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Piacere e desiderio: salvezza e condanna dell'individuo

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Academic year: 2021

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Piacere e desiderio: salvezza e condanna dell'individuo

Nell’ambito del POT con l’Università degli Studi di Macerata, ho analizzato il libro di Paolo Godani, Sul piacere che manca. Etica del desiderio e spirito del capitalismo.

Il libro tratta del piacere e come evidenziato dall’autore, di quel piacere «che non ha niente a che fare con l’estasi sfrenata o con certe tristi feste dei nostri tempi, e molto invece con la fruizione gioiosa dell’esistenza».

Il concetto del piacere, lo troviamo al centro della discussione filosofica già al tempo di Socrate e dei Sofisti, quando si delineò un contrasto sempre più acuto tra l'individualismo emergente ed i valori tradizionali, arrivando ad identificare piacere e virtù.

Il piacere è inoltre inteso come un'esperienza puntuale e transitoria che può essere colto, nella sua integrità, soltanto se non viene mischiato con il ricordo, l'attesa, il rimpianto, o il desiderio.

Tutta la riflessione metafisica e gnoseologica del piacere ci viene presentata, però, da Epicuro, che si interessa dell’etica, intesa come ricerca del piacere. Quest'ultimo, secondo il filosofo, non è che l'istante quasi impercettibile in cui un bisogno viene soddisfatto e una mancanza viene colmata, ma il vero piacere e la felicità autentica consistono in una condizione stabile derivante dall'assenza di ogni bisogno o desiderio del corpo o dell'anima.

Tuttavia, talvolta il piacere può essere confuso e mal interpretato con il concetto di desiderio.

Quest'ultimo viene infatti condannato e considerato come una “perdita di tempo”, che è il primo ed il più grave di tutti i peccati secondo Weber. Egli infatti sostiene che soltanto l'agire dell'uomo può essere in grado di accrescere la gloria di Dio, non l'ozio, non il godimento. Una concezione del genere non può che riportarci all'idea di Marx per cui è il capitalista, che assume come proprio ideale (ovvero il desiderio), il ridurre il lavoratore al minimo dei suoi bisogni, sopprimendo le sue gioie e le sue passioni e “condannandolo infine al solo ruolo di macchina che produce lavoro”.

In che modo quindi possiamo liberarci da questa soffocante oppressione del desiderio e godere invece della libertà del piacere fisico ed intellettuale?

Ritornando ad Epicuro, dobbiamo dire che egli suggerisce il distacco dalla vita politica, perché portatrice di affanni, consiglia infatti, a tal proposito, il concetto di “vivi nascosto”, ma non il rifiuto della società e dello Stato. Di una società e di uno stato, infatti, l’uomo ha bisogno anche se non è affatto un “animale politico”.

Lo stato deve nascere solo sulla base di un utile reciproco, quindi unicamente per la necessità di porre fine all’insicurezza dell'uomo e al bisogno in cui gli individui si trovavano prima.

Il saggio, in questa situazione, afferma la propria libertà dimostrando di essere padrone di se stesso e di bastare a se stesso. Ciò non vuol dire che il saggio debba vivere isolato sdegnando ogni rapporto con gli altri uomini. Tuttavia, solo nelle loro piccole comunità filosofiche, i saggi possono realizzare e coltivare amicizia, che costituisce il vero, autentico legame umano, che è insieme, condivisione di studio e riflessione, ma anche concordia, aiuto e reciproco sostegno.

Montaigne ci spiega che la ricerca del piacere è comune a tutti gli esseri umani. A distinguere e differenziare un individuo dagli altri è il particolare tipo di piacere che egli rincorre, con lo scopo di riuscire a conquistarlo1. Il tipo di piacere al seguito del quale ci mettiamo è importante, perchè ci

1 https://www.corriere.it/cultura/libri/12_marzo_15/montefoschi-Montaigne-soggi-garavini_95d92afc-6eb3-11e1-850b- 8beb09a51954.shtml: «L'uomo, e soltanto l'uomo, con le sue incertezze e le sue paure, le sue debolezze e le sue passioni, la sua viltà e il suo coraggio, la sua pazienza e la sua insofferenza, il piacere e il dolore, è il protagonista dei Saggi.

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guida verso mete diverse, magari anche opposte. E gli esiti, la soddisfazione, il godimento che ne ricaviamo sono a loro volta tipici di qualunque tipo di piacere. Tuttavia, vi è il rischio di sfociare anche nel dolore. Il dolore trasforma rapidamente i piaceri in gravi nemici per la nostra integrità, perché il corpo sensibile, in conflitto con le «“macchinazioni” desideranti» con cui è in costante relazione, comincia a provare fastidio per tutto quel movimento e vuole allontanarsi dall'incessante ronzare di quelle macchine e metterle a tacere. Quindi il loro primo vero e proprio antagonista non è altro che «il corpo senza organi», la macchina, che è in grado di muoversi senza essere in possesso di componenti viventi.

Dunque il dolore è inseparabile dal piacere poiché entrambi sono parte della nostra esistenza, e la quantità di spazio che occupano all’interno della vita è una variabile oscillante.

Per quanto riguarda il desiderio, invece possiamo prendere in considerazione il pensiero di Sartre, che ci consiglia di chiarire innanzitutto di che cosa si ha desiderio, per poi definirlo per mezzo del suo "oggetto trascendente". Per queste considerazioni Sartre ritiene adeguato il poter definire il desiderio per mezzo del suo “oggetto trascendente”, cioè quell'oggetto che va inevitabilmente incontro alla propria soppressione proprio perché oggetto di desiderio. Esso riduce l'uomo ad un assoggettamento e lo rende schiavo e succube di se stesso2. Il corpo è una vera e propria manifestazione dei desideri e delle volontà, il nostro assoggettamento alla vita rende noi stessi delle

«macchine desideranti» alla costante ricerca di ciò che ci appaga e soddisfa, una perdita di tempo.

Dobbiamo quindi considerare il desiderio come uno stato di affezione dell' “io”, che non consiste altro che in una pulsione diretta ad un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione, oppure, più facilmente, il possesso. La condizione relativa al desiderio comporta per l'io sensazioni che possono essere dolorose o piacevoli, a seconda della soddisfazione o meno del desiderio stesso.

Dolore morale per la mancanza dell'oggetto o condizione di cui si ha assolutamente bisogno, ma anche la gradevole e coinvolgente sensazione di poter presto rivivere un momento o situazione in qualche modo piacevole, che la mente riesce a rievocare in modi più o meno realistici.

In conclusione, possiamo dire che è essenzialmente inevitabile che entrambi i concetti di piacere e desiderio coesistano, infatti il piacere è in fondo una sorta di desiderio controllato e guidato da niente meno che la ragione. Nella filosofia moderna, secondo Nietzsche, se consideriamo il desiderio una passione, allora esso attiene alla rottura dell’unità antropologica tra azione e passione, via via abbiamo un problematizzarsi fra la dimensione attiva e passiva come qualcosa da tenere sotto il dominio della ragione3. Inoltre abbiamo questa coesistenza tra dolore e piacere, reciprocamente uno

“Questo lo impariamo a poco a poco [...] esercitandoci [...] in tutto ciò che umanamente significa la parola moderazione.

Vale a dire: nel saper ascoltare piuttosto che nel prevaricare quando conversiamo; nel saper cogliere le novità e le diversità quando viaggiamo; nel saper riconoscere che non c'è piacere disgiunto dal dolore; nel saper godere dei nostri sensi, senza lasciarci travolgere dai nostri sensi; nel saper accettare la giovinezza e la vecchiaia; nel saper «trattenere l'anima fra i denti”, perché, come diceva Seneca “la legge di vivere, per la gente dabbene, non è di vivere quanto a loro piace, ma quanto devono”; nel non avere paura della morte; nel saper affrontare serenamente la morte».

2 http://blog.petiteplaisance.it/jean-paul-sartre-1905-1980-il-desiderio-si-esprime-con-la-carezza-come-il-pensiero-col- linguaggio-il-desiderio-e-coscienza-nel-desiderio-e-nella-carezza-che-lesprime-mi-incarno-per-re/: Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, trad. di Giuseppe Del Bo, NET, 2002, pp.

438-445: «Il desiderio non è solamente voglia, chiara e trasparente voglia che, attraverso il nostro corpo, tende verso un certo oggetto. Il desiderio è definito come turbamento. E questa espressione di turbamento può servirci a determinare meglio la sua natura: si oppone un’acqua torbida ad un’acqua trasparente; [...]. Secondo la nostra percezione originaria, l’acqua torbida ci si presenta come alterata dalla presenza di qualche cosa di invisibile che non si distingue dall’acqua stessa e si manifesta come pura resistenza di fatto. Se la coscienza che desidera è torbida, vuol dire che presenta un’analogia con l’acqua torbida».

3 fhttps://www.liberliber.it/mediateca/libri/n/nietzsche/cosi_parlo_zarathustra/pdf/nietzsche_cosi_parlo.pdf: p. 41:

«Ahimè! Viene il tempo nel quale l'uomo non getterà più al di sopra degli uomini il dardo del suo desiderio, e la corda del suo arco più non saprà vibrare! Vi dico: bisogna ancora portare in sè un caos, per poter generare una stella danzante.

Vi dico: avete ancora del caos in voi. Ahimè! Viene il tempo in cui l'uomo non potrà più generare alcuna stella. Ahimè!

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la conseguenza dell'altro. Come ci annuncia Schopenhauer, tuttavia, il piacere qnon è altro che una cessazione del dolore che, per sua stessa natura, non dura nel tempo. Il dolore è un dato primario del vivere, mentre il piacere deriva dal dolore.

Marianna Venanzi, classe 5E

giunge il tempo del più spregevole tra gli uomini che non sa più disprezzare se stesso. Guardate! Io vi mostro l'ultimo uomo».

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