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Ossigenoterapia domiciliare a lungo termine: dove, come e perché

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dove, come e perché

R.W. Dal Negro

La storia dell’ossigenoterapia a lungo termine (OTLT) ha inizio nel 1774 con la sco- perta dell’ossigeno da parte di Joseph Priestley e la descrizione che egli fece di que- sto nuovo elemento, dotato secondo lui di “peculiari effetti benefici sul polmone in certi stati morbosi”. I suggerimenti di Priestley furono messi in pratica circa una ventina di anni più tardi dal Dr. Thomas Beddoes che impiegò l’ossigeno con fina- lità terapeutiche e pubblicò i risultati delle sue prime esperienze nel 1798.

A partire da quell’epoca, una enorme quantità di dati si è successivamente resa disponibile sui meccanismi fisiologici e fisiopatologici dell’assorbimento e sulla cessione dell’ossigeno, nonché sui suoi effetti metabolici nei diversi substrati umani. Il fatto di essere venuti a conoscenza che ogni molecola di glucosio può pro- durre 30 molecole di adenosin-trifosfato (cioè ATP ad alta energia) in presenza di ossigeno, ma solo 3 molecole di ossigeno e acido lattico in sua assenza, ha ulterior- mente suffragato ed enfatizzato le proprietà terapeutiche di questo elemento.

I fattori in grado di influenzare l’assorbimento e la cessione dell’ossigeno sono stati ampiamente studiati nell’ultimo secolo dal punto di vista morfologico, fisiolo- gico e biologico, con particolare attenzione alle conseguenze dell’ipossia e dell’ipos- siemia. I pazienti con malattie respiratorie possono rappresentare infatti un’ampia gamma di situazioni anormali: distruzione del parenchima polmonare; alterazioni strutturali con conseguente riduzione della capacità di diffusione dei gas; ipoventi- lazione alveolare (quando l’ipossiemia si associa alla ipercapnia); disomogeneità del rapporto ventilazione-perfusione (quando, a causa dell’andamento sigmoide della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina, gli effetti dell’insufficiente ventilazione di una certa quota di alveoli non possono essere compensati dall’iperventilazione di un’altra quota di alveoli); alterazioni della perfusione ematica; alterazioni dell’affi- nità dell’emoglobina per l’ossigeno. Le ricerche condotte su tutte queste condizioni patologiche hanno consentito di chiarire per molti aspetti gli effetti dell’ipossiemia nell’uomo, indicando le migliori strategie per una sua correzione.

La somministrazione di ossigeno si è così trasformata in un insostituibile stru- mento terapeutico per i pazienti affetti da determinate patologie respiratorie. Più in particolare, nella seconda metà dello scorso secolo, la somministrazione di ossi- geno fu suggerita e raccomandata come un’opzione terapeutica assai promettente nella malattie respiratorie croniche come la broncopaneumopatia cronica ostrut- tiva (BPCO), l’insufficienza respiratoria (o cardiorespiratoria) cronica, le malattie fibrosanti del polmone, i gravi dimorfismi del torace, il cuore polmonare cronico, e i gravi disturbi respiratori del sonno.

In questi casi i pazienti solitamente si caratterizzano per la presenza di una

Investigate for knowing, because it is unknown, not because you know the answer

(R.P. Feynman, The pleasure of finding things out)

(2)

severa e persistente ipossiemia, per la loro necessità quotidiana di assumere ossi- geno, e perché la loro condizione clinica è soggetta a periodiche riacutizzazioni (mediamente 3-4 per anno) legate a cause diverse (infettive o infiammatorie), o peggioramenti concomitanti all’insorgere di condizioni che fanno precipitare la già presente ipossiemia.

Inoltre, in presenza di ostruzione cronica delle vie aeree, la condizione di ipos- siemia può manifestarsi anche dopo sforzi fisici di modesta o lieve entità, anche in soggetti normossici a riposo. Ipossiemia di livelli tali da mettere a repentaglio a vita del paziente possono manifestarsi durante le riacutizzazione della BPCO seve- ra, quando possono associarsi anche le condizioni di ipercapnia e acidosi respira- toria. È prevalentemente questo genere di pazienti che viene di solito trattato mediante ossigenoterapia nell’intento di ridurre o minimizzare gli effetti dannosi della grave ipossiemia, frequentemente associata a turbe respiratorie del sonno e a ipertensione polmonare.

Da un punto di vista generale, l’insufficienza respiratoria può essere definita come la presenza di ipossiemia (cioè la presenza di PaO

2

<60 mmHg a riposo, respi- rando aria ambiente, a livello del mare) dovuta a cause respiratorie. La condizione di ipossiemia può essere associata a normocapnia (insufficienza respiratoria di tipo 1), o a ipercapnia (insufficienza respiratoria di tipo 2). Quest’ultima condizione comporta il maggior rischio per la vita del paziente e le maggiori difficoltà di gestio- ne clinico-terapeutica. In queste circostanze, prima di stabilire qualsiasi strategia che preveda somministrazione di ossigeno a lungo termine, vanno attentamente definite la quantità di ossigeno da erogare e la massima tolleranza alla CO

2

. In pas- sato, la sopravvivenza del paziente è stata impiegata come bench mark per poter giu- dicare il successo o meno del trattamento. In tempi più recenti, altri fattori, e in par- ticolare la qualità di vita, sono stati via via presi in considerazione quali indicatori sulla base dei quali poter scegliere la migliore strategia di intervento.

Una nuova era è iniziata quando è stato stabilito definitivamente che la OTLT effettuata a livello domiciliare è in grado di migliorare la sopravvivenza dei sog- getti che soffrono di grave ipossiemia persistente dovuta a BPCO [1-3]. Gli effetti benefici della OTLT domiciliare sono stati documentati per la prima volta in due studi fondamentali condotti fra la metà degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80.

Questi due studi clinici controllati dimostrarono in maniera definitiva che la OTLT

era l’unica opzione terapeutica capace di per sé di prolungare la vita dei soggetti

affetti da insufficienza respiratora di tipo 2 dovuta a grave BPCO ed enfisema,

caratterizzati da ostruzione cronica delle vie aeree e da una PaO

2

<55 mmHg (in

paziente cosciente, mentre respirava in aria ambiente) [2, 3]. Più in particolare,

questi studi hanno dimostrato che solo circa il 30% dei pazienti sopravvive a tre

anni senza somministrazione di ossigeno, che la somministrazione di ossigeno per

12-15 ore al giorno consente una sostanziale diminuzione della mortalità, e che la

migliore percentuale di sopravvivenza si ottiene quando l’ossigeno è assunto per

oltre 19 ore al giorno (Fig. 1). È stato inoltre dimostrato come la OTLT sia in grado

di far regredire, almeno parzialmente, la condizione ipertensiva del piccolo circo-

lo [3, 4]. Successivamente, una rivisitazione dello studio Nocturnal Oxygen

Therapy Trial (NOTT) ha inoltre dimostrato che i più elevati tassi di sopravviven-

za si osservavano nei soggetti che manifestavano una significativa, anche se mode-

(3)

sta, riduzione della pressione polmonare durante OTLT [5]. Di un certo rilievo è anche l’osservazione che i soggetti con insufficienza respiratoria di tipo 2 mostra- vano una significativa riduzione della policitemia secondaria, fattore che contri- buiva in maniera sensibile a migliorare la loro qualità di vita [6, 7]. Se questi fon- damentali studi controllati hanno dimostrato per la prima volta lo straordinario valore terapeutico della OTLT, essi hanno anche messo in evidenza che diversi out- come clinici sono raggiungibili in funzione del profilo funzionale originale del paziente. In altri termini, poiché l’ossigenoterapia non risulta vantaggiosa in tutti i pazienti, ogni soggetto deve essere attentamente valutato e indagato prima di ammetterlo a un programma di OTLT, specie se gestito a domicilio.

È evidente che, dal punto di vita dell’ottimizzazione dell’efficacia dell’ossigeno- terapia, una valore critico assumono i criteri di inclusione e di esclusione relativa-

0 30 40 100

20

10 50 70 80 90

60

10 20

Tempo (mesi)

30 40 50 60 70

% di sopravvivenza totale

COT

NOT MRC O 2

Controlli MRC

Fig. 1. Sopravvivenza durante OTLT calcolata in diversi gruppi di pazienti. Controlli MRC: soggetti di con-

trollo che non ricevevano ossigeno; NOT e MRC O

2

: pazienti che ricevevano ossigeno per 12 e 15 ore al

giorno, rispettivamente; COT: pazienti che ricevevano ossigeno per più di 19 ore al giorno (Mod. da [3])

(4)

mente al programma terapeutico a lungo termine: tali criteri selettivi hanno inoltre grande rilevanza in termini della valenza sociale ed economica della stessa OTLT.

Originariamente, le condizioni cliniche che più di tutte erano ritenute poter risen- tire positivamente della OTLT dal punto di vista della sopravvivenza erano quelle caratterizzate da elevata PaCO

2

e da un elevato valore di ematocrito, così come quelle dei soggetti che mostravano un calo di 5 mmHg della pressione polmonare a seguito di somministrazione di ossigeno al 28% per 24 ore [2, 8]. L’eccessiva ventilazione a seguito di sforzo fisico era viceversa ritenuta un indicatore clinico di particolare gra- vità in termini di sopravvivenza, specie quando il rapporto ventilazione minuto/pro- duzione di CO

2

era superiore a 31: in questi casi il rischio di morte nei successivi 3 anni era molto alto e indipendente dalla somministrazione dell’ossigeno [8].

Verso la prima metà degli anni ’80, l’ossigenoterapia veniva raccomandata pre- valentemente nei soggetti con grave BPCO (le patologie che più frequentemente conducevano all’instaurazione di un regime di OTLT sono riportate nella Tabella 1). Suscettibili di OTLT erano considerati tutti i pazienti con BPCO in trattamento farmacologico cronico e appropriato che mostravano una PaO

2

<55 mmHg in respirazione in aria ambiente (almeno per 20’), confermata mediante emogasana- lisi arteriosa ripetuta due volte nell’arco di tre settimane. Ulteriori criteri erano la presenza di una PaO

2

di 55-59 mmHg quando tale condizione era associata alla presenza di cuore polmonare cronico, o a un valore di ematocrito superiore al 55%. In tali condizioni, la saturazione ossiemoglobinica risultava migliorabile dal- l’ossigenoterapia continua e mantenuta a valori 88-94% durante OTLT [2, 3].

Pur con differente impatto clinico nel breve e nel lungo periodo, la OTLT fu anche ritenuta vantaggiosa nei soggetti che presentavano danno respiratorio di tipo restrittivo, oltre che in soggetti portatori di altre patologie croniche respira- torie e cardio-respiratorie (si veda il capitolo 6).

Particolare attenzione ricevettero anche i pazienti che manifestavano ipossiemia severa durante la fase REM del sonno, nei quali la somministrazione di ossigeno consentiva la correzione degli episodi di desaturazione notturna. In tali condizioni, la somministrazione di ossigeno consentiva infatti un’effettiva riduzione della pres- sione dell’arteria polmonare, di solito aumentata durante la fase REM del sonno.

Quando è presente ipercapnia, la OTLT va attentamente valutata e gestita poi- ché la somministrazione cronica di ossigeno potrebbe aggravare la condizione Tabella 1. Cause più frequenti di insufficienza respiratoria che necessita di OTLT (1986, dati non pubblicati; n=111)

BPCO 68,4%

Cifoscoliosi 10,8%

Fibrosi polmonare 6,3%

Embolia polmonare 5,4%

Pneumoconiosi 5,4%

Neoplasie polmonari 2,7%

Altro 1,0%

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disfunzionale originale: in questi casi, l’uso combinato della ventilazione a pres- sione positiva (C-PAP) si è dimostrato cruciale e decisivo [9].

In termini generali, l’ossigenoterapia controllata nel lungo termine è stata fin da subito vista come una opzione terapeutica essenziale e, in breve tempo, ha sta- bilmente assunto una alta considerazione nelle strategie di intervento nei con- fronti di pazienti con ipossiemia cronica di qualsivolglia origine, oltre che duran- te le riacutizzazioni di tutte le malattie respiratorie.

I risultati ottenuti dai primi studi confermarono fin da subito come il miglio- ramento della sopravvivenza, la riduzione delle ospedalizzazioni, la migliorata tol- leranza allo sforzo, e il miglioramento della qualità di vita rappresentassero gli indicatori più significativi, e quindi da monitare, al fine di valutare, anche in chia- ve prospettica, l’efficacia e la convenienza della OTLT. In particolare, questi studi, prevalentemente svolti su pazienti con BPCO grave, documentarono come la con- dizione generale di questi pazienti risultasse così debilitante e di tale impegno sistemico da farli assimilare ai malati neoplastici.

Dopo gli studi NOTT e MRC [2, 3], la OTLT è stata impiegata sia in Europa che negli USA secondo diversi protocolli applicativi e diverse strategie territoriali, e la OTLT domiciliare è iniziata sulla base dei modelli via via stabiliti dalle diverse autorità e organizzazioni sanitarie locali. Nel 1991, nel Regno Unito l’incidenza della OTLT risultava essere di 16/100.000 abitanti [10].

La Francia ha rivestito un ruolo fondamentale e pionieristico in questo ambi-

to poiché ha adottato la OTLT molto rapidamente [11]. Già fin dal 1975, un cam-

pione di oltre 500 soggetti fu studiato, ottenendo preziose indicazioni sugli indi-

catori e sugli outcome globali più adeguati da impiegare per valutare efficacemen-

te gli effetti della OTLT su larghe popolazioni di pazienti affetti da patologia respi-

ratoria cronica di entità severa. La gestione di questo tipo di pazienti è stata moni-

torata da particolari associazioni regionali riunite in un’associazione nazionale

(ANTADIR, Association Nationale pour le Traitment à Domicile de l’Insuffisance

Respiratoire Chronique) attraverso la quale a partire dalla fine degli anni ’70 fu

creata un rete di collegamenti molto efficiente. Informazioni relative a più di 8000

pazienti si resero disponibili nel giro di pochi anni, consentendo così uno straor-

dinario incremento del know-how sulla gestione della OTLT domiciliare. Il

Ministero della Salute e la Caisse Nationale d’Assurance Maladie supportarono

uno studio nazionale che includeva 200 ospedali, più di 120 società d’assicurazio-

ne e più di 600 pazienti provenienti da diversi dipartimenti pneumologici. Nel

1979, risultavano circa 50.000 i pazienti francesi portatori di gravi disturbi respi-

ratori cronici, dei quali 11.000 (22%) potevano contare su un qualche supporto

assistenziale domiciliare: 7.000 avevano l’ossigeno disponibile per periodi variabi-

li nelle 24 ore, e 1.000 erano in regime di ventilazione meccanica. Il monitoraggio

dei pazienti veniva effettuato dalle associazioni locali e, talvolta, dai dipartimenti

ospedalieri: tuttavia, a causa della non omogenea distribuzione territoriale delle

specifiche strutture locali, molti pazienti risultavano ancora privi di qualsiasi con-

trollo e gestione. Per tale motivo, gli effetti della OTLT risultavano variabili, dimo-

strando così come sia l’organizzazione sia il tessuto socio-economico locale rap-

presentino elementi critici del sistema e richiedano pertanto un’attenta valutazio-

ne dal punto di vista strategico. Circa un decennio dopo, le associazioni locali e

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quella nazionale sono evolute verso una realtà che prevedeva più strutture e medi- ci dedicati full time, facilitando in tal modo la risoluzione di molti dei problemi connessi con la gestione quotidiana della OTLT. Attualmente, in Francia, ogni paziente che necessiti della OTLT viene preso in carico dall’ANTADIR e dalle asso- ciazioni locali, facilitando in tal modo sia la ricerca specifica su scala nazionale sia i necessari programmi educazionali.

Un ulteriore e importante studio sulle condizioni di vita dei pazienti con pato- logia respiratoria cronica grave in regime di OTLT domiciliare o ventilati mecca- nicamente è stato condotto nel 1990. Attraverso le associazioni locali, più di 13.000 pazienti sono stati valutati mediante un questionario con l’intento di determinare il loro livello di autonomia, di indagare la loro vita reale nel quotidiano e la loro capacità gestionale delle strumentazioni domiciliari a loro disposizione. I dati così ottenuti sul loro profilo comportamentale sono successivamente risultati di gran- de aiuto per poter pianificare ulteriori programmi di miglioramento dell’adesione dei pazienti alla OTLT domiciliare [12].

Anche altre nazioni hanno contribuito allo sviluppo della OTLT. In Svezia, il National Registry è iniziato nel verso la fine degli anni ’80 e ha consentito di docu- mentare come il 70% dei pazienti in regime di OTLT fossero affetti da BPCO [13].

Negli Stati Uniti il problema della OTLT e della ventilazione meccanica domicilia- re è stato affrontato in maniera diversa. Non esistono infatti enti o meccanismi che assicurino che la prescrizione e l’erogazione dell’assistenza domiciliare siano ade- guati, né che sovrintendano al rimborso dei servizi, ai programmi educazionali nei confronti dei pazienti e delle loro famiglie, alla comunicazione e documentazione delle informazioni, o al miglioramento delle tecnologie. Inoltre, né la sicurezza del paziente, né il contenimento dei costi fanno parte di modelli regionalizzati di intervento finalizzati alla definizione dell’appropriatezza degli interventi e della loro costo-efficacia o costo-utilità.

In Giappone, il registro dei pazienti in regime di OTLT è stato istituito nel 1986 e nel 1993 risultavano inclusi più di 32.000 pazienti. Tale registro documenta il tasso di sopravvivenza e gli outcome in base alle caratteristiche dei pazienti, indi- pendentemente dall’eziologia della loro malattia respiratoria cronica [14].

Il valore assoluto dalla OTLT nella gestione dell’insufficienza respiratoria cro- nica è stato poi ulteriormente enfatizzato da diversi studi che sono stati condotti nell’ultimo decennio: tali studi hanno confermato i criteri selettivi di inclusione già precedentemente indicati per i pazienti da ammettere al programma di OTLT [15]. È stato inoltre ulteriormente stabilito che per essere utile l’ossigeno va assun- to per non meno di 15 ore al giorno: periodi più brevi di somministrazione sono infatti da ritenersi insufficienti e inefficaci dal punto di vista del miglioramento della sopravvivenza e della riduzione del regime ipertensivo polmonare.

Una volta che la somministrazione di ossigeno per più di 15 ore al giorno è stata accettata da parte del paziente, il ruolo dell’aderenza al programma terapeu- tico da parte di quest’ultimo assume valenza critica (Tab. 2), ove la sua famiglia e i care giver giocano un ruolo fondamentale nell’ottimizzazione dei programmi domiciliari di gestione terapeutica.

Lo sviluppo dei sistemi portatili per l’OTLT ha notevolmente facilitato l’ade-

sione quotidiana alla OTLT soprattutto in termini di durata, incrementando in

(7)

maniera significativa la qualità di vita e riducendo in modo corrispondente il livel- lo di disabilità. Questi nuovi sistemi hanno reso inoltre possibile un incremento delle ore impiegate quotidianamente dal paziente in attività domestiche e ricrea- tive, così come del numero delle ore trascorse fuori di casa. Evidenze recenti hanno potuto confermare come l’impatto sulla qualità di vita del paziente in OTLT dipenda in maniera consistente anche dal tipo di sistema impiegato per l’eroga- zione a lungo termine dell’ossigeno: i soggetti gestiti con ossigeno liquido dimo- strano una miglior qualità di vita rispetto a quelli che vengono invece gestiti con concentratore di ossigeno e con ossigeno gassoso in bombola [16].

Un parametro particolarmente delicato è quello relativo al contesto nel quale somministrare ossigeno: in altri termini, a riposo, durante il sonno, durante l’e- sercizio fisico. A tale proposito è stato condotto, mediante un apposito questiona- rio, uno studio internazionale il cui obiettivo era quello di conoscere il comporta- mento e le abitudini degli specialisti di diversi paesi in questo ambito [17]. La grande maggioranza degli specialisti tende a stabilire il programma terapeutico di ossigenoterapia facendo riferimento a informazioni raccolte sul paziente in con- dizioni di riposo, mentre l’atteggiamento nei confronti della prescrizione nottur- na dell’ossigeno è risultato più diversificato. Se in Canada e negli Stati Uniti si tende a incrementare durante il sonno il normale flusso di ossigeno a riposo, in Spagna il flusso a riposo è di solito mantenuto anche durante il sonno, mentre in Francia, Olanda e Italia viene più frequentemente definito il flusso da erogare durante il sonno. A livello internazionale, risultano peraltro diversi anche i criteri per personalizzare la prescrizione di ossigeno durante l’esercizio fisico [17].

Sempre in tema di OTLT, un altro aspetto rilevante è rappresentato dalla assen- za di protocolli standardizzati che consentano di confrontare in maniera oggetti- va gli outcome della OTLT domiciliare. Questo aspetto particolare risulta ulterior- mente enfatizzato dal fatto che in certe aree geografiche, come il Regno Unito, la OTLT domiciliare è frequentemente prescritta dai general practitioner, i quali non raramente agiscono al di fuori delle linee guida specialistiche per l’ossigenotera- pia [18]. In Scozia, indipendentemente dal fatto che dal 1989 la OTLT è prescrivi- bile solo dagli specialisti, la compliance dei pazienti alla OTLT domiciliare risulta assolutamente variabile e comunque simile a quella osservata negli studi condotti nei paesi in cui la prescrizione della OTLT è a carico del medico generalista [19].

Tabella 2. Ruolo della compliance del paziente sugli outcome clinici. I pazienti con una maggiore compliance mostravano un numero significativamente minore di riacutizzazioni e di ospedalizzazioni sia nel periodo primaverile/estivo sia in quello autunnale/invernale.

Uno score di compliance > o < 1 era discriminante (1986, dati interni)

Alta compliance Bassa compliance

score=1,2 (n=24) score= 0,45 (n=19)

Ospedalizzazioni Riacutizzazioni Ospedalizzazioni Riacutizzazioni

Primavera/estate 8,3% 12,5% 44,4%* 58,9%*

Autunno/inverno 20,8% 33,3% 66,7%* 88,9%*

*p<0.05 (Wilcoxon test fra gruppi)

(8)

La OTLT domiciliare fu accolta con grande favore in Italia negli anni ’80 e alcuni gruppi iniziarono immediatamente a indagare i diversi aspetti di questa innovativa opportunità terapeutica a favore dei pazienti con gravi malattie respiratorie croniche.

A quell’epoca, l’attenzione degli specialisti italiani si concentrò prevalentemente sulla documentazione dell’efficacia reale della OTLT, oltre che sull’utilizzo dei diversi devi- ce per la somministrazione dell’ossigeno e sulla compliance del paziente.

In assenza di regole e criteri nazionali in tema di gestione della OTLT, il primo documento istituzionale italiano su tale argomento risulta essere quello emanato dal Settore Assistenza Sanitaria della Giunta della Regione Veneto nel 1986 (doc. n.

44009/6.1.23, del 15 dicembre 1986) (Fig. 2). Tale documento riportava per la prima volta le patologie che potevano essere trattate mediante OTLT, unitamente ai crite- ri assoluti e aggiuntivi di selezione dei pazienti candidati a tale strategia terapeuti- ca (Tab. 3). Nello stesso documento erano inoltre riportate le procedure operative per un adeguato controllo dell’efficacia della OTLT domiciliare, nel rispetto del ruolo e della collaborazione dei medici generalisti. Veniva inoltre stabilito che la OTLT e le attività connesse dovevano essere erogate gratuitamente solo per quei pazienti che rientravano nei criteri di inclusione previsti dal documento stesso.

L’ossigeno poteva essere erogato in forma gassosa da bombola, mediante concen- tratore molecolare, o sotto forma di ossigeno liquido; si teneva inoltre conto anche di una serie di device utili a ottimizzare la terapia (ad esempio economizzatori, ecc.).

Inizialmente, per la OTLT domiciliare furono preferiti i concentratori molecola- ri, ma i problemi connessi agli alti costi gestionali per il paziente dovuti all’elevato consumo di energia elettrica, alla rumorosità e al più basso livello di qualità dell’os- sigeno erogato fecero rapidamente convergere l’attenzione degli specialisti verso l’ossigeno liquido, opzione che, fra l’altro, consentiva una migliore qualità di vita.

Nonostante l’incremento del tasso di sopravvivenza, la necessità di assumere l’ossigeno quotidianamente per più di 15-18 ore faceva sì che, a quell’epoca, una

Fig. 2. Il primo documento regolatorio istituzionale riguardante la OTLT fu emanato in Italia nel 1986

da parte del Dipartimento Sanità e Affari Sociali della Regione Veneto

(9)

certa percentuale di pazienti rifiutassero ostinatamente la OTLT. Nella maggioran- za dei casi ciò era da mettere in relazione al fatto che essi non volevano mostrare la loro disabilità a parenti o conoscenti durante la vita di tutti i giorni. In questa fase iniziale, solo piccoli gruppi selezionati di pazienti vennero gestiti a domicilio anche con il contributo prezioso di care giver volontari.

Nonostante la OTLT fosse vista come una strategia terapeutica che consentiva un risparmio di risorse, essa comportava comunque dei costi gestionali non indif- ferenti, correlati soprattutto alla sua prevalenza nei diversi territori, oltre che ai costi dei programmi educazionali a favore dei pazienti e delle loro famiglie. Nel 1988, il nostro gruppo specialistico fu invitato dal Dipartimento per la Salute Pubblica e gli Affari Sociali della Regione Veneto a condurre una ricerca epide- miologica triennale al fine di definire la prevalenza regionale della OTLT su un’a- rea di circa 4,5 milioni di abitanti e, conseguentemente, poter stabilire un piano adeguato di investimenti in tal senso. Tale studio fu ufficialmente supportato dalla Regione Veneto (ricerca finalizzata n. 182/03.88) e rappresentò il primo studio ita- liano condotto sull’argomento. La ricerca, condotta fra il 1988 e il 1990, dimostrò una prevalenza della OTLT di 78/100.000 abitanti nell’ambito della popolazione generale. Poiché tali dati sono stati più volte verificati e confermati sugli stessi ter- ritori nell’arco dei quindici anni successivi, tale valore è stato assunto come rap- presentativo della effettiva prevalenza della OTLT su scala nazionale.

Su tali basi, il Dipartimento Sanità e Affari Sociali della Regione Veneto fu in Tabella 3. Patologie respiratorie croniche nelle quali era ammessa la OTLT: criteri assoluti e aggiuntivi per l’ammissione dei pazienti

• BPCO

• Fibrosi polmonari e granulomatosi

• Fibrosi cistica

• Sindrome da ipoventilazione centrale

• Sindromi neurologiche con ipoventilazione

• Dimorfismi toracici

• Cuore polmonare cronico

• Pneumonectomia

• Insufficienza cardio-respiratoria Criteri assoluti

• Ipossiemia (PaO

2

<55 mmHg) persistente (almeno 2 mesi), non responsiva alle comuni terapie, dimostrata in due emogasanalisi arteriose, intervallate di 3 settimane

• Incremento della PaO

2

>60 mmHg a seguito di assunzione di ossigeno

• PaCO

2

che non incrementa pericolosamente durante assunzione di ossigeno

• Ipossiemia persistente in presenza di PaCO

2

<55 mmHg Criteri aggiuntivi

• Episodi di ipossiemia (o di desaturazione) durante il sonno, anche se il paziente è normossiemico da sveglio

• PaO

2

56-65 mmHg in presenza di documentata PaO

2

<60 mmHg durante esercizio fisico (40 watts)

• Cardiopatia ischemica

• Ipertensione polmonare

• Valore di ematocrito >55 %

(10)

grado di rivedere e aggiornare i criteri selettivi per i pazienti, fino all’emanazione nel 1992 di uno specifico documento che stabilì l’istituto del “Ricovero Domiciliare” a favore dei pazienti in OTLT domiciliare e/o ventilazione meccanica (Fig. 3). Quest’ultimo documento fu particolarmente innovativo nelle sue linee pro- grammatiche: esso stabiliva che i soggetti che necessitavano di OTLT domiciliare avrebbero potuto essere gestiti al proprio domicilio con pari diritti e benefici (sia in termini di supporto medico e infermieristico sia di diritto a opzioni diagnosti- che e terapeutiche) rispetto ai pazienti normalmente degenti presso i reparti ospe- dalieri. Il documento era orientato alla riduzione del numero di ospedalizzazioni per questo genere di pazienti e, pur intendendo mantenere (se non migliorare) lo standard delle cure, era finalizzato al contenimento dell’enorme impegno di risor- se sanitarie che la gestione ordinaria di tali pazienti normalmente comportava.

I pazienti e le loro famiglie accettarono con entusiasmo questa innovativa opportunità gestionale, anche se ciò significava che il loro livello educazionale sul- l’argomento andava urgentemente adeguato e sarebbe stato quindi loro richiesto, nel breve periodo, di rendersi disponibili a incrementare ulteriormente la loro par- tecipazione consapevole alla gestione quotidiana di se stessi o del loro congiunto.

Un programma educazionale specifico fu immediatamente attuato con la parteci- pazione di medici e nurse specialisti, e on l’ausilio irrinunciabile di esperti care giver volontari: i destinatari del corso furono soprattutto i pazienti (e le famiglie) con meno esperienza. Tutte queste attività furono via via estese a numeri sempre maggiori di pazienti, mentre risultati sempre più incoraggianti venivano progres- sivamente raccolti nell’arco dei mesi successivi. In uno studio durato 18 mesi in cui vennero confrontati pazienti non-compliant (gruppo di controllo) e pazienti

Fig. 3. Il documento regolatorio col quale fu sancita la “Ospedalizzazione Domiciliare” per i pazienti

con insufficienza respiratoria cronica fu emanato nel 1992 dal Dipartimento Sanità e Affari Sociali della

Regione Veneto

(11)

caratterizzati da un buon livello di compliance nei confronti della OTLT domici- liare, il controllo delle condizioni cliniche risultò assai migliore in questi ultimi:

ciò equivaleva a una significativa riduzione degli episodi di insufficienza respira- toria acuta che esitavano in ospedalizzazione, oltre che a un significativo miglio- Tabella 4A, 4B. Andamento della PaO

2

(valore medio; ds; valore minimo e valore massimo) registrato per 18 mesi in pazienti con insufficienza respiratoria cronica che aderivano (A, n=34) e non aderivano (B, controlli, n=16) al protocollo terapeutico per loro previsto dal programma di OTLT domiciliare. Solo nei pazienti che aderivano alla terapia si è ottenuto un progressivo e significativo incremento del valore di PaO

2

A basale 90 180 360 540 giorni

Media 53,3 60,9 61,2* 63,2** 67,3**

DS 5,7 7,6 10,1 9,2 5,2

Min. 40,1 44,1 46,2 47,7 59,9

Max. 60,1 69,1 66,5 69,8 71,8

B basale 90 180 360 540 giorni

Media 56,9 56,1 51,0 52,9 52,6

DS 7,7 7,2 6,6 5,0 6,1

Min. 46,6 51,5 49,2 51,3 52,1

Max. 65,6 66,5 61,7 60,9 61,2

* p<0,05; ** p<0,01 (Anova)

Tabella 5A, 5B. Andamento della PaCO

2

(valore medio; ds; valore minimo e valore massimo) registrato per 18 mesi in pazienti con insufficienza respiratoria cronica che aderivano (A, n=34) e non aderivano (B, controlli, n=16) al protocollo terapeutico per loro previsto dal programma di OTLT domiciliare. Nel periodo dello studio, solo i soggetti che aderivano alla terapia hanno mostrato un progressiva riduzione del valore medio della PaCO

2

, anche se la variazione osservata non ha raggiunto la significatività statistica

A basale 90 180 360 540 giorni

Media 47,9 44,8 44,7 45,1 46,1

DS 8,1 7,2 7,3 5,8 6,6

Min. 33,5 31,9 37,0 37,1 33,4

Max. 67,0 56,9 65,7 58,7 64,4

B basale 90 180 360 540 giorni

Media 43,3 45,0 52,9 52,3 52,6

DS 9,5 11,6 8,8 5,4 6,1

Min. 35,2 35,6 37,8 38,6 42,6

Max. 61,2 64,2 80,0 67,1 62,6

(12)

ramento (e stabilità) nel tempo della PaO

2

(Tab. 4) e PaCO

2

(Tab. 5). Inoltre, questi pazienti dimostravano un minor numero di ospedalizzazioni/anno e una signifi- cativa riduzione del tempo di degenza (Tab. 6).

I primi protocolli per analizzare e quantificare i costi diretti e indiretti della OTLT domiciliare iniziarono in quel periodo e furono orientati al confronto dei vantaggi e degli outcome ottenibili mediante quest’ultima opportunità gestionale impiegabile a favore del grave paziente respiratorio cronico domiciliare, rispetto a quelli ottenibili mediante i protocolli tradizionali di gestione. I dati fin da subito ottenuti si dimostrarono assai promettenti e indicarono come i costi diretti con- nessi alla OTLT telemetrica domiciliare sarebbero stati facilmente coperti dai risparmi dovuti alla notevole riduzione del numero e durata delle ospedalizzazio- ni, alla altrettanta significativa riduzione dell’assenteismo lavorativo, alla riduzio- ne dei costi sociali e assicurativi, nonché alla riduzione del consumo di farmaci.

Più in particolare, l’uso appropriato dell’ossigeno in tali pazienti esitava in una drastica riduzione dell’uso quotidiano di farmaci: prima dell’ammissione al pro- gramma terapeutico a lungo termine, il 42% dei soggetti faceva infatti registrare una prescrizione inappropriata di farmaci.

Da un punto di vista generale, sebbene un numero contenuto di operatori ospedalieri (medici e nurse) e di volontari sia, in condizioni routinarie, in grado di mantenere efficiente il sistema, un numero troppo limitato di risorse umane non è in grado di gestire le necessità quotidiane di un così grande numero di utenti, particolarmente quando si tratta di far fronte a complicanze inattese.

Nonostante i buoni risultati ottenuti in Italia dalla gestione routinaria della OTLT, un ristretto numero di specialisti orientò l’attenzione su altre difficoltà emergenti, riconoscendo che il problema maggiore era rappresentato dal sempre crescente numero di pazienti aventi diritto alla OTLT, per di più distribuiti su ambiti geografici molto estesi e spesso difficili da raggiungere. Tali circostanze operative erano, e tuttora sono, così frequenti e comunemente ritrovate da rende- re facilmente evidente che nessuno staff medico, per quanto numeroso esso possa essere, sarebbe in grado di gestire in maniera appropriata un così vasto numero di pazienti gravi a domicilio, numero che nel nostro caso specifico è di oltre 160 pazienti/anno.

Tabella 6. Outcome clinici rilevati nell’arco di 18 mesi nei soggetti ammessi a un protocollo di OTLT domiciliare di (n=34) e in un gruppo di controllo (n=16)

OTLT Controlli

M/F 26/8 10/6

Età media (anni ± ds) 67,2±8,4 68,3±5,5

PaO

2

media (mmHg ± ds) 53,3±5,7 56,9±7,7

Ospedalizzazioni/anno (n) 1,4±0,5 A 0,5±0,2* 1,5±0,8 A 1,4±0,4

Durata (giorni) 26,1 A 9,3* 25,4 A 30,2

Decessi (n) 1 (2,9%) 5 (31,2%)

* p<0,01 (Wilcoxon test)

(13)

Si rendeva quindi necessario pensare a un modello gestionale alternativo a quello tradizionale (di fatto basato sul numero dei partecipanti alla gestione terri- toriale), che si fondasse su una vision più strategica e tecnologicamente più avan- zata. Si decise quindi di intraprendere la strada della telemedicina e del controllo telemetrico dei pazienti domiciliari.

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