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CAPITOLO 3

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Academic year: 2021

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Inquadramento pedologico, climatico e della vegetazione

della Provincia di Pisa

3.2. Inquadramento pedologico

I suoli della Provincia di Pisa possono essere distinti nei due macrosistemi pianura e collina, comprendenti le seguenti categorie pedologiche:

• i terreni alluvionali leggeri, pesanti e antichi • i terreni dunali

• i terreni su rocce carbonatiche e metamorfiche

• i terreni collinari di tipo sabbioso, argilloso e ghiaioso • i terreni pesanti argillosi

La dislocazione sul territorio di suddette formazioni pedologiche potrà essere esaminata nella figura 3.1 estratta dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Pisa (1998).

La pianura alluvionale si estende per una buona parte del territorio provinciale. In particolare questo tipo di suolo si ritrova in corrispondenza delle aree vallive dei corsi d’acqua maggiori, pertanto nella bassa valle del Serchio, nella media e bassa valle dell’Arno e in quelle dei rispettivi affluenti. Terreni alluvionali sono presenti, in proporzioni minori, anche a sud della Provincia nella valle del Cecina e del Tora.

I terreni alluvionali leggeri e freschi sono caratterizzati da una composizione granulometrica generalmente equilibrata, inoltre il contenuto in sabbia, limo ed argilla corrisponde alle proporzioni ottimali dal punto di vista agronomico (c.a. 60%, 30% e 10% rispettivamente), salvo alcune ristrette superfici perlopiù sabbiose e qualche volta ghiaiose. (Rotini, 1970) .

La permeabilità e la morfologia favorevole consentono, in suddetti terreni, il facile scolo delle acque meteoriche, le quali possono assicurare riserve idriche sufficienti a garantire una certa freschezza durante la stagione asciutta.

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La dotazione in sostanza organica ed in elementi nutritivi, nella maggior parte dei casi, non è elevata. Essa risulta più abbondante in quelle zone dove l’esercizio di un’agricoltura intensiva, specialmente orticola, ha fornito un provvido apporto di fertilizzanti organici e minerali.

Il calcare è di solito presente in quantità moderate, tuttavia nei pressi delle formazioni prevalentemente calcaree, derivate dalle argille e dalle sabbie plioceniche, può raggiungere percentuali del 10 – 15 % (Rotini, 1970).

Le caratteristiche agronomiche dei terreni alluvionali e freschi si presentano sotto ogni riguardo molto favorevoli, infatti: la morfologia pianeggiante, la tessitura equilibrata, le buona caratteristiche idrologiche e la facile lavorabilità, conferiscono a questi suoli vocazione per qualsiasi tipo di coltura erbacea od arborea.

Le formazioni alluvionali di natura prevalentemente argillosa rientrano nella categoria dei terreni alluvionali pesanti e freschi. Nella Provincia di Pisa questi suoli si trovano alle quote più basse sul livello del mare, interessando porzioni più o meno estese della pianura dell’Arno, dei Comuni di Bientina e San Giuliano Terme. La dislocazione è molto irregolare per le diverse condizioni nelle quali si è manifestata la sedimentazione delle torbide fluviali, verificatesi durante le esondazioni.

I terreni alluvionali pesanti e freschi sono caratterizzati da una notevole compattezza che però non raggiunge mai valori così elevati da costituire un serio ostacolo allo svolgimento delle attività agricole. Le maggiori difficoltà derivano dalla morfologia depressa che, in qualche zona, rende difficile lo scolo delle acque.

Il colore del terreno è grigio o giallastro in superficie, mentre appare già azzurro a pochi decimetri di profondità, a testimonianza del notevole carattere riducente che costituisce un serio impedimento per la respirazione e lo sviluppo delle radici.

Dal punto di vista dell’utilizzazione agricola, sui terreni alluvionati pesanti e argillosi vengono praticate le colture foraggiere e cerealicole.

Un’altra importante formazione pedologica è quella dei terreni sulle alluvioni antiche. Le superfici più estese di questi sedimenti sono rappresentate dalle colline delle Cerbaie e dalla parte più settentrionale delle colline Pisane, nelle località: la Rotta, Castel del Bosco, Ceppaiano, Perignano e Fauglia. Altri lembi si riscontrano lungo il corso dell’Era, e del Cecina e a ovest di Montescudaio.

I terreni che riposano sulle alluvioni antiche sono spesso sabbiosi, argillosi e ricchi di ghiaia. Il colore è rossastro, inoltre la grande incoerenza del substrato ne accentua la permeabilità, favorendone il dilavamento e le perdite d’acqua per

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percolazione ed evaporazione. La dotazione idrica, minerale ed organica, risulta molto scarsa.

Laddove i terreni sulle alluvioni antiche presentano una costituzione fisico – meccanica grossolana, sono ricoperti da macchie o da bosco, specialmente di conifere. Nei punti in cui la morfologia e la tessitura risultano più favorevoli si riscontrano, invece, insediamenti di colture viticole, olivicole e, su superfici più limitate, cerealicole ed orticole.

I suoli umiferi si estendono attorno al lago di Massaciuccoli, al confine settentrionale tra la Provincia di Pisa e quella di Lucca, e nei pressi del padule di Bientina, a est dei Monti Pisani. Alcune zone acquitrinose di Coltano e della tenuta di San Rossore sono particolarmente ricche di sostanza organica e possono rientrare in questa categoria.

Le zone palustri, dove sono dislocati i sedimenti torbosi, nonostante la bonifica e la loro riduzione a coltura, soffrono ancora di un notevole grado di idromorfia.

Nelle condizioni climatiche caratteristiche della Provincia di Pisa, infatti, l’accumulo di notevoli quantità di sostanza organica è possibile solo quando un prolungato ristagno di acqua mortifica fortemente i processi di decomposizione microbica. Per tale motivo, ed anche per la forte acidità del substrato, la massa torbosa conserva a lungo le sue caratteristiche originarie e stenta a trasformarsi in un terreno biologicamente attivo (Rotini, 1970).

Il pH dei terreni umiferi varia notevolmente a seconda della zona, e raggiunge spesso valori cosi bassi da rendere necessaria la correzione con calce affinché sia possibile un normale esercizio delle attività agricole. I quantitativi di calce richiesti risultano spesso esorbitanti per l’elevato potere tampone del substrato, e per la continua formazione di acido solforico dovuta all’ossidazione dello zolfo contenuto nei composti organici. Tale correzione, inoltre, ha effetti piuttosto limitati nel tempo.

Il potassio e il fosforo sono presenti in quantità considerevoli, sebbene quest’ultimo in forme poco assimilabili per le colture.

Le attitudini agricole dei terreni umiferi risultano notevoli quando è possibile mantenere il pH entro valori tollerabili, ed assicurare il drenaggio per mezzo di opportuni interventi idraulici.

La fascia litoranea della Provincia di Pisa ricade interamente nel Parco Naturale Migliarino – S. Rossore – Massaciuccoli. Quest’area si estende dal fosso della Bufalina, a nord, fino allo sbocco del Fosso dei Navicelli, a sud.

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La porzione di territorio suddetta è caratterizzata da formazioni dunali morfologicamente ondulate, indicate generalmente col nome di «Tomboli», che, talvolta, vengono interrotte da zone a marcata idromorfia: le «Lame». Tali formazioni si trovano perlopiù a Nord della foce dell’Arno, nella parte meridionale della Tenuta Presidenziale di San Rossore. L’area, ampia quattrocento ettari, è spesso soggetta ad allagamenti stagionali e accoglie (durante l’autunno, l’inverno e la primavera) migliaia di uccelli acquatici, principalmente anatre e trampolieri, ma anche cormorani, gabbiani e aironi.

L’evoluzione dei sedimenti dunali è tanto più spinta quanto più ci si allontana dal mare. Le zone più distanti e quindi quelle più antiche, come ad esempio quella di Coltano, hanno subito un’attiva lisciviazione che ha determinato l’allontanamento dei carbonati e qualche volta lo spostamento dei sesquiossidi lungo il profilo, con formazioni concrezionali ferruginose, specie a 30 – 40 cm di profondità.

I sesquiossidi (dal latino semisque, mezzo in più) sono gli ossidi in cui il rapporto tra il metallo e l’ossigeno è 1:1,5 (ad esempio l’ossido di ferro (III) Fe2O3 è

detto sesquiossido di ferro). I più notevoli per la loro abbondanza in natura e il loro valore economico sono i sesquiossidi contenenti Al, Fe, e Ti. I più rari sono quelli contenenti As, Sb, Bi (http://www.geologia.com/pietre_dure/corindone/corindone.html).

La composizione granulometrica di queste formazioni è prevalentemente sabbiosa, per cui i terreni difettano di riserve organiche, idriche e minerali.

La vicinanza alla fascia costiera, e le caratteristiche composizionali, implicano che le formazioni di cui sopra debbano essere protette in qualche modo dai venti marini ricchi di salsedine, e che vengano opportunamente concimate con sostanze organiche e minerali. Con questi accorgimenti i terreni dunali sabbiosi possono essere sfruttati con profitto per l’impianto di frutteti, di colture orticole e floreali.

Nella zona montana e collinare della Provincia di Pisa, specialmente sui monti Pisani e sulle colline di Chianti, Castellina e Riparbella, si trovano terreni sabbiosi – limosi ricchi di scheletro, che derivano dalla degradazione di rocce acalcaree (metamorfiche) di varia origine e composizione.

Laddove la roccia madre risulta difficilmente alterabile, oppure quando la forte pendenza favorisce l’erosione ed il trasporto dei materiali, non è possibile l’accumulo di uno strato di terreno profondo. Gli insediamenti agronomici in questi terreni sono, pertanto, sporadici. La vegetazione spontanea è rappresentata da bosco o da macchia più o meno rada, che si riduce talvolta a pochi cespugli o ad una scarsa copertura erbacea.

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Quando la roccia madre è costituita da arenaria o da scisti facilmente alterabili, invece, si possono riscontrare terreni suscettibili di utilizzazione agricola (in particolar modo viticola ed olivicola) come si verifica su alcune pendici dei Monti Pisani ed a Chianni.

I terreni derivanti dalla degradazione delle rocce acalcaree sono dotati di una buona permeabilità e di una discreta struttura, ma risultano scarsamente provvisti di elementi nutritivi sia per la povertà originaria del substrato, che per azione del dilavamento meteorico. Il pH, in genere, si mantiene entro i limiti tollerati dalla colture.

Le rocce serpentinose sono invece caratterizzate da una scarsa reattività, per cui il grado di alterabilità risulta modesto. Gli eventuali prodotti neoformati vengono facilmente trasportati dalle acque meteoriche, tanto che le pendici rocciose rimangono quasi sempre scoperte e prive anche della più modesta copertura vegetale.

La bassa fascia montuosa che si estende tra le località di San Giuliano Terme, Molina di Quosa, Avane e Filettole, sorge fondamentalmente su rocce calcaree di varia origine, con l’esclusione dei calcari marnosi.

Le rocce calcaree (carbonatiche) sono soggette ad un’alterazione di natura prevalentemente chimica, dovuta all’attacco del componente carbonatico ad opera delle soluzioni acquose di acido carbonico, con formazione di bicarbonato di calcio solubile che si allontana con le acque di percolazione. Rimane come residuo la parte insolubile della roccia calcarea, insieme ai frammenti più resistenti della roccia originaria. Tale mescolanza, assai eterogenea, costituisce la matrice del terreno.

Il calcare, se notevolmente puro, come si verifica ad esempio sui monti di San Giuliano, genera uno scarso residuo che viene rimosso con facilità dagli agenti erosivi. Le pendici restano allora del tutto prive di vegetazione e solo sui crepacci, o dove la pendenza è minore, si può formare uno strato più o meno rilevante di terreno.

Sui calcari meno compatti e più ricchi di componenti accessori si può formare una discreta coltre di terreno, costituita dall’abbondante residuo insolubile di colore rosso, o rosso bruno, e dai detriti più resistenti della roccia stessa.

I terreni su rocce calcaree presentano generalmente buone caratteristiche fisiche e una discreta fertilità chimica, ma sono soggetti a forti deficienze idriche. Quando risultano poco dotati di colloidi organici e minerali, sono oggetto di intensa coltivazione che può determinare un’acidificazione più o meno elevata, a causa della conseguente decalcificazione (Rotini, 1970).

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Nel complesso i terreni generati dalla degradazione delle rocce calcaree, per il loro modesto spessore, e per la frequente presenza di roccia affiorante, non offrono grande interresse agronomico. In certe zone, tuttavia, possono ospitare con qualche successo colture arboree, soprattutto olivicole.

Le zone di: Santa Maria a Monte, S. Miniato, Montopoli, Capannoli, Peccioli, Lari, Crespina, Fauglia, Villamagna, Volterra, Guardistallo, Serrazzano e Pomarance, sono caratterizzate da una morfologia collinare, con pendenze variabili, ma quasi sempre accentuate. Tali aree si estendono su substrati costituiti da sedimenti marini pliocenici di «facies astiana», rappresentati da sabbie argillose più o meno calcaree (Rotini, 1970).

I terreni che riposano su questi sedimenti, salvo poche eccezioni, risultano notevolmente sabbiosi, di colore giallastro, dotati di grande permeabilità e conseguentemente di capacità idrica molto limitata. Anche la capacità di scambio risulta assai bassa, per cui le riserve di elementi nutritivi, eccetto il potassio, appaiono nella maggior parte dei casi insufficienti.

Malgrado le modeste riserve idriche, e la scarsa presenza di elementi nutritivi, suddetti terreni risultano tra i più coltivati nella vasta formazione collinare che caratterizza la Provincia di Pisa.

La predilezione che gli agricoltori hanno mostrato verso i terreni collinari ha determinato, specialmente nell’ambito dei borghi d’origine medioevale, un arricchimento di sostanza organica e di elementi nutritivi che ha consentito lo sviluppo di colture pregiate, in particolar modo nel settore viticolo ed enologico, degne della massima considerazione.

La formazione pedologica collinare delle sabbie plioceniche, accompagna quasi sempre quella delle argille plioceniche di «facies piacenziana» che sono distribuite sul territorio Provinciale nelle zone tra: Santa Luce e Orciano, sulle colline comprese nel triangolo Cascina Terme – Terricciola – Laiatico, e su ambedue i versanti dell’alta Val d’Era, nel Volterrano. Affioramenti minori si trovano a Casaglia, ad est di Guardistallo e nei dintorni di Pomarance (Rotini, 1970).

I sedimenti marini da cui derivano le argille plioceniche di «facies piacenziana» formavano, dopo l’emersione dal mare di Firenze, una vasta piattaforma che, per azione degli agenti atmosferici, è stata profondamente intaccata e trasformata in una serie di colline rotondeggianti, in mezzo alla quali le acque hanno progressivamente scavato il loro letto per defluire verso il Tirreno.

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L’evoluzione agronomica delle argille plioceniche procede con estrema lentezza a causa dell’impermeabilità dei colloidi argillosi che, solo raramente, risulta attenuata da apprezzabili quantità di materiale sabbioso. Considerando il tasso elevato dell’erosione che allontana i materiali superficiali più evoluti, man mano che si formano, non si rileva una notevole differenza tra terreno e substrato. Sotto uno spessore di qualche decina di centimetri, reso più soffice dalle lavorazioni e dall’azione della copertura vegetale, si riscontra uno strato compatto d’argilla di colore azzurro che risulta riducente per la presenza di sali di ferro (Rotini, 1970).

Nelle superfici di recente riduzione a coltura si nota anche la presenza di quantità cospicue di sali solubili di origine marina, quali: cloruri, carbonati e solfati di sodio, di calcio e di magnesio.

Il difetto fondamentale di questi terreni è legato all’eccessiva compattezza che ostacola gli scambi idrici e gassosi, ed indirizza le acque meteoriche verso lo scorrimento superficiale provocando vistosi fenomeni di erosione, noti in Toscana come «calanchi» e «biancane».

Il terreno diventa plastico allo stato umido, mentre essiccato assume una consistenza lapidea ed appare intersecato da estesi e profondi crepacci (brecce). Tali sfavorevoli caratteristiche fisiche ostacolano l’insediamento delle comuni colture agrarie. Anche la flora spontanea è ridotta a poche specie resistenti all’aridità ed alla salsedine.

I terreni collinari ghiaiosi si trovano distribuiti in varie località della Provincia di Pisa, in particolar modo nella valle del torrente Sterza, affluente di sinistra dell’Era, e in Val di Cecina.

Le formazioni pedologiche di cui sopra sono costituite da ciottoli e sabbie di varia natura (calcarea, arenacea, o di altro tipo), cementati da argille. Non risultano, pertanto, molto consistenti e possono dar luogo a terreni profondi, sfaldandosi.

La principale limitazione per l’insediamento di un’intensa attività agricola, nei terreni collinari sabbiosi, dipende dalla presenza di scheletro di dimensioni eccessive. Per tale motivo vaste superfici, nelle quali ricorrono questi terreni, sono ricoperte da macchia o bosco.

La forte permeabilità dei terreni collinari ghiaiosi ha reso possibile, con un dilavamento attivo, un lento processo di acidificazione che, unitamente alla mancanza di elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), ha contribuito a rendere il suolo improduttivo.

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Sulle colline metallifere che circondano l’alta valle dell’Era e del Cecina, riposa un insieme di formazioni pedologiche dalle caratteristiche alquanto diverse dove, tuttavia, predomina di gran lunga un tipo di terreno sostanzialmente argilloso, breccioso e spesso poco profondo.

Le caratteristiche fisico – meccaniche, e le buone proprietà chimiche dei substrati argillosi sono, di per se, assai favorevoli alla coltura. Il regime idrologico, caratterizzato dall’erosione nel periodo delle piogge più forti, e dall’aridità estiva, tuttavia, ne limita fortemente le possibilità colturali.

In passato, prima del forte esodo rurale intorno al 1950 – 1960, il tipo di coltura prevalente su questi terreni era il seminativo vitato ed olivato, con alternanza di bosco o macchia.

L’abbandono di queste colture, specialmente sulle colline più elevate, ha avuto conseguenze negative anche sul regime dei corsi d’acqua locali.

Negli ultimi decenni, sui terreni dalle caratteristiche morfologiche e pedologiche più favorevoli, si è verificato un certo rinnovamento delle colture arboree con l’impianto di vigneti specializzati che forniscono uve e vini eccellenti.

I terreni pesanti argillosi e sabbiosi nei quali la presenza di brecce e di roccia affiorante risulta molto accentuata, si alternano in modo irregolare alla formazione pedologica descritta in precedenza. Si tratta di suoli non suscettibili di utilizzazione agricola e quasi sempre investiti da macchia o da pascolo cespugliato.

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Figura 3.1: principali formazioni pedologiche della Provincia di Pisa, l’immagine è stata

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3.2. Inquadramento climatico

Il tratto terminale dell’Arno segna in Toscana un netto limite climatico: a nord del fiume prevalgono infatti condizioni di maggiore umidità idroclimatica rispetto a quelle presenti nelle aree centrali e meridionali.

La Provincia di Pisa, pur sviluppandosi in prevalenza a sud dell’Arno, presenta porzioni non trascurabili del proprio territorio a nord del fiume e annovera così una interessante distribuzione di tipi di clima.

I caratteri climatici della Provincia di Pisa, pertanto, risultano da una peculiare combinazione fra gli andamenti della circolazione atmosferica generale e alcuni fattori geografici locali.

Nei mesi autunnali e invernali la dinamica atmosferica è dominata dal passaggio dei cicloni extratropicali che si originano nell’Atlantico settentrionale, i quali determinano condizioni di tempo generalmente perturbato, accompagnato da precipitazioni talvolta di forte intensità.

Nei mesi estivi l’azione di schermo esercitata sulle perturbazioni occidentali dall’Anticiclone delle Azzorre, e da quello sahariano, produce condizioni di atmosfera stabile e di cielo soleggiato, con temperature elevate e lunghi periodi di assenza di precipitazioni.

Il mare, fra i fattori geografici del clima, con la propria capacità di regolazione termica, svolge un ruolo primario nella determinazione del clima della Provincia, soprattutto nel corso dell’inverno, quando la temperatura media della superficie marina si stabilizza intorno a 13 – 14 °C (Rapetti, 2003).

La Temperatura dell’aria lungo la fascia costiera, per effetto della termoregolazione marina, di solito non scende sotto 6 – 7 °C (Rapetti, 2003).

Nei mesi estivi suddette differenze risultano attenuate, poiché le temperature medie della superficie del mare e quelle dell’aria sul continente presentano valori molto simili.

Gli squilibri termici diurni tra l’ambiente marino e quello continentale, più intensi nel semestre caldo, concorrono alla formazione delle brezze di mare e di terra, che interessano la fascia litoranea della Toscana per una profondità di qualche decina di chilometri, con un effetto di ricambio delle masse di aria e di mitigazione del clima.

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I rilievi presenti nella provincia hanno altitudini, dimensioni e orientamenti tali da non modificare in modo significativo i caratteri climatici dell’area, salvo che nelle loro immediate vicinanze.

Un ruolo climatico più importante, seppure attenuato dalla distanza, e perciò limitato alla parte settentrionale del territorio Provinciale, viene svolto dal Massiccio Apuano e dall’Appennino, con un’azione di schermo sui venti freddi settentrionali e di incremento delle precipitazioni per l’effetto della barriera sulle masse di aria in transito sulla Toscana Settentrionale.

L’insolazione e la radiazione solare rivestendo un ruolo determinante sullo stato della biosfera e sulle attività umane, nel nostro Paese è un elemento meteorologico poco studiato e nel territorio Provinciale le uniche misure sono, infatti, quelle raccolte a Pisa dal Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare a partire dal 1962 (Rapetti, 2003).

Nel capoluogo l’insolazione media annua è stata di 2349 ore, che rappresenta il 55% di quella astronomica, con valori estremi di 94 ore in Dicembre e di 324 ore in Luglio (Rapetti, 2003).

Il regime stagionale annovera 618 ore di sole in Primavera, 825 in Estate, 518 in Autunno e 328 in Inverno.

Il valore medio annuo della radiazione solare è stato di 283 cal/cm2/giorno, con valori minimi e massimi di 96 e di 470 cal/cm2/giorno registrati in Dicembre e in Luglio.

La temperatura dell’aria è influenzata dall’altitudine e dalla distanza dal mare, le isoterme annuali, infatti, seguono l’andamento dei rilievi e riducono il proprio valore procedendo dal mare verso l’interno.

Sulla costa è presente una ristretta fascia delimitata dall’isoterma dei 15,5 °C, contigua a un’estesa area planiziale e di basse colline che si estende fino al limite orientale e che si insinua nella bassa valle dell’Era, dove le temperature medie annue superano di poco 15,0 °C (Rapetti, 2003).

Nella parte settentrionale, dove si erge il Monte Pisano, le temperature decrescono secondo un gradiente termico verticale di circa 0,5 °C ogni 100 metri di quota, fino a 10,2 °C sul Monte Serra. Nelle parti più elevate dei rilievi centro – occidentali e sud – orientali del territorio Provinciale, che raggiungono altitudini tra 600 e 800 metri, le temperature medie annue sono stimate intorno a 13 °C, mentre nelle aree restanti si registrano valori compresi tra 14,5 e 15,0 °C (Rapetti, 2003).

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La figura 3.2 rappresenta l’andamento della temperatura media mensile nella Provincia di Pisa. I dati sono stati rilevati dalla stazione meteorologica dell’Aeroporto Militare di San Giusto, e si riferiscono al periodo tra il 1951 – 1991 (Piano Strutturale del Comune di Pisa, 1997). Si osservi che le temperature minime risultano mediamente superiori allo zero, e l’escursione termica si mantiene intorno alla decina di gradi per tutto l’anno. Il mese mediamente più freddo risulta essere Gennaio, mentre quello più caldo è Luglio. 11 12,2 14,9 18 21,9 25,7 29 28,7 25,7 21 15,4 11,7 0 5 10 15 20 25 30 35 G e nnaio Fe bbr ai o Ma rz o Ap ri le M aggio G iug no Lu glio Ag o st o Se tte m b re O tt obr e No v e m b re Di ce m b re Minima °C Massima °C

Figura 3.2: andamento della temperatura media mensile nel periodo 1951 –1991, i dati sono stati

rilevati dalla stazione meteorologica dell’aeroporto militare di Pisa (Piano Strutturale del Comune di Pisa, 1997).

La figura 3.3 rappresenta le seguenti carte tematiche relative al territorio della Provincia di Pisa:

• l’indice di umidità globale • le temperature

• le precipitazioni annue

L’indice di umidità globale deriva dallo sviluppo del bilancio idrico – climatico di Thornthwaite & Mather, che trova utili applicazioni nel campo agricolo-forestale e in quello della programmazione territoriale (Rapetti, 2003). Tale metodo si fonda sul concetto di evapotraspirazione potenziale (EP), che rappresenta la quantità di acqua in

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forma di vapore che dal suolo e dalla vegetazione passa all’atmosfera in un intervallo di tempo.

La differenza mensile tra l’evapotraspirazione potenziale e le precipitazioni, definita la capacità idrica del suolo, consente di determinare il deficit idrico (D) e il surplus idrico (S). Nelle condizioni di saturazione del suolo, la parte delle precipitazioni che eccede l’evapotraspirazione potenziale scorre alla sua superficie o dentro il suolo stesso, alimentando i deflussi superficiale e sotterraneo.

La combinazione del surplus, del deficit e dell’EP secondo l’equazione 3.1 porta alla definizione dell’umidità globale (Im) i cui valori positivi sono indicativi dei climi locali umidi, secondo la seguente scala di umidità decrescente: A, B4, B3, B2, B1, C2; i suoi valori negativi indicano i climi locali aridi (C1, D, E) (Rapetti, 2003).

(

)

100 = EP D S Lm

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3.3. Inquadramento della vegetazione

La vegetazione della provincia può essere riferita a due tipologie di base: 1. la lecceta, nelle zone collinari più calde ed aride;

2. il bosco misto di latifoglie decidue, con dominanza di querce, nelle situazioni più fresche ed umide.

Vaste zone sono coperte da una vegetazione arbustiva, o da formazioni prative più o meno aride, di varia composizione floristica.

Ampie aree sono coltivate a oliveti e vigneti. Quasi ovunque sono presenti campi con intensa produzione cerealicola, piante foraggere, frutteti e orti.

Di seguito verranno prese in considerazione le principali fitocenosi partendo dalle situazioni più termofile, arrivando a quelle più mesofile – sciafile (Garbari, 2003).

La vegetazione legnosa sempreverde è rappresentata dalla lecceta (Quercetum

ilicis), anche se quella ad alto fusto è piuttosto rara e frazionata a seguito delle profonde modifiche indotte dall’uomo.

Lo strato arboreo, che arriva ad altezze di 8 – 12 m, raramente di più, oltre al leccio dominante (Quercus ilex) ospita la roverella (Quercus pubescens), l’acero minore (Acer monspessulanum), talvolta l’orniello (Fraxinus ornus).

Lo strato arbustivo sottostante presenta il corbezzolo (Arbutus unedo), l’ilatro (Phyllirea sp.), l’alterno (Rhamnus alaternus), il tino (Viburnum tinus), l’erica (Erica

arborea), il lentisco (Pistacia lentiscus), il mirto (Mirtus communis), il pungitopo (Ruscus aculeatus) ed l’edera (Hedera helix).

La macchia è il risultato della scomparsa del bosco di leccio provocata dalle comunità umane attraverso: il disboscamento, l’incendio reiterato, la ceduazione e l’uso del suolo per finalità agrarie o pascolive.

La macchia rarefatta e frazionata, può ulteriormente trasformarsi in gariga specialmente su suoli degradati con rocce affioranti. La gariga è una vegetazione arbustiva molto bassa e discontinua diffusa, per esempio, sulle pendici calcaree occidentali del Monte Pisano.

Un distinzione fisionomica può fare riferimento allo sviluppo in altezza:

• macchia alta con leccio ad alberetto di 4 – 5 m consociato con roverella, frassino, corbezzolo e, come alla base del Monte Pisano, sughera (Quercus

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• macchia bassa, da 1 – 2 m o poco più, con arbusti sclerofilli sempreverdi rappresentati da leccio, da lentisco, alterno, tino, fillirea e corbezzolo.

Nei territori collinari compresi tra il bacino della Sterza e quello dell’Era, si distinguono formazioni boschive che, anche se frazionate e discontinue, occupano superfici con la roverella prevalente sulle altre componenti arboree (leccio, frassino, cerro, ecc.).

La roverella caratterizza una fascia fitoclimatica estesa ed importante che si interpone tra la lecceta più spiccatamente mediterranea e la faggeta, assente sul territorio provinciale per la mancanza di rilievi montani di altezza adeguata.

Un interessante aspetto vegetazionale derivante dal querceto a roverella è quello delle balze di Volterra.

La copertura vegetale dei terreni argillosi calanchivi che caratterizzano le cosiddette «balze» del volterrano, di origine pliocenica, anche se scarsa e discontinua, è tuttavia specializzata sia dal punto di vista ecologico, che evolutivo.

Da una situazione iniziale di substrato privo di vegetazione si passa ad una copertura costituita in prevalenza da Artemisia cretacea, una composita aromatica estremamente rustica con notevoli capacità colonizzatrici. Si giunge poi ad aggruppamenti a ginestra (Spartium junceum) e quindi rapidamente, ad una vegetazione arbustiva con ginepro comune (Juniperus communis), olmo campestre (Ulmo minor), pruno spinoso (Prunus spinosa), sclerofille mediterranee, ed infine si arriva al probabile assetto originario costituito da un querceto a roverella. Frequenti, nei vari stadi, piante alofite o alotolleranti come Plantago marittima (Garbari, 2003).

Nella Provincia di Pisa i querceti a cerro dominante sono presenti soprattutto nelle colline tra i torrenti Egola e Roglio (a Nord –Est) e a Sud – Est di Volterra.

Il cerro è un albero che può raggiungere altezze e dimensioni notevoli e che può definire formazioni boschive di grande importanza, sia come biomassa che come elemento costitutivo del paesaggio submediterraneo, in tutta la dorsale appenninica.

Le cerrete non sono quasi mai pure e raramente contengono soggetti di grande taglia, a causa dell’utilizzazione del legno e della ceduazione: un tipo di taglio effettuato per favorire la riproduzione vegetativa delle latifoglie (le conifere non ne hanno la possibilità).

Nel centro e nella parte meridionale della Provincia sono presenti boschi dei quali è difficile identificare una specie arborea dominante. Sono le cosiddette

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formazioni miste o di transizione che comprendono, a quote modeste, sia leccete con componenti della cerreta, sia cerrete depauperate con elementi termofili come la roverella, il carpino nero (Ostrya carpinofila), l’acero campestre (Acer campestre) o residui di coltivazioni oggi abbandonate al castagno.

Le pinete di pino domestico e/o marittimo che caratterizzano il territorio compreso tra Torre del Lago (Provincia di Lucca) e il Calabrone sono d’impianto artificiale. Il pino marittino (Pinus pinaster), pur essendo autoctono nel nostro Paese, fu ampiamente utilizzato per riforestare le zone più prossime alla costa, dove il pino domestico mostrava segni di sofferenza.

Le pinete costiere, sulla base della loro utilità, possono essere distinte nei seguenti modi:

• di protezione, dalle forti libecciate spesso cariche di aerosol inquinanti che nelle pinete litoranee trovano un ostacolo naturale al raggiungimento delle zone più interne

• di produzione, di semi di pino domestico che alimentano ancora una buona risorsa commerciale locale

Le pinete litoranee artificiali hanno sostituito almeno in parte la vegetazione spontanea, rappresentata dalla lecceta, dando alla vegetazione la connotazione di una “lecceta pinetata”.

I castagneti, rappresentati ampiamente sul Monte Pisano, sono ovunque da considerarsi di derivazione colturale, anche se il loro costituente, Castanea sativa, è elemento autoctono della flora d’Italia (Garbari, 2003).

Le formazioni forestali che vivono nelle zone paludose di Migliarino e di San Rossore sono fisionomicamente dominate dall’ontano nero (Alnus glutinosa) e dal frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa), con presenza eventuale del pioppo bianco (Populus alba) (Garbari, 2003).

Le rive dei fiumi, le golene, i fossati ed i canali anche se di origine artificiale ospitano interessanti aspetti di vegetazione che viene definita ripariale.

Salici, pioppi, ontani, aceri ed altre specie arbustive ed erbacee sono frequenti, utili nel frenare eventuali flussi anomali di acque meteoriche. Da non sottovalutare il loro ruolo come “corridoi” ecologici e come biodepuratori e bioaccumulatori di vari inquinanti.

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La figura 3.4 mostra la carta della vegetazione effettiva della Provincia di Pisa, i colori dal rosso all’arancione corrispondono alle situazioni più termofile, l’azzurro e il verde a quelle più mesofile.

Figura

Figura 3.1: principali formazioni pedologiche della Provincia di Pisa, l’immagine è stata
Figura 3.2: andamento della temperatura media mensile nel periodo 1951 –1991, i dati sono stati
Figura 3.3: carte tematiche del clima della Provincia di Pisa (Rapetti, 2003).
Figura 3.4: carta della vegetazione effettiva della Provincia di Pisa (Garbari, 2003)

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