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Con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento?

Autore: Redazione | 08/10/2018

Assegno di divorzio: il tenore di vita matrimoniale non è il solo criterio che determina l’assegno di mantenimento. La recente sentenza della Cassazione non tutela chi vuole approfittarsi della posizione economica dell’altro coniuge.

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Quali cambiamenti ci sono stati sull’assegno di divorzio? La nuova giurisprudenza della Cassazione stabilisce con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento con l’intento di evitare che un coniuge si approfitti dell’altro. La Cassazione afferma che il tenore di vita tenuto durante il matrimonio non sempre determina il valore dell’assegno. Allo stesso tempo ribadisce che l’apporto dato dal coniuge alla famiglia va adeguatamente valorizzato anche in relazione alle rinunce fatte per il bene della famiglia. La legge sul divorzio, infatti, prevede diversi criteri per determinare l’assegno di divorzio e, secondo la Cassazione, questi criteri sono tutti ugualmente rilevanti. Pertanto quando il giudice quantifica l’assegno di mantenimento deve analizzare la situazione cocnreta nel suo complesso tenendo presente tutti i criteri previsti dalla legge.

In questo articolo verranno evidenziate le differenze fondamentali fra i tre tipi di assegno: di mantenimento, alimentare e di divorzio. Poi, in relazione a quest’ultimo, si vedrà come la nuova giurisprudenza della Cassazione ha innovato la materia e, in particolare, con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento. Infine analizzeremo le possibili conseguenze che ci potranno essere sugli assegni di divorzio già decisi dal giudice.

Ultimamente, come detto, stanno cambiando un po’ di cose per la determinazione dell’assegno divorzile e in questo articolo troverai importanti chiarimenti che ti consentiranno di capire cosa realmente sta succedendo in questa materia.

Prima di procedere oltre è bene precisare due cose:

– la prima è che esiste una differenza tra assegno di mantenimento, alimenti e assegno di divorzio, anche se nel linguaggio comune i termini spesso sono usati come sinonimi. L’assegno di mantenimento, infatti, è attribuito al termine della fase di separazione – che precede quella di divorzio – ed ha dei presupposti e delle finalità diverse rispetto a quelle dell’assegno di divorzio. Gli alimenti, invece, hanno un campo d’azione più ampio, infatti, possono essere richiesti anche agli altri parenti e non solo al coniuge separato ma, come vedremo, hanno dei criteri di determinazione più rigorosi.

– La seconda è che non c’è nessuna nuova legge che va a modificare i criteri che il giudice usa per quantificare l’assegno di divorzio (o divorzile). La legge [1] infatti è sempre la stessa, l’unica cosa a subire delle variazioni è stata l’interpretazione della legge sul divorzio fatta dalla Cassazione [2]. Tale

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interpretazione, però, non è priva di conseguenze pratiche, dato il particolare ruolo che ha la Cassazione sulla concreta applicazione della legge.

Le principali differenze tra assegno di mantenimento, assegno di divorzio ed alimenti

Come precisato in precedenza esistono delle differenze tra assegno di mantenimento, assegno di divorzio e assegno alimentare.

L’assegno di mantenimento è stabilito in sede di separazione in favore del coniuge a cui non è stata addebitata la separazione e che non ha adeguati mezzi per condurre una vita simile a quella condotta durante la vita matrimoniale. La funzione di tale assegno è quella di non sconvolgere totalmente lo stile di vita del coniuge separato facendogli mantenere un tenore di vita paragonabile a quello precedente. La giurisprudenza, però, ha stabilito che il nuovo tenore di vita non deve necessariamente coincidere con quello precedente, poiché, ad esempio, è del tutto possibile che lo stesso reddito non possa mantenere allo stesso modo due persone che andranno a vivere separatamente. Per esempio, in assenza di una casa di proprietà, si avrà un aumento notevole dei costi per poter mantenere due alloggi diversi rendendo così improbabile mantenere lo stesso tenore di vita.

La legge per determinare il predetto assegno usa dei criteri alquanto vaghi. Infatti fa un generico riferimento alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.

La Cassazione, in concreto, ha ritenuto utile per determinare l’ammontare dell’assegno: la durata del matrimonio, a chi è stata assegnata la casa famigliare, eventuali somme percepite dal nuovo convivente, la capacità di produrre reddito che il beneficiario dell’assegno aveva già prima della separazione.

Quindi, ad esempio, se ad un coniuge è stata assegnata la casa famigliare di proprietà di uno o di entrambi i coniugi l’eventuale assegno di mantenimento si ridurrà; o ancora, se il matrimonio ha avuto una breve durata l’importo dell’assegno sarà minimo.

Mentre è sufficiente uno dei seguenti motivi per escludere del tutto l’assegno di mantenimento: la separazione causata dalla colpa del coniuge che richiede

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l’assegno, la sussistenza di redditi adeguati a mantenere lo stesso tenore di vita, un reddito molto basso dell’obbligato al mantenimento.

Inoltre, è bene ricordare che i provvedimenti che riguardano l’assegno di mantenimento sono sempre revocabili o modificabili nel caso in cui si verificano eventi che cambiano lo stato dei fatti.

L’assegno di mantenimento, in sostanza, ha lo scopo di proteggere il coniuge economicamente più debole per la sola fase di separazione, consentendogli di condurre un tenore di vita paragonabile a quello tenuto durante la convivenza matrimoniale, a condizione che non gli sia stata addebitata la separazione, che non abbia un reddito adeguato e che l’altro coniuge abbia un reddito sufficiente.

L’assegno alimentare, diversamente dall’assegno di mantenimento, è dovuto dal coniuge separato (e non da quello divorziato) qualora l’altro coniuge versi in uno stato di grave indigenza e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento non per sua colpa. In questo caso, però, sia l’addebito della separazione che il tenore di vita tenuto durante il matrimonio non hanno alcuna rilevanza.

L’assegno alimentare, infatti, dà diritto ad ottenere solo i minimi mezzi di sopravvivenza, cioè il minimo indispensabile per sopravvivere solo quando il coniuge separato non sia in grado di produrre reddito per motivi che non dipendono dalla sua volontà e a prescindere dall’addebitabilità della separazione.

Inoltre, data la sua finalità spiccatamente assistenziale, se tale assegno non può essere versato dal coniuge separato sono obbligati a versarlo, nell’ordine: figli, nipoti, genitori, nonni, generi e nuore, suocero e suocera, fratelli e sorelle del soggetto che ha diritto agli alimenti.

In pratica, la presenza dell’assegno di mantenimento esclude la possibilità di ricevere l’assegno alimentare ma, nel caso in cui l’assegno di mantenimento si talmente basso (perché ad esempio il coniuge separato non dispone di grandi redditi) da non riuscire a far fronte le minime esigenze di vita del beneficiario, questo può comunque chiedere gli alimenti agli altri soggetti obbligati se dimostra la sua insuperabile impossibilità di produrre reddito.

In senso opposto, invece, la mancata attribuzione dell’assegno di mantenimento – per esempio per l’addebito della separazione al coniuge indigente – non esclude la possibilità di ricevere l’assegno alimentare dall’altro coniuge separato [3] che ha un reddito sufficiente e anche se non gli sia stata addebitata la separazione.

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Ulteriori differenze si hanno con l’assegno divorzile stabilito in sede di divorzio che, come noto, ha l’effetto di sciogliere definitivamente il matrimonio. Proprio questo effetto del divorzio incide sulle caratteristiche dell’assegno divorzile.

Tale assegno, infatti, diversamente da quello di mantenimento, ha lo scopo di riequilibrare i rapporti tra i coniugi in relazione al contributo dato da ciascuno di essi all’interno della famiglia, inoltre ha anche una funzione assistenziale e risarcitoria.

Il giudice per calcolare l’ammontare dell’assegno di divorzio utilizza diversi criteri: le ragioni che hanno spinto i coniugi a divorziare, l’apporto dato alla creazione del patrimonio famigliare, la condizione personale di ciascun coniuge (ad esempio le condizioni di salute), il reddito percepito da ciascun coniuge, la durata del matrimonio. Il giudice, quindi, valutati tutti questi elementi stabilisce l’assegno a favore del coniuge che non ha redditi adeguati e che non ha la possibilità di procurarseli.

In altre parole, se un coniuge non ha oggettivamente [4] la possibilità di avere dei redditi che gli consentano di condurre una vita simile a quella che egli stesso aveva reso possibile collaborando con l’altro coniuge, il giudice obbliga il coniuge più ricco a versare all’altro coniuge un assegno mensile o in un’unica soluzione.

Ovviamente, chi è tenuto a versare l’assegno non potrà essere obbligato a versare una somma talmente alta che non gli permetta di avere i minimi mezzi per sopravvivere. Inoltre, chi richiede l’assegno dovrà comunque adoperarsi per produrre reddito e solo se non riesce a procurarsi i mezzi economici adeguati gli sarà attribuito l’assegno.

Cosa è cambiato nella determinazione dell’assegno divorzile

Ora, dopo avere visto le principali differenze tra assegno di mantenimento, assegno alimentare e assegno divorzile, concentriamoci su quest’ultimo prendendo in considerazione come era determinato prima della innovativa sentenza della Cassazione e come è determinato dopo di essa.

È bene precisare, però, che le sentenze della Cassazione – anche se a sezioni unite come in questo caso – non sono legge vincolante per gli altri giudici ma hanno

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comunque una notevole forza di indirizzo per tutte le decisioni future.

Detto ciò, prima della sentenza delle sezioni unite l’assegno di divorzio era stabilito, tra le altre cose, prevalentemente in funzione del tenore di vita condotto dai coniugi durante il matrimonio senza, però, valorizzare adeguatamente il contributo apportato dal coniuge. Ma cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.

In precedenza, quindi, la Cassazione affermava costantemente che nel caso in cui l’ex coniuge non aveva mezzi economici adeguati per permettersi un tenore di vita similea quello tenuto durante il matrimonio aveva diritto ad ottenere l’assegno di divorzio. L’ammontare di tale assegno, una volta accertato il diritto ad ottenerlo, si determinava in base ai criteri stabiliti dalla legge, e cioè: i motivi del divorzio, il contributo dato dall’ex coniuge alla famiglia, l’età e le condizioni di salute dell’ex coniuge, i redditi di ciascuno del ex coniugi, la durata del matrimonio.

In sostanza si potevano individuare due momenti della decisione: nel primo si accertava l’inadeguatezza, rispetto al tenore di vita matrimoniale, dei mezzi economici del ex coniuge richiedente e quindi l’esistenza del diritto ad ottenere l’assegno; nel secondo si quantificava concretamente l’ammontare usando i criteri elencati dalla legge.

Nel 2017 c’è stata un’importante variazione rispetto a questa interpretazione, infatti, la Cassazione, pur tenendo fermo il metodo di dividere in due momenti la decisione, ha valutato l’inadeguatezza dei mezzi economici, non più rispetto al tenore di vita tenuto durante il matrimonio ma considerando la sola autosufficienza del coniuge richiedente l’assegno. Pertanto, una volta accertata la non autosufficienza del coniuge richiedente, si passava a quantificare l’ammontare dell’assegno utilizzando gli altri criteri previsti dalla legge (motivi del divorzio, età, ecc…).

In altre parole, aderendo a questa interpretazione, i giudici attribuivano l’assegno all’ex coniuge solo qualora non era in grado di procurarsi i mezzi economici necessari ad avere una vita dignitosa, senza però dare un peso determinante al tenore di vita matrimoniale, tutto ciò per evitare speculazioni in danno dell’altro ex coniuge.

Nell’ultima sentenza delle sezioni unite del 2018 si arriva ad una soluzione che differisce dalle due precedenti, infatti, si è ritenuto che ancorare la spettanza

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dell’assegno di divorzio prevalentemente al parametro del tenore di vita matrimoniale è una soluzione troppo generica perché non valorizza adeguatamente tutti gli altri criteri previsti dalla legge. Invece, l’altra soluzione, che attribuisce all’ex coniuge l’assegno di divorzio solo se non autosufficiente, è stata comunque ritenuta non adeguata poiché troppo restrittiva, infatti, non tiene in debito conto i sacrifici e gli apporti dati dal coniuge richiedente l’assegno.

Le sezioni unite del 2018, inoltre, apportano un ulteriore elemento di novità per determinare l’assegno divorzile, difatti, secondo i giudici la decisione va presa senza dover distinguere tra criteri utili per l’attribuzione dell’assegno (l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente) e criteri utili a quantificare l’assegno (età, durata matrimonio, contributo dato da ciascun coniuge, ecc…).

In concreto la Corte afferma che la legge non fa distinzione tra i criteri che deve usare il giudice per attribuire l’assegno, infatti, la legge non attribuisce preminenza ad un criterio piuttosto che ad un altro. Da questa equiparazione tra i criteri discende una importante conseguenza pratica: il giudice nella sua decisione deve valutare tuttigli aspetti allo stesso modo, cioè senza stabilire una gerarchia tra i criteri elencati dalla legge, quindi la decisione deve essere presa con un unico ragionamento senza dover frazionare tra l’accertamento dell’esistenza del diritto all’assegno e la quantificazione dell’assegno.

In pratica, ad esempio, se il coniuge richiedente l’assegno ha un buon lavoro che gli consente di condurre una vita più che dignitosa, ma durante il matrimonio ha contribuito notevolmente alla creazione del patrimonio dell’altro coniuge (perché magari si è occupato della famiglia a tempo pieno) ha comunque diritto a vedersi riconosciuto il contributo dato all’interno della famiglia.

In sostanza l’assegno divorzile ha anche la funzione di riequilibrare i rapporti tra gli ex coniugi a prescindere dall’effettivo bisogno di uno dei due.

Tale funzione riequilibrartice non avrebbe motivo di esistere nel caso opposto: si pensi ad un ex coniuge trentenne (Filippo), in buono stato di salute e percettore di un reddito minimo, che non ha dato alcun apporto alla creazione del patrimonio famigliare durante il matrimonio proseguito per tre anni. Si consideri, infine, che Filippo richiede un cospicuo assegno divorzile all’altro ex coniuge (Teresa) molto benestante, la quale, peraltro, non ha alcuna colpa nelle ragioni che hanno portato al divorzio. In tale situazione, nonostante l’alto tenore di vita condotto durante il

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matrimonio, la legge non accorda a Filippo alcun diritto in merito, infatti, viene meno sia la funzione riequilibratrice (poiché non c’è stato alcun contributo alla formazione del patrimonio di Teresa), sia la funzione assistenziale (poiché ha già un reddito e, considerato la giovane età può comunque adoperarsi per migliorare la sua situazione reddituale), sia la funzione risarcitoria (poiché il coniuge benestante non ha alcuna responsabilità in relazione al divorzio).

In pratica non esiste una formula magica per determinare in concreto l’assegno di divorzio ma i giudici devono utilizzare, secondo la recente sentenza, un sistema abbastanza elastico che deve tenere in considerazione tutti i parametri previsti dalla legge.

In altri termini la nuova interpretazione fornita dalla Cassazione, facendo leva sulla funzione composta dell’assegno divorzile (riequilibratrice, assistenziale e risarcitoria), evita qualsiasi automatismo per la determinazione dell’assegno. Lo strumento che le sezioni unite utilizzano per evitare tale automatismo è dato dalla equiparazione dei criteri previsti dalla legge i quali devono necessariamente essere tutti considerati per una equa determinazione dell’assegno. Quindi la semplice differenza tra i patrimoni dei coniugi non è detto che porti all’attribuzione dell’assegno al coniuge economicamente più debole se questo, ad esempio, non ha minimamente contribuito all’incremento patrimoniale dell’altro e se ha comunque la possibilità di produrre un reddito adeguato e non si adopera per farlo.

In sintesi si può affermare che il giudice, per la determinazione dell’assegno di divorzio, deve considerare cumulativamente tutti questi criteri: il contributo dato alla vita famigliare dal coniuge che richiede l’assegno; il contributo dato alla formazione del reddito famigliare e personale dell’altro coniuge; l’età e le condizioni di salute di chi richiede l’assegno; l’impossibilità oggettiva di chi richiede l’assegno di procurarsi i mezzi economici; la durata del matrimonio; le ragioni che hanno portato al divorzio.

Negli anni precedenti, invece, la giurisprudenza tendeva ad attribuire l’assegno di divorzio al coniuge più povero senza tenere in debito conto tutti gli altri elementi, basando così la decisione quasi esclusivamente sulla differenza reddituale degli ex coniugi e sul tenore di vita mantenuto durante il matrimonio. Con la nuova interpretazione i giudici, invece, impongono una valutazione contestuale di tutti i criteri stabiliti dalla legge valorizzando così la triplice funzione dell’assegno divorzile al fine di evitare speculazioni in danno del coniuge più ricco oppure abusi

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in danno del coniuge che si è sacrificato, o ha comunque collaborato, per la formazione del patrimonio famigliare o personale dell’altro coniuge.

È possibile modificare l’assegno divorzile usando la nuova interpretazione della legge?

Infine dedichiamo alcune righe per capire che effetti potrà avere la nuova interpretazione sulle decisioni già adottate dai giudici.

Premesso che una nuova interpretazione della legge non necessariamente deve essere osservata anche dagli altri giudici dato che, solo la legge pone dei vincoli insuperabili al giudice e non una interpretazione della stessa, anche se fatta da giudici di ordine superiore.

È possibile affermare che qualora ci si trovi difronte ad una sentenza definitiva, cioè non più impugnabile per scadenza dei termini o perché si è arrivati in Cassazione, la nuova interpretazione non ha alcuna rilevanza. Diversamente nel caso in cui la sentenza è ancora impugnabile i nuovi giudici nel decidere l’appello potranno applicare la nuova interpretazione della legge fatta dalle sezioni unite del 2018.

In ogni caso è possibile richiedere la modifica delle condizioni economiche del divorzio nel caso in cui sopraggiungano dei nuovi fatti che non rendano più giustificabile continuare ad obbligare l’ex coniuge a versare l’assegno in favore dell’altro.

Note

[1]Legge n. 898/1978. [2]Cass. civile sezioni unite, sent. n. 18287/2018 dell’11/07/2018. [3]Ma non da quello divorziato. [4]Si pensi ad esempio alla

presenza di malattie invalidanti.

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