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Meccanismi e significato clinico del ridotto filtrato glomerulare nel diabete

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Academic year: 2021

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G. Pugliese, G. Mazzitelli, A. Bazuro, L. Pugliese, L. Salvi

Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università “La Sapienza”, Roma e UO Diabetologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma

Corrispondenza: prof. Giuseppe Pugliese, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare,

Università “La Sapienza”, via di Grottarossa 1035-1039, 00189 Roma

e-mail: giuseppe.pugliese@uniroma1.it G It Diabetol Metab 2012;32:10-19 Pervenuto in Redazione il 29-12-2011 Accettato per la pubblicazione il 12-01-2012

Parole chiave: nefropatia diabetica, velocità di filtrazione glomerulare, escrezione urinaria di albumina, malattia renale cronica, malattia cardiovascolare

Key words: diabetic nephropathy, glomerular filtration rate, urinary albumin excretion, chronic kidney disease, cardiovascular disease

Rassegna

Meccanismi e significato clinico del ridotto filtrato glomerulare nel diabete

RIASSUNTO

La nefropatia, che si manifesta nel 30-40% dei soggetti diabeti- ci sia di tipo 1 sia di tipo 2, è caratterizzata da un persistente incremento dell’escrezione urinaria di albumina e da un gradua- le declino della velocità di filtrazione glomerulare (GFR).

L’albuminuria e la riduzione del GFR sono i principali marcatori di danno renale nel diabete, ma non sono sufficientemente sensi- bili e specifici da consentire di individuare precocemente quei pazienti che presentano un interessamento renale. Nonostante l’incremento dell’albuminuria preceda caratteristicamente il declino del GFR nella storia naturale della nefropatia diabetica, la riduzione del GFR può manifestarsi anche in assenza di albumi- nuria. Ciò avviene più frequentemente nel diabete di tipo 2, pre- sumibilmente per effetto della maggiore eterogeneità anatomica rispetto al diabete di tipo 1, che può sottendere un meccanismo macroangiopatico, oltre che microangiopatico. Inoltre, non solo l’albuminuria, ma anche la riduzione del GFR, sono fattori predit- tivi di progressione del danno renale e di sviluppo di malattia car- diovascolare, che rappresenta la causa principale di morbilità e mortalità nei soggetti con nefropatia diabetica.

SUMMARY

Mechanisms and clinical significance of reduced glomerular fil- tration rate in diabetes

Nephropathy, which affects 30-40% of subjects with either type 1 or type 2 diabetes, is characterized by a persistent increase of urinary albumin excretion and a progressive decline of glomeru- lar filtration rate (GFR). Albuminuria and reduced GFR are the main markers of renal damage in diabetes, but they are not suf- ficiently sensitive and specific to allow an early identification of subjects with renal involvement. Though increased albuminuria characteristically precedes GFR loss in the natural history of dia- betic nephropathy, a reduction of GFR may occur also in the absence of albuminuria. This is more frequent in type 2 diabetes, likely due to the more marked anatomical heterogeneity as com- pared with type 1, possibly underlying a macroangiopathic, in addition to a microangiopathic mechanism. Moreover, not only albuminuria, but also reduced GFR, predict both progression of

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renal damage and development of cardiovascular disease, which is the main cause of morbidity and mortality in subjects with diabetic nephropathy.

Introduzione

La nefropatia diabetica rappresenta attualmente la principa- le causa di insufficienza renale terminale (end-stage renal disease, ESRD) nel mondo1, ma non ancora in Italia, sebbe- ne la sua prevalenza nei pazienti in trattamento sostitutivo sia in costante incremento anche nel nostro Paese2.

La compromissione renale in corso di diabete mellito rappre- senta un’evenienza frequente, sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2, manifestandosi in circa il 30-40% dei pazienti, nella maggioranza dei casi entro 20-25 anni dall’e- sordio del diabete, anche se può presentarsi alla diagnosi nei diabetici di tipo 23. La prevalenza dell’ESRD risulta in parte sottostimata nei pazienti diabetici a causa dell’aumentata mortalità per cause cardiovascolari (CV) cha si verifica prima della sua comparsa4. Proprio a causa dell’elevato rischio CV da cui è gravata la nefropatia, la spettanza di vita è infatti superiore a 5 anni soltanto nel 20-40% dei casi, peggiore nel diabete di tipo 2 (< 10% in alcuni studi) rispetto al diabete di tipo 1 (35-50%).

Dal punto di vista patogenetico, studi sperimentali hanno evidenziato un ruolo centrale dell’iperglicemia5, attraverso meccanismi sia diretti, metabolici6, sia indiretti, emodinami- ci7. Studi clinici hanno altresì confermato la relazione diretta tra entità e durata dell’iperglicemia, da un lato, e sviluppo e progressione del danno renale nel diabete, dall’altro, e hanno anche dimostrato che il ripristino di un buon controllo glice- mico è efficace nel prevenire o rallentare lo sviluppo della nefropatia diabetica8,9. Tuttavia, oltre all’iperglicemia, va segnalato il possibile ruolo dell’ipertensione arteriosa e delle altre manifestazioni della cosiddetta sindrome metabolica, che è gravata anch’essa da un aumentato rischio non solo CV10ma anche renale11.

Sul piano anatomico, il quadro istologico della glomerulopa- tia diabetica tipica è riscontrabile nella quasi totalità dei pazienti con diabete di tipo 112. Questo quadro è caratteriz- zato da ispessimento della membrana basale glomerulare con perdita di podociti, espansione della matrice mesangia- le e glomerulosclerosi nodulare o diffusa. Si associano anche lesioni glomerulari essudative, ma anche arteriolari, a carico delle arteriole sia afferenti sia efferenti, e tubulo-interstiziali, con ispessimento della membrana basale tubulare e sclero- atrofia dell’epitelio. Nel diabete di tipo 2, invece, il reperto istologico è più variegato, con solo un terzo dei soggetti con microalbuminuria (e metà di quelli con macroalbuminuria) che presentano il quadro sopra descritto di glomerulopatia diabetica tipica; nei restanti pazienti, o non è evidenziabile una malattia renale significativa o si repertano lesioni preva- lentemente vascolari e/o tubulo-interstiziali13.

Clinicamente, la nefropatia diabetica è caratterizzata dalla triade albuminuria o proteinuria, alterazioni della velocità di filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) e iper- tensione arteriosa, che è caratteristicamente secondaria al

danno renale nel diabete di tipo 1 ed è invece primaria o essenziale nel diabete di tipo 2.

Scopo di questa rassegna è rivisitare il significato clinico della riduzione del GFR, rispetto a quello dell’albuminuria, nel contesto della nefropatia diabetica, sia come marcatore di danno renale sia come indicatore di rischio di eventi avversi, renali e CV.

Marcatori di danno renale nel diabete

L’albuminuria e le alterazioni del GFR vengono utilizzate come marcatori di danno renale nel diabete, ma anche in altre malattie renali. Tuttavia essi non sono sufficientemente sensibili e specifici da consentire di individuare precocemen- te e con certezza quei pazienti diabetici che presentano un interessamento renale passibile di evoluzione fino all’ESRD, donde la necessità di individuare nuovi marcatori, come da più parti sottolineato. Le limitazioni dell’albuminuria e del GFR riguardano sia il metodo impiegato per la loro determi- nazione sia il significato clinico da attribuire alle alterazioni di questi parametri.

Sul piano metodologico, la misurazione dell’albuminuria, oltre a essere inficiata dalla presenza di infezioni delle vie uri- narie e da altre condizioni fisiologiche e patologiche che ne influenzano la variabilità biologica, è gravata da un’elevata variabilità analitica, tra il 4% e il 103%, con un terzile centra- le del 28-47%, che in parte dipende dalle modalità di raccol- ta del campione di urine e in parte dal dosaggio vero e pro- prio14. Riguardo alla raccolta urinaria, se la determinazione del tasso di escrezione urinaria di albumina (urinary albumin excretion rate, AER) è da preferirsi al dosaggio della concen- trazione di questa in un campione spot, le frequenti impreci- sioni che si verificano nella raccolta giornaliera o comunque temporizzata e nella successiva determinazione del volume urinario, hanno indotto l’American Diabetes Association (ADA) a raccomandare, per lo meno ai fini dello screening, il dosaggio su un campione spot, preferibilmente del mattino, con normalizzazione della concentrazione urinaria di albumi- na per quella di creatinina15. Le linee guida invitano altresì a eseguire almeno 3 dosaggi nell’arco di 3-6 mesi e indicano che almeno 2 di questi debbano risultare positivi per poter etichettare il paziente come albuminurico. Tuttavia, queste raccomandazioni, che peraltro sono per lo più basate sull’o- pinione di esperti, non vengono sempre applicate nella pra- tica clinica, per la difficoltà di eseguire determinazioni multi- ple dell’albuminuria. In realtà, nella popolazione generale, nonostante l’elevato coefficiente di variazione16, la perfor- mance di un singolo dosaggio nel predire lo stadio di albu- minuria è discreta (pari al 63% per la microalbuminuria)17. Un risultato simile è stato di recente riportato in soggetti con dia- bete di tipo 2, peraltro con una performance del singolo dosaggio migliore (pari all’84% per la microalbuminuria), a suggerire che misurazioni multiple potrebbero non essere necessarie per stadiare i pazienti in ambito sia clinico sia epi- demiologico18.

Ancora più problematica è la misurazione del GFR, in quan-

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to il marcatore ideale di filtrazione glomerulare corrisponde a una sostanza metabolicamente inattiva, liberamente filtrata a livello glomerulare e né secreta né riassorbita a livello tubula- re. Marcatori esogeni quali inulina e iotalamato soddisfano questi criteri, ma il loro impiego è laborioso e costoso, in quanto debbono essere iniettati per via endovenosa e suc- cessivamente dosati in campioni di plasma e urine per otte- nere la clearance urinaria (velocità di escrezione urina- ria/concentrazione plasmatica) o soltanto in campioni di pla- sma per determinare la clearance plasmatica (velocità di infusione endovenosa/concentrazione plasmatica). Al con- trario, l’uso di marcatori endogeni, come la creatinina o la cistatina C, non comporta procedure complesse e dispen- diose, ma nessuno di questi si avvicina sufficientemente alle caratteristiche ideali19. Tuttavia, mentre la creatinina è grava- ta da un’elevata variabilità nel tasso di produzione muscola- re e di secrezione tubulare, la cistatina C è meno influenzata da questi fattori, in quanto viene completamente riassorbita e degradata a livello tubulare, sebbene sia stata descritta una sua aumentata produzione in corso di infiammazione20. Pertanto, alla variabilità del GFR si aggiunge la variabilità legata a questi fattori, indipendenti dal GFR, di cui le equa- zioni per la stima del GFR stesso a partire dai livelli di creati- ninemia o cistatina C tengono conto, attraverso l’uso di parametri clinici accessibili quali età, sesso, etnia o peso cor- poreo (Tab. 1)19. Le equazioni che utilizzano la creatininemia comprendono la formula di Cockroft-Gault, basata su età, sesso e peso corporeo21e l’equazione semplificata dello stu- dio modification of diet in renal disease (MDRD), basata inve- ce su età, sesso ed etnia, che è però limitata dal fatto di essere derivata soltanto da soggetti con malattia renale cro- nica (chronic kidney disease, CKD)22. Uno studio recente23 ha mostrato una maggiore precisione della seconda rispetto alla prima, sebbene entrambe tendano a sottostimare il GFR per valori ≥ 60 ml/min/1,73 m2, ma ancora più recentemen-

te è stata proposta e validata una nuova equazione, la chro- nic kidney disease epidemiology collaboration (CKD-EPI), che utilizza gli stessi parametri della formula semplificata dello studio MDRD. In particolare, nell’equazione CKD-EPI, l’interpolazione spline per il logaritmo della creatininemia consente di ottenere pendenze della retta che mette in rela- zione lineare GFR e creatininemia maggiori e identiche nei due sessi o minori e diverse nei due sessi, rispettivamente, per valori superiori o inferiori a 0,9 mg/dl nel maschio e 0,7 mg/dl nella femmina24. Sebbene ancora inferiore alla misura- zione diretta del GFR, la stima di questo mediante l’equazione CKD-EPI consente una maggiore precisione e una minore sovrastima della prevalenza di CKD rispetto alla formula dello studio MDRD24. L’uso di equazioni che utilizza- no la cistatina C, da sola o insieme alla creatinina, fornisce stime ancora più accurate in quanto meno influenzate dalla massa muscolare25.

Riguardo invece agli aspetti più strettamente clinici, abbiamo già accennato al fatto che la presenza di albuminuria non si accompagni necessariamente alla presenza di danno renale significativo13, così come si discute tuttora se una riduzione dell’eGFR al di sotto di 60 ml/min/1,73 m2sia comunque indicativa di nefropatia, anche se non accompagnata da altri segni di danno renale quali l’albuminuria26.

Nonostante queste limitazioni, nel 2002, la National Kidney Foundation’s (NKF’s) Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI) ha introdotto una classificazione della CKD basata su questi 2 marcatori27. Questa classificazione ha avuto un profondo impatto sulla gestione della CKD, pro- muovendo l’esecuzione del dosaggio di albuminuria e crea- tininemia e della stima del GFR a partire da quest’ultima e, al tempo stesso, favorendo il riconoscimento della CKD, soprattutto nei suoi stadi iniziali, e quindi il suo trattamento al fine di prevenirne l’ulteriore evoluzione vero l’ESRD (Fig. 1A).

La classificazione NKF’s KDOQI prevede per i primi 2 stadi la

Tabella 1 Equazioni per la stima del GFR dalla creatininemia.

Formula di Cockroft e Gault

GFR (in ml/min) = [(140 – età) × peso (in chilogrammi)]/[72 × creatinina (in mg/dl)] (× 0,85 se donne) Equazione dello studio MDRD semplificata

GFR (in ml/min/1,73 m2) = 186 × creatinina (in mg/dl)– 1,154× età (in anni)– 0,203× 0,742 (nelle femmine)

× 1,210 (in soggetti di razza nera) Equazione CKD-EPI

GFR (in ml/min/1,73 m2) = a × (creatinina sierica/b)c× (0,993)età Dove:

a:

nella popolazione nera: donne = 166; uomini = 163;

nella popolazione bianca/altre etnie: donne = 144 ; uomini = 141.

b:

donne = 0,7;

uomini = 0,9.

c:

donne: creatinina sierica < 0,7 mg/dl = –0,329; ≥ 0,7 mg/dl = –1,209;

uomini: creatinina sierica < 0,9 mg/dl = –0,411; ≥ 0,9 mg/dl = –1,209.

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presenza di segni di danno renale, quali appunto la micro- o macroalbuminuria, con eGFR al di sopra di 90 e 60 ml/min/1,73 m2, rispettivamente. I 3 stadi successivi sono invece caratterizzati da livelli progressivamente più bassi di eGFR, al di sotto rispettivamente di 60, 30 e 15 ml/min/1,73 m2, indipendentemente dalla presenza o meno di albuminu- ria. I primi 4 stadi vengono ulteriormente suddivisi in base al fatto se il paziente sia stato o meno trapiantato, nel qual caso vengono contrassegnati con una “T”, e il quinto e ulti- mo stadio in base al fatto se il paziente sia o meno in dialisi, nel qual caso viene contrassegnato con una “D”. Tuttavia, a fronte degli indubbi benefici da essa apportata, questa clas- sificazione è stata criticata per il fatto di etichettare come affetti da CKD soggetti con solo eGFR ridotto, ovvero < 60 ml/min/1,73 m2, anche in assenza di segni di danno renale, con il rischio di sovrastimare l’effettiva prevalenza di questa condizione, soprattutto negli individui anziani e di sesso fem- minile26. Di conseguenza, è stato suggerito dal kidney disea- se: improving global outcomes (KDIGO) di suddividere ulte- riormente gli stadi 3-5 in base alla presenza o meno di albu- minuria, oltre che prevedere una sottoclassificazione dello stadio 3 a seconda che l’eGFR sia ≥ o < 45 ml/min/1,73 m2, e porre maggiore enfasi sulla causa della CKD28.

Contestualmente, è stata proposta una classificazione alter- nativa basata sulla stratificazione del rischio di progressione verso l’ESRD, validata su un’ampia coorte di soggetti, che tiene in maggior conto la presenza e il grado, moderato o severo, dell’albuminuria (corrispondenti alla micro- e macroalbuminuria, rispettivamente) (Fig. 1B)29. Poiché lo scopo di una classificazione è quello di assegnare i pazienti con la prognosi peggiore agli stadi più avanzati, rimane aper- to il dibattito sull’adeguatezza del sistema NKF’s KDOQI riguardo all’attribuzione di un rischio maggiore ai soggetti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m² (ovvero stadi 3-5) senza albuminuria rispetto a quelli con albuminuria ed eGFR nor- male o subnormale (ovvero stadi 1-2) in riferimento all’outco-

me renale e CV, oltre che alle altre co-morbilità associate alla CKD. Un’altra finalità di un sistema di classificazione è quel- la di riprodurre il più fedelmente possibile la storia naturale della condizione morbosa in questione, ovvero che i diversi stadi si presentino effettivamente nell’ordine di sequenza numerica. In base alla classificazione NKF’s KDOQI, l’albuminuria dovrebbe comparire prima della riduzione dell’eGFR, mentre nel sistema alternativo la categoria di rischio 1 prevede indifferentemente la presenza o di microal- buminuria o di eGFR 45-59 ml/min/1,73 m².

Storia naturale della malattia renale cronica nel diabete

La storia naturale della nefropatia diabetica è stata inizial- mente derivata da studi su soggetti con diabete di tipo 1. In questi individui, la microalbuminuria rappresenta caratteristi- camente il primo segno di danno renale e può eventualmen- te progredire a macroalbuminuria, che predice il successivo declino del GFR (Fig. 2). Anche per questo motivo, l’albuminuria ha assunto un ruolo centrale nello screening, nella diagnosi e nel trattamento della nefropatia diabetica.

Tuttavia, soprattutto in pazienti con diabete di tipo 1 di lunga durata, una perdita di GFR indicativa di danno renale può avvenire anche in assenza di albuminuria, come dimostrato da uno studio bioptico30su 105 soggetti normoalbuminurici con durata di malattia > 10 anni, dei quali il 22% presentava GFR < 90 ml/min/1,73 m² e lesioni istologiche più avanzate, rispetto a quelli con GFR ≥ 90 ml/min/1,73 m². Succes - sivamente, il follow-up di 1439 pazienti con diabete di tipo 1 del diabetes control and complications trial/epidemiology of diabetes interventions and complications (DCCT/EDIC) ha mostrato che, sebbene la macroalbuminuria sia un potente fattore predittivo della perdita di eGFR, il 24% dei soggetti

Figura 1 Classificazione della malattia renale cronica secondo la National Kidney Foundation’s (NKF’s) Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI)27 (A) e classificazione alternativa29 (B). GFR: glomerular filtra- tion rate, velocità di filtrazio- ne glomerulare.

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presentava un eGFR persistentemente < 60 ml/min/1,73 m2 in assenza di albuminuria31, a conferma che il declino del GFR può precedere la comparsa di albuminuria.

Questa evenienza è risultata ancora più frequente nel diabete di tipo 2. Infatti, tra 301 pazienti diabetici di tipo 2 afferenti a un ambulatorio in Australia, il 39% di quelli con CKD (GFR < 60 ml/m/1,73 m2, misurato mediante la clearance plasmatica di

99mTc-DTPA), è risultato essere normoalbuminurico32. Inoltre, in uno studio trasversale condotto nel periodo 1988-1994 su 1197 adulti di età ≥ 40 anni con diabete di tipo 2 nell’ambito del third national health and nutrition examination survey (NHA- NES III), è stato rilevato che, nei soggetti con CKD, la micro- o macroalbuminuria era assente nel 36% dei casi e, inoltre, albu- minuria e retinopatia, riconosciuti criteri per la diagnosi di nefro- patia diabetica, erano entrambe assenti nel 30% dei casi33. È interessante notare che la prevalenza della forma non albumi- nurica di CKD di stadio ≥ 3 è andata aumentando nel tempo,

fino a diventare maggioritaria rispetto a quella albuminurica.

Dapprima, il follow-up dello UK prospective diabetes study (UKPDS) ha mostrato che il 51% dei soggetti che sviluppava eGFR ridotto era normoalbuminurico34. Successivamente, nel national evaluation of the frequency of renal impairment coexi- sting with NIDDM (NEFRON) 1135e nell’action in diabetes and vascular disease: preterAx and diamicroN-MR controlled eva- luation (ADVANCE)36, 920 e 1252 pazienti, rispettivamente, su 3893 e 2033 soggetti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m2, presen- tavano normoalbuminuria (il 55% e il 62%, rispettivamente).

Infine, lo studio multicentrico italiano renal insufficiency and cardiovascular events (RIACE) ha evidenziato una prevalenza della forma non albuminurica del 56,6% tra i soggetti diabetici di tipo 2 con CKD di stadio ≥ 3 esaminati negli anni 2007- 2008, mentre solo il 30,8% di questi era microalbuminurico e il 12,6% era macroalbuminurico37.

In tutti questi studi (Tab. 2), il GFR è stato stimato con la for- Figura 2 Storia naturale della nefropatia dia- betica. GFR: glomerular filtration rate, velocità di filtrazione glomerulare; PA: pressione arte- riosa; UAE: urinary albumin excretion, escre- zione urinaria di albumina.

Tabella 2 Prevalenza dell’insufficienza renale non albuminurica nei soggetti diabetici.

Pazienti DM Follow-up Insufficienza Senza Senza

Studi (n) (tipo) (anni) renale (%) albuminuria albuminuria

(%) e retinopatia (%) Longitudinali

Molitch ME et al. (DCCT/EDIC), 201031 1439 1 19 6,2* 24

Retnakaran R et al. (UKPDS), 200634 4006 2 15 28* 51

Trasversali

Caramori ML et al. 200330 105 1 ND 22** 100

Kramer HJ et al. (NHANES III), 200333 1197 2 ND 13* 36 30

MacIsaac RJ et al. 200432 301 2 ND 36* 39 29

Thomas MC et al. (NEFRON-11), 200935 3893 2 ND 23* 55

Ninomiya T et al. (ADVANCE), 200936 10.640 2 ND 19* 62

Drury PL et al. (FIELD), 201164 9795 2 ND 5,3* 59

Penno G et al. (RIACE), 201137 15.773 2 ND 18,8* 56,6 43,3

eGFR *< 60 o **90 ml/min/1,73 m2.

ADVANCE: action in diabetes and vascular disease: preterAx and diamicroN-MR controlled evaluation; DCCT/EDIC: diabetes control and complications trial/epidemiology of diabetes interventions and complications; FIELD: fenofibrate intervention and event lowering in diabetes;

ND: non determinato; NEFRON 11: national evaluation of the frequency of renal impairment coexisting with NIDDM-11; NHANES III: third national health and nutrition examination survey; RIACE: renal insufficiency and cardiovascular events; UKPDS: UK prospective diabetes study.

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mula semplificata dello studio MDRD e, nello studio RIACE, anche con la più recente equazione CKD-EPI, che ha forni- to risultati sovrapponibili in termini di prevalenza della forma non albuminurica. Inoltre, quest’ultima, sempre nello studio RIACE37, era più bassa nei soggetti di età < 55 anni, ma sta- bilmente elevata in quelli compresi nelle classi di età succes- sive. Queste evidenze sembrano escludere che l’elevata pre- valenza della CKD non albuminurica sia da attribuire a un’errata categorizzazione di soggetti anziani, dovuta a imprecisione della formula utilizzata per la stima del GFR.

Riguardo al sesso, sia il NEFRON 1135sia il RIACE37hanno evidenziato che i soggetti con il fenotipo non albuminurico sono soprattutto femmine, a suggerire che la prevalenza di questa forma possa invece essere sovrastimata nel sesso femminile, per una sottostima del GFR con le equazioni in uso19.

In ogni caso, è probabile che l’incremento nel tempo della prevalenza della CKD non albuminurica sia da attribuire ai cambiamenti nel frattempo intervenuti nella terapia della nefropatia diabetica. In particolare, dall’epoca degli studi di MacIsaac et al.32e Kramer et al.33, si è assistito a un uso cre- scente di farmaci bloccanti il sistema renina-angiotensina (renin-angiotensin system, RAS) che, come è noto, sono molto più efficaci nel ridurre l’albuminuria che il declino del GFR, per lo meno nel breve periodo. In pratica, è possibile che una parte dei pazienti normoalbuminurici con eGFR ridotto abbia presentato in precedenza livelli elevati di albu- minuria, successivamente regrediti grazie al trattamento con inibitori dell’enzima di conversione o con sartani. Sebbene questa ipotesi sia plausibile, nello studio RIACE, la percen- tuale dei soggetti in trattamento con questi farmaci era mag- giore nei pazienti albuminurici che in quelli non albuminurici con CKD, per quanto questo possa rappresentare un effet- to di indicazione37. Più in generale, è possibile che un miglio- re controllo dei fattori di progressione del danno renale, sulla scorta dei risultati degli studi di intervento intensivo5,6, abbia prodotto dei cambiamenti nella prevalenza delle diverse forme anatomiche che sottintendono la nefropatia diabetica nel diabete di tipo 2, con preponderanza della macroangio- patia rispetto alla microangiopatia. Ciò è in linea con la rela- zione inversa dell’eGFR con l’indice di resistenza intrarenale e gli indici di aterosclerosi sistemica, quali lo spessore medio-intimale carotideo e la stiffness arteriosa, riportata in soggetti con diabete di tipo 238, sebbene questa associazio- ne si verifichi indipendentemente dall’albuminuria39. Il fatto che, nello studio RIACE37, i livelli di HbA1c correlassero in maniera indipendente con la forma albuminurica, ma non con quella non albuminurica di CKD, e l’osservazione che l’altra complicanza microangiopatica, la retinopatia, correlas- se in misura maggiore con la prima che non con la seconda, sono altresì di supporto a questa ipotesi. Tuttavia, se nell’UKPDS l’HbA1cè risultata un fattore di rischio indipen- dente per l’albuminuria, ma non per la riduzione dell’eGFR34, nello studio atherosclerosis risk in communities (ARIC), l’associazione tra HbA1ce CKD incidente era presente anche in assenza sia di albuminuria sia di retinopatia40. La riduzione dell’eGFR in assenza di albuminuria potrebbe quindi essere strettamente correlata, più che all’iperglicemia cronica, agli

altri fattori di rischio usualmente associati al diabete di tipo 2 (e all’elevato rischio CV da cui esso è gravato), quali età, dis- lipidemia e ipertensione arteriosa. Tuttavia, nello studio RIACE37, la presenza di ipertensione era associata in misura maggiore al fenotipo albuminurico che non a quello non albuminurico, in accordo con il fatto che gli elevati livelli pres- sori rappresentano un fattore di rischio per la macroangiopa- tia, ma anche per la microangiopatia.

Questi dati epidemiologici suggeriscono quindi un diverso significato clinico del fenotipo non albuminurico, tanto fre- quente quanto poco studiato, rispetto a quello albuminurico sia con sia senza eGFR ridotto. Quindi, come sottolineato di recente41, l’albuminuria e la riduzione dell’eGFR rappresenta- no due manifestazioni “gemelle” della nefropatia diabetica, che non necessariamente si presentano insieme e differisco- no, almeno in parte, riguardo ai meccanismi patogenetici e alle implicazioni prognostico-terapeutiche. Si è già detto delle possibili differenze riguardo al substrato macro- o microangiopatico delle lesioni renali e si dirà più avanti del significato prognostico dei diversi fenotipi di CKD. Riguardo invece al trattamento, se, da un lato, l’uso estensivo di bloc- canti del RAS potrebbe avere favorito l’aumentata prevalen- za della forma non albuminurica, dall’altro, ci si potrebbe chiedere se questi farmaci siano indicati anche in questi pazienti. Certamente, nel medio-lungo termine, i bloccanti del RAS sono risultati in grado di ridurre significativamente la caduta del GFR e la progressione verso l’ESRD, ma la mag- gior parte degli studi sono stati condotti in pazienti proteinu- rici, in cui il raggiungimento dell’endpoint renale è risultato essere inversamente correlato al livello basale di AER e diret- tamente correlato all’entità della sua riduzione sotto tratta- mento42. Sono necessari quindi studi ad hoc per risolvere il quesito ed eventualmente per identificare i presidi terapeuti- ci più idonei per questi pazienti.

Valore predittivo della riduzione del GFR e dell’albuminuria

La CKD è ovviamente associata al rischio di progressione del danno renale verso l’ESRD, sebbene la velocità con cui ciò si verifica possa variare ampiamente, da situazioni in cui la perdita di eGFR rimane sostanzialmente stabile per lungo tempo a casi in cui il declino dell’eGFR avviene più rapida- mente.

È noto altresì come non soltanto l’ESRD43, ma anche gli stadi precedenti di CKD siano gravati da un’elevata mortalità CV e totale. Diversi studi4, hanno mostrato come i pazienti con CKD abbiano una probabilità maggiore di morire, soprattut- to per malattia CV, che non di progredire verso l’ESRD, seb- bene dati più recenti sembrino favorire la progressione rispetto alla morte44.

Progressione del danno renale

È stato dimostrato che l’albuminuria predice la progressione verso l’ESRD indipendentemente dall’eGFR, mentre il solo

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eGFR ridotto è risultato avere un minore impatto rispetto alla sola albuminuria nell’ulteriore perdita di GFR, sia nella popo- lazione generale45sia nei diabetici di tipo 236. Al tempo stes- so, come detto, nei soggetti proteinurici, il livello basale di AER e l’entità della sua riduzione sotto trattamento correla- no con il raggiungimento dell’endpoint renale42. Pertanto, un sistema alternativo di stadiazione basato su eGFR e protei- nuria è stato di recente suggerito29e la proteinuria è stata altresì proposta come outcome surrogato in soggetti con CKD46. Ciò è altresì in accordo con l’ipotesi che l’albu - minuria, e soprattutto la proteinuria, giochino un ruolo fonda- mentale nell’ulteriore declino del GFR. Si ritiene che il mec- canismo fisiopatologico consista nell’induzione di una rea- zione infiammatoria da parte delle proteine riassorbite a livel- lo tubulare, con esito in atrofia e disconnessione del tubulo stesso dal glomerulo corrispondente, che va pertanto in - contro a sclerosi con conseguente perdita di superficie filtrante47.

Comunque, una recente metanalisi su coorti di popolazione generale e su soggetti ad alto rischio di CKD, ha indicato che sono fattori di rischio per l’ESRD, per un danno renale acuto e per la progressione della CKD sia elevati valori di albumi- nuria sia bassi valori di eGFR, indipendentemente l’uno dal- l’altro e dagli altri fattori di rischio CV48.

Eventi CV

Nella popolazione generale, il primo indicatore di danno renale che è stato correlato alla mortalità CV è la proteinuria.

Nello studio losartan intervention for endpoint reduction (LIFE), è stata riscontrata una relazione tra rapporto albumi- na/creatinina (A/C) e un endpoint composito comprendente mortalità totale e CV, infarto e ictus, o i singoli endpoint49. Analogamente, lo studio di Valmadrid et al.50ha dimostrato come la microalbuminuria e la macroalbuminuria possano essere considerate come fattori di rischio indipendenti per la mortalità CV, ma anche per la mortalità dovuta ad altre cause.

La relazione tra ridotto GFR e malattia CV è stata dimostra- ta in un’ampia coorte di soggetti adulti per quanto riguarda sia la mortalità sia gli eventi, che sono risultati aumentare con il diminuire del GFR stimato con l’equazione dello studio MDRD51. Un’analisi di 4 studi prospettici52ha confermato la minore sopravvivenza libera da un endpoint composito costituito da infarto miocardico, malattia coronarica fatale, ictus e morte nei soggetti con GFR < 60 ml/min/1,73 m2. Tuttavia, in altri campioni della popolazione generale, il cut- off per la discriminazione del rischio CV è risultato essere più alto53,54.

Nella coorte del NHANES III, sia l’incremento dell’albuminu- ria sia la riduzione dell’eGFR sono stati associati con un aumentato rischio di malattia CV e con la mortalità in gene- rale55. Una recente metanalisi ha confermato che sia l’albuminuria sia l’eGFR < 60 ml/min/1,73 m2sono preditto- ri indipendenti di mortalità, indicando inoltre che queste due anomalie esercitano un effetto moltiplicativo sul rischio di morte, senza evidenza di interazione56. Studi più recenti hanno tuttavia messo in luce come individui con un ridotto

eGFR senza albuminuria abbiano un più basso rischio di malattia CV rispetto ai soggetti con albuminuria senza ridu- zione dell’eGFR57,58.

Sebbene gli studi sopra riportati siano stati condotti su casi- stiche comprendenti anche pazienti diabetici, la relazione inversa tra GFR e malattia CV da questi emersa non può essere automaticamente estesa a essi. Studi specificamen- te condotti su popolazioni di diabetici non hanno fornito risul- tati univoci. Infatti, dapprima lo studio di Knobler et al. su una casistica di piccole dimensioni ha evidenziato una relazione tra eGFR < 60 ml/min/1,73 m2 ed eventi cardiaci59. Successivamente, tre studi di dimensioni più ampie hanno confermato la relazione tra riduzione dell’eGFR e morbilità e/o mortalità CV. Lo studio di Kong et al.60ha mostrato un aumentato rischio di malattia CV già per eGFR < 90 ml/min/1,73 m2. Lo studio di So et al. ha evidenziato invece un rischio aumentato di eventi CV e mortalità totale per eGFR < 30 e 60 ml/min/1,73 m2, rispettivamente, dopo aggiustamento per albuminuria e fattori di rischio CV61. Infine, uno studio inglese62ha mostrato che la probabilità di morte (totale e CV) aumenta con il diminuire dell’eGFR a par- tire da valori < 90 ml/min/1,73 m2. Lo studio di Casale Monferrato, condotto osservando una coorte di 1538 sog- getti affetti da diabete di tipo 2, non ha invece mostrato una relazione significativa tra GFR e mortalità totale e CV, se non nei soggetti macroalbuminurici63. Più di recente, gli studi ADVANCE36e fenofibrate intervention and event lowering in diabetes (FIELD)64, hanno dimostrato che l’albuminuria e il ridotto eGFR sono associati in misura simile con gli even- ti CV totali, mentre lo studio RIACE ha evidenziato un’associazione indipendente degli eventi CV con l’eGFR ridotto da solo (CKD di stadio ≥ 3 non albuminurica), mag- giore rispetto a quella con l’albuminuria da sola (CKD di sta- dio 1-2) e minore rispetto a quella con entrambe le alterazio- ni (CKD di stadio ≥ 3 albuminurica), a indicare un rischio CV significativo associato al fenotipo clinico non albuminurico37. Inoltre, gli eventi CV sono risultati essere significativamente associati con la CKD di stadio ≥ 3 e con la micro- o la macroalbuminuria, ma non con l’GFR “subnormale” (60-89 ml/min/1,73 m2) o la cosiddetta low albuminuria (10-29 mg/die), sebbene la soglia sia risultata essere a valori di eGFR (eGFR < 78 ml/min/1,73 m2) e albuminuria (≥ 10,5 mg/die) compresi in questi range65. Peraltro, è interessante notare come la riclassificazione dei pazienti diabetici median- te l’equazione CKD-EPI rispetto alla formula dello studio MDRD abbia portato a una migliore definizione del rischio CV associato alla CKD in questi soggetti, in quanto gli individui che passavano dallo stadio 3 allo stadio 2 oppure 0 (eGFR ≥ 60 ml/min/1,73 m2, con o senza albuminuria, rispettivamen- te) avevano un rischio più basso e quelli che passavano dallo stadio 3 allo stadio 4 (eGFR < 30 ml/min/1,73 m2) avevano un rischio più alto, rispettivamente, dei soggetti che rimane- vano in stadio 3 con entrambe le formule (eGFR 30-59 ml/min/1,73 m2)66.

Infine, sempre nello studio RIACE, gli eventi coronarici sono risultati associati in maniera predominante con l’eGFR ridot- to, mentre gli eventi cerebrovascolari e gli eventi periferici esibivano un’associazione più significativa con i fenotipi

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albuminurici di CKD, a indicare che la relazione tra disfunzio- ne renale e malattia CV presenta una specificità di distretto vascolare65. In particolare, la stretta associazione tra eventi coronarici ed eGFR ridotto, in un’analisi trasversale come nello studio RIACE, può anche riflettere la natura bidirezio- nale delle interazioni tra cuore e rene nel contesto della sin- drome cardiorenale67, per cui una disfunzione cardiaca può causare un progressivo deterioramento dell’eGFR, oltre che, ovviamente, una disfunzione renale favorire l’aterosclerosi coronarica. Quest’ultimo scenario è in accordo con l’ipotesi che il fenotipo non albuminurico sottenda più un quadro macroangiopatico che microangiopatico e anche con il ruolo della disfunzione renale nel promuovere la calcificazione vascolare, la cui entità è risultata essere inversamente corre- lata all’eGFR68nonché predire la cardiopatia ischemica e la morte69.

Conclusioni

L’eGFR ridotto è, con l’albuminuria, il principale marcatore di danno renale nel diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2. In que- st’ultima condizione, il declino del GFR si manifesta spesso in assenza di albuminuria e rappresenta quindi il primo segno di danno renale, sebbene nessuno dei 2 marcatori sia suffi- cientemente sensibile e specifico e la misurazione di entram- bi presenti limiti metodologici. L’insufficienza renale non albu- minurica potrebbe sottintendere un quadro anatomico diver- so dalla classica glomerulopatia diabetica su base microan- giopatica, e in particolare un danno prevalentemente vasco- lare e/o tubulo-interstiziale di origine macroangiopatica.

Inoltre, non solo l’albuminuria, ma anche la riduzione del GFR, sono fattori predittivi di progressione del danno renale e di sviluppo di malattia cardiovascolare, che rappresenta la causa principale di morbilità e mortalità in questi individui.

Entrambi i marcatori sono risultati predire sia la progressione del danno renale sia lo sviluppo di eventi e morte CV, indi- pendentemente l’uno dall’altro e dagli altri fattori di rischio CV noti.

Se l’albuminuria è il principale determinante dell’outcome renale, mentre l’eGFR ridotto da solo sembra avere un minore impatto, più complessa è la questione riguardo alla malattia CV, in particolare nei pazienti diabetici, in cui la sola riduzione dell’eGFR sembra conferire un rischio CV rilevante, soprattutto rispetto agli eventi coronarici, sebbene tale asso- ciazione possa essere bidirezionale. In ogni caso, sia per l’elevata prevalenza del fenotipo non albuminurico sia per il rischio associato al GFR ridotto, la stima del GFR deve esse- re considerata parte integrante dello screening e del follow- up del paziente diabetico e deve guidare la definizione pro- gnostica e le decisioni terapeutiche, al pari dell’albuminuria, nel paziente diabetico con CKD.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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