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(1)

LA QUESTUA

È commovente la delicatezza e la generosità di Francesco.

Ognuno è felice d’aver incontrato l'altro e tutti sono sicuri sotto la guida paterna di Frate Francesco, il più fragile e il più penitente.

La volontaria e volenterosa mendicità li accomuna nella mensa dei poveri a Gesù e Maria.

Leg. per. 3 FF. 1547:

Francesco disse loro: «Carissimi fratelli e figli miei, non arrossite di uscire alla questua, poiché il Signore si fece povero per amor nostro in questo mondo.

È sull'esempio di Lui e della sua Madre santissima che noi abbiamo scelto la via della vera povertà:

è la nostra eredità, questa, acquistata e lasciata dal Signore Gesù Cristo a noi e a tutti quelli che voglio-no vivere come Lui nella santa povertà».

LA QUESTUA

Fu delicato il piccolo Francesco.

La premurosa cura della madre, la fanciullezza libera e spigliata a lui ridanno solido vigore.

Quando si diede a vita penitente fu doppiamente dura la fatica.

Al mal condito e scarso nutrimento egli alternava giorni di digiuno.

Cosi vivendo, il santo Poverello intorno si ritrova dei fratelli.

La conversione loro 1’allietava e ringraziava Dio per questo dono.

Di tanto affetto e grazia li ricolma, che ognuno d’essi è 1’uomo più felice.

A mendicar Francesco va da solo, per risparmiare loro 1’imbarazzo.

Come la chioccia copre i suoi pulcini e li difende contro ogni pericolo, così Francesco accoglie ed ammaestra, così protegge e sfama i suoi fratelli.

Poi quando già li vede più sicuri e rinfrancati dall’esempio suo, a mendicar 1’invia e 1’incoraggia per esser degni della vocazione

« Nella letizia - dice ai suoi fratelli - chiediamo il pane in nome del Signore.

Quest’è moneta valida per sempre e avremo a mensa Cristo con Maria ».

(2)

IL PANE QUOTIDIANO

Tanta fede scaturisce in Francesco e nei suoi religiosi da un tenero e vivissimo amore a Cristo.

Sembra che essi ne ascoltino la voce.

In questi uomini rivive lo spirito e le caratteristiche del collegio apostolico.

Francesco va senza le scaltrezze del dotto, ma da semplice, alla fonte della Verità e questa gli si rivela tutta.

Gesù dice: «Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» ossia agli umili.

Con la regola della mendicità, Francesco ci ricorda evangelicamente che nessuno sarà cosi sicuro del pane, come chi si contenta di quello d’un giorno.

Note

Leg. per. 4 FF. 1548:

- ...Dal giorno che il Signore gli ebbe rivelato di vivere, lui e i suoi fratelli, in conformità al santo Vangelo, decise e si impegnò ad osservarlo alla lettera, per tutto il tempo della sua vita.

Quando, per esempio, il frate addetto alla cucina voleva servire loro dei legumi, gli proibiva di metterli a mollo nell'acqua calda alla sera per 1'indomani, come si usa fare. -

IL PANE QUOTIDIANO

Francesco dal Vangelo prende luce.

E quando Dio gli dona dei fratelli a meraviglia docile si mostra nell'osservar di Cristo ogni parola.

Di mitigare mai gli vien pensiero, considerando il tempo o la salute.

Ritiene detta a lui da Cristo stesso ogni parola scritta nel Vangelo.

Infatti quando sorge qualche dubbio sulle importanti scelte del cammino, semplicemente dice ai suoi fratelli:

“Apriamo il sacro testo e già sapremo”.

Il premuroso frate che cucina,

mette i legumi in acqua il giorno avanti, così saranno pronti ad esser cotti

come si deve il giorno successivo.

Francesco, come nota questo fatto, chiama il fratello cuoco e 1'ammonisce:

tu non ricordi forse quant’è scritto:

«Pensiero non vi date del domani».

Quello umilmente chiede venia al Padre e da quel giorno attende il mattutino, dopo i legumi oppure la verdura in acqua calda mette ad ammollare.

Eran felici i frati d'obbedire alla parola santa del Signore,

e insieme al loro Padre ed esemplare cercavan solo pane quotidiano.

(3)

GUBBIO

Francesco, malconcio dai briganti, riprende vigore alla vista del lebbroso.

L'abbraccio inatteso e il bacio ardente di Francesco, prima cancellano lo sconforto del lebbroso e poi cancellano la stessa lebbra.

Che meraviglia dunque, se il lebbroso guarito, gli chiede: «Dimmi, chi sei tu, un uomo o Cristo stesso?».

Giusta deduzione: un lebbroso guarito non è meno interessante d'un lupo ammansito.

Leg. mag. II, 6, FP. 1046:

- Un uomo della contea di Spoleto, aveva una malattia orrenda che gli devastava e corrodeva la bocca e la mascella; nessun rimedio della medicina poteva giovargli...

Tornando dal pellegrinaggio, incontrò il servo di Dio, al quale avrebbe voluto, per devozione, baciare i piedi.

Ma 1’umile Francesco non lo permise, anzi baciò in volto colui che avrebbe voluto baciargli i piedi.

Appena Francesco, il servitore dei lebbrosi, mosso dalla sua mirabile pietà, ebbe toccato con la sua sacra bocca quella piaga orrenda, questa scomparve completamente e il malato ricuperò la sospirata salute.-

GUBBIO

Avevo appena il bosco attraversato, dove i fratelli senza pace in cuore, mi spinser nella fossa della neve perché felice araldo me n'andavo.

M'apparve triste un mio fratello e corsi incontro a lui. Tornava pellegrino dalla città di Roma, dove aveva ai pié dei Santi Apostoli pregato.

Era sfinito e roso dalla lebbra.

A lui gridai: fratello in Cristo, pace!

Le braccia al collo tesi, a me lo strinsi e con amor le labbra gli baciai.

Ognuno poi riprese la sua via.

Una pacata gioia in me discese.

Nel cuor la voce udii del mio Signore:

«Grazie, Francesco, della carità».

E quei tornò gridando verso me:

«Dimmi, chi sei, un uomo o Cristo stesso!»

Era scomparso tutto il mal da lui e gli occhi suoi brillavan d'allegrezza.

Ma voi serbate certo più memoria di quel feroce lupo, che mutai in mansueto agnello con bel patto e lungamente visse tra la gente.

Fratelli miei, Francesco ve lo dice:

non è nemico all'uomo lupo o lebbra.

È da tenere ben lontan la colpa,

c'ahimé! purtroppo a Dio vi fa nemico!

(4)

LA GIBBOSA

Appare a Francesco la ripugnante sembianza della gibbosa, sua concittadina, e per di più con un viso da incutere orrore all'uomo più coraggioso.

Le menzogne e le minacce rivelano facilmente l'identità di quell'essere mostruoso: è satana in persona.

Francesco lo smaschera tranquillamente e Dio, in premio, si fa sentire forte nel suo cuore, assicurandolo che da questo momento a lui riusciranno dolci anche le cose più amare.

Note

2 Cel.V.9 FF.591:

- [Francesco] mentre frequentava luoghi appartati, ritenendoli adatti alla preghiera, il diavolo tentò di allontanarlo con una astuzia maligna.

Gli raffigurò nel cuore una donna, sua concittadina, mostruosamente gibbosa: aveva un tale aspetto, da suscitare orrore a tutti.

E lo minacciò di renderlo uguale, se non la piantava coi suoi propositi.

Ma, confortato dal Signore, ebbe la gioia di una risposta piena di grazia e di salvezza.

LA GIBBOSA

«Mi riconosci? Sono la gibbosa!

Lo so, ti faccio schifo e gran paura.

Io passeggiare voglio avanti a te;

intorno ti rigiro e tu mi vedi.

Oh! sì, sì, devi bene rimirarmi.

Forse neppure immagini il perché!

Ma ti consiglio non dimenticare la spaventosa faccia e gobba mia.

Ad informarti tengo controvoglia - lo faccio per il bene tuo soltanto - a te darò la gobba e la mia faccia, se non farai per bene quanto dico:

prima di tutto lascia le tue selve perché, se no, selvatico diventi.

Cammina fra la gente più civile e godi quanto puoi di questa vita.

Inoltre debbo dirti: vero illuso!

La santità tu cerchi nel patire.

La penitenza tua oltre misura è colpa tal che Dio non ti perdona.

È Lui che m'ha mandato ad avvisarti, e non ti serve a nulla l’orazione.

Se non m'ascolti presto diverrai tra le mie man gibboso come me».

«È troppo chiaro: satana sei tu!».

Quello, scoperto, fugge impuzzonendo!

«Francesco, hai vinto,» - in cuor gli dice Dio - ora 1'amaro a te sarà dolcezza».

(5)

VASO DI CRETA

Il santo riesce a specchiarsi nella luce di Dio, che giustamente gli appare come unico, vero modello di bontà.

Nella logica visione dello spirito, ne consegue che vede se stesso molto imperfetto ed è sollecitato a correggersi, e correggendosi, Dio lo avvicina di più alla divina perfezione.

E quanto più Dio lo avvicina alla sua divina perfezione, tanto più l'anima vede le proprie umane imperfezioni e se ne addolora e si purifica.

Il risultato finale qual è? Nella propria visione l'anima è sempre più imperfetta; nella realtà è sempre più perfetta.

Non è un mistero, ma solo un amoroso segreto di Dio, che resta però sempre segreto per chi lo vive.

Note

Leg. min. III, Lez. IV FF. 1351:

- L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell'uomo di Dio.

Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che 1'umiltà avesse conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori.

(l) Frati Minori.

VASO DI CRETA

Il segno che la grazia del Signore ha reso 1'uomo docile allo Spirito è 1'umiltà profonda che risplende, quale moneta d'oro tra la creta.

Ogni virtù puoi dire una corazza a protezione messa intorno al petto di chi la lotta intende sostenere per dar vittoria al bene contro il male.

Ma di corazza a sette doppi strati il buon soldato deve premunirsi, sapendo quanto infido e penetrante è il micidiale colpo del nemico.

L'avvelenata freccia è la superbia.

È 1'umiltà corazza settistrata.

Lo sprofondar di satana lo dice.

L'original peccato lo ricorda.

Frate Francesco volle già nel nome pei suoi fratelli 1'ultimo gradino; (1) e reputo se stesso un uomo abbietto, vaso di creta, sudicio e spregevole.

Se 1'umiltà ritenne aver offeso per riparar s'impose penitenze, al cui ricordo, il brivido pungente dentro t'assale insieme alla vergogna.

Ad ascoltarlo: è il sommo peccatore!

Ad osservarlo: è tutta santità Sapiente Dio ti mostra le tue spine, perché diventi tutto e solo rosa.

(6)

SANSONE

La santità di Francesco fu chiara e potente in vita, ma ancora più chiara e potente dopo la morte.

Naturalmente, sempre più si studia la sua vita e sempre più numerose sono le conversioni e i prodigi che suscita.

La schiera enorme dei suoi seguaci è una forza incrollabile che fa progredire la missione di San Francesco nel tempo, ricacciando sotto le macerie dell'ateismo, del materialismo o dell'eresia gli oppositori ostinati.

Note

Tre Comp., XVIII, 73 FF. 1487:

- A questo Santo si può ben a ragione applicare quanto fu detto di Sansone: che furono molti di più i nemici ch'egli uccise morendo, di quelli che aveva ucciso vivendo.

Ed egli vive eternamente nella vita della gloria. Alla quale si degni condurre anche noi, per i meriti del santo padre nostro Francesco, Colui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen. -

SANSONE

Noi giudicammo quelli mentecatti.

Adesso invece è chiaro che gl'insani, vanagloriosi e sciocchi fummo noi.

Abbiamo preso mosche nella vita!

Adesso per accendere la lampada, o meglio, per riempirla di buon olio, è troppo tardi e non si torna indietro L'abisso ormai divide noi da loro.

È santa quella luce e quella gloria.

È bella quella festa e quel candore.

Come dà gioia 1'uno all'altro in Dio Il godimento loro è senza fine.

Ma non vogliamo stare più a guardarli, e non vogliam neppure più pensarci.

Vederli in tanta pace e tanta luce diventa doppio inferno per noi reprobi.

Così dicendo, vanno nelle tenebre, accolti dai demoni in grande schermo.

Dei Filistei così crollò quel tempio di cui Sansone scosse le colonne.

Ma Cristo di sansoni ce n'ha tanti.

Nel calendario son chiamati “santi”

e assai di più ne sono in Paradiso, poiché con metro esatto Dio misura.

Quanti giganti svettano lassù, che solo nani il mondo vide qui.

Francesco sei gigante tra i sansoni.

Per 1'umiltà tu splendi su quel trono.

(7)

IN MARE

Le prime circostanze mostrano Dio come il grande assente che lascia anche i suoi fedelissimi in balia della morte.

Ma appena la situazione diventa umanamente irreparabile, corre in aiuto di tutti premiando così la fede dei suoi servi e la carità che è stata usata verso di loro.

Note

1 Cel. XX, 55 FF. 418:

- E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona.

(1) Nell'estate del 1212 Francesco s'imbarca alla volta della Siria, ma i venti contrari spingono la na-ve sulle coste della Dalmazia.

Per rientrare in Italia s'imbarca su una nave diretta ad Ancona.

La pietà d'un marinaio permise ai poveri frati di salpare, nascosti nella stiva.

IN MARE

Appena furon sette i figli miei ad annunziare Cristo li mandai.

Poiché la luce sua ci rischiarava, era in novella aurora il mondo intero.

In povertà regale ognuno andava, nella letizia piena sorrideva,

dal fuoco santo acceso nel suo cuore, era ciascun fratello al suo fratello.

Ormai rinato in acqua da trent'anni;

da sei riacceso in fuoco dall'Amore.

Il desiderio ardente mi bruciava di levigar nel sangue 1'alma mia

Ai saraceni volsi il mio pensiero, quindi la nave presi per la Siria.

Ma 1'infuriar del vento ci respinse tenacemente verso la Dalmazia. (1) Invan tentai la strada dell'Oriente.

Col mio compagno allor verso 1'Italia volli tornar, ma fummo rifiutati:

Vitto per voi non c'è su questa nave!».

Poi per pietà qualcuno ci nascose, e ci fornì il Signore da mangiare.

Si gonfia il mar, ci squassa la tempesta.

Per mesi: e flutti e freddo e gran malor!

Non carestia! Oh, bontà del mio Signore!

Finite già le scorte della nave,

per quanto tempo ancor restammo in mare, tutti nutrì quel "pan dei poverelli"!

(8)

DUE BIMBI

Fu giusto presentimento quello della mamma di San Francesco.

Fu profetico discernimento quello del pellegrino.

Il fatto conferma come Dio lascia generalmente qualche speciale segno, dove appare un uomo che attuerà uno speciale suo disegno.

Note

Cron. e test. fr. VII FF. 2686:

- Mentre la madre del beato Francesco stava distesa sul letto, come sono solite fare le donne dopo il parto... venne un pellegrino... cominciò a pregare con insistenza e a dire che voleva vedere il neonato...

Appena 1’ebbe abbracciato disse: «Sono nati due bimbi nello stesso giorno in questa via, questo e un altro.

L’uno, cioè questo, sarà tra i migliori uomini del mondo, l’altro sarà un uomo pessimo».

DUE BIMBI

Frate Nicola narra quanto segue.

Bambino, dalla madre sua l’apprese.

Egli ricorda come la sua casa era contigua a quella di Francesco.

Un pellegrino passa in quella via.

Francesco è nato sol da qualche giorno.

Madonna Pica ancor rimane a letto, naturalmente a seguito del parto.

Le dame amiche vanno a visitarla e quelle più vicine fanno a gara nell'aiutarla e starle molto accanto, com’è dovere in queste circostanze.

Il pellegrin suddetto, lì bussando, riceve in elemosina del pollo.

Con insistenza e pari cortesia poi chiede di vedere il neonato.

Ferme altrettanto sono quelle dame a non mostrargli il piccolo Francesco;

accondiscende invece la sua mamma, perché quell'uomo sembra molto pio.

Pertanto dice a quelle buone amiche:

«Non mi dispiace affatto se quell’uomo il mio piccino prende fra le braccia;

vuol certamente anch'egli benedirlo».

II pellegrino in man lo prende e dice:

«In questa via due bimbi sono nati.

Quest'è gran santo; pessimo è quell'altro».

Fu confermato in seguito dai fatti.

(9)

DAL SULTANO

Il martirio è un debito di contraccambio d'amore al suo generoso Salvatore.

Francesco ci prova e ci riprova andando in terra mussulmana, ma neppure il Sultano condanna a morte Francesco, anzi se ne dichiara garante e protettore.

Sembra una congiura del Cielo e della terra contro questa sua “brama”.

1 Cel. XX, 57 FF. 422

- Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari t'afferrarono, 1'insultarono, lo sferzarono, ed egli non te- mette nulla: né minacce, ne torture, né morte; e sebbene investito dall'odio brutale di molti, eccolo ac-colto dal Sultano con grande onore! -

(1) Probabilmente Francesco arrivò dal Sultano Melk-el-Kamel nella tregua d'armi tra agosto e settembre 1219.

Non vedendo frutti di conversione si fa riaccompagnare nel campo crociato.

DAL SULTANO

Incatenati e dentro la prigione, con il languore della lunga fame, con le sferzate ognora più spietate, eran le nostre membra assai dolenti.

Oh, finalmente! Dopo tanta attesa era vicina 1'ora del martirio!

Contraccambiar potevo al mio Signore il dono pieno e santo dell'amore.

Ero così fremente d'allegrezza che trattenere non potevo il canto e con vibrante voce ripetevo:

morte non temo, Dio, Tu sei con me!

Tutti sappiam che perde libertà

1'uccello, quando viene messo in gabbia.

Mai 1'alma mia più libera si vide, che nel veder la morte già vicina.

Disse il Sultan: «Difenditi, se vuoi, con la parola franca e veritiera.

Poiché le nostre file oltrepassasti, e decretata morte senza scampo».

Quale sentenza ambita egli mi dava!

Volevo come Cristo, lì, tacere

per non rischiare scampo alla condanna;

ma volle Dio parlare per mio mezzo.

China il Sultan la fronte riverente;

e poi, da lupo fatto agnello, dice:

«In reggia e regno mio dimorerete e del favor godrete di noi tutti». (1)

(10)

LA PROVA DEL FUOCO

Chi non è sicuro della verità non si espone.

Francesco ha tutto da guadagnare a favore del Vangelo nei dibattiti con i sacerdoti e i dotti della religione di Maometto.

Il Sultano, conoscendo ormai la forza di fede di Francesco e quella del suoi sacerdoti, benignamente dispensò questi dalla prova del fuoco.

La sola proposta li stava già facendo morire di paura.

Il Sultano senza offesa può dire: «I miei ministri stanno meglio al fresco!».

Note

Leg. mag. IX. 8 FF. 1174:

- Francesco gli disse: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi.

Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». -

(1) Sultano Melek el Kamel dell'Egitto.

Francesco per la terza volta andò nel campo nemico a predicare la fede cristiana.

LA PROVA DEL FUOCO

Invan tentai raggiungere il Marocco per predicare Cristo a quella gente.

Miramolin, sultano assai spietato, (1) m'avrebbe senza dubbio messo a morte.

Dovetti pazientar sett'anni ancora, poi finalmente presi con favore la strada dell'oriente fino in Siria, in compagnia di frate Illuminato.

Ardentemente a tutti predicavo la verità divina del Vangelo e Dio mi fece grazia di patire copiose battiture per la fede.

Sebben legato e in carcere, non tacqui.

In Maometto solo avevan fede.

Io li pregai di mettere a confronto il rispettivo credo senza tema.

Ebbi in risposta insulti, calci e sferza.

Dissi: martirio bramo e questo aspetto, ma attende voi la pena dell'inferno, se rigettate Dio per Maometto!

Più tardi fui condotto dal sultano.

Davanti a lui proposi con coraggio d'attraversare il fuoco come prova, per dimostrare qual è la vera fede.

Ma quel sultano, dopo ch'ebbe udito, guardando i suoi ministri sbigottiti

«Tu veramente temi Dio, mi disse,

ma i miei ministri stanno meglio al fresco».

(11)

GIAMMAI

Questo piccolo, ma molto significativo episodio della vita di frate Francesco ci dimostra quanta egli fosse sempre presente a se stesso nella duplice, altissima, responsabilità di imitatore di Cristo e di modello ai suoi imitatori.

Giustamente si può dire che egli assommava in sé la serenità del biblico cieco Tobia e la proverbiale pazienza del santo Giobbe.

Note

Leg. per. 38 FF. 1586:

- Durante la sua malattia agli occhi, era così tormentato dalle sofferenze, che un giorno un ministro gli suggerì: «Fratello, perché non ti fai leggere dal tuo compagno qualche brano dei Profeti o altri passi della Scrittura? Il tuo spirito ne esulterebbe e ne ricaverebbe immensa consolazione...».

Ma il Santo rispose: «Fratello, io trovo ogni giorno una grande dolcezza e consolazione rimembrando e meditando gli esempi di umiltà del Figlio di Dio...».

GIAMMAI

Modello fatto in Cristo pei fratelli Francesco porta in pace ogni dolore.

Quando degli occhi il male più s'aggrava in lui sommati son Tobia e Giobbe.

E pur soffrendo tanto atrocemente, egli continua a render grazie a Dio;

talvolta solo, immerso nel silenzio, tal'altra insieme ai frati che 1'assistono.

Sapendo quanta forza dal Vangelo Francesco ha tratto sempre nella vita, uno dei frati prova a consigliare:

«Francesco, fatti leggere il Vangelo.

Noi tutti siamo qui per sollevarti, ma non possiamo fare proprio nulla, né medicina il medico ha per te.

Quella lettura ancora ti fa bene».

Francesco sorridente gli risponde:

«Questo dolore vuole da me Cristo, giacché mi pose lampada a far luce a chi nel tempo viene dietro a me.

Pur se, d'affetto mosso, t'ascoltassi, consolazione alcuna non ne avrei.

A questo punto 1'anima ricusa

- rammenti David? - d'esser consolata.

Ma consolare voglio te, fratello:

talmente è impressa in me quella Scrittura, che s'aspettassi qui il finir del mondo, giammai dal cuore mio si partirebbe».

(12)

AMORE FERMATI!

Il ricordo della colpa, fatta ormai cicatrice, fa sanguinare il cuore dei Santi più di quanta le ferite attuali facciano sanguinare il nostro.

Con quel lavacro Dio edifica sull'anima quanto più di divino essa può ricevere.

Note

Leg. min. II Lez. Ill FF. 1341:

- In seguito alla chiamata di Dio, il numero dei frati era ormai salito a sei.

Il loro pio padre e pastore, trovato un luogo solitario, in molta amarezza di cuore piangeva sulla sua vita di adolescente, trascorsa non senza colpa mentre chiedeva perdono e grazie, per sé e per la prole, che in Cristo aveva generato, si sentì invadere da una singolare, esuberante letizia e si sentì garantire che tutte le colpe gli erano state rimesse pienamente: fino all'ultimo quadrante. -

AMORE FERMATI!

Immersa ormai nel mare dell'Amore ogni sua scoria 1'anima rivede, e quanto più di gaudio è rivestita tanto più forte il debito le pesa.

Non è più colpa. È solo suo ricordo;

però talmente penetra la luce della divina, santa perfezione, ch'appar ferita quel ch'è cicatrice.

Le dà dolore e non tristezza buia il ritrovarsi vuota dell'amore

da dare in cambio a Chi le diede vita e nell'amor la vita le ridona.

Ha voglia di gridare: Amore, fermati!

L'amore che m'hai dato misi a morte;

ora mi resta solo di morire.

Lasciami solo dire: Amore, grazie!

Così Francesco sale la montagna del Paradiso dell'Amor divino.

A Dio, felice, gloria va cantando, e su di sé meschino va piangendo.

In questo gaudio e pianto s'avvicina alla sostanza pura dell'Eterno, Che gli si china a porgere la mano, sicché il dolor diventa second'ala. (?) E qui Francesco udì l’Inconfondibile:

«O Figlio, ti creai, ti ricreai.

L amor m'ha fatto scendere di nuovo:

Perdonai fin 1'ultimo quadrante!».

(13)

IL MEMORIALE

È solo e sempre l'amore di Cristo che gli fa ripetere i gesti di Cristo ed è in questo amore che egli ama e vive.

Francesco, più lo vedi da vicino, e più lo identifichi col Cristo anche in una proiezione storica.

Note

Leg. per. 117 FF. 1676:

- Si fece poi recare dei pani e li benedisse.

Siccome a causa della sua infermità non aveva la forza per spezzarli, li fece dividere in molte parti da un fratello e ne diede un frammento a ciascuno, raccomandando che venisse consumato interamente.

Come il Signore il giovedì santo volle cenare con gli apostoli prima della sua passione, così anche Francesco, parve a quei fratelli, prima di morire volle benedirli e nelle loro persone benedire tutti gli altri, e mangiare quel pane benedetto quasi in compagnia di tutti gli assenti. -

IL MEMORIALE

Che notte di dolore quella notte!

Francesco ha chiesto sempre di patire, ma adesso il corpo suo non ha più posto dove poter accogliere il dolore.

Così stremate sono le sue forze, così scarnite sono le sue membra, che volontà sol resta di patire.

Quel desiderio è merito sublime!

È 1'ora della notte come il giorno, anche perché non vedon più la luce le sue pupille quasi irrigidite.

Legger sollievo prova sul mattino.

Pertanto invita i frati intorno a sé.

Quale patriarca, tutti benedice,

sul capo a ognun la destra sua posando ed implorando doni dal Signore.

E benedice insieme a quei presenti quelli lontani e quelli da venire.

«Figli miei, figli miei, come tesori donati a me da Dio, vi stringo al cuore!».

Chiese dei pani e volle benedirli.

Pregò ciascun di prenderne un pezzetto.

E, come a Cena Cristo con gli Apostoli, così Francesco fa coi figli suoi.

Di carità perfetta e memoriale e l’unità per tutti vuol sancire.

O Padre, quant'è grande quest'amore!

Parola o gesto: sempre sei Maestro!

(14)

LA VITA

San Paolo afferma: «Il mio vivere è Cristo e Cristo crocifisso».

Francesco è in piena armonia con questo ideale e ci invita a riflettere sul mistero della

«generazione», dell'esistenza, della salvezza per incontrare, nella gioia, Dio che crea, Dio che redime, Dio che santifica.

Note

Clar. l, 1 FF 2114:

- Potrà conoscere ancora come Cristo lo amò di un amore tutto speciale e fu a lui benigno e familia- re, purificandolo, illuminandolo e formandolo, e lo trascinò dietro di sé perché seguisse i suoi esempi

di perfezione; e gli apparve nella figura di un uomo confitto alla croce e talmente lo trasformò in se stesso, che da allora egli non visse per sé ma tutto crocifisso con Cristo.

Infatti Cristo era per lui sostanza, nutrimento senso, luce e vita.

Alla memoria di Lui, che portava come impressa col fuoco nell'intelletto e nell'affetto, era unito e conformato a lui crocifisso e arcanamente immedesimato.

LA VITA

E chi può dir la gioia d'una madre che a luce dà una nuova creatura?

Ma la più bella nota e lo stupore per frutto si sublime dell'amore.

Ogni fatica ed ogni sacrificio, e tutta 1'ansia e infine ogni dolore è cancellato dalla vita nuova

di cui lei stessa è madre e spettatrice.

Non domandare a lei chi la formò e del suo seno fece prima culla.

È meraviglia grande tutto questo ed è la vita stessa un gran mistero.

All'uom, da quando nasce a quando muore, protese son le braccia tue, Signore,

perché non resti schiavo della morte, ma si congiunga a Te, che sei la Vita.

Fu quest'amor struggente che m'avvinse dal fortunate istante del ritorno,

e fece della vita mia caparra

- misera, mio Dio! - a tutti i miei fratelli.

Quale prezioso fiume di salvezza sgorgare sangue dal Calvario.

Il grido del morente mi trafisse:

«Ho sete!» E so che 1'acqua siamo noi.

In Te vivendo, vissi della croce;

ed ora sulla croce a Te rinnovo l’offerta della vita, mio Signore.

Fa’ che la luce vedano i tuoi figli.

(15)

ACQUA DI SORGENTE

Nel concetto e nell'ideale francescano la letizia e un contrassegno della grazia e dell'amore di Dio.

Non può essere frutto di mestiere come l'umorismo spesso pesante e prezzolato, finzione di buon umore.

La letizia ha la trasparenza e la freschezza dell'acqua di sorgente, che disseta e ristora.

Note

Regole ed esortazioni XIX FF. 170:

- Beato quel religioso, che non ha giocondità o letizia se non nelle parole e nelle opere santissime del

Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all'amore di Dio in gaudio e letizia.

E guai a quel religioso che si diletta in parole inutili e frivole e con esse conduce gli uomini al riso.

ACQUA DI SORGENTE

«Saprò chi sei se dici con chi vai», afferma un vecchio assioma popolare.

Tra 1'umorismo d'arte e il buon umore corre distanza quanto fra i due poli.

Così fra la risata e la letizia

ci passa tutta 1'acqua degli oceani, né 1'una o 1'altra dai come ti pare.

Nessuno cava l’olio dalla pietra.

Nella risata celi quel che vuoi.

Nella letizia canta mente e cuore.

£ quella, vacca grassa senza latte;

e questa, cerva snella e mansueta.

È la risata svago d'annoiati.

Mai dal mestiere sgorga la letizia.

Quest'è sorgente limpida e vivace, di trasparenza pura e di freschezza Non ha sapore 1'acqua! Eppure quella contiene tutti i pregi da gustare.

Poiché tra rocce e boschi spesso nasce, anche la vista e 1'aria fa più pura.

Non è silenzio. È voce gorgogliante tra ciottolini e foglie inizialmente, tra rupi e forre quando va ingrossando, finché raggiunge il mare e lo riempie.

Francesco dice a tutti i suoi fratelli che prima fonte d'ogni gaudio è Dio e la letizia illumina lo spirito, mentre da sciocco è frivola risata.

(16)

LA CAMPANA DELLE LAUDI

Ricorrendo il 7° centenario della morte di San Francesco, nel 1926, i Comuni d'Italia regalarono questa "Campana delle laudi" alla città di Assisi e fu posta sulla torre (ghibellina) del popolo, sovrastante il tempio di Minerva.

Questa campana è la voce di Francesco, cantore delle lodi di Dio e annunziatore di pace agli uomini, non solo d'Italia, ma di tutto il mondo.

È la campana di Francesco, che a sua volta è la campana di Cristo.

Note

(1) CAVANNA: Assisi e dintorni. - Assisi, 1953.

(2) Il tempio di Minerva è il segno del culto pagano, che in seguito lasciò il posto alla religione cristiana.

LA CAMPANA DELLE LAUDI

Campana dei Comuni dell'Italia, campana sulla torre ghibellina, (1) tu sai, non è che suoni in italiano od a raccolta chiami le fazioni.

Donata dall'Italia all'italiano,

che maggiormente questo nome onora, campana delle laudi intitolata,

devi lodar 1'Altissimo Signore.

La civiltà di Cristo simboleggi svettando sulla torre tra 1'azzurro.

Il tempio di Minerva sottostante e piedistallo a tanta verità. (2)

Frate Francesco, grato benedice chi t'innalzò su quella torre bella, perché, di qua, di là tu risuonando, in vece sua ripeti: «Pace e Bene!».

Tu sei la nota prima d'un concerto, ch'ormai risuona in tutta la penisola dove Francesco tanto camminò disseminando lodi al Creatore.

II mondo fu sua patria universale, poiché rivolse a tutti il suo messaggio di fratellanza vera e imperitura

e col suo cuore abbraccia tutti i popoli Campana delle laudi, canta ancora:

«Non c’è barriera dove c'é Francesco.

Se non vedete Cristo, ricordate:

c’è la campana Sua, ch'è San Francesco!».

(17)

TUTTO MUOVE

Francesco non è un istintivo o un sentimentale, né un maliardo o un ecologo, né un appassionato di ricerca scientifica o un semplice amatore.

Francesco è un innamorato di Dio e delle creature restituisce agli esseri viventi e non viventi un'unità essenziale, riconducendoli all'ordine voluto dal Creatore.

Uomini e cose sono da lui attratti e pronti al suo cenno e ai suoi palpiti come al cenno e ai palpiti di Dio stesso.

Divenuto Francesco uno con Dio, tutto diventa uno con lui.

Note

2 Cel. CXXV, 166 FF. 751:

- Tutte le creature da parte loro si sforzano contraccambiare 1'amore del Santo e di ripagarlo con la loro gratitudine.

Sorridono quando le accarezza, danno segni di consenso quando le interroga, obbediscono quando comanda. -

(l) Leg. mag. VIII, 8 FF. 1150 ss.

TUTTO MUOVE

Dicci, Francesco, qual segreto cela questa tua pace bella e universale, che ti fa re di tutto nel creato da cui 1'Adamo fu diseredato.

È la letizia della gente semplice.

È lo stupore della gente dotta.

Il gran Sultano stesso ben lo vede.

Lo riconosce pur chi a Dio non crede.

In libertà ti cercano gli uccelli e intorno a te festeggiano la vita.

Non con granaglie varie tu li chiami.

Non in dorata gabbia tu li chiudi.

Non è magia, né voglia d'incantarli.

Non interesse a dir le varie razze.

Fai loro un cenno e parli in confidenza.

Silenzio o canto chiedere tu puoi.

Corre il leprotto tutto sbigottito e sicurezza trova nel tuo grembo. (l) S’alcuno il pesce vivo ti regala, tu lo rigetti in acqua e ti fa festa.

Sulla tua mano resta il bel gabbiano, mentre rapito sei nel tuo Signore.

Non ci stupisce sul tuo cuor vedere leone o lupo o tigre riposare.

«Fratelli miei, 1'Amore tutto muove.

È volontà e potere d’Uno solo.

Amate sempre il suo volere santo, agnello e lupo in pace a voi verranno».

(18)

IL GREGGE

Un intero gregge alla voce di Francesco lascia pascolo e pastori e corre a fare festa intorno a lui.

È episodio storico, non fantasia.

La cosa però è talmente connaturale nel mondo di San Francesco, che non ci meraviglia più.

E proprio qui è la meraviglia.

Note

Leg. mag. VIII, 7 FF. 1147:

- Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo.

Secondo il suo solito le salutò benevolmente e, quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati.

Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo cosi meraviglioso.

(1) Gv. 10, 11 ss.

IL GREGGE

È 1'agnellino simbolo di Cristo e tutto il gregge è simbolo fedele del grande stuolo d'anime che a Lui veracemente danno cuore e vita.

Frate Francesco porta nella mente dell'evangelo santo le parole:

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecorelle.

Il mercenario invece, se vien lupo, fugge perché non sono sue le pecore.

Io sono il buon pastore: riconosco le pecorelle mie ed esse me». (1)

Or, mentre andava un giorno verso Siena - alle bellezze attento del creato -

un folto gregge vide pascolare

tra le campagne verdi e i colli aprichi.

Com'era suo costume, le chiamò, quasi belando, dolcemente a sé.

A quella voce corre tutto il gregge intorno a lui festoso e saltellante.

Come il poppante lascia di succhiare e guarda il bel sorriso della mamma, tal silenzioso e attento il gregge sta con 1'occhio fisso su quel volto amico.

«OP pecorelle mie - Francesco dice - con me rendete grazie al buon Signore, che vi procura 1'erba e 1'aria pura».

Un coro di belati gli risponde.

(19)

LA CORISTA

L’episodio che avvenne in Santa Maria degli Angeli arricchisce ancora di più la già ricca cornice di cose straordinarie avvenute in questo luogo, il più caro al cuore di Francesco.

La pecorella è “la benvenuta” perché così bene accolta. È “la corista”, perché canta, le lodi di Dio con i frati.

Col gesto di adorazione dimostra di sapere, che ai pastori fu dato dagli Angeli il primo annuncio del nato Salvatore, che essi corsero ad adorare nella grotta di Betlem.

Note

Leg. mag. VIII, 7 FF. 1148:

- In un’altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, portarono in dono all’uomo di Dio una pe-cora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l’innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra.

L’uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i frati.

La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell’uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti, con grande cura. -

LA CORISTA

Facendo omaggio il pio pastore disse:

«Frate Francesco, prendila, ti prego.

Come tu vedi è bella e ben nutrita, potrà bastare ai frati a pranzo e cena».

Con cortesia Francesco l’accettò.

La pecorella al fianco suo si pose e lo guardava tanto dolcemente come 1’avesse sempre conosciuto.

Così dei frati in mezzo alle capanne familiarmente stette a pascolare.

Se la chiamavi accanto ti veniva, se le facevi festa ti capiva.

Frate Francesco intanto le spiegò:

«Tu pascolare puoi dovunque vuoi.

Non ti smarrir però dentro la selva, e mentre noi preghiamo non belare.

Non c’è bisogno poi che ti ricordi come figura sei dell’alma docile

per obbedienza e grande mansuetudine.

Lo dice il buon pastore Gesù Cristo».

Di tal maestro quella fa tesoro.

E sempre attenta all’ora di pregare.

Coi frati corre in chiesa e s’inginocchia unendo i suoi belati al loro canto.

Quando la messa poi si celebrava prona restava con la fronte a terra, come dicesse: so del nato Dio;

sono venuta qui per adorarLo!

(20)

IL PATTO

Il santo è la lucerna che «Dio accende e pone sul candeliere perché faccia luce a quanti sono in casa».

Alla carità del suo servo Francesco, Dio aggiunge lo spirito profetico, sicché può interporsi quale mediatore e garante tra Dio e il popolo, che firmano in modo diverso lo stesso sacro patto.

Il santo così non è solo lucerna, ma dono di Dio agli uomini.

Note

Leg. mag. VIII, 11 FF. 1159:

- Gli abitanti di Greccio, quando egli dimorava in quell'eremo, venivano vessati da molteplici malanni: branchi di lupi rapaci divoravano non soltanto gli animali, ma anche delle persone; la grandine regolarmente ogni anno devastava campi e vigne.

A quella gente così sfortunata 1’araldo del santo Vangelo disse, perciò, durante una predica:

«A onore e lode di Dio onnipotente, mi faccio garante davanti a voi che tutti questi flagelli scompariranno, se mi presterete fede e se avrete compassione di voi stessi, cioè se, dopo una confessione sincera, vi metterete a fare degni frutti di penitenza».

IL PATTO

L’inesorabile grandine devasta le bionde spighe turgide di grano;

gl’infiorescenti grappoli dell’uva tra rigogliosi pampini distrugge.

Invano meli e peri i rami tendono, come imploranti braccia, pien di frutti.

Tutto nei verdi campi e i prati in fiore il puntual flagello schianterà.

Patema grande aggiunge a tutto questo 1’infestazione tragica di lupi,

che a branchi scendon dai vicini boschi, terrorizzando il popolo indifeso.

Quale prezioso dono del Signore

giunse Francesco a questa gente affranta.

Innanzitutto disse del perdono, della bontà di Dio per tutti noi.

Rivela poi lo strazio del suo cuore:

«Calamità vi coglie d’anno in anno!

Il vostro pianto è giunto fino a Dio, che a voi mi manda quale suo garante.

Non scenderà piu grandine dal cielo;

saran lontani i lupi dalle case.

se voi promessa fate e mantenete di non peccare più e di pregare».

Giurò la gente questo patto santo.

Lo rispettò il volere dell’Eterno.

I lupi stanno lungi dalle case, non oltrepassa grandine il confine.

(21)

LE TORTORE SELVATICHE

Mangiare le tortore, va bene; ma cacciarle per commerciarle, no.

Uccidere animali così belli e così innocui fa male al cuore.

Francesco ha insegnato ciò che è vero, ciò che è giusto, ciò che salva l’equilibrio ecologico del creato.

Oggi stiamo ripensando alla lezione di Francesco.

Forse chi governa è d’accordo sul principio, però non intende rinunciare ai miliardi che ricava dalla tassa sulla caccia.

Chi persuaderà i cacciatori a fare il proprio interesse e quello degli uccelli, e quello della natura, e quello di tutti?

Note

Fior. XXII FF. 1853:

- Un giovane avea preso un dì molte tortore, e portavale a vendere.

Incontrandosi in lui santo Francesco, il quale sempre avea singulare pietà agli animali mansueti, riguardando quelle tortore con 1’occhio pietoso, disse al giovane: «O buono giovane, io ti prego che tu me le dia, e che uccelli così innocenti le quali nella Scrittura sono assomigliate all’anime caste e umili e fedeli, non vengano alle mani de' crudeli che gli uccidano».

LE TORTORE SELVATICHE

Di buon mattino un giovane signore, tranquillamente e solo camminando, gran quantità di tortore selvatiche, racchiuse in gabbia, a vendere portava.

Ma 1’incontrò Francesco e lo guardò.

Chi sa perché, non era solo sguardo, anzi, lo sguardo poco era per lui, ma tutto intenso e fermo sulle tortore.

E poi Francesco dice dolcemente:

«O mio cortese giovane, ti prego di darmi queste tortore che hai prese:

nella Scrittura sono nominate.

Paragonata ad esse noi troviamo 1’anima casta, semplice e fedele».

Quello, chiedendo scusa, le donò.

Francesco lo ringrazia e dice a queste:

«O mie sorelle tortore innocenti, perché vi fate prendere così?

Ora scamparvi voglio dalla morte e farvi nido per moltiplicarvi

Farete come vuole il Creatore».

Apparecchiò per loro tanti nidi e da mangiare diede a tutte quante.

Familiarmente vissero coi frati.

Li benedisse infine e si partirono.

E quel cortese giovane che fece?

Frate Francesco al grazie aveva aggiunto:

« Sarai dei nostri». E presto fu così.

(22)

SORELLA ALLODOLA

Francesco è un uomo che medita sul creato; ne trae motivo di ispirazione e di vita. Ogni essere poi che spicca per mansuetudine, dolcezza e semplicità diventa la sua poesia.

Note

Leg. per. 110 FF. 1669:

- Noi che siamo vissuti con Francesco e che abbiamo scritto questi ricordi, attestiamo di averlo sentito dire a più riprese: «Se avrò occasione di parlare con 1'Imperatore, lo supplicherò che per amore di Dio e per istanza mia emani un editto, al fine che nessuno catturi le sorelle allodole o faccia loro del danno.

E inoltre, che tutti i podestà della città e i signori dei castelli e dei villaggi siano tenuti ogni anno, il giorno della Natività del Signore, a incitare la gente che getti frumento e altre granaglie sulle strade, fuori delle città e dei paesi, in modo che in un giorno tanto sulenne gli uccelli, soprattutto le allodole, abbiano di che mangiare...

«La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi. Ed è umile uccello che va volentieri per le vie in cerca di quache chicco. Se anche lo trova nel letame, lo lira tuori e lo mangia».

SORELLA ALLODOLA

Noi che 1'abbiamo visto e conosciuto, che abbiamo scritto tanti suoi ricordi, in verità attestiamo fermamente d'aver sentito spesso da Francesco:

«Se mi sarà concesso di parlare direttamente all'alto imperatore lo pregherò ch'emani un buon editto

per amor del Signore, a istanza mia.

Lì chiaramente deve decretare e sanzionar: nessuno più catturi e per nessun motivo faccia danno alle sorelle allodole, sì care.

Anzi nel giorno Santo del Natale per loro occorre spargere granaglie in abbondanza pure per le strade, sicché dovranno anch'esse festeggiare».

Diceva ancor: «L'allodola ha il cappuccio ed umilmente cerca a terra il chicco.

E se lo trova in mezzo alla fanghiglia lo tira su col becco e poi lo mangia.

Sempre nel volo loda il Creatore, come sfiorando solo questo mondo.

È nata quindi a vivere pel cielo.

In questo modo insegna pure a noi.

Perfino il suo piumaggio color bigio, così dinesso e semplice a vedere, sembra modello e simbolo dei frati che hanno giurato morte a vanità.

(23)

L'lNGORDO

Dio è vindice della giustizia e difensore dei deboli e degli oppressi.

Ma si sarà scomodato per difendere quegli uccellini dall'ingordigia e dalla violenza del più grande fra loro?

Stando alle parole profetiche di San Francesco e alla tragica, immediata fine del prepotente pettirosso, sembra proprio di sì.

Implicitamenie la presenza addolorata del Santo fa da mediazione in questo misterioso, piccolo atto di giustizia.

Ma la sentenza del Santo, che nel caso dell'uccellino, si compie istantaneamente, va trasportata sul piano delle relazioni umane, dove diventa un monito da ben meditare.

Note

Cel. XVIII, 47 FF. 633:

- «Guardate - disse il Padre - questo ingordo: pieno e sazio lui, è invidioso degli altri fratelli affamati. Avrà di certo una brutta morte».

La sua parola fu seguita ben presto dalla punizione: salì quel perturbatore della pace fraterna su un vaso d'acqua per bere, e subito vi morì annegato.

Non si trovò gatto o bestia che osasse toccare il volatile maledetto del Santo. - '

L’INGORDO

Siedono a mensa i frati silenziosi, consumando il pasto poverello.

Frate Framcesco dice con amore:

«Il primo cibo è il gaudio del Signore».

La finestrella bassa dà sui campi.

Essi, guardando, vedono lontano.

Due pettirossi vengono tranquilli in cerca delle briciole di pane.

Con carità gioiosa son nutriti;

sicché felici tornano ogni giorno.

E vanno avanti e indietro, trasportando nel loro becco, piccole razioni.

Poi finalmente un giorno si presentano con la nidiata allegra e numerosa, e, fatto fare ai piccoli 1'approccio,

li lasciano al sicuro e se ne vanno.

Liberamente questi van tra i piedi o sulle mani volano a beccare le mollichette morbide e quant'altro i buoni frati portano per loro.

Però Francesco nota che il maggiore è molto ingordo e becca i più piccini.

Pertanto, tutto afflitto, dice ai frati:

«L'mgordo non farà una buona fine».

E mentre quei piccini stan mangiando, ecco l'ingordo, preso dalla sete, sbadatamente affoga dentro un vaso.

«Amen!» spiacenti esclamano quei frati.

(24)

UCCISO

Francesco colpisce - diremmo con sacra vendetta - l'inutile crudeltà delta scrofa.

Questa decisione di Francesco vindice, con Dio, della giustizia fra le creature non contrasta con la proverbiale mitezza del Santo d'Assisi.

Evangelicamente, il mite non è un ignaro o un impotente. Al contrario, egli tace ed opera col volere e con la potenza di Dio.

Note

2 Cel. LXXCVII, 111 FF. 698:

- II servo dell'Altissimo era stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in diocesi di Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino.

Vi era nel chiuso una scrofa quanto mai crudele, che, senza pietà per la vita dell'innocente, lo uccise con morso feroce.

...All'udire tutto questo, il pio padre si commuove, e ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti 1'agnellino morto:

«Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli uomini!

Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia, mangi della sua carne!»

UCCISO

San Verecondo in quel di Vallingegno è sulla strada che conduce a Gubbio.

C'è qui famoso e grande monastero dei cari figli di San Benedetto.

Era per loro festa 1'ospitare

Frate Francesco quando vi giungeva.

Ognuno d'essi al santo Poverello mostrava affetto, gioia e cortesia.

Dopo il saluto della buona notte, ciascuno a riposare se n'andò Francesco come sempre dedicò le ore del silenzio alla preghiera.

Un agnellino nacque quella notte, lì nella stalla di quel monastero.

Mite guardò, belò e tacque per sempre tra le feroci zanne d'una scrofa.

Francesco apprese presto la notizia.

Fece portare fuori dalla stalla quell'agnellino ucciso crudelmente e sconsolato disse avanti a tutti:

«Sei 1'innocente simbolo di Cristo.

Di crudeltà la vittima tu fosti.

Ti benedico, e quella cruda bestia, sì, maledetta muoia e abbandonata».

La scrofa sull'istante s'ammalò.

Morì tre giorni dopo in gran fetore.

Gettata via nel mucchio dei rifiuti, perfin le belve n'ebbero ribrezzo.

(25)

L'lNNOCENTE

La sicurezza di Francesco che deve attraversare il bosco infestato dai lupi, è nello stesso tempo un atto di fede in Dio, Signore del creato, e un atto di fiducia nelle creature, quali che esse siano, da lui sempre sommamente rispettate.

Francesco, nel suo amore totale e universale, ricrea e rivive il mondo originale devastato dal peccato di Adamo.

La fede di Francesco è la certezza di questo primitivo equilibrio offerto dal Creatore in dono alle creature.

La prova di tutto questo in Francesco ci stupisce ogni volta, come fosse la prima volta.

Note

Cron. e test. non fr. FF. 2251:

- Una sera sul tardi, era quasi notte, egli passava, in compagnia di un fratello, per la strada di San Verecondo, cavalcando 1'asinello...

I contadini, appena lo videro, cominciarono a chiamarlo dicendo: «Frate Francesco, resta con noi e non voler andar oltre, perché da queste parti imperversano lupi famelici e divorerebbero il tuo asi- nello, coprendo di ferite anche voi».

E il beato Francesco replicò così: «Non ho mai fatto nulla di male al lupo, io, perché ardisca divorare il nostro fratello asino...»

E così frate Francesco proseguì il suo cammino senza imbattersi in sventure di sorta. -

L'lNNOCENTE

Per penitenze e veglie e gran digiuni era Francesco tanto indebolito, che non poteva ormai più camminare a piedi, come aveva sempre fatto.

Da quando fu trafitto come Cristo, poggiare i piedi a terra era straziante.

Per questo fu costretto a cavalcare un asinello docile e mansueto.

Non era certo suo quell'asinello, poiché non volle nulla mai per sé né per i frati suoi qual proprietà.

Gli fu prestato dai benefattori.

Si trovò in tarda sera a transitare lungo la strada di San Verecondo.

Le spalle da mantello ricoperte,

1'accompagnava a piedi un confratello.

I contadini della zona gridano:

«Frate Francesco, fermati con noi;

sono voraci lupi sul cammino:

feriscon voi e 1'asino divorano».

«Fratelli miei, non feci male al lupo, perché mangiare debba 1'asinello!

Arrivederci e date gloria a Dio».

Così dicendo, segue la sua strada.

I contadini attesero notizie.

Attraversò Francesco tutto il bosco, come passasse in mezzo a vecchi amici, ben lieti di mostrare pace in Dio.

(26)

TRECENTO|

Le benemerenze dell'Ordine benedettino nei confronti di San Francesco e dei tre Ordini francescani sono veramente grandi.

Molti dei luoghi dove si sono costituite le primitive e più celebri comunità francescane furono offerti dai figli di San Benedetto.

Basti ricordare la Porziuncola e Fonte Colombo.

Note

Cron. e test. non fr. 2 FF. 2250:

- Proprio nei dintorni di questo monastero il beato Francesco aveva radunato il Capitolo dei primi trecento frati.

In quell'occasione, 1'abate e i monaci li avevano generosamente provveduti di tutto il necessario, secondo le loro possibilità: pane di orzo, di frumento, di surco e di miglio con larghezza, acqua limpida per bere e vino di mele diluito con acqua per i più deboli, fave e legumi in abbondanza.

Così ci ha tramandato il vecchio sacerdote Andrea, che era stato presente.-

TRECENTO

Necessità per 1'uomo è quel lavoro che gli procura pane e civiltà.

È l'orazione 1'altro grande mezzo che serve quale pane al nostro spirito.

Nel lavorare ha pace la coscienza che sa di far guadagno ed obbedienza.

Nella preghiera s'opera il mistero dell'amicizia piena col Signore.

San Benedetto codice ne fece per i suoi figli aggiunta a carità per ben servire Cristo nei fratelli e specialmente i poveri fra questi.

È monastero celebre ed antico San Verecondo sulla via di Gubbio.

Frate Francesco sempre vi sostava per ristorar lo spirito e le membra.

Quando i suoi figli furono trecento desiderò riunirli tutti insieme.

Il buon abate seppe l'intenzione e volle offrire spazio e desinare.

Fu detto dei «trecento» quel Capitolo, ma meglio noi potremmo definirlo:

«il bel simposio della carità

tra i figli di Francesco e Benedetto».

Su quelle mense povere e pur ricche, su que1 parlare pio, edificante, su quelle preci fervide e pur semplici avrà sorriso Dio con Benedetto.

(27)

L'EREMITA

Francesco si rivela in queste umili e pratiche direttive ai suoi religiosi non soltanto un esperto asceta, ma anche un fine psicologo.

In fondo ogni suggerimento qui ha sapore evangelico.

La ristretta e selezionata compagnia consente una solitudine che arricchisce lo spirito e l’intelletto, e prepara nel modo migliore all’incontro con l’allargata e intera società.

Note

Leg. per. 80 FF. 1636:

Com’ebbe scelto il gruppo che intendeva portare con sé, Francesco disse a quei fratelli: «Nel nome del Signore, andate a due a due per 1e strade, con dignità, mantenendo il silenzio dal mattino fino a dopo l’ora di terza, pregando nei vostri cuori il Signore.

Nessun discorso frivolo e vacuo tra di voi, giacché, sebbene state in cammino, il vostro comportamento dev’essere raccolto come foste in un eremo in cella.

Dovunque siamo o ci muoviamo, portiamo con noi la nostra cella: fratello corpo; 1'anima è 1'eremita che vi abita dentro a pregare Dio e meditare.

E se 1'anima non vive serena e solitaria nella sua cella, ben poco giova al religioso, una cella eretta da mano d'uomo». -

L’EREMITA

Appena scelto il gruppo dei compagni pronti a seguirlo ovunque per il mondo Frate Francesco intorno a sé li chiama per istruirli come si conviene.

«Nel nome del Signore voi andate con dignità e in silenzio a due a due, e mentre il piede poggia sulla terra il cuore lieve salga verso il Cielo.

Passata 1'ora terza, conversate come s'addice ai santi del Signore.

Senza saperlo 1'uno all'altro dona quella letizia appresa in orazione.

In confidenti e semplici parole, liberamente e più che da fratelli esprima 1'uno all'altro i suoi pensieri, necessità, bisogni e desideri.

In mezzo a voi sia 1'ultimo chi è primo, perché sapienza vera è 1'umiltà,

che fa sapere molto a chi non sa e più sapiente fa colui che sa.

Così tacere oppur parlare è bello.

Cosi parlare oppur tacere è saggio.

Tutto è prezioso a chi di pace vive.

Tutto è vantaggio a chi per bene agisce.

Così diventa cella il proprio corpo.

Dentro felice 1'anima ci vive quale eremita sopra un alto monte in compagnia d'amica solitudine».

(28)

LA COLOMBA E IL SERPENTE

Generalmente è la preghiera il momento della massima luce e della, più proficua azione di Dio nell'anima.

Con questa semplicissima immagine, che ci ricorda il sapore delle parabole e immagini evangeliche il Signore toglie il dubbio dalla mente dell'attento e pio Frate Leone.

La colomba, felice in mezzo al suo mondo di purezza e di splendore, ha trovato fatale quel posare con qualche indugio i suoi occhi negli occhi del serpente dell'impurità.

Note

Cron. e test. fr. XIII, 3 FF. 2695:

- Desideravo ardentemente sapere se quando un uomo si sofferma su un pensiero cattivo, senza consentirvi, ma con qualche compiacenza, pecca mortalmente.

Una notte, mentre ero assopito, ebbi questa visione: io stavo ammirando una colomba bellissima con le piume bianche sul ramo di un albero.

Sotto 1'albero lì di fronte c'era un serpente, gli occhi fissi con intensa attenzione a quella colomba.

Dopo molto tempo, la colomba si voltò e vide il serpente, e subito precipitò a terra morta... -

LA COLOMBA E IL SERPENTE

Bonaventura narra quanto segue.

Frate Leone a lui lo raccontò.

«Volevo ben sapere s'è peccato

quando il pensiero impuro sol mi sfiora.

So ben che quando sosta in compiacenza internamente al cuore o all'intelletto, o volontà lo cerca addirittura,

come il Vangelo dice, è già peccato.

Desideravo tanto la risposta non per sapere qualche cosa in più o disquisire in molta sottigliezza, ma per la sola pace del mio cuore.

Volle chiarirmi presto Dio quel dubbio.

In orazione assorto nella notte, una colomba bianca e molto bella vidi posarsi sopra un ramo d'albero.

Sotto di quella un lurido serpente con mosse, or lente or rapide, si sposta, mentre non batte ciglio e mira fisso quella colomba bianca sopra 1'albero.

Dapprima quella intenta alle bellezze che sono intorno e sopra la sua testa sussulta, gode e canta ben felice, sentendo pace dentro e in ogni cosa.

Fu lo strisciare viscido del serpe a richiamare attento giù lo sguardo.

Gli occhi negli occhi, e quella cadde morta!

Per me e per voi fu chiara la risposta».

(29)

UNA PAGINA

Il primo mezzo di comunicazione è la preghiera.

È comunicazione diretta, silenziosa, interiore.

Francesco vi si affida e Dio gli fa da maestro.

Da questa scuola diretta, Francesco, uomo scarso di umana cultura, esce fatto maestro di sapienza e di virtù a tutta l'umanità.

Il secondo mezzo per comunicare con Dio, o meglio ancora, per lasciare che Dio comunichi con noi, e la parola rivelata.

Francesco vi attinge come si va alla mensa quando si ha fame.

Quel gesto in cui divide le pagine d'una copia di Vangelo ci fa correre col pensiero a Gesù che moltiplica i pani perché tutti siano sfamati.

Note

Cron. e test. fr. XV, 8 FF. 2705:

- Un giorno capitò a Francesco d'avere un Nuovo Testamento; poiché i frati erano parecchi e non potevano averlo intero tutti insieme, staccò foglio dopo foglio e ne diede a ciascuno perché tutti lo studiassero e non si disturbassero a vicenda.

UNA PAGINA

Nell'orazione edotto fu Francesco.

Nella dottrina santo si mostrò.

Fu nel pregar discepolo perfetto.

Fu nel parlar maestro impareggiabile.

Sì, nel pregare, e Dio nostro Maestro, e poi ci fa maestro nel parlare.

In questo modo gli umili fa dotti ed il saper confonde dei superbi.

Altra preziosa fonte del sapere è la parola offerta a noi da Dio.

È fedelmente scritta nella Bibbia,

nel Testamento Antico e in quello Nuovo.

Frate Francesco apprese da entrambe per imboccar la strada del Signore e quindi in quella correre spedito fino alla vetta altissima dell'Oreb.

I frati suoi condusse a queste fonti da dove sgorga 1'acqua della vita.

Giammai non ha più sete chi ne beve perché è sapienza vera che non muta.

Francesco esorta i frati a riverire quanti versati sono in scienze sacre;

anzi 'Dottore' vuole che si chiami chi per ufficio insegna le Scritture.

Non vi stupisca! Un dì fece dividere l’unica copia dando un foglio a testa, sicché nessun dei frati rimanesse digiuno di quel pane sostanzioso.

(30)

TUTTO A TUTTI

Questi incontri dei figli col loro Padre spirituale sono i momenti ideali d'una fraternità così fortunata e sono al contempo il più alto indice di ecclesialità.

Francesco, dando a tutti calore, luce e conforto, risponde misteriosamente alle necessità di ognuno.

E ognuno attinge da quel cuore così viva letizia che sembra di stare in Paradiso.

Note

Tre Comp. XIV, 59 FF. 1470:

- Nessuno dei fratelli intervenuti al Capitolo osava parlare di argomenti mondani; s'intrattenevano sulle vite dei santi Padri e sui mezzi più idonei per ottenere più copiosa ed efficace la grazia del Signor Gesù Cristo.

Se qualche fratello presente al Capitolo era afflitto da tentazione o tribolazione, ascoltando Francesco parlare con tanta dolcezza e fervore, e vedendo come si comportava, si sentiva libero dalle tentazioni e mirabilmente alleviato dalle tribolazioni.

Parlava con loro immedesimandosi nella loro situazione, non come un giudice quindi, bensì come un padre comprensivo con i suoi figli e come un medico compassionevole con i propri i malati.

Sapeva essere infermo con gli infermi, afflitto con gli afflitti. -

TUTTO A TUTTI

Poiché il pensier dei frati è volto a Dio, anche il parlare corre a quella meta.

Il loro cuore è bussola con 1'ago puntato al Cielo come polo fisso.

Pronti, il volere santo di Francesco li trova nel Capitolo adunati.

Felici d'ascoltare quella voce piena d'amor di Dio e dei fratelli.

Come squillare amico di campana rinfranca nella notte il viandante, così nel cuore scende dei suoi frati ogni parola santa di Francesco.

E voce e sguardo e cuore sì ti tocca che dentro t'é dolcissima carezza.

Lo stesso dire, e fin lo stesso gesto, è 1'efficace farmaco per tutti.

Ognuno sente chiara la risposta al dubitar, benché non manifesto.

La tentazione fugge da coloro che zoppicanti montano l'ascesa.

Tribolazioni e prove quotidiane ti sa mutare in tal consolazione, che senti come pane benedetto 1’aver sofferto un poco nel Signore.

Oh! Ritrovarti amato da quel cuore è veramente un dono del Signore!

nella letizia bella che ti dà vivo sapore c’è d'eternità.

(31)

QUESTO È IL SALUTO

Nella conversazione Francesco scopre la preziosità e la bellezza dell'esistenza e la soavità della comunione interiore con Dio.

Qui poi ricorda come Dio stesso, fra le altre cose, gli rivelò come salutare i fratelli.

Egli è felice di questa condiscendenza divina, è convinto della opportunità di questo saluto e si fa garante ai suoi figli - che lo prenderanno come eredità da lui - della grande benevolenza di cui godranno dagli uomini anche per questo saluto.

Note

Leg. per. 67 FF. 1618 - 1619:

- II Signore rivelò a Francesco anche il saluto che i frati dovevano dare, come ricorda nel suo Testamento:

«I1 Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Signore ti dia pace!».

Nei primordi dell'Ordine, mentre Francesco era in cammino con uno dei primi dodici frati, questi salutava uomini e donne che incontrava lungo la strada o vedeva nei campi, con le parole: «Il Signore vi dia pace!». -

QUESTO È IL SALUTO

Dalle mie forze nulla presumendo, m'abbandono a Te completamente.

È 1'esistenza nostra dono tuo:

perché non darla tutta al tuo volere?

Com’è soave al cuore, mio Signore, aprire il passo al giorno insieme a Te!

E che dolcezza a sera dirti grazie, raccolto nell'abbraccio tuo di Padre.

È silenzioso e libero 1'andare di due in uno per la stessa via.

Cosi ti porto sempre dentro me, come la Mamma nostra ti portò.

Mi rivelasti tu nell'orazione quale saluto dare ai miei fratelli,

quando per via 1'incontro insieme a Te.

E questo, sì «Il Signore ti dia pace!».

Oh! Quanto abbiam bisogno noi di pace!

Ci stringe la minaccia del nemico.

Ci strema la battaglia quotidiana.

Ci cruccia la speranza del perdono.

Fratello, non temere se qualcuno a quel saluto pensa che sei sciocco.

Non lo cambiare mai: lo volle Dio.

E tanta pace scende in chi 1'accetta.

Sono Francesco e faccio da garante A tutti i figli miei che l’useranno:

questo saluto sempre v'otterrà benevolenza dall'umanità.

(32)

L'AVETE FATTOA ME

È la celebre visione che Francesco ebbe qualche tempo dopo la sua conversione.

È una visione profetica sulla denominazione, sulle caratteristiche e sul futuro dell'Ordine che egli stava per fondare. •

Papa Innocenzo III, al quote fu per primo esposto da Francesco l’abbozzo di una regola e il desiderio dell'approvazione apostolica, avrebbe reso noto ai Vescovi durante il Concilio Lateranense del 1215, sia il nome di “Frati Minori”, sia l’indole dell'Ordine minoritico.

Note

Leg. per. 67 FF. 1617:

- A questo proposito egli ebbe a dire una volta: «L'Ordine e la vita dei frati minori si assomiglia a un piccolo gregge, che il Figlio di Dio, in questa ultima ora, ha chiesto al suo Padre celeste, dicendo: - Padre, vorrei che tu suscitassi e donassi a me in questa ultima ora un nuovo umile popolo, diverso per la sua umiltà e povertà da tutti gli altri che lo hanno preceduto, e fosse felice di non possedere che me solo. -

E il Padre rispose al suo Figlio diletto: - Figlio, ciò che hai chiesto, è fatto -». j

(1) «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto» (Gv. 12,24).

(2) L'affermazione del Padre dice 1'unità del volere e dell'amore tra il Padre e il Figlio.

L'AVETE FATTO A ME

Così Francesco narra ai frati suoi:

vedevo Cristo chino avanti al Padre pregar con cuore supplice, dicendo:

«O Padre, dammi un popolo di piccoli.

Tu dal deserto chiamali a servire:

sia 1'umiltà il deserto dentro loro.

Che senza pesi e titoli s'avanzino, perché minori e poveri li bramo.

Quelli chiamati a dare il mio Annuncio e a spalancar le porte del mio Regno, vano sudore e vano fiato spendono, finché con me non offrono se stessi. (1)

Potere diedi loro di spezzare la boria del nemico e la menzogna

in forza del mio Verbo e del mio Sangue, che non ha prezzo né potere uguale.

Io sulla terra dissi proprio a loro:

tu non temere, piccolo mio gregge, poiché è piaciuto al Padre dare il Regno a voi che mi seguite fedelmente.

Ora tu fa' più nuovo questo gregge col suscitarmi piccoli fratelli, Paghi d'avere solo e sempre Me».

«A te, mio Figlio, ho sempre detto sì! (2) E del vangelo tuo s’avvererà

letteralmente 1'altra tua promessa:

«Quello ch’avete fatto ai miei minori, l’avete fatto a me personalmente».-

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