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ORIGINE
DELLE
•D I
GIUSTINA REMER MICHIEL
TOLU>IE SECONDO.
MILAINO
tKESSO GLI EDITORI DEGLI ANNALI UNIVERSALI DELLE SCIENZE E DELl'INDUSTRIA
MDCCCXXi;^.
DtC
14 1967
J
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V\^.
Vi
^
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^cJta aù t/anóa tyfbana DELLA
CARITÀ'.Aja
chiesa di Santa Maria della Ca-rità,
una
delle più antiche nelle no- stre lagune, fu daprima
costrutta di legno , e tale si conservò sino al il 19,quando Marco
Giuliani anima- to dauna
particular divozione per la Vergine , ne gettò a proprie spese leprime fondamenta
di pietra. L'edificio fu poscia magnificamentecompiuto
per la liberalità de' fedeli , i quali vi aggiunsero la fabbrica per la confra- ternita,non
che il monastero, in cui colla permissione del pontefice Inno- cenzo II, presero stanza i canonici regolari. In questo stesso monastero si rifuggì
papa
Alessandro, allorché do- vette cercarun
asilo tra noi controle persecuzioni dell'imperator Barba- rossa. Ottenuta ch'egli ebbe la paces
consacrò la cliiesa di Santa Maria, ac- cordandole le
medesime
indulgenze ,che concesse aveva a quella di
San
Marco, ed il governo stabilì con decre- to, che il 3 aprile fosse il giorno della festa solenne destinato per acquistarle.Nell'anno 1177 ebbe principio la di- vota usanza, e il
Doge
col suo augu- sto corteggio diedeun
luminoso esem- pio di religione al rimanente del po- polo. Forse congiunto all'oggetto della pietà quellopur
v'ebbe di fasto na- zionale , volendosi con talannua
vi- sita,non men
che colla Festa dell'A- scensione, tener viva lamemoria
d'u-na
mediazione, ch'ebbe riuscita moltofelice, e che aggiunse onore al
Veneto nome.
Gli abitanti della città, quelli delle vicine provincie , ed anche
non
pochi de' luoghi lontani accorrevano in folla alla partecipazione di questi spirituali favori, e con ciò si accrebbe lo spettacolo di questa Festa, ch'ebbe luogo sino all'anno 1796.In qucst' occasione, particolarmente col progredire degli anni,
venne
ilpopolo a contemplare e ad
ammirare
i tanti
monumenti
del genio riuniti nel recinto della Carità.E
architetti in fatti , e scultori , e pittori cransi presiuna
singoiar cura in abbellirlo.Pare propriamente che il suo destino lo riserbasse in ogni
tempo
alla cele- brità,malgrado
ai danni apportati diquando
inquando
a que' capi d'ope-ra. Egli è certo che le pitture di Ti- ziano oggidì
non hanno
più la loro primitiva originalità ; che ilfamoso
chiostro di Palladio perdette in parte la sua naturai eleganza, e che imau-
solei dei
due Dogi
Barbarigo, e del-l'altro
Doge
da Ponte sparirono.Ma
a perdite cosi irreparabili successero in quello stesso luogo nuovi oggetti gratissimi, che ci colpiscono vivamente lo sguardo. Colà nclTanno iSo'^
venne
stabilita 1'
Accademia
delle belle arti.Fu ben
saggio avviso lo scegliere per loro sedeuna
fabbrica resa splen- dida dal valore dell'immortale Palla- dio , e rispettata insino dal fuoco, al-lorché
con
suefiamme
divoratrici con-simse le altre parti di quel convento.
Il primario oggetto di questa scelta
non
fu già quello di procurareun
più magnifico albergo all'Accademia
,ma
veramente quello di ricoverare in tale edificio que'
monumenti non meno
il- lustri pel lavoro, che per lamemoria
dei gran personaggi, a cui erano stati eretti , in caso che venissero rimossi dalle antiche loro sedi. Felici
pur
noi se fosse stato in tutto eseguitoun
sìprovvido pensiero.
Per
conforto nostro vi si trova però,come
dissi,una
pre- ziosa unione di cose, cheonorano
al-tamente la splendidezza, il
buon gu-
sto, e
r
ingegno de' Veneziani.Ma
pri-ma
d' internarci ad esaminarle, get-
tiamo
uno
sguardo, giusta lapromessa
nostra , sulle belle arti in generale, e sulla loro antica esistenza presso di noi.I Veneziani, o
poco
gelosi della loro gloria in fatto di belle arti, per- chè occupati abbastanza in sostenere quella del loroimpero
e delle armi loro , opoco
fortunati ne' loro scrit-'7
'tori in paragone de' Toscanie de'
Bo-
lognesi5 si lasciarono con indifferenza rapire dagli altri il vantaggio dell'an- zianità neiraverle accolte , anzi direi quasi rigenerate.
Pure
egli è certo cheappena
si potè da noi godereun
pò*di ozio,
vedemmo
nascere fra noi le cose diornamento
, e tutto ciò che appartiene alle arti belle. I preziosi avanzi de'monumenti
Greci furono i nostri modelli.Fino
dai primi secoli dell'era volgare i Venezianiandavano
colle loro navi nel
Levante
e a Co- stantinopoli , sede allora delle belle arti.Eranvi
colà le piìi celebri statue prese dai varj luoghi della Grecia,
dall'Asia minore, dal tempio di
Diana
in Efeso, da Atene, da Elide e daBoma.
Queste egregie opere vennero poscia frammiste allemine
di Cjuella città nel 1204.Anche
nel resto craviun
gusto elegante nel disegno formatosull'antico , cosicché possiamo vera-
mente
dire, che di làtraemmo
la re- gola perben
determinare il bello, per sostenere l'unità e la verità ne' lavori,le nostre scorte
non meno
perbene
eseguire, che perben
giudicare. Li- bericome
essi,non dovendo
ne adu- lare i re, ne umiUarci dinanzi ai ti-ranni, gli artistiVeneti lasciarono sciol- te le briglie al loro genio inventore.
L'architettura ci diede il
mezzo
di rendereun
tributo di riconoscenza al- l'EssereSupremo
, di contribuire al-l'abbellimento della città, e di accre- scere i
comodi
di tutta la popolazione.La
scoltura servì a ricompensare ono- revolmente i nostri prodi cittadini; la pittura a perpetuar lamemoria
delle nostre gloriose azioni.Un
tal usodunque
delle arti bellenon
solo contribuì al loro perfeziona-mento
,ma
vantaggi di gran lunga maggiori procurò alla Repubblica, utili alla patria , e apromuovere
quelle virtù, che neformano
il più sicuro e solido fondamento. Imonumenti
in- nalzati ai cittadini più benemeriti era-no
per essi altrettanti tempj consacrati alla gloria. Frequentissimi furono sì9 in pittura, che in iscultura o in archi- tettura quegli eretti dalla pubblica au- torità.
Ognuno ben
sente quantaemu-
lazione destar dovea questa usanza sì ne' cittadini , che alla virtù si eserci- tavano,
come
negli artisti, i quali di-videvano in certo
modo con
essiV
o- nore delmonumento.
Oltre a ciòda
tali cospicue
memorie
potevachiunque
apprendere quasi senza fatica la storia patria, e quella de' suoi celebri ante- nati. I sepolcri stessi consideraticome un
civico premio, volevasi che fossero grandi e magnifici. Ilprimo
lavoro inmarmo
di questo genere fu quello delDoge
Vilal Falier postoV anno
1096 nel vestibolo della chiesa diSan
Marco. Dirimpetto ad esso avvi quello dell' illustrematrona
Felice Michiel,
che per la sua singolare pietà meritò tanto onore. Queste
, per vero dire
,
non
sono opere di gran pregio in quanto al lavoro, pure esigono vene- razione per la rimota loro epoca , e per essere quasi ilprimo
gradino, dal quale i nostri scultori ascesero fino atoccar
r
apice dell'eccellenza.V
ha chi pretende, che ancorprima
di quell'e- poca, alcune statue dimarmo
fossero scolpite da' nostri, parte delle quali erano collocate nélP antico tempio diSan Teodoro,
e che furono poscia ri-messe nella chiesa esistente di
San
Marco.Ne
v'è in ciò da maravigliare, poiché è hen noto il granguadagno
che sino negli antichi tempi ci veniva da nostri fini intagli, inqualunque
materia essi fossero.Fummo
sì ahili in questo genere di lavoro, che ilDo-
ge Orseolo nell'anno 998
spedìad
Ottone imperatore di Costantinopoliuna
sedia di avorio col suo sgabello lavorata in Venezia con tal maestria da poter essere presentata senza ros- sore a sì gran principe , e da meri-tarsi
un
pieno aggradimento.Ben
più sorprendenti furono i no-stri progressi nell'architettura. Fin dal-
l'
anno 829,
pernon
parlare di pa- recchie chiese ch'erano già erette a queltempo
, fuiono poste le primefondamenta
dellagrande basilica diSaa
IT
Marco,
di quel tempio sì rinomato; e nell'anno888 quelle della maestosa tor- re, chegli stapresso.Quante
cognizioninon
occorrevano per piantare sull'on- de le basi di moli sìimmense?
IlDn-
cal palagio fu pure cominciato nel
976
; infine passando di prodigio in prodigioscorgemmo
formarsi nel no- stro seno varj celeljri architetti, fra iquali quel Palladio superiore a tutti gli elogi.
Quanto
poi alla pitturafacemmo
sigran progressi, ch'essa divenne og- getto delle ricerche degli stranieri
,
come
diverse cronache il provano.Ne
si dee lasciar di osservare, che le no- stre antiche pitture
hanno un
carattere affatto diverso da quello che scorgia-mo
inCimabue,
in Giotto e nelle pri- mitive figure dell'arte; ciò chedimo-
stra
r
anzianità dei dipingere tra noi.Le
stesse pitture del nostro Tizianocomprovano una
certa originalità na- tiva, e lo fanno conoscerecome
mae- stro insigne.Potrebbesi forse assegnare per ca^
gion principale di sì rapidi avanza^
menti ranticliissima instituzione di
una
confraternita delle belle arti, e il di- sinteresse e la nobiltà con cui queste arti si esercitavano.Non
poteapor mano
ad esse chinon
era aggregato a questo corpo, ne a tal corpo venivaammesso
chinon
avea datobuon
sag- gio de'precedenti suoi studj.Da
esso inoltre escludevansi coloro, che atten- devano aimen
fini lavori,come
alla pittura deglistemmi
, de' cuoj e di cose simili. Gli statuti di questo corpo meritano di essere conosciuti,come
pure i regolamenti posteriori, che por- tano la data del i345. Essi segnata-mente provano F
anzianità di quest'a-dunanza
sopra tutte quelle che furonostabilite in Italia, ed anche sopra quel- la di Parigi. Il suo spirito conscrvossi
sempre
lo stesso fino a che le circo- stanze avverse sopravvenute nel quin- dicesimo secolo per cagion di guerre, ed ancor più della peste, rapirono lamaggior
parte di quegl' individui , ai quali affidata n'era la direzione.M-
i3
lora fu che vi s'introdussero giovina- stri inesperti ed indotti, i quali pren-
dendo
a reggere quel corpo, lo feceroprecipitare intieramente, e diedero il
crollo alle arti medesime. Ilsecolo de- cimosesto recò
un
periodo di tranquil-lità, il che rianimò lo spirito della società , creò de' genj novelli, e fece nascere dei capi d'opera.
A
quest'e-poca
segnatamente i socj presero ilnome
di Accademici, ed il corpo quel- lo di Accademia.Nuove
leggi allora assai provvide si fecero, e sopra tutto si crearono alcuni ])rofessori, che in- segnassero quelle scienze, le quali han-no un
intimolegame
colle belle arti.Si profusero eziandio distinzioni ed onori ai professori delle arti medesime.
A
tale oggettoappunto
il Senato ema-nò due
decreti , colprimo
de' quali dichiarò nobili i professori di que- st'Accademia o Collegio, cioè conce- dette, che le loro figliuole o sorelle potessero apparentarsi con persone pa- trizie , senza cheuna
tale cognazione recasse onta alla nobiltà delle fami-glie, in cui fossero entrate. Nel sé'
condo
si dichiarò, che taliartisti ono- ravano altamente la nazione, e pro- Curavanoun
vero bene allo Stato.Alle quali distinzioni conviene anche aggiungere , che
un numero
conside- rabile d'illustri soggetti,non
solo di Veneziama
di stranieri paesi, si glo- riarono di venire inscritti fra imem-
bri di quest'
Accademia, come
posciail furono altresì le accademie stessedi
Parma
e diRoma
^ che tutte deside- rarono di dareuna
simile testimonian- za di onore a quella di Venezia.Essa cangiò più volte di luogo,
ma
per verità
non
n'ebbemai uno
più esteso e magnifico del presente. L'an- tica chiesa della Carità scompartita nella sua altezza daun
tramezzo, por- ge ora nel piano superiore nobile stan- za ai modelli di gesso.' Nel pian ter-reno ha le molte
camere
inservienti alle scuole di architettura , di scultu- ra, di disegno, di ornato. Ilmona-
stero è convertito in più appartamenti;
V
è scuola dell'incisione; del disegnoi5 del
nudo,
della pittura.Evvi comodo
albergo per li professori forestieri, pel segretario, per
Teconomo
, per gì' in- feriori ministri , ed altresì sale per la libreria, per la pinacoteca, e per leprivate
adunanze
del corpo, che suole ivi unirsiuna
volta almese
per trat- tare desìi orsetti accademici. Final-mente
il beli' edifìcio contiguo, in cui altre volte raccos^lievasi la confrater- nità della Carità, riesce ora opportu- nissimo ,mercè
della vasta sua sala,
per l'esposizione delle opere , e per l'annua distribuzione de^ premj.
Visitiamo alcune di queste sale. Ec- co la scuola del disegno del nudo.
Quelle quattro colonnedi
marmo
d'or- dine corintio, che sostengono il sof- fitto^formavano
parte del celebremau-
soleo eretto dallo Scamozzi in onore del
Doge
daPonte
già collocato nella soppressa chiesa. Elegante è la distri-buzione delle
panche
per li scolari informa
di anfiteatro. Iniieirnosissimo ilmeccanismo
della granlampada
, che mediante la facilità de'suoimovimen-
ti, getta sul modello or più or
meno
vivi i suoi raggi, e produce moltiplici variazioni d'
ombre
e di luce.Ascendasi alla biblioteca.
Qui
stauna
rara serie divolumi
tuttiattinenti alle belle arti. Parte fu tratta dalla famosa libreria del Monastero diSan
Michele diMurano,
e parte da quella delConvento
de'Domenicani
Osser- vanti; libreria illustre e rinomatissima,dono
altre volte fatto a que'Padri dal gran letterato Apostolo Zeno.Appresso s'incontra la pinacoteca.
Poiché
dovevano
andar rimosse dalleprime
loro sedi tante cospicue pittu- re,non
potcvasi concepire miglior idea di quella, inuno
stesso luogo collo- candole nel debitolume
, eformando
di tutte quasi
una
sola famiglia. L'oc- chio tanto si perde nel rimirarle, chenon
lasciacampo
di affliggerci per quelle che cimancano.
Passiamo
da questa alla sala de' ges- si, e benediciamo lamemoria
di qutl nostro Filippo Farsetti, checon
ani-mo
da principe econ
intelligenzada
J7 professore, riuscì nella difficilissima impresa di far ricavare le forme di tutte le statue greche di
maggior me-
rito , che qiiai tesori si conservavano nei
musei
di Firenze e diRoma. Giun-
te in patria le forme, ei ne fece gettar
i gessi, e per molfci anni il suo pri- vato palagio ricettò quest'insigni pro- digi dei greci scarpelli,
venendo
per- ciò frequentatonon men
dagliama-
tori del bello, che dalla studiosa gio- ventù. Se
non
chemancato
a vivi ilmecenate> stava per andar a
male
la preziosa raccolta;quando
la munifi*cenza sovrana rimosse ogni pericolo
^
facendone la
compera
, e trasportandoili questo sacrario di Pallade
un
sìcospicuo popolo di statue.
La maggior
ampiezza delnuovo
albergo , l'accor-gimento
avuto nel dispoile in favore- vol lume, tutto adesso concorre a de- star la sorpresa e l'incanto.Non
èsempre
vero, che iltempo
siaun
fatai distruggitore delle belle opere; egli è talvolta per esseun
liberal donatore.Suo dono
in fatti è la fosca tinta dirol. IL a
i8
cui
vanno
aspersi questi gessi, e clié imita sì bene il color delmarmo
an- tico da produrreun
piacevole ingan- no. I pochi che tuttora biancheggianoci avvisano delle nostre glorie recenti,
Son
essi quelli, che ilCanova
trasse dalleammirate
suei opere, e che quel tenero figlio attaccato alla sua patria, tratto tratto cimandava
daRoma,
ovei suoi lavori e le sue abitudini il te-
nevano
legato.Tempo
veirà che per-dendo
anch'essi il loro colore nativo, svanirà l'unico indizio che ci restava per distinguerli dai lavori di Fidia , di Prassitele e di Policleto.Alla rinata accademia delle belle arti nuli' altro
mancava,
cheun
genio in- telligente ed attivo il quale prenden- dola in cura ne dirigesse le funzioni, ne allontanasse gli abusi, e ne accre- scesse i fregi e 1 onore.Questo
genio lovedemmo
con piacere nel presidente conte Cicognara, che secondato dal suodegno
segretario, e nostro ottimo concittadino Antonio Diedo, nulla la- sciò intentato,onde
contribuire ai di lei progressi.'9
Non
vi sia chimi
accusi, clic col difFoiidermi iii tali narrazioni, siamiun
po' troppo allontanata dal primariomio
assunto delle Feste Veneziane.Farmi
di esservi ancora, parlando di quella che celebrasi al presente ognianno
nelmese
di agosto nel medesi-mo
ricinto della Carila cogli sforziche fanno tutti gli artisti,onde
abbellirla colle loro opere.Questa
è la festa del genio , delbuon
gusto , dell'amore del bello. Il pubblico vi accorre in folla con entusiasmo; prova mille sen- timenti diversi e tutti nobili alla vista degli oggetti dell'arte, che i profes- sori e i loro degni allieviespongono
in quel giorno.
Esso
attendecon
im- pazienza econ
vivo interesse di sen- tire il giudizio che deve essere pro- nunziato, e di mirare tante giovani fronti inghirlandate d'alloro.Qnale
solenne festa per Venezia ! quale car- riera è aperta dinanzi a voi, giovani artisti ! Gli elogi de' vostri maestri , gli applausi deVostriconcittadini,le la-grime de' vostri genitori, che
stampano
deve accendervi e stimolarvi ad accre- scere i vostri sforzi, per restituire alla Scuola Veneziana il celebre
nome
già posseduto, e per estenderlo ancora più oltre; giaccliè oggidì tutte le arti sitrovano in
un
sol corpo raccolte. Ani- matevi a gara, o Veneziani, o voi de- gni figli della patria, anelate tutti alla gloria.^eJé^a a&//a 2/)omencca DELLE PALME.
J^a
Festa deliePalme venne
instituita dal PonteficeGiovanni
ViliTanno
877.Essa si solennizza in tutto il
mondo
cristiano in
memoria
dell'ingresso del Nazareno nella città diGerusalemme,
allorquando i Giudei gli andarotio in- controcon
rami dipalme
e di ulivo, che poi vennero spargendo sotto i suoi passi. I Veneziani nel celebrarla ten- nerouno
stile loro proprio, che a nar- rarne la storia, parrà aprima
vista troppo lieve, anzi puerile;ma
qua-lunque
ella siasi, spero che i miei let- tori la troveranno in appresso interes- sante, siccome quella che dipinge inmodo
assainuovo
1' indole gentile e generosa, che in tutti i tempi distinseil popolo di Venezia.
La
mattina del giorno dellePalme
un
canonico di S. Marco, detto il Gas-siere dell'
anno
, collocava sull' aitarmaggiore
alcuni panieri dipalme
ar- tificiali da essere presentate alDoge,
ed ai Magistrati, chedovevano
inter- venire alla funzione.Ve
ne avea pe' canonici, pe' chierici, pe' musici e per gli uscieri delDoge,
dimen
belle ])erò,ma
tuttavia lavoratecon molto huon
gusto.La palma
del Doge, fatta a piramide triangolare, distinguevasi sopra tutte per ricchezza e per ele- ganza. Ilmanico
ch'era tutto dorato portava lostemma
delDoge
maestre-volmente
dipinto; le foglie erano tutte d'oro, d'argento e di seta,accomodate con somma
industria ed intrecciatecon
grazia.Q
lesto finissimo lavorousciva dalle
mani
delle Suore di San- t'Andrea, chenon
ci erano l'eguali per o[)ere così fatte. Esse altresì for-mavano
lapalma
del Primicerio, in- feriore a fpiella delDoge, ma non
per tantomen
bella.Benedicevansi le
palme
, indi si di- stribuivano fra ciascuno degli assi- stenti. Veniva poscia la messa solenne23
accompagnata
da\m
eccellentemu-
sica,
dopo
la quale il Clero facevauna
processiane intorno alla Chiesa, ve-nendo
seguito dal Doge, da' Magistratie dal popolo portante in
mano un ramo
di ulivo.Giunta
la comitiva di- rimpetto alla portamaggiore
facevaalto, ed i cantori intuonavano
Tlnno:
Gloria, laus et honor. Intanto che il
coro cantava, alcuni sagrestani saliti sulla loggia esterna della facciata, da-
vano
al volo alcuni uccelli di va- rie specie, e segnatamente molle cop- pie di Piccioni, che portavano certi cartocci legati alle unghie , affinchènon
potessero volar alto, e fossero co- stretti a calar presto a terra, il che porgevacomodo
al popolo ragunato in piazza, di prenderli e di serbarseli per delizioso cibo il giorno di Pasqua.Tre
volte ripetcvasi questacerimonia durante la processione,dopo
di cheil
Doge
ed il suo seguito si ritiravano.Molti,
non
v'ha dubbio, recavausi in piazza per godere col popolo di que-sta piacevole caccia, che
non
finiva si?4
presto, attesi gli sforzi dìc gli uccelli facevano per isfuggire dalle
mani
di chi li perseguitava, e dai gridid'una
moltitudine ebbra di gioJ£<, la quale nell'atto diebramava
ghermirseli, ap- plaudiva tuttavia albuon
destino di que' volatili, qualora ad essi riusciva dinon
essere acciutFati. Gli applausi che alternativamente facevansi or a questi uccelli, che procacciavansi persempre
la libertà, or a quelli , chepiombavano
a terra per divenir vitti-ma
degli Dei Penati,porgevano
un'i- dea dello spirito versatile degli uo- mini, agitati a vicenda da contrarie passioni, allorché sono uniti in corpo, e tolti a quello stato d'isolamento, chepuò
sottoporli ai serii calcoli della ra- gione e della giustizia.Ma
la natura provvide gli uccelli diun mezzo
di difesa assai valido contro il quale nullapuò
1'uomo,
s''e-gli
non
prende in prestito dallamec-
canica e dalla chimicauna
forza sU' periore. Senza tale soccorso il suo or- goglio dominatore resterebbe umiliato25^
a petto deiragilità di queste
mansuete
creature, che
eoa un
volo rapido co-me
lo sguardo, si slanciano a distanzeimpercettibili, e lasciano il sovrano del
mondo
vergognoso della sua pe- santezza, e della sua debile pupilla, che le perde di vista, allorché si ac- costano al sole, in cui eglinon può
fissar l'occhio. Avveniva
dunque
che ciascunanno
alcune coppie di questi timidi Colombi, spaventati daltumulto
e- dalle grida,
ma
però abbastanza ac- corti pernon
ispendere a vuoto i loro sforzi, si sollevavano per l' aria cer-cando qua
e làun
asilo.E
dove po- tevano essi trovarneuno
più sicuro e più felice, quanto inun
luogo di pace consacratoaColui,che tanto s'eracom-
piaciuto in crearli? Nel tetto
adunque
della famosa chiesa di S.
Marco
ipiccioni si ricovravatio. Alcuni ezian- dio ebbero rifugio sotto a' piombi del coperto Ducale, quasi avessero voluto
co' loro teneri lamenti ricreare e di- strarre
gP
infelici abitatori di quelle carceri. Questi pennuti coloni forma-rono una
Repubblica, la cui base fuuna
libertà senza discordie,una
co-munità
senza invasioni, e condita di tutte le delizie dell'amore.Da
quelmomento
in poi essi si tennero quasi posti in salvo da ogni persecuzione, e scordati tosto di quella che avevanosofferto, furonovistiframmischiarsi
con
fidanza inmezzo
a quel popolo , chepoco prima
era stato loro nemico.Compiacendosi
i Veneziani di que- st amabile confidenza, si feceroun
sa- cro dovere dinon
turbaremai
più la tranquillità di que' Repubblicani; anzi spinsero a tale questo sentimento af- fettuoso, che vollero rispettar in essi la specie tutta, e si contentarono cheil dì delle
Palme
venissero dati in ba- lìa altri uccelli, tranne i colombi. Ecco, in generale il carattere del popolo:un
sentimento di dolcezza e di bontà lo attrae spontaneamente a favorire e a sostenere chi è debole; e se talvolta è crudele, ciò nasce perun impulsa
straniero.
Fu mai
esso che trascorse coiraima allamano
lecampagne
e le27 foreste, per dar la caccia ai pacifici abitanti, gareggiando in furore colle fiere carnivore?
Anche
ilGoverno
volle concorrere col popolo per ilbuon
essere di que-sti ospiti, ed ordinò che fossero loro apprestate alcune
comode
eben
di- sposte cellette, che sussistono tuttavia in que' siti ch'essimostravano
di pre- ferire; ed inoltre volle cheun
Dele- gato dell'amministrazione de' pubblici granai facesse disperdere ogni mattina in sulla terzauna
certa quantità digrano
per la piazza maggiore, e perr
altra dinanzi al palazzo Ducale. Bella lezione di morale che cidavano
iMa-
gistrati! Il
costume
di somministrareil vitto a tutti i discendenti di que' primi fuggiaschi, che
non abbandona- rono mai
più il nido avito, stettesem-
pre in vigore.Ma
nel 1796 i semplici abitatori del tetto di S.Marco
si vi-dero in procinto di perire in que'
mo-
menti di anarchia -e di confusione a Venezia tutta fatali, giacche cessarono allora le leggi favorevoli a que' pen-28
sionarj dello Stato. Essi però furono fortunati, trovando fra i cittadini al-
cuni cuori sensibili e benefici, che si
presero cura di porgerloro ogni giorno qualche alimento.
Non
fu al certo per vanagloria, e ancormeno
per interesse, che questi nuovi benefattori si assu- messero cotal debito.E
cosa in verocommovente
ilvedere ogni giorno que-sti pacifici uccelli fastosi in certa guisa di destar nell'uomo quel tenero senso di umanità che li sostiene, aggrupparsi in istormo in
mezzo
alla piazza, e co- noscere e seguire lamano
amica, che loro somministra l'ordinario cibo. Essi ragunansi ai piedi de' lor benevoli provveditori,vanno beccando
con si-curezza rofferto grano, accettano da' fanciulli, le cui malizie
non temono
i briccioliiii delle loro merende;passeg- giano baldanzosi fra
mezzo
a noi, e secedono
il passo, il fanno in certa guisa por rispetto,non
per timore.Oh
quanto dolci e insieme tristi pensierinon
risveglia questa scena ncl-Tanima
d\in Venezianobuon
patriota!»9
Per
iscansare gli orrori della guerra e la barbarie dei conquistatori gli avoli nostri si cacciarono in queste lagune a trovarviun
sicuro ricovero: e per isfuggìre del pari crudeli persecuzioni emorte
, i padri di questi felici co-lombi
si ripararono, ora sono molti secoli, dentro i tetti di fabbriche con- sacrate alla pietà e alla giustizia. Essi fondaronviuna
popolazione, la cui li- bertà venne fin ora rispettata, e si con- serveràlungo
tempo, siccome io spero.Servirà essa quasi per
immagine
di quella che noiereditammo
dai nostri antenati, in tempi, ahimè! da questi troppo diversi. Se le insegne della Re-.pubblica di Venezia rimasero estmte
,
voi, o amabili colombi, ne sarete i
rawivatori sotto
una
forma ancor più acconcia a risvegliareF immagine
de primi fondatori di Venezia,chenon
era lostemma
del leone alato, opportuno soltanto a rimembrare la sua forza elasua generosità, allorch' essa fu giunta
all'apice della potenza.
^eàta
ciù t/aìilo t/ce/u7toOSSIA
VISITA DEL DOGE A SAN GIORGIO MxiGGlORE.
V/ualunqiie
storia,che risalga a tempi assai rimoti, oltre almancare
di solididocumenti
su cui appoggiarsi, viene talmente deformata dalle narrazioni po- polari, che in essamal
puossi rico- noscere la sincerità de' fatti. Simile in-ciampo
presentasi a chi tenta decifrare l'origine della visita, che ilDoge
di Venezia faceva il giorno di Santo Ste- fano alla chiesa di S. GiorgioMag-
gioie.
Ma
lasciando a parte le opinioni volgari chenon
saprebbero meritare veruna credenza,potremo
fissareTe-
poca dell'instituzione di questa Festa all'anno 1009. Allora si fu chevenne
trasportato a Venezia da Costantino- poli il corpo di Santo Stefano, che fu subitodeposto suU'altarmaggiore
nella.3i chiesa di S. Giorgio. Il popolo tutto contento del prezioso acquisto, corse in folla ad invitare il
Doge
Ottone Orseolo a portarsi a quel tempio, e lo pregò inoltre ad obbligarsi per se e successori suoi di fare ognianno una
simile visita il giorno della festa del Santo.
La
graziavenne
accordata dibuon animo;
poiché il singolarebene
di possedere il corpo delprimo mar-
tire della fede, poteva
con
ragione ani-mare
la divota pietà della Repubblica a stabilireuna
particolare solennità per la venerazione di lui.Coir
andare degli anni iDogi
vi sirecavano anche per visitare
un
luogo,come
facevano di parecchi altri, ilquale ad essi apparteneva per ragione di principato, volendo con ciò richia-
mare
allamemoria
de' sudditi il su-premo dominio
da loro conservato su questi ospizj. L'isola di S. Giorgio, chiamata anticamente de' Cipressi, per essere allora molto copiosa di questi alberi, era appartenuta in gran parteal.
Doge Tribuno Memmo:
ond'è chel'isola tutta venne chiamata
Memmia.
Questo
Doge
regalò la sua parte aGiovanni
Morosini, a condizione però che vi fondasseun
monastero delFor- dine di S. Benedetto. IlDoge
Seba- stiano Ziani, che vi avevaun
palagio, alcune saline, de' mulini, eun
po' di terreno, fece anch'egli di tutto ciòun dono
a que'medesimi
religiosi. In ol- tre rifabbricò la chiesa, e mise a col- tura il terreno air intorno.Non
era cosanuova
che iDogi
facessero talidoni agli ordini monastici, i quali sa-
pevano ben
conservarli e migliorarli:ed al caso di qualche pubblica urgen- za, quasi per gratitudine,
porgevano con
otFerte veramente spontanee im- portanti soccorsi allo Stato. Queste vi- site delDoge
erano tante feste nazionali, poiché tutto il popolo vi accor- reva con trasporto. Quella di cui im-
prendo
parlare erauna
duplice visita,perchè
una
senefaceva nella sera di Na-tale, Taltia nella mattina susseguente.
Quella della sera divenne
uno
spetta- colo così superbo? che il nostro cele-33 bre pittor Canaletto io credette
degno
di figurare ia
una
delle sue belle vedu-te,elle venneposcia intagliala in rame,e che si
può
riscontrare anclie oggidì.Essa era la sola visita in cui
Sua
Sere- nità comparissepubblicamente
di notte fuori delDucale
recinto.Essendo
ia quella stagione i giorni brevissimi .terminata la sacra funzione di datale in chiesa a S.
Marco,
cominciava a farsi e^rande la notte. Allora il Doiiemontava
ne' suoi magnifici pcatoniaccompagnato
da' suoi consiglieri, dai capi delle quarantie, dai savj dell'una e l'altramano,
e dai quarant'uno che furono i suoi elettori. Veniva egli pre- ceduto da certe barche co' lumi, ap- positamente dalGoverno
destinate, e seguito da innumera
bili barchette di ogni maniera, fornite anch'esse di fa- nali, che tutte insieme Coprivano lo spazio che avvi fra S. MarciJ eV
Isola di S. Giorgio Maggiore. Illuminavano questo spazio a diitta e amanca
certi fuochi piantati sull'acqua, chiamatiIw
FoL
II, 3ciala, che
mandavano
anche da lungiun
vivacissimo splendore , il quale ri- flettuto nelFacqua producevaun
ef- fetto magico. GiuntaSua
Serenità alla riva dell'Isola, passava a piedi per
mezzo
diuna
elegantissima galleria costrutta appostamente, tutta coperta e chiusa sino alla portamaggiore
delia- chiesa. Vedevasi in quest'occasione e nell'altra dell'Ascensione schierata la truppa Dalmata, sfarzosamente vestila,con
bandiera spiegata,con banda
mi-litare suonante, il tutto perdimostrare esser essa intervenuta festeggiante a decoro del Principe, e a destare la
commovente
idea di amorosi figli chesi recano
come
spontanei a circondareil loro tenero padre,
non giammai
amantenimento
delPordine, nò alla si-curezza di lui; cose queste ch'erano
sempre
alhdate al solo cuore dellaVe- neta popolazione. VenivaSua
Serenità ricevuta alla porta maggiore della chie- sa dal Fiev.Padre Abate di que'monaci,il quale vestito pontificalmente e colla
35 mitra, faceva
un complimento
alDoge,
e questi graziosamente gli ris[)oncleva.
Indi entravanoin chiesa, dove facevano alcune preci. Frattanto anche le nostre Venete
matrone
scendevano dalle loro gondole , vestite di nero, conlungo
strascico, ornate la testa, il collo, il
petto e le orecchie di preziosissime gioje,
avendo
il volto velato diun
Unis-simo
merlo nero.Entravano
esse pure divotamente in quella chiesa già affol- lata di gente.Dopo
alcun tempo, tutta la regal comitiva rimettevasi in viag- gio, rinnovando agli spettatori, accorsi sulledue
opposte rive,uno
spettacolo singolare, abbagliante, piacevolissimo.L'
abbiamo
ancora veduto tale a' no-stri giorni. In questo
modo
davasi fine aduna
sì bella sera.La
mattina susseguente, ilDoge
colmedesimo
corteggio della sera antece- dente recavasi dinuovo
all'Isola di S. Giorgio, e rientrava in quel sun- tuoso tempio, opera insigne del nostro celebre Palladio.Vi
si cantava lames-
sa,
dopo
la quale ilDoge
col suo se-guito recavasi nel proprio palazzo. Al- lora davasi principio alle feste civili, le quali, sia in
un modo
o nelPaltro, quasisempre
seguivano in Venezia lesacre funzioni. In questo dì il
Doge
riteneva a pranzo tutti quelli ch'erano stati
con
lui. Il popolo che aveaam-
mirato il divoto raccoglimento de' to- gati padri nel tempio,non
erameno
soddisfatto di poter godere dappresso
la loro dolce serenità al pubblico ban- chetto.
Frattanto la piazza empivasi de'più sfarzosi ed eleganti cittadini.
Le
nostre belle viandavano
anch'esse a farpom- pa non meno
dell'avveneaza che delle domestiche ricchezze.Questo
erauno
de' giorni della loro
maggior
gala.Sotto il velo della maschera nazionale passeggiavano esse la gran piazza, ove da
una
parte e dall'altra stavanoschie- ratedue
file di scranne, sulle qualiognuno
poteva sedere liberamente e godere di quellapompa
brillante.Ad
accrescere 1'allegria della giornata si
formavano
numerosi pranzi di società,.37 e il tutto finiva coirapertura di sette teatri, dove ogni classe dipersone tro-
vava
un
diletto ad essa proporzionato.Gl'infelici avvenimenti accaduti nel 1796 diedero fine alla Festa, ed a' suoi molti piaceri.
Non
è però a dirsi che ogni cosa svanisse, poiché le persone divote possono tuttavia soddisfare al loro sentimento, portandosi a quelme- desimo
tempio di S. Giorgio, riapertonon
solo alle quotidiane preci,ma
alla celebrazione altresì di quellemedesime
solennità ne' giornimedesimi
che han-no
esse luogo in S. Marco. Altro og- getto purepuò
invitare oggidì a quel-r
isola, dovevenne
stabilito il Porto- Franco, che presenta ai Venezianiuna
prospettiva lusinghiera, ed oiFre neltempo
stesso ai curiosi un'opera ve- ramentedegna
di venire osservata.Grandi
scavazioni furono necessario per dar ingresso alle pesanti navi mer- cantili, e perchè potessero facilmente approdare.Un
vastomolo
forma il re- cinto, ed agevola lo sbarco dellemer-
canzie; che
debbono
essere depositatenegli ampli magazzini eretti di taccia.
Ingegnosissimo e veramente
ammira-
bile fu il ritrovato del nostro celebre ingegnere Venturelli per sostenere del
molo
le fondamenta. Dirimpetto ad esso fu costruttauna
largasponda marmorea,
alle cui estremità sta attac- catauna
forte catena di ferro per chiu- dere ringresso eV
uscita alle navi, e separar quelle merci, che dirette peresteri Stati
devono
transitare con as- soluta franchigia, da quelle che desti- nate alconsumo
della città o delle adiacenti provincie sono soggette alpagamento
de' pubblici diritti. Il ba- cino è capace almeno
di i8 basti-menti
mercantili.Che
se a talunopuò
sembrare alquanto ristretto per la città di Venezia, osservare egli deve, chenon
trattasi già di quella Venezia, ilcui lustro spargevasi sul
mondo
tutto, e la cui preponderanza commerciale dava leggi all' universo; ne di quella Venezia sì ricca, in cui la folla dei navigli ancorati era tale da rendere dilFicile e stretto il passaggio delle gon-39 tlole nel vasto canale della Giudecca;
ne di quella Venezia a cui giugneva ogni giorno, anche da' soli fiumi, sì
gran copia di mercanzie, che la città tutta parea
un
quotidiano mercato :non
infine di quella Venezia che erar emporio
di tutte le nazioni, e il cuicommercio
estendevasi dairAbissinia alla Svezia, dalla Persia allaSpagna
;ma
trattasi di quella Venezia, che piùd' ogni altra città ha perduto nelle rivoluzioni politiche, che per i pro- gressi delle altre nazioni
non può
piìi essere ciò che tu, e che deve soste- nere la concorrenza degli altri porti del Mediterraneo. Ciò posto si deve riconoscere, che ancheun
luogonon molto
estesopuò
in oggi esser ba- stante per contenere tutte le merci di transito, e dove sì gli esteri che i na- zionali possono contrattarle, senza che abbiavi ad essere ne distinzioniumi-
lianti per gli uni, ne pretesi privilegi per gli altri; giacché la giustizia è
una
sola, nepuò
ammettere protezioni.Intesa questa gran verità da' nostri
antichi legislatori, sino dall' ottavo se- colo trattarono essi col
massimo
ri- giiaiclo tutti gli Orientali, che venivano a mercanteggiare in Venezia.Furono
segnatamente date ad essi vaste fab- Lriciie per alloggiarecon
libertà e co-modo.
Havvi ancora ilnome
diRuga
Jaf/a, eh' era
una
contradadove
abi- tavano gli \rnieni Persiani, o sia gliArmeni
di Jaffa. Eravi il fondaco dei Saraceni o Mori, il quale piùnon
esi- ste,ma
di cui rimane ancora lame-
moria nella Piazza dettaCampo
deiMori,
sulla quale sorgevaun
vasto emagnifico cdifizio
con
colonne, statue ed altri ornamenti , di che sivedono
tuttavia i rimasugli nelle casette co- strutte poscia in quel luogo. Il fon- daco de'
Turchi
si conserva pure og- gidì sul canal grande, e serve ancora alla loro abitazione. Ne^ tempi poste- riori vi si eresse pure ilFondaco
dei Tedesclii, famoso oltre al resto, per lesuperbe pitture delle quali lo
hanno
arriccliito li nostri più celebri pittori.
Tutto questo lusso
non
è certamente4i necessario all'essenza delia cosa, e ba-f Sterà solo die
rimangano
in vigore le basi essenziali del commercio.Che
se la sapienza e l'accorgimento d'un illuminatoGoverno
consiste prin-^cipalmente nelTapprofittare delle op- portunità , che somministra il paese
,
nel secondare i vantaggi della sua posizione, del suolo, del clima e sopra tutto del genio e delle abitudini dei suoi abitanti, certo è che creando Fran- co il Porto di Venezia si avrà preso la migliore possibile misura a suo ri-
guardo.
Non
v'è forse in tuttaEu^
ropa
una
località piùopportuna
di questa persi(Tatta instituzione (i).E
chimai
V* ha, che volgendo lo sguardoalle nostre lagune, ai fiumi che accol- gono, al
mare
che toccano, alla nostra superba città, agli edifizj vastissimi, alle vaghe isolette che nel loro giro racchiudono, ai liti abitati da cui sonoCoA ognunoenoto, cheqnp' gpnfrosi voti iTella nobile Autricesonoorastali jàenamenfesoridisfatti.
Gli Editori.
4^
cinte,
non
esclami:oh
qualeimmensa
potenza marittima ecommerciante
quiun
giornonon
si doveva ricoverare!Ne
meraviglia potrà fare, che il nostrocommercio
siasimantenuto
floridissimo ])er lo spazioalmeno
di nove secoli cioè dal700
sino al 1600, e che an- che nei secoli posteriori Venezia abbia superato in ricchezze ogni altra città d' Italia,come
lo provarono lesomme
incredibili uscitene per le vicissitudini politiche, senza che per
un tempo
ne rimanessemal
concia. Venezia potràsempre
riprendere gran vigore,avendo
essa,
come osservammo,
sopra tutte le altre città commercianti^ infiniti van- taggi, ai qualidobbiamo
aggiungereil suo credito di già stabilito, la soli- dità già fondata del suo
commercio
e la conosciuta moderazione di chi lo esercita.
Che
se tutto ciònon
avesse bastato per l' intera prosperità diuna
tale iiistituzione, vi
avemmo
inoltreuno
zelante eben
instrutto cittadino,il quale animalo dal favore del
Go-
verno potò farsicapo di altrinon meno
43 zelanti cittadini per indicare gli utili
regolamenti da farsi afiine di ottenere
il desiderato effetto.
E
questi il signor Treves, il quale ad estesilumi
iti fatto dicommercio
unisceun
appassionatoamor
patrip, edun
carattere sì leale e franco danon
trovarsimai
sopraf- fatto da ingiuste accuse, ne disanimato da ostacoli di qual si sia sorte ,ma
sempre
dritto va pel suocammino,
la cuimeta
è ilbene
della sua patria.Eletto l'anno 1807 Preside della
Ca- mera
diCommercio
,immaginò
egli questa bella istituzione del Porto-Fran- co, ne tracciò le basi, ne invigilò al- l' esecuzione, e vi concorsenon
coi consigli soltanto,ma
coli' opeia la più efficace.Da
tutto ciò possiamo assicu- rarci , che le misuie già prese relati-vamente
a questo grande oggetto, sonojle più atte e bastanti per ravvivare in gran parte ciò che languiva, per arre- stare le minaccianti rovine, e per ria- vere tutto ciò che le politiche circo- stanze permettono.
44
^eJta del ^tov-edl
ìS^'a^o.Jl in da
quando
iLongobardi
presero ferma stanza nel Friuli, i Patriarchi di Aquileja molestarono di continuo quelli diGrado
soggetti aldominio
Veneto,non
cessandomai
di adoperare e gì' intrighi e la forza per rovesciare la SedeGradense
; e fu spesso abbo-minando
spettacolo il vedere sacri pa- stori, deposta la mitra e il jDastorale prendereF elmo
e la spada, invadere ijnemico
paese , violare monasteri, ab- batter chiese5 rapir tesori, e portare da per tutto desolazione e terrore.Che
senon
giunseromai
ad ottenereil fine da loro sì vagheggiato, ciò vuoisi in gran parte attribuire ai