CAPITOLO 2:
SVILUPPO DI PROBIOTICI,
PREBIOTICI E SIMBIOTICI.
2.1 I probiotici: caratteristiche e meccanismo d’azione.
Il termine “probiotico” fu introdotto per la prima volta nel 1965 dai veterinari Lilly e Stillwell; (2) diversamente dagli antibiotici, i probiotici furono definiti come fattori di derivazione microbica in grado di stimolare la crescita di altri organismi. Tradizionalmente era in precedenza utilizzata la denominazione “fermento lattico” (lactic acid bacteria) per identificare i batteri produttori di acido lattico come prodotto finale del catabolismo fermentativo degli
zuccheri; è bene sottolineare, però, come molti dei batteri appartenenti al gruppo dei fermenti lattici non siano in grado di utilizzare il lattosio e quindi di riprodursi nel latte e derivati. Il termine “lattico”, quindi deve essere riferito all’acido prodotto e non al substrato utilizzato.
Il termine probiotico ha assunto, nel corso di oltre mezzo secolo di storia, significati diversi: gli autori D. M. Lilly e R. H. Stillwell definiscono
probiotici quelle sostanze che “prolungano la fase logaritmica di crescita in altre specie microbiche” e che sono prodotte dai protozoi capaci di favorire la crescita di altri microrganismi; R. Fuller (1989) li definisce come
“microrganismi viventi che esercitano un effetto positivo sulla salute
dell’ospite con il risultato di rafforzare l’ecosistema intestinale” (da sostanza a microrganismo); per F. Garner, G.J. Schaafsma (1998) sono “organismi vivi che, consumati in quantità adeguata, conferiscono un beneficio all’ospite” (compare la necessità di una “adeguata quantità”); secondo la FAO/WHO (2002) “organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un
beneficio alla salute dell’ospite” (sostanzialmente identica alla precedente, ma con la precisazione del beneficio alla salute (quindi non cosmetico)).
Ancora prima che la scienza medica ufficiale così come la conosciamo oggi abbia dimostrato tutti i benefici dei probiotici dal punto di vista scientifico con studi clinici sugli uomini, esperimenti in vitro, ecc., dal punto di vista empirico, tramite il buon senso e la sperimentazione sul campo, l’uomo già da millenni fa conosceva l’importanza dei probiotici pur non conoscendoli da vicino, però indirettamente sapeva che alcuni alimenti ricchi di probiotici apportavano benefici per la salute. Per esempio, la versione persiana del Vecchio Testamento afferma che “Abramo doveva la sua longevità al
consumo di latte acido”, quindi il latte fermentato che oggi sappiamo essere il risultato dell’azione specifica di batteri probiotici, a favore della vita. Nel 76 a.C. lo storico romano Plinio raccomandava la somministrazione di prodotti lattiero-caseari fermentati per il trattamento della gastroenterite, quindi dell’influenza intestinale. Metchnikoff, il “padre dei probiotici moderni” all’inizio del XX secolo ha affermato che “l’assunzione di yogurt contenente lattobacilli poteva ridurre la quantità di batteri che producono tossine situati nell’intestino e questo poteva aumentare la longevità dell’ospite”.
Oggi, il concetto di probiotico si è evoluto: non si fa più riferimento ai benefici localizzati a livello gastrointestinale, ma anche a quelli riscontrabili in altri distretti. In particolare, i probiotici sono utili nelle aree dell’organismo soggette ad un’ampia colonizzazione batterica, come la cavità orale (sono state proposte per esempio delle gomme da masticare contenenti probiotici per prevenire la carie, che è dovuta al proliferare di certi batteri, i quali in presenza di zuccheri producono acidi organici che corrodono lo smalto), ma anche a livello cutaneo e vaginale, dove esistono degli specifici lactobacilli, i lactobacilli di Doderlein (dal nome del loro scopritore Albert Doderlein, ostetrico tedesco) che, similmente a quelli dell’intestino, hanno un’azione protettiva nei confronti dell’ambiente vaginale riducendo il pH, cioè
rendendolo più acido e quindi più ostile alla proliferazione di altri patogeni (proteggono dallo sviluppo di infezioni).
Nella pratica, i probiotici sono microrganismi viventi che possono essere addizionati a numerose tipologie di prodotto, tra cui alimenti, farmaci e integratori alimentari. Le specie Lactobacillus e Bifidobacterium sono i probiotici più comunemente utilizzati, mentre, con minor frequenza, lo sono i lieviti Saccharomyces cereviasiae, alcuni E. Coli ed alcune specie di Bacillus. I batteri lattici includono alcune specie di Lactobacillus, utilizzate per
centinaia di anni per la conservazione del cibo grazie al processo di fermentazione, in grado di svolgere una duplice funzione sia come agenti inducenti la fermentazione del cibo, sia conferendo potenziali benefici per la salute. La fermentazione del cibo conferisce proprietà organolettiche
specifiche e, riducendo il pH, previene la contaminazione da parte di agenti patogeni. La fermentazione è utilizzata per la conservazione di numerosi prodotti agricoli e derivati (cereali, radici, tuberi, frutta e verdura, latte, carne, pesce). I probiotici agiscono sull’ecosistema intestinale stimolando
meccanismi immunitari della mucosa e meccanismi non immunitari attraverso antagonismo/competizione con potenziali patogeni; si suppone che questi effetti siano coinvolti nella maggioranza degli effetti benefici osservati. (2)
I probiotici presentano le seguenti caratteristiche: -Batteri di origine umana
-Sicuri nell’uso in pratica clinica
-Resistenti alle secrezioni digestive (HCl, bile, bicarbonati) -Capaci di sopravvivere al passaggio attraverso il tratto GI -Capaci di aderire alle cellule intestinali
-Capaci di colonizzare il lume del tratto GI
-Capaci di proteggere le cellule dall’invasione di patogeni
batteriocine
-Capaci di antagonizzare la flora carcinogenica e patogena
Un ceppo probiotico, è caratterizzato dal genere, dalla specie e da un valore alfanumerico (ex. Lactobacillus Rhamnosus ATCC 53013 (GG)).
L’utilizzo dei probiotici si basa sul concetto di intervenire sulla flora batterica complessiva intestinale, utilizzando una microflora “sana”, attraverso quello che è stato definito Microbial Interference Treatment (MIT). Il probiotico è infatti in grado di interferire positivamente con la salute dell’ospite
incrementando le difese intestinali con diversi meccanismi d’azione:
Protezione della barriera mucosa, diminuendo l’adesione dei patogeni alle cellule e rinforzandola per modulazione del citoscheletro e
dell’espressione delle proteine delle tight junctions, in particolare prevenendo la ridistribuzione della proteina occludente ZO-1 attivata dai patogeni, con un meccanismo legato ad alterazioni della secrezione di muco e cloruri.
L.plantarum 299 v ed E. Coli Nissle incrementano la produzione di MUC2,
MUC3 e MUC5AC; S. thermophilus e L. acidophilus limitano la secrezione di acqua e cloruri; L. acidophilus protegge dal riarrangiamento di F-actina indotto da un ceppo patogeno di E. Coli in colture di cellule epiteliali;
S.thermophilus e L.acidophilus mantengono e rinforzano la struttura di altre
proteine giunzionali (actina, ZO-1, occludina) in linee cellulari contagiate da patogeni.
Attività anti-infiammatoria e immune su diversi target come cellule epiteliali (i probiotici agiscono sui Toll-like receptors TLR-2 e TLR-4 inducendo la produzione di citochine, prevengono lo sviluppo della colite acuta da destrano sodio solfuro (DSS) nel topo, attenuano le risposte pro-infiammatorie indotte dai patogeni, evitano le risposte pro-pro-infiammatorie ai batteri commensali (es. Bacteroides thetaiotaomicron), inducendo una
risposta antinfiammatoria, facilitano il rinnovo dell’epitelio e/o prevengono l’apoptosi indotta da citochine e influenzano la proliferazione di cellule), cellule dendritiche (le quali interagiscono direttamente con i batteri luminali facendo passare i loro dendriti nel lime attraverso le tight junctions e
indirettamente con i batteri che sono stati captati dalle cellule-M, con i
bifidobatteri (B. longum, B. infantis e B. breve) sovraregolando la produzione di IL-10 con effetto anti-infiammatorio, con L. rhamnosus avendo come risultato la riduzione della produzione di IL-4 da parte di cellule-T CD4 periferiche di individui normali), linfociti (i probiotici possono agire sui linfociti direttamente o attraverso un’alterata stimolazione delle CD o dei macrofagi, dei B Linfociti, delle Cellule Natural Killer (NK), delle Cellule-T). Produzione di enzimi, SCFA, agenti batteriocidi
Capacità di alterare il pH locale: i probiotici possono antagonizzare i patogeni riducendo il pH luminale, inibendo l’adesione e la traslocazione batterica o producendo sostanze antibatteriche e defensine. Uno dei
meccanismi con cui la flora intestinale resiste alla colonizzazione da parte dei patogeni è l’ambiente fisiologicamente controllato per pH, potenziale redox e produzione di acido solfidrico. I probiotici producono composti antimicrobici, denominati batteriocine, alcune attive verso batteri positivi e Gram-negativi.
Capacità di fornire nutrizione ai colonociti (SCFA)
Capacità di ristabilire l’equilibrio fra batteri “buoni” e batteri “nocivi” Capacità di facilitare l’accrescimento di batteri “buoni”
(Bifidobacterium, Lactobacillus)
La World Gastroenterological Organization (WGO), ha pubblicato nel 2011 le Practice Guideline on Probiotics and Prebiotics, che identificano le
situazioni in cui si ritiene esistano sufficienti evidenze di efficacia da parte dei probiotici stessi:
> Alcuni probiotici contribuiscono alla prevenzione della diarrea da antibiotici
> Alcuni probiotici contribuiscono al trattamento della diarrea infettiva nei bambini
> Alcuni probiotici sono associati ad un globale miglioramento dei disturbi intestinali
> Alcuni probiotici alleviano i disordini funzionali gastrointestinali (es. gonfiore, fastidio addominale) e di conseguenza migliorano i fastidi digestivi > Alcuni probiotici riducono la frequenza e la severità degli attacchi di
enterocolite necrotizzante nei prematuri
> Alcuni probiotici possono antagonizzare i patogeni intestinali per antagonismo diretto (es. produzione di batteriocine, defensine) o per esclusione competitiva
> Non esiste un numero standardizzato di batteri probiotici che garantisca l’effetto desiderato. L’effettiva quantità per un dato ceppo ed un dato effetto desiderato, è la quantità per cui vi è una dimostrazione valida
> Gli alimenti contenenti probiotici hanno dimostrato la loro sicurezza sia nella popolazione sana che in pazienti portatori di alcune patologie
Occorre comunque sempre considerare che le valutazioni degli effetti sulla salute devono essere condotte sul ceppo specifico che si trova nel prodotto, i risultati e le revisioni degli studi condotti su ceppi specifici non possono essere utilizzati come dati per supportare effetti benefici di altri ceppi non testati, e che gli studi che documentano l’efficacia di specifici ceppi a dosi specifiche non rappresentano evidenze sufficienti per supportare effetti sulla salute a dosi inferiori.
2.2 I prebiotici.
Il termine “prebiotico” deriva da “prebiosi”, che è la capacità dei carboidrati fermentabili di causare cambiamenti del microbiota intestinale, favorevoli alla salute dell’ospite. (2) Varie Associazioni e Società Scientifiche danno diverse definizioni di prebiotico:
”Ingredienti del cibo che sfuggono alla digestione nell’intestino tenue e raggiungono il colon, dove stimolano l’accrescimento e/o l’attività di uno o di un numero limitato di batteri, migliorando in tal modo la salute dell’ospite.”1
”Un prebiotico dietetico è un ingrediente selettivamente fermentato che determina specifici cambiamenti nella composizione e/o nell’attività del microbiota intestinale conferendo in tal modo benefici alla salute
dell’ospite.”2
”Ingredienti selettivamente fermentati che provocano variazioni specifiche nella composizione e/o nell’attività della microflora gastrointestinale apportando benefici alla salute.”3
Un ingrediente dietetico viene classificato, comunque, come prebiotico se:
Resiste all’acidità gastrica, all’idrolisi enzimatica ed all’assorbimento
nell’intestino tenue
E’ fermentato dal microbiota intestinale
Stimola selettivamente l’accrescimento e/o l’attività dei batteri intestinali
1G.R. Gibson, M.B. Roberfroid (1995) - Dietary modulation of the human colonic microbiota: introducing
the concept of prebiotics.
2ISAPP (International Scientific Association Probiotics Prebiotics, 2008) - 6th Meeting of the International
Scientific Association of Probiotics and Prebiotics, London, Ontario.
3ILSI (International Life Science Institute), Europe task force (2011) - Prebiotic effects: Metabolic and
I prebiotici si trovano in natura in alcuni cibi come cipolle, aglio, asparagi, cicoria, carciofi, avena, fagioli, soia; il loro valore calorico è stato stimato fra 1 e 2 kcal/g. Anche se spesso i prebiotici e le fibre dietetiche sono ritenuti simili ma in realtà non lo sono, le componenti per cui in particolare è stato riportato un effetto prebiotico sono gli oligosaccaridi non-digeribili (NDO), che contengono misture di oligomeri di catene di varia lunghezza con diversi gradi di polimerizzazione (DP). Si tratta di fruttani come inulina e fruttani lineari β-(2-1) composti di β-D-fructo-furanosi con legami lineari β-(2-1). Il primo monomero della serie è un residuo glucosile (G) o fruttosile (F). Costituiscono una serie di oligosaccaridi omologhi derivati dal sucrosio e rappresentati dalla formula GFn o FFn. Gli NDO naturali estratti dalla cicoria
(Cichorium intybus) sono una mistura di molecole GFn o GFn + FFn, con un
numero di unità di fruttosio (F) variabili da 2 a 60. Negli altri vegetali (aglio, cipolle, asparagi, carciofi) sono reperibili come inulina (inulina ST, DP medio = 10) ed inulina ad alto PM (inulina HP, DP medio = 20), inulina idrolizzata enzimaticamente (oligofruttosio, DP medio = 4) ed una mistura di inulina HP ed oligofruttosio. I prebiotici esercitano numerose funzioni benefiche per l’organismo umano.
Le attività fisiologiche dei prebiotici possono essere riassunte considerando i seguenti meccanismi:
Diminuzione del pH fecale ed effetto bifidogeno: i prebiotici stimolano la
fermentazione da parte di specifici batteri nel colon, mentre le fibre dietetiche possono essere o non essere fermentate, a seconda della loro solubilità.
L’acidificazione del contenuto intestinale conseguente alla fermentazione con produzione di acidi grassi a catena corta crea un ambiente favorevole alla crescita dei simbionti (Bifidobacteria, Lactobacilli acidophili) ed ostili per lo sviluppo di microrganismi patogeni. Questo fenomeno è conosciuto come
“effetto bifidogenico” poiché sono in particolare i Bifidobacteria ad essere interessati. Si assiste, di conseguenza, ad una diminuzione dei metaboliti tossici (ammoniaca, amine biogene, nitrosamine, acidi biliari secondari) che, quando presenti in concentrazioni eccessive fanno sì che la mucosa si
infiammi e che venga alterata la permeabilità, con ripercussioni negative sulla salute dell’intero organismo.
Trofismo della mucosa e proliferazione cellulare: gli acidi grassi a catena
corta, in particolare l’acido butirrico, oltre a ridurre la proliferazione di patogeni e ad avere proprietà antiputrefattive, sono un ottimo nutrimento per le cellule della mucosa del colon e contribuiscono a migliorarne il trofismo. Aumento della biodisponibilità di minerali: i prebiotici facilitano
indirettamente l’assorbimento di acqua e di alcuni minerali in forma ionizzata, in particolare Calcio e Magnesio.
Azione ipocolesterolemizzante: i prebiotici hanno la capacità di ridurre i livelli plasmatici di colesterolo.
Per riassumere, le principali attività fisiologiche e pato-fisiologiche dei prebiotici possono essere riassunte come segue:
MIGLIORAMENTO:
★miglioramento e/o stabilizzazione della composizione del microbiota intestinale
★ miglioramento delle funzioni intestinali (massa e consistenza delle feci, regolarità dell’evacuazione, funzione-barriera)
★miglioramento dell’assorbimento dei minerali (calcio)
MODULAZIONE:
★modulazione della produzione di peptidi gastrointestinali, del metabolismo energetico e della sazietà
★iniziazione (dopo la nascita) e regolazione/modulazione della funzione immunitaria
RIDUZIONE:
★ riduzione dell’endotossiemia metabolica ★riduzione del rischio di infezioni intestinali
★riduzione del rischio di obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica
★riduzione del rischio e/o miglioramento nel trattamento delle malattie croniche intestinali (colite ulcerosa, morbo di Crohn)
★riduzione del rischio di cancro del colon
2.3 La fermentazione intestinale.
Nell’intestino tenue gli enzimi idrolitici digeriscono parte delle fibre determinando la quantità di carboidrati che viene assorbita e quella che raggiunge, non digerita, il colon. Per esempio, la quantità di carboidrati delle lenticchie che entrano indigeriti nel colon è 2,5 volte maggiore della quantità dei carboidrati del pane, poiché l’amido è fermentato completamente e
velocemente nel cieco. I polisaccaridi (in termini quantitativi amido
resistente, cellulosa e polisaccaridi non-cellulosici, arabino-galattani, xilani, pectine, gomme e mucillagini), gli oligosaccaridi, le proteine e i peptidi sono i più importanti precursori dei prodotti della fermentazione del colon. (2)
Nell’uomo il colon riceve dall’ileo il materiale digerito che viene trattenuto nel cieco e nel colon destro, per 6-12 ore prima di essere trasportato nel colon sinistro ed essere emesso con la defecazione. Il grosso intestino è perciò un
sistema aperto in cui i nutrienti arrivano dall’intestino tenue per essere escreti come feci dopo la fermentazione da parte dei batteri. I prodotti della
fermentazione sono gli acidi grassi a catena corta (SCFA), cioè acetato, propionato e butirrato, i gas H2 e CO2, ammoniaca, amine, fenoli ed energia
che i batteri utilizzano per il mantenimento della loro funzione e per l’accrescimento. Più della metà delle fibre solitamente consumate sono
degradate nel grosso intestino, il resto è espulso nelle feci. La fermentazione è particolarmente attiva nel colon destro, dove la produzione di SCFA è molto elevata, per diminuire progredendo verso il colon sinistro, mentre il sigma ha soltanto una minima fermentazione di carboidrati ed una maggiore
fermentazione delle proteine con produzione di fenoli, indoli ed ammoniaca. Il processo di fermentazione rappresenta la fase colonica del processo
digestivo e comprende la rottura dei legami glucosidici dei carboidrati non digeriti e non assorbiti nel tenue da parte di enzimi idrolitici prodotti dai batteri. Questo processo è unico del colon umano, poiché avviene senza la disponibilità di ossigeno ed ha come risultato la formazione dei gas idrogeno, metano e CO2 e degli acidi SCFA (acetato, propionato, butirrato). I gas sono
assorbiti ed escreti nel respiro, o emessi per via rettale. Generalmente la fermentazione dei carboidrati consiste di diverse reazioni biochimiche, la più importante delle quali è la via biochimica Embden-Meyerhof-Parnas (EMP, o
glicolisi) utilizzata prevalentemente da Lactobacilli e Bacteroides, per cui,
dopo la fosforilazione del glucosio, il carboidrato è convertito a piruvato che agisce come chiave intermedia per le successive interazioni metaboliche. Una via metabolica diversa è utilizzata dai Bifidobacteria (via bifidus) con
formazione finale di piruvato ed acetato. La fermentazione dei FOS (frutto-oligosaccaridi) favorisce selettivamente la moltiplicazione dei Bifidobacteria fino a 10 volte, senza variare la concentrazione totale degli anaerobi,
probabilmente per la loro capacità di idrolizzare. Questo effetto bifidogenico è responsabile della diminuzione della produzione di sostanze putrefatte e del
numero di microbi potenzialmente nocivi (come il Clostridium perfingens). Vengono anche prodotti etanolo, succinato e H2. In particolare l’idrogeno
agisce come intermedio della fermentazione, ma non si accumula nel colon e viene velocemente escreto nel respiro e nei flati. Si calcola che circa un litro di idrogeno sia fermentato nel colon dai carboidrati introdotti con una
normale introdotti con una normale dieta occidentale. In realtà, raramente i flati raggiungono questa quantità grazie all’attività di batteri in grado di consumare H2. In alcuni individui, ceppi di Methanobrevibater smithii
possono fermentare metano diminuendo la produzione di idrogeno. Questo tipo di reazione avviene però soltanto in un terzo degli individui e deve essere tenuta in considerazione nella valutazione dei risultati dei Breath test per intolleranza al lattosio. Un certo numero di fattori sono coinvolti nella fermentazione dei carboidrati: fra questi il più importante è la solubilità. I substrati più solubili, essendo più accessibili agli enzimi idrolitici prodotti dai batteri, sono degradati più velocemente. Tuttavia, alcune fibre solubili, quali gli alginati o i carragenani, sono fermentate in modo incompleto.
I principali substrati fermentabili nell’intestino sono: Amido “resistente”: 8-40 g/dì
Polisaccaridi non amidacei (NSP): 8-18 g/dì Oligosaccaridi: 2-8 g/dì
Zuccheri: 2-10 g/dì
Le reazioni di fermentazione sono influenzate da diversi fattori nutrizionali, microbiologici e legati alla fisiologia dell’ospite, in particolare al tempo di transito intestinale, all’età, all’attività del sistema neuroendocrino, allo stress, alle secrezioni digestive (in particolare quella pancreatica), alla produzione di muco, alle malattie, ai farmaci ed in particolare all’assunzione di antibiotici. Da un punto di vista microbiologico, la composizione chimica, la forma fisica
e la quantità di substrato disponibile influiscono anch’essi significativamente sui componenti finali della fermentazione che peraltro dipende dal tipo e dal numero delle differenti popolazioni batteriche presenti nel colon.
2.4 I simbiotici.
Un’altra strategia, finalizzata alla modificazione del microbiota intestinale, è rappresentata dalla creazione di simbiotici, nei quali probiotici e prebiotici sono usati in combinazione, per sfruttare i benefici effetti per l’ospite, derivanti dalle due classi. (6) I simbiotici mirano al miglioramento della sopravvivenza del microrganismo probiotico, in quanto dalla combinazione, risulta immediatamente disponibile il substrato fermentescibile, necessario alla colonizzazione nell’intestino del microrganismo (FIG. 2.1). Le potenziali combinazioni che si possono ottenere tra le differenti specie batteriche di probiotici disponibili e i vari tipi di prebiotici sono numerose, ma sono ancora pochi gli studi scientifici disponibili che dimostrino l’eventuale attività
additiva o sinergica della combinazione. A supporto di questo, si cita uno studio condotto sui ratti, finalizzato alla valutazione delle proprietà
anticarcinogeniche di alcuni simbiotici. Si dimostra, infatti, come la
combinazione di bifidobatterio e oligofruttosio possieda un effetto additivo nella riduzione del tumore al colon, mentre altri oligosaccaridi non
determinano risultati certi. Questo denota la necessità di ulteriori indagini, mirate alla valutazione sperimentale e clinica di specifiche combinazioni simbiotiche.
Alla luce delle informazioni raccolte, i probiotici e i prebiotici possiedono interessanti proprietà per continuare ad essere sviluppati sia dalle industrie alimentari che farmaceutiche. Lo sviluppo di sistemi alimentati che
dell’organismo rappresenta attualmente una nicchia di mercato con un crescente impatto economico. È quindi sia importante determinare in che modo questi nutraceutici possano influenzare il decorso di diverse patologie, sia determinare l’uso ottimale come strumento di profilassi e prevenzione: comprendere in generale i meccanismi d’azione di questi principi funzionali è utile nel delineare sempre meglio la stretta correlazione esistente tra
alimentazione e salute.
Figura 2.1: Esempi di comuni probiotici, prebiotici e simbiotici.