimento si deve aumentare il valore del numeratore, il che vuol dire incrementare il livello di spinta del propulsore, oppure ridurre la caduta di tensione fra gli elettrodi.

Per incrementare il livello di spinta ottenibile bisogna sfruttare adeguatamente il contributo elettrotermico. Ciò significa però aumentare la pressione nella camera di accelerazione per poi sfruttare l’espansione in un ugello opportunamente disegnato; l’aumento di pressione si scontra però con l’esigenza di mantenere adeguati livelli di ionizzazione del gas propellente. I tentativi di recupero dei due contributi di spinta si concretizzano nella realizzazione di motori ibridi Arcogetti-MPD con particolari geometrie, che tuttavia danno buoni risultati per valori di potenza in ingresso non superiori a 100 kW.

Il denominatore della (3.30) può essere ridotto cercando di

comprendere i fenomeni dissipativi che governano il plasma, riducendo le

aliquote di energia dissipate nelle turbolenze interne e i fenomeni che ne

incrementano la resistività. La caduta di tensione può essere sostituita con

un’espressione derivata dalla considerazione che la potenza in ingresso

viene spesa, parte in accelerazione utile, parte in riscaldamento resistivo del

plasma:

(16)

2

2 1

u

e

m zI

VI = + (3.32)

Introducendo al secondo membro l’espressione che fornisce la spinta in funzione del quadrato della corrente e dividendo ambo i membri per I, si ottiene:

m I zI b

V 2

3

+

2

= (3.33)

Esplicitando il termine legato all’impedenza del propulsore, l’espressione di V è:

+

= m

I dV b J V I

2

1

2 2 3

σ (3.34)

Per migliorare il rendimento occorre quindi dominare i termini contenuti nell’integrale e quindi comprendere i meccanismi di dissipazione che caratterizzano il plasma.

3.4.3 La caratteristica elettrica

La caratteristica elettrica è quella funzione che, in qualunque dispositivo elettrico, lega tensione e corrente.

In un propulsore MPD l’esame dell’andamento della caratteristica elettrica, oltre a fornire immediatamente un ottimo mezzo per risalire ai valori di spinta ottenibili, esplicita i diversi regimi di funzionamento in cui va ad operare un motore di questo tipo al variare della corrente.

Un tipico andamento della caratteristica elettrica di un propulsore

MPD operante in regime pulsato quasi stazionario è mostrato in figura 3.6.

(17)

51

I II

III

ln I ln V

I

fi

I

*

Fig 3.6

:

Tipico andamento della caratteristica elettrica per un propulsore MPD

Dall’esame della figura si possono distinguere le tre diverse zone in cui si può trovare ad operare il motore:

- I : corrente inferiore a quella di piena ionizzazione (I<I

fi

). La dipendenza tra V ed I è di tipo lineare. Si hanno bassi valori dell’impulso specifico e del rendimento di spinta;

- II : superata la condizione di piena ionizzazione (I

fi

<I<I

*

). La dipendenza tra V ed I è di tipo cubico. Il rendimento di spinta e l’impulso specifico aumentano rapidamente all’aumentare della corrente;

- III : siamo in condizioni di onset (I>I

*

) e si iniziano a manifestare

fenomeni di instabilità. La dipendenza tra V ed I torna ad essere

lineare. Sugli elettrodi si notano grosse fluttuazioni del potenziale

con frequenze tipiche del propellente adoperato (per l’argon sono

circa 100 KHz). Si accentuano notevolmente i fenomeni di erosione

degli elettrodi, in particolar modo dell’anodo. Convenzionalmente, si

assume che il propulsore entri in condizioni di malfunzionamento

quando le oscillazioni nella tensione raggiungono il 10% del valore

medio del segnale.

(18)

3.4.4 La caratteristica elettrica dimensionale

Le caratteristiche elettriche tracciate per uno stesso propulsore, per differenti valori di portata, presentano una sostanziale coincidenza delle pendenze dei vari tratti caratteristici prima indicati. La differenza evidente è nel prolungamento del tratto lineare (zona I) al crescere del valore di portata, imputabile alla maggiore potenza necessaria alla completa ionizzazione del flusso.

La legge con cui varia la corrente di piena ionizzazione al variare della portata è esprimibile dalla relazione:

m k

fi

I

fi

2

= (3.35)

dove k

fi

, detto fattore di carico di massa, è una costante che dipende dalla geometria del propulsore e dal tipo di gas impiegato. La conoscenza di tale parametro è importante per avere informazioni immediate sulle condizioni di piena ionizzazione al variare del valore della portata.

Dividendo i valori della corrente per la corrente di piena ionizzazione e i valori di tensione per la tensione corrispondente alla corrente di piena ionizzazione, si ottengono grafici adimensionali, che per le diverse portate sono praticamente coincidenti. Il grafico unico che ne risulta prende il nome di “caratteristica elettrica adimensionale”, e la sua utilità è evidente quando si consideri che, nota essa, per la conoscenza della caratteristica elettrica per un determinato valore della portata è sufficiente conoscere i valori di I

fi

e V

fi

.

3.4.5 Fenomeni di malfunzionamento

Come si può vedere dalla caratteristica elettrica, per una data portata di propellente, per valori superiori ad una certa corrente critica I*, un propulsore MPD manifesta fenomeni di malfunzionamento, detti di onset, che sono evidenziati dalla presenza di fluttuazioni nel segnale della caduta di tensione agli elettrodi con frequenze, per l’argon, di 100÷400 kHz;

convenzionalmente, si assume che il propulsore entri in condizioni di malfunzionamento quando le oscillazioni nella tensione raggiungono il 10%

del valore medio del segnale.

L’aspetto più deleterio legato all’onset è un brusco incremento

dell’erosione dei componenti nella camera di accelerazione, in particolar

modo dell’anodo e dell’isolante interposto tra gli elettrodi.

(19)

53 La sperimentazione ha messo in evidenza la seguente correlazione tra I* e la portata di propellente:

m I

*2

*

=

κ (3.36)

con κ * dipendente dalla geometria del propulsore e dal propellente impiegato.

Dalla (3.36) si può concludere che l’onset è un fenomeno che limita l’impulso specifico ottenibile per un dato propulsore. Introducendo, infatti, nell’espressione (1.5) le espressioni (3.26) e (3.36) si ottiene:

0

* 0 2

0

g

b g

m bI g m

I

S

= T = = κ (3.37)

che mostra il legame tra impulso specifico e κ *.

Altro fatto verificato sperimentalmente è che le fluttuazioni nella caduta di tensione interelettrodica, che sono quelle che più direttamente manifestano l’insorgenza del fenomeno, dopo aver raggiunto un picco di intensità massima, tendono a diminuire sino a scomparire del tutto per valori crescenti della corrente, e si entra in un regime nel quale permangono ancora elevatissimi tassi di erosione, tanto da essere definito come ablation dominated.

La comprensione delle cause del fenomeno costituisce ancora uno dei settori predominanti di tutta l’attività di studio nella propulsione MPD, essendo l’onset ed i fenomeni erosivi associati fra le principali cause che ostacolano l’ impiego di questi propulsori. Sono stati formulati, quindi, vari modelli di interpretazione nessuno dei quali ha però esaustivamente trattato l’argomento. Vengono sostanzialmente addotti due ordini di motivazioni:

l’una riconduce il fenomeno ai processi che avvengono all’interno del plasma, a particolari forme di instabilità che lo caratterizzano, l’altra agli effetti che possono verificarsi in prossimità degli elettrodi.

In particolare, a questo secondo ordine di motivi va ascritta l’ipotesi

anode starvation, intendendo con questa definizione una diminuzione della

densità dei portatori di carica nella regione dell’anodo in seguito

all’incremento della componente radiale della forza di Lorentz sulle

particelle cariche al crescere della corrente. Quando la densità di corrente

richiesta per mantenere la conduzione nella regione anodica diviene più

(20)

elevata del flusso elettronico di agitazione termica, cresce il campo elettrico tra gli elettrodi per aumentare la quantità di elettroni per la conduzione. In queste condizioni si possono verificare attaccamenti concentrati dell’arco sull’anodo che sono fonte di surriscaldamenti e fusioni locali dell’elettrodo.

Agli effetti della diminuzione della densità di carica in prossimità della superficie anodica si pone rimedio con l’iniezione del propellente, oltre che in prossimità del catodo, anche ad nella regione anodica. Questa particolarità di disegno è quella, tra le varie utilizzate, che ha sortito il miglior effetto ai fini pratici, avendo prodotto un incremento della corrente I* anche di un fattore due.

Le instabilità del plasma costituiscono la seconda delle cause cui vengono imputati i fenomeni di onset. Queste si presentano sotto forma di perturbazioni oscillatorie che, interessando particelle cariche, si traducono in fluttuazioni locali del campo elettrico. Le cause di tali instabilità non sono tuttora note. Il fatto rivelante è che esse, a differenza della propagazione di un’onda in un gas non conduttore, sfruttano interazioni a distanza di tipo elettrico propagandosi in innumerevoli modi. I disturbi, in un plasma a riposo, verrebbero poi schermati dagli effetti dei campi elettrici che si instaurano localmente nel mezzo. In un plasma di tipo accelerato tipico dei propulsori MPD, le forti correnti che lo attraversano e la presenza di gradienti di temperatura costituiscono una sorgente dalla quale le instabilità attingono energia per sostenersi.

Per correnti inferiori a quella di piena ionizzazione, proprio queste instabilità, esaltando il moto elettronico, generano il fenomeno di ionizzazione a catena del propellente.

Raggiunta la completa ionizzazione, quantità di energia sempre più

elevate estratte dalla corrente condotta portano ad un incremento del

fenomeno dell’instabilità che ha come conseguenze variazioni di viscosità,

alterazioni nei processi di scambio termico e, soprattutto, un aumento della

resistività del plasma (resistività anomala), con conseguente riscaldamento

turbolento che innalza le frozen flow losses, ossia aumento il livello di

energia che viene imprigionata nei moti interni del propellente e che non

viene quindi utilizzata ai fini propulsivi.

(21)

55

3.5 I propulsori MPD a campo applicato

Fino ad ora abbiamo considerato propulsori MPD con campo magnetico autoindotto, che necessitano di alte potenze per avere correnti di scarica elevate per poter generare campo magnetici tali da fornire spinte apprezzabili.

Per lavorare con potenze inferiori, al di sotto dei 100 kW, è necessario applicare dall’esterno il campo magnetico utilizzando un solenoide, avvolto all’esterno dell’anodo. Lo schema di un MPD con campo magnetico applicato è schematizzato in Fig. 2.5.

Fig. 2.5 : Schema di un propulsore MPD a campo magnetico esterno Il forte campo magnetico assiale ostacola il flusso di elettroni verso l’anodo, forzandoli a seguire traiettorie che si protraggono ben a valle della sezione di uscita. Nelle zone dove le linee di corrente curvano assumendo una componente radiale più marcata, la forza di Lorentz, generata dall’interazione della corrente con il campo esterno, presenta una componente azimutale, che aiuta il sostentamento del moto spiraleggiante degli elettroni. La corrente generata da questo moto, detta corrente di Hall, interagisce con il campo magnetico dando vita ad una componente assiale di spinta.

L’applicazione di un campo magnetico esterno adeguato migliora le prestazioni dei propulsori MPD che operano a potenze inferiori a 500 kW.

Catodo Solenoide

Anodo Isolante

Linee di corrente

Linee di campo magnetico

(22)

Nel caso di campo applicato, quindi, alla componente di spinta espressa dalla relazione (3.23), che è presente anche nei propulsori con campo autoindotto, si aggiungono altri due importanti meccanismi di accelerazione del plasma[2]:

- accelerazione di Hall, dovuta all’interazione tra la corrente azimutale, indotta dalla componente assiale del campo magnetico esterno, e la componente radiale dello stesso campo;

- accelerazione gasdinamica, dovuta all’aumento della temperatura del plasma a causa del maggior numero di collisioni che si hanno per il moto rotatorio del plasma generato dall’interazione della componente radiale della scarica con la componente assiale del campo magnetico applicato.

RIFERIMENTI

[1] Choueiri E.Y., Kelly A.J., Jahn R.G., “The manifestation of Alfven’s hypotesis of critical ionization velocity in the performance of MPD thruster”, AIAA-85-2037, AIAA/JSASS/DGLR 18

th

International Electric Propulsion Conference, Alexandria, Virginia, October 1985.

[2] “Study on methods to increase efficiency of applied field MPD thrustrers operating in the 10-100 kW range”, ALTA/P-076/AF- MPDT, Thecnical, management and financial proposal.

[3] Jahn, R.G., “Physics of Electric Propulsion” , McGraw-Hill Company, New York,1968.

[4] Kruelle G.; Zeyfang E., “Preliminary conclusion applied field electromagnetic thruster DFVLR” AIAA 75-417, AIAA 11

th

Electric Propulsion Conference, New Orleans,LA., March 1975.

[5] Sasoh A., Arakawa Y., “Electromagnetic effects in an applied-field magnetoplasmadynamic thruster”, Journal of Propulsion and Power, vol.8, no.1, 1992.

[6] York T.M., Zakrwski C., Soulas G., “Diagnostics and performance of

a low-power MPD thruster with applied magnetic nozzle” Journal of

Propulsion and Power, vol.9, no.4, 1993.

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