A cura di Massimo Calvino
SVALUTAZIONE ED INTERESSI
Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite Civili, sentenza del 22.4.94 (depositata il 17.2.9-5), n. 4401, Pres. Brancaccio - Est. Sgroi - Ministero dell'Interno ricorrente, Buonumore controricorrente.
In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, si attendeva da tempo una simile pronuncia a livello di sezioni unite della Suprema Corte, poiché troppe erano le dispute aperte sul "tema" qui proposto e assai influenti le possibili conseguenze derivanti dall’indirizzo - sancito dalla sentenza epigrafata.
Molto brevemente. ricordiamo che la quasi totalità delle sentenze a livello di corti di merito, stabiliva, in materia di risarcimento del danno da fatto illecito, che sulla somma valutata all'attualità dovessero aggiungersi gli interessi di legge (nella misura rilevante del 10% annuo);
tenendo conto della naturale rivalutazione già operata dal magistrato in sede liquidativa, venendo ad esprimere la somma al momento della decisione, l'includere "anche" gli interessi dalla data del fatto, significava offrire al creditore un indiscutibile vantaggio economico facilmente intuibile.
Vediamo in breve quali sono state le argomentazioni sostanziali evidenziate dalla rilevantissima sentenza qui richiamata:
Il punto principale di preoccupazione di cui alla premessa dell'iter logico e giuridico posto in essere dai giudici della S.C. è stato quello di tenere in giusta considerazione il rilievo per cui il creditore non finisca per ricevere più del danno effettivamente subìto in un ordine liquidativo quale quello poco sopra illustrato, formulandosi, altrimenti, una specie di anatocismo all'infuori dei casi normativi.
Ricordiamo, per dovere di completezza, che qualche timida sentenza a livello di tribunale aveva liquidato "solo" all'attualità includendo gli interessi a partire dalla data di pronuncia del provvedimento finale della causa.
La Corte di Cassazione ha oggi ritenuto opportuno addivenire a una revisione del tradizionale risarcimento pur, ovviamente, conservando il tradizionale sistema distintivo dei due tipi di danno: danno emergente (valore del bene perduto) e il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell'equivalente monetario del bene predetto.
Tagete n. 2-1995 Ed. Acomep
Non è il caso di richiamare in questa sede la revisione operata dalla Corte a livello di
"riassunto" della situazione fino ad oggi, bastando evidenziare i punti finali d'arrivo sul settore specifico di analisi che qui ci interessa.
Il fatto illecito, osserva la sentenza, obbliga al risarcimento del danno dovuto al momento del fatto stesso.
Si deve fare ricorso all'art. 2056 C.C. e, cioè, il debitore deve risarcire il danno sofferto dal creditore anche, eventualmente, per il ritardo con il quale ottiene la disponibilità dell'equivalente pecuniario del debito di valore.
Non si tratta, però, di un danno presunto “ex lege", ma deve essere provato con qualunque mezzo probatorio, e, dunque, anche mediante l'adozione di criteri equitativi, per cui nel caso concreto si potrebbe avere il riconoscimento di un tasso d'interessi diverso da quello legale del 10% proprio perché ritenuto nel caso concreto eccessivamente alto troppo favorevole al creditore.
In altre parole la Corte, allora, finisce con l'affermare che quando il giudice liquida all'attualità per equivalente, non deve procedere automaticamente all'applicazione degli interessi, ma può farlo solo se e in quanto il creditore abbia dimostrato di aver sofferto “anche” un danno da lucro cessante rappresentato dal mancato godimento dell'equivalente monetario del bene perduto o leso.
Nel caso di risarcimento del danno da fatto illecito, non potendosi procedere in forma specifica, l’obbligazione risarcitoria ha per oggetto "ab initio" una somma di denaro e, pertanto, non corrispondendo a un credito di valore non può rivalutarsi.
In caso di risarcimento per equivalente il lucro cessante (costituito dall'impossibilità di far fruttare la somma, se fosse stata versata subito al creditore) può essere riconosciuto e liquidato sotto forma di interessi, non necessariamente pari a quello legale, e che, una volta fissato non è suscettibile di rivalutazione nascendo fin dall’origine come debito di valuta (costituiva cioè, una somma di denaro).
Gli effetti della rivalutazione si possono avere indirettamente mediante liquidazione di una somma all'attualità e in via equitativa, come partendo da un valore pari all’epoca del fatto illecito e aumentandolo applicando gli indici di rivalutazione, incrementando, di fatto, nominalmente il capitale.
Venendo quindi al momento liquidativo "finale" si tratterà, in buona sostanza, di ristabilire, con il risarcimento, la situazione nella quale si sarebbe trovato il creditore senza l’illecito e senza che fosse frapposto ritardo nell'operare il risarcimento stesso.
Tagete n. 2-1995 Ed. Acomep
Questo è motivo di apprezzamento da parte del giudice solo in base a quanto eventualmente provato dal Creditore perché, altrimenti, dovendo il magistrato procedere per equivalente, finirebbe per ricadere nello stesso errore logico, cascato dalla Suprema Corte con la sentenza in esame, se continuasse ad applicare sul capitale rivalutato gli interessi dalla data del fatto.
Quindi, il magistrato dovrà tener conto del valore del bene al momento del fatto, esprimendo una somma equa di denaro potendo e dovendo riconoscere e liquidare anche il danno da ritardo (lucro cessante) solo se e in quanto provato.
Se il creditore prova un danno da ritardato pagamento, ma non riesce a quantificare siffatto danno, il magistrato potrà attribuire gli interessi secondo un tasso stabilito valutando ogni circostanza utile, sia oggettiva che soggettiva, anche con riferimento a singoli momenti o in base a un indice medio (ad esempio, si pensi a quello che potrebbe essere il rendimento medio dei titoli di stato per il periodo interessato, o agli interessi creditori bancari ecc.).
Riassumendo: in materia di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, quando la liquidazione viene operata per equivalente, cioè con riferimento al valore del bene leso all'epoca dell’illecito medesimo, espresso poi in termini monetari che tengono conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della sentenza, è dovuto il danno da ritardo (lucro cessante), provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, solo se viene provato dal creditore.
Tagete n. 2-1995 Ed. Acomep