Consiglio Superiore della Magistratura Seconda Commissione
Pareri ed interpretazioni resi dalla Commissione per il Regolamento
2019 – 2021
I N D I C E
PREMESSA ... 1
PARERI E PROPOSTE SULL’INTERPRETAZIONE ED ATTUAZIONE DEL REGOLAMENTO INTERNO
1. - Parere del 15 gennaio 2019 in ordine alla richiesta di esatta portata interpretativa dell'art. 33 comma 7 R.I., che disciplina il rilascio di copia dei pareri dell'Ufficio Studi... 3 2. - Parere del 9 aprile 2019 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta
plenaria del 24 ottobre 2018, ai sensi dell’art. 46, comma 4 del R.I., in materia di poteri istruttori delle Commissioni e del Consiglio
.
. ... 12 3. - Parere del 24 settembre 2019 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente dellaseduta plenaria del 18 settembre 2019, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in relazione all’applicabilità delle modalità di votazione di cui ai commi 4, 5 e 6 dell'art.
38 del R.I. nelle procedure per i trasferimenti ordinari. .. ... 14 4. - Parere dell’8 ottobre 2019 relativo alla disciplina del mantenimento del segreto tra la
fase della decisione in commissione e il Plenum .... ... 16 5. - Parere del 7 gennaio 2020 in ordine all’interpretazione dell'art. 17 del Regolamento
Interno - “Comitato per le pari opportunità in magistratura”.. ... 21 6. - Parere del 9 marzo 2020 in ordine all'ammissibilità a termini di Regolamento interno e
di Regolamento di Amministrazione e contabilità dello svolgimento dell'attività istituzionale da remoto... 26 7. - Parere del 31 marzo 2020 in merito alla possibilità di svolgimento di sedute di
commissione interamente da remoto e alle regole da seguire in tal caso ... 36 8. - Parere del 19 maggio 2020 in ordine all’interpretazione degli articoli del Regolamento
interno inerenti gli interventi durante l'assemblea plenaria (artt. 70, 71, 73, 74 R.I.). ... 45 9. - Parere del 22 settembre 2020 in ordine all’interpretazione dell’art. 34, comma 3, del
R.I., in relazione alla possibilità di mantenere la segretazione solo sulla parte di motivazione contenente dati sensibili... 51 10. - Parere del 15 dicembre 2020 in ordine all’interpretazione dell'art. 65 del Regolamento
interno in relazione alle pratiche di apertura dei procedimenti di cui all'art. 2 legge delle
guarentigie, nei casi in cui non si formi una maggioranza sulla decisione di apertura del procedimento, in positivo o in negativo. . ... 57 11. - Parere del 20 gennaio 2021, richiesta formulata dal Presidente della seduta plenaria del
20 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 46 comma 4 del R.I., in relazione all’interpretazione del comma 5 dell'art. 70 del Regolamento Interno
.
. ... 61 12. - Parere del 24 febbraio 2021 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della sedutadel 24 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 46 comma 4 del R.I., in relazione all’applicabilità o meno della disposizione del comma 7 dell’art. 47 del R.I. nelle pratiche relative a valutazioni di professionalità. ... 63 13. - Parere dell’11 marzo 2021 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta
dell'11 marzo 2021, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in relazione all'interpretazione del comma 3 dell'art. 70 del R.I.. ... 65 14. - Parere del 6 maggio 2021 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta
del 5 maggio 2021, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in ordine all'interpretazione delle disposizioni di cui all'art. 47 del R.I. in relazione a una proposta di conferimento Ufficio direttivo. ... 67 15. - Parere del 12 maggio 2021 in ordine alla richiesta di parere formulata dal Presidente
della seduta del 5 maggio 2021, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in relazione all'applicabilità della disposizione di cui all'art. 47 comma 7 del R.I. all'esito della votazione di una proposta di dispensa dal servizio... 71
Premessa
L’art. 54 del Regolamento Interno del Consiglio, approvato con delibera plenaria del 26 settembre 2016, stabilisce, al primo comma, le attribuzioni della Commissione per il Regolamento interno del Consiglio, o Seconda Commissione: essa formula pareri sull’interpretazione del Regolamento interno, quando ne sia richiesta dal Presidente, dal Vicepresidente, dal Comitato di Presidenza o dal Consiglio; elabora proposte di modifica del Regolamento e le sottopone al Consiglio; riferisce al Consiglio sulle proposte di modifica del Regolamento, che sono presentate da qualsiasi componente del Consiglio al Comitato di Presidenza, il quale ne informa tutti i Consiglieri. Tali funzioni sono arricchite da quelle indicate nella “tabella A” allegata al Regolamento, secondo cui alla Commissione per il Regolamento interno del Consiglio spetta anche formulare pareri e proposte sull’organizzazione interna e sul funzionamento del Consiglio.
All’evidente fine di favorirne la conoscenza e la consultazione, è stabilito che i pareri e le interpretazioni resi dalla Commissione per il Regolamento sono raccolti in un massimario delle decisioni della Commissione stessa. Su disposizione del Presidente, il Consiglio ne cura la pubblicazione aggiornata al termine di ogni biennio (comma 2 del citato art. 54).
In attuazione della norma da ultimo richiamata, viene alla luce la presente pubblicazione, che raccoglie i pareri formulati dalla Seconda Commissione in ordine all’interpretazione delle disposizioni del Regolamento nel corso del biennio 2019 – 2020, nonché quelli resi nei primi mesi dell’anno 2021.
Va osservato che nel biennio in questione la Seconda Commissione è stata molto impegnata non solo nell’espressione di pareri interpretativi, ma anche nell’elaborazione di proposte di modifica regolamentare, le quali hanno tratto spunto, in alcuni casi, proprio dalle problematiche esaminate in occasione della formulazione dei pareri.
Infatti, alcuni dei pareri contenuti nella presente pubblicazione sono stati poi superati dalla successiva modifica della norma o delle norme regolamentari oggetto di interpretazione.
In particolare, agli inizi dell’anno 2020 l’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del contagio da Covid-19 e la conseguente necessità di ridurre al minimo le
forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, hanno reso necessario un approfondimento sulle modalità di svolgimento dei lavori del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sono stati quindi resi al riguardo due pareri interpretativi della normativa regolamentare all’epoca vigente, da ritenersi ora superati a seguito dell’introduzione nel Regolamento dell’art. 91 (articolo aggiunto con deliberazione del 5 maggio 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2020, anno 161°, n. 115 Serie generale, Parte I).
In altri casi, le problematiche affrontate dalla Commissione in sede di espressione del parere hanno poi indotto la medesima Commissione a richiedere l’apertura di pratiche volte a proporre modifiche regolamentari, alcune delle quali sono ancora in fase di elaborazione (così con riferimento ai pareri relativi all’interpretazione dell’art. 38 commi 4 e 5 e dell’art. 65 in materia di procedure ex art. 2 della legge delle guarentigie).
Essendo in fase di elaborazione significative modifiche del Regolamento Interno, appare utile inserire nella presente raccolta anche i cinque pareri resi nei primi mesi dell’anno 2021.
1. Parere del 15 gennaio 2019 in ordine all’interpretazione dell'art. 33 comma 7 R.I., che disciplina il rilascio di copia dei pareri dell'Ufficio Studi.
Fasc. 8/ES/2018 - Nota del Comitato di Presidenza del 19 novembre 2018 in ordine alla richiesta di esatta portata interpretativa dell'art. 33 comma 7 R.I., che disciplina il rilascio di copia dei pareri dell'Ufficio Studi.
L’art. 33, comma 7, R.I, che disciplina il rilascio di copia dei pareri dell’Ufficio Studi, è riferibile a qualsiasi parere dallo stesso reso.
I pareri resi in relazione a un procedimento contenzioso o precontenzioso sono accessibili, laddove essi siano stati utilizzati, all’interno del procedimento, per l’assunzione della determinazione amministrativa, mentre sono sottratti all’accesso laddove abbiano la funzione di elaborare una strategia difensiva, in relazione ad una controversia attuale o potenziale.
Ai fini dell’accesso, ferma restando la necessità di un interesse giuridicamente rilevante, è sufficiente un collegamento sostanziale del provvedimento finale all’atto endoprocedimentale, pur in assenza di un richiamo formale ad esso.
Il provvedimento di diniego, espresso o tacito (ossia il silenzio – diniego formatosi ai sensi dell’art. 25, comma 4, L. 241/90 decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta), è sempre reclamabile al Consiglio, la cui decisione dovrà intervenire entro trenta giorni dal reclamo.
Riferimenti normativi: art. 33 comma 7, R.I.
Altri riferimenti normativi: art. 14, comma1, lett. b); art. 52, comma 2 R.I.;
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1. La richiesta di parere. – La disciplina dell’accesso ai pareri resi dall’Ufficio Studi è recata dall’art. 33, comma 7, del vigente Regolamento interno CSM, a norma del quale:
«sono consentiti agli interessati la visione e il rilascio di copia della relazione o del parere redatto dall’Ufficio Studi e Documentazione ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera b), a condizione che tali atti si inseriscano in un procedimento conclusosi con provvedimento definitivo del Consiglio o di una Commissione, che a quella relazione o a quel parere abbia fatto rinvio espresso. Sulla richiesta di accesso decide il Comitato di Presidenza; contro il provvedimento motivato di diniego è ammesso reclamo al Consiglio che delibera entro trenta giorni. In ogni caso resta sottratto all’accesso il
parere reso dall’Ufficio Studi in relazione a un procedimento contenzioso o precontenzioso».
In relazione a tanto – pur se traendo spunto da un caso specifico – il Comitato di Presidenza ha richiesto alla II Commissione di rendere, in termini generali, un parere in ordine all’esatta portata interpretativa della disposizione richiamata.
2. Le funzioni consultive dell’Ufficio Studi. – L’Ufficio Studi del Consiglio Superiore della Magistratura è positivamente regolato dall’art. 7 bis L. 24 marzo 1958, n. 195, che rinvia, per l’analitica definizione delle sue funzioni, alla normativa regolamentare interna.
Secondo la normativa secondaria (art. 14, comma1, lett. b), l’Ufficio Studi provvede alla stesura di:
- relazioni, su richiesta delle Commissioni o del Consiglio;
- relazioni e pareri su richiesta del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza.
Stando alla lettera della disposizione appena richiamata, dunque, la funzione consultiva in senso stretto (rilascio di pareri) sembrerebbe condizionata alla richiesta (soltanto) del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza, mentre le Commissioni e (addirittura) lo stesso Consiglio potrebbero solo chiedere la stesura di relazioni (evidentemente, non consultive).
Al riguardo – sebbene debba rilevarsi che, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 7 bis, comma 2, ult. inciso, della L. 24 marzo 1958, n. 195, l’Ufficio Studi
«dipende direttamente dal Comitato di presidenza» – non può non sottolinearsi la singolarità in forza della quale un organo (anche) consultivo del CSM non potrebbe, a norma di Regolamento, essere sollecitato al rilascio del parere proprio dall’Organismo (Consiglio) al cui servizio esso è legislativamente preposto; e ci si dovrebbe allora interrogare, in ossequio alla lettera della disposizione richiamata (rilevante, rispetto al quesito proposto, in ragione della circostanza che l’art. 33, comma 7, Reg. fa rinvio alle relazioni e pareri rilasciati ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. b), sulla distinzione tra mere relazioni (da intendere quali elaborati illustrativi di una determinata tematica, non diretti alla soluzione di questioni specifiche) – che potrebbero essere sollecitate all’Ufficio Studi tanto dalle Commissioni e dal Consiglio che dal Vicepresidente e dal
Comitato di Presidenza – e pareri (da intendere, più specificamente, alla stregua di elaborati contenenti responsi o soluzioni particolari, riferibili a questioni specifiche), i quali potrebbero essere richiesti solo dal Vicepresidente e dal Comitato di Presidenza (e salva, comunque, l’assistenza che può essere fornita – anche alle Commissioni che, direttamente, ne facciano richiesta – per la “cura del contenzioso relativo agli atti del Consiglio”, ex art. 14, comma 1, lett. c) Reg. interno).
Nondimeno, non si può trascurare che la prassi consiliare costante (alla quale – arg.
art. 1362 c.c. – potrebbe pure assegnarsi una certa rilevanza ermeneutica) è nel senso che anche (se non soprattutto) le singole Commissioni, quotidianamente, sottopongono richieste di pareri (oltre, e più, che di mere relazioni) all’Ufficio Studi, che ordinariamente vi provvede, pur in assenza di formale richiesta del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza.
3. L’individuazione dei pareri ai quali riferire l’art. 33, comma 7, Reg. – In ragione della funzione normativamente assegnata all’Ufficio Studi e tenendo conto della concreta e quotidiana esperienza operativa dell’attività consulenziale resa dall’Ufficio, prestata ordinariamente anche e direttamente a favore delle singole Commissioni (e, tramite esse, in definitiva, allo stesso Consiglio), deve ragionevolmente ritenersi che la funzione consultiva dell’Ufficio Studi possa essere attivata anche dalle singole Commissioni e che, conseguentemente, la disposizione dell’art. 33, comma 7. Reg. sia allora da riferire a qualsiasi parere reso dall’Ufficio Studi, ancorché emesso su sollecitazione delle Commissioni, piuttosto che del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza.
Diversamente opinando, d’altra parte, una volta constatato che, in fatto, l’Ufficio Studi rilascia ordinariamente pareri (nel senso sopra precisato) anche (e soprattutto) a favore delle singole Commissioni, dovrebbe altrimenti concludersi che rispetto ai pareri resi a favore delle Commissioni (o dello stesso Consiglio) – piuttosto che su richiesta del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza – difetterebbe una regolamentazione specifica in ordine all’accesso e alle relativa modalità di esercizio di esso; per contro, l’oggettiva esistenza di pareri sollecitati dalle Commissioni suggerisce comunque di equipararne la disciplina sotto il profilo dell’accesso, anche perché nessuna ragionevolezza avrebbe (da questo punto di vista) un trattamento differenziato.
Il primo risultato interpretativo di una lettura sistematica dell’art. 33, comma 7, Reg.
int. è, dunque, nel senso della sua riferibilità – al di là del dato testuale derivante dal rinvio all’art. 14, comma 1, lett. b) (e salve, comunque, le attività di cui alla lett c dell’art. 14, comma 1, Reg. int.) – a qualsiasi parere (comunque) reso dall’Ufficio Studi a servizio dell’attività istituzionale del Consiglio Superiore della Magistratura o delle sue articolazioni interne.
4. I presupposti di accessibilità dei pareri. – Così delineato l’ambito oggettivo di estensione dell’art. 33, comma 7, Reg. int., devono ora essere considerate le condizioni sotto le quali è garantita l’accessibilità ai pareri (comunque) resi dall’Ufficio Studi.
Conformemente ad una regola che trova ampia diffusione nel diritto amministrativo, l’art. 33, comma 7, ult. inciso, Reg. esclude l’accesso al parere reso «in relazione a un procedimento contenzioso o precontenzioso».
La disposizione – in conformità ad una massima assolutamente consolidata della giustizia amministrativa – è da intendere nel senso che l'ostensione del parere è legittimamente negata quando l’atto richiesto sia stato acquisito o formato in rapporto ad una lite già in atto o ad una fase (c.d. precontenziosa) di lite potenziale, e sia inteso a definire la futura strategia difensiva dell'amministrazione; detto altrimenti, è sottratto all'accesso il parere che prospetta o indirizza “posizioni difensive”
dell’Amministrazione, la quale non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto (e, tanto meno al proprio contraddittore, attuale o potenziale) gli argomenti in base ai quali intende confutare avverse pretese e difendersi in una possibile controversia (in tal senso, ex multis, v., tra le pronunce più recenti: TAR Abruzzo (L’Aquila), 16 luglio 2018, n. 298;
Cons. Stato, 15 maggio 2018, n. 2890; TAR Puglia (Lecce), 30 gennaio 2017, n. 171).
Per contro, qualora il parere – ancorché di natura (in senso lato) “legale” – sia stato utilizzato, all’interno del procedimento, per l’assunzione della determinazione amministrativa, esso non è sottratto all’accesso, in quanto – una volta acquisito dall'Amministrazione – viene ad innestarsi nell'iter del procedimento, assumendo la configurazione di atto endoprocedimentale, tale da costituire uno degli elementi che condizionano la scelta dell'Amministrazione; è, dunque, la diversa funzione dell’atto (piuttosto che il contenuto oggettivo di esso, di tipo “legale”) che determina la sorte dell’accesso ad esso relativo: se tale funzione è endoprocedimentale (e dunque l’atto è
inserviente o utilizzato per l’assunzione del provvedimento amministrativo), l’accesso è consentito; se, invece, la sua funzione è quella di elaborare una strategia difensiva, in relazione a una controversia attuale o potenziale, l’accesso potrà essere negato.
In attuazione di siffatti principi, l’art. 33, comma 7, Reg. richiede che il parere emesso si inserisca «in un procedimento conclusosi con provvedimento definitivo del Consiglio o di una Commissione».
Occorre, detto altrimenti, che l’atto faccia parte di un procedimento che si è chiuso con l’adozione di un provvedimento finale, che ha definito (in tal senso, appunto, definitivo) il procedimento: a qual proposito, sebbene normalmente – in ragione della usuale conformazione dei lavori del CSM – sarà dunque necessaria una deliberazione di Plenum, è anche possibile che – nei casi espressamente previsti dalla normativa di riferimento – l’atto definitivo del procedimento sia una delibera di Commissione (come, ad es., consentito ex art. 52, comma 2, ult. inciso, Reg.).
La disposizione regolamentare esaminata richiede anche però – ai fini dell’accessibilità al parere – che il provvedimento finale abbia ad esso fatto “rinvio espresso”.
Nonostante la non equivoca formulazione letterale della norma secondaria in esame, deve tuttavia avvertirsi che l’indirizzo consolidato della giurisprudenza amministrativa in tema di accesso ai pareri endoprocedimentali è invece nel senso che risulti sufficiente, ai fini dell’accesso, un collegamento sostanziale del provvedimento finale all’atto endoprocedimentale, “pur in assenza di un richiamo formale ad esso” (così, espressamente, Cons. Stato, 15 maggio 2018, n. 2890, cit.; TAR Puglia (Lecce), 30 gennaio 2017, n. 171, cit.). Si tratta, invero, di una corretta applicazione dei principi che presiedono alla dinamica del procedimento amministrativo, nel senso che tutti gli atti che concorrono all’assunzione della determinazione amministrativa finale – pur se non espressamente menzionati o richiamati nel provvedimento conclusivo – devono ritenersi soggetti al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, anche perché troppo semplice sarebbe, altrimenti, per l’Amministrazione, sottrarre singoli “passaggi”
procedimentali della determinazione finale alla regola dell’accesso, evitandone l’espresso richiamo formale.
Deve perciò ritenersi che – ricorrendo, ovviamente, le altre condizioni fin qui esaminate – l’accesso al parere reso dall’Ufficio Studi sia sempre da ammettere, pur ove
di esso manchi una espressa menzione formale nel provvedimento finale (che ne ha, tuttavia, concretamento tenuto conto; o che, comunque, è stato adottato all’esito di un procedimento all’interno del quale si è comunque collocato, come atto endoprocedimentale, il parere medesimo).
Naturalmente, peraltro, occorrerà anche – secondo i principi – che il richiedente abbia un interesse meritevole di apprezzamento al fine di esercitare l’accesso, come implicitamente ribadito nello stesso art. 33, comma 7, Reg., il quale riserva agli interessati (da intendere nel senso di portatori di un interesse giuridicamente rilevante, e non già nel senso di meri richiedenti) la visione e il rilascio di copia dei pareri. Una siffatta espressione (“interessati”) è dunque da intendere nel senso che allo stesso lemma è attribuito dall’art. 22, comma 1, lett. b) L. 7 agosto 1990, n. 241, quali soggetti portatori di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».
La soluzione sopra delineata non sembra (esser stata) superata neanche dalla nuova disciplina dettata dal D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, che ha (tra l’altro) modificato la disciplina del c.d. accesso civico ai documenti della P.A. (c.d. FOIA, acronimo di
“Freedom of Information Act”), essendosi infatti precisato che resta fermo, anche dopo la novella legislativa, il limite della inaccessibilità ai pareri aventi funzione legale in senso stretto (cfr. il § 6.2 della Delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016 (in G.U., Serie gen. n. 7, del 10 gennaio 2017), con cui sono state adottate “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, comma 2, del D. Lgs. n. 33/2013”)
Per completezza di trattazione va anche precisato, ovviamente, che le conclusioni appena illustrate sono interamente da estendere (anche) alle “relazioni” stese da parte dell’Ufficio Studi (a proposito delle quali, d’altra parte, non si pongono neppure quei problemi interpretativi più sopra considerati con riguardo ai “pareri”).
5. Decisione sulla richiesta e reclamo. – Quale che sia l’articolazione interna (Commissione, Vicepresidente, Comitato di Presidenza, Consiglio) che ha richiesto il parere (o la relazione) dell’Ufficio Studi, la decisione sulla richiesta di accesso al parere
o alla relazione – in coerenza con quanto disposto dall’art. 7 bis, comma 2, ult. inciso, della L. 24 marzo 1958, n. 195 – è rimessa dal Regolamento al Comitato di Presidenza, al quale, pertanto, dovrà essere inoltrata la richiesta dell’interessato, pur se questa sia stata diversamente indirizzata.
L’art. 33, comma 7, Reg. int. non prevede, peraltro, un termine per l’evasione della richiesta, fissando solo quello per la decisione sul reclamo contro il diniego.
Ciò non significa, tuttavia, che la richiesta possa essere evasa senza un limite temporale di scadenza.
Invero, pur difettando, nella norma regolamentare, la specifica previsione di tale profilo, dovrebbe infatti trovare applicazione la regola generale in tema di accesso agli atti di cui all’art. 25, comma 4, L. n. 241/1990 (legge alla quale occorrerà pure fare riferimento per gli altri aspetti non regolati), con la conseguenza che, decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa sarà da intendersi respinta (silenzio- diniego).
Ferma restando, naturalmente, la possibilità (per l’interessato) di un ricorso giurisdizionale contro il provvedimento (espresso o tacito) di diniego, la formulazione letterale dell’art. 33, comma 7, Reg. int. potrebbe sollevare il problema della reclamabilità (al Consiglio) del silenzio-diniego: la lettera della normativa regolamentare, infatti, prevede il reclamo contro il “provvedimento motivato di diniego”, mentre tale non è, evidentemente, il semplice silenzio (non tanto per il difetto della natura provvedimentale, direttamente discendente, invero, dalla legge, quanto per la mancanza, in tal caso, di una motivazione del diniego).
Si tratta, peraltro, di una questione agevolmente superabile in sede interpretativa: è evidente, infatti, che l’eventuale provvedimento di rifiuto del Comitato di Presidenza (che fosse) privo di motivazione – atteso che tutti i provvedimenti amministrativi devono essere sempre motivati (art. 3 L. n. 241/1990) – sarebbe già solo per questo viziato e (per ciò stesso) reclamabile. La corretta interpretazione della norma regolamentare sembra allora da cogliere non già nel senso che solo il provvedimento motivato di diniego è reclamabile, quanto – e piuttosto – nel senso che il diniego (comunque reclamabile) deve essere motivato, in coerenza con i principi generali in tema di provvedimenti amministrativi; ne discende che – ferma restando, in ogni caso, la possibilità del ricorso giurisdizionale (nel rispetto dei termini di legge) – il diniego,
tacito o espresso (e, in quest’ultimo caso, motivato (come necessario) o meno che sia), è sempre reclamabile al Consiglio, la cui decisione dovrà intervenire entro trenta giorni dal reclamo (la decisione sul reclamo è atto proprio del Consiglio, direttamente di competenza del plenum, senza preventivo passaggio in alcuna Commissione).
6. Riepilogo delle conclusioni raggiunte sulla portata interpretativa dell’art. 33, comma 7, Reg. int. CSM. – Conclusivamente, dunque, deve ritenersi che una corretta interpretazione dell’art. 33, comma 7, Reg. int. – tenuto anche conto di una necessaria considerazione sistematica della disciplina da esso recata – conduca ad affermare quanto segue:
- nonostante il (non univoco) tenore letterale dell’art. 14, comma 2, lett. b) Reg. int. – al quale, pure, l’art. 33, comma 7, fa espresso rinvio – la regolamentazione dell’accesso ai pareri resi dall’Ufficio Studi deve ritenersi riferibile a qualsiasi parere steso dall’Ufficio Studi, ancorchè la relativa richiesta (di parere) sia stata formulata da una (o più) Commissione(i) o dal Consiglio;
- l’accesso non è consentito rispetto ai pareri intesi a formulare una strategia difensiva del CSM in relazione a liti o controversie già in atto o soltanto potenziali;
- l’accesso è invece ammesso rispetto a pareri caratterizzati da una natura endoprocedimentale, in quanto funzionali all’assunzione di un provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, adottato dal Consiglio o, nei casi normativamente consentiti, da una Commissione;
- l’accesso non è subordinato ad un richiamo formale o espresso del parere nel provvedimento finale, essendo sufficiente un collegamento sostanziale ad esso nella determinazione provvedimentale conclusiva del procedimento all’interno del quale il parere ha trovato collocazione;
- l’accesso è consentito a chi è portatore di un interesse giuridicamente rilevante a conoscerne il contenuto;
- la richiesta di accesso, comunque indirizzata, è sottoposta al Comitato di Presidenza, affinché lo stesso decida (nel termine di cui all’art. 25, comma 4, L. n. 241/1990) con provvedimento motivato. Il diniego, espresso o tacito, motivato o meno, è reclamabile direttamente al Consiglio, ferma restando la possibilità (per l’interessato) del ricorso giurisdizionale;
- le regole appena descritte valgono tanto per le relazioni che per i pareri predisposti dall’Ufficio studi.
Nei sensi di cui sopra, quindi, è il parere della II Commissione in ordine alla portata interpretativa dell’art. 33, comma 7, Reg. interno.
2. Parere del 9 aprile 2019 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta plenaria del 24 ottobre 2018, ai sensi dell’art. 46, comma 4 del R.I., in materia di poteri istruttori delle Commissioni e del Consiglio.
Fasc. 2/ES/2019 - Parere in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta plenaria del 24 ottobre 2018, ai sensi dell’art. 46, comma 4 del R.I., in ordine alla tematica relativa all’applicazione dell’art. 46, comma 5, del R.I. in combinato disposto con l'art. 64 del R.I.
L’art. 46 comma 5 è inserito nel capo VIII del Regolamento Interno relativo alle “deliberazioni del Consiglio, ordini e modi di votazione”, laddove i poteri istruttori delle commissioni sono disciplinati nel capo IX ed in particolare nell’art. 64, cosicché esso deve essere interpretato nel senso di ritenere che il Consiglio in seduta plenaria possa compiere direttamente atti istruttori di qualsiasi tipo.
Riferimenti normativi: art. 46 comma 5 R.I.;
Altri riferimenti normativi: art. 64 R.I.;
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nella seduta plenaria del 24 ottobre 2018 è stato chiesto dal Vice Presidente un parere alla seconda commissione sull’interpretazione dell’art. 46, comma 5, del regolamento interno, rispetto ai poteri istruttori del Consiglio;
la Commissione, immediatamente riunitasi, ha chiesto un maggior tempo per approfondire la tematica ed esaminare anche altre norme del regolamento utili per la corretta interpretazione della disposizione;
la Commissione ha ritenuto di poter dare la più ampia interpretazione sui poteri del Consiglio in seduta plenaria, atteso che la norma in esame è inserita nel capo VIII relativo alle “deliberazioni del Consiglio, ordini e modi di votazione”, mentre i poteri istruttori delle commissioni sono disciplinati nel capo IX, ed in particolare nell’art. 64;
rilevato che il tenore letterale della norma in esame può effettivamente suscitare dubbi interpretativi e, comunque, la possibilità di compiere direttamente atti istruttori di qualsiasi tipo potrebbe interferire con la necessaria celerità dei lavori della assemblea plenaria;
ritenuto, ferme restando tutte le prerogative del Plenum in ordine all’individuazione e alla deliberazione di integrazioni istruttorie di una pratica, di dover proporre una modifica all’art. 46 per limitare i casi di assunzione diretta di atti istruttori
da parte dell’assemblea plenaria, con conseguente rimessione alla competente commissione per le integrazioni istruttorie ritenute opportune o utili per la decisione;
Tanto premesso,
delibera
di chiedere a Codesto Comitato di Presidenza l’apertura di una nuova pratica per la modifica dell’art. 46 del regolamento interno.
3. Parere del 24 settembre 2019 in ordine alla richiesta formulata dal Presidente della seduta plenaria del 18 settembre 2019, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in relazione all’applicabilità delle modalità di votazione di cui ai commi 4, 5 e 6 dell'art. 38 del R.I.
nelle procedure per i trasferimenti ordinari.
Fasc. 6/ES/2019 - Richiesta di parere formulata dal Vice Presidente nella seduta del 18 settembre 2019, ai sensi dell'art. 46, comma 4 del R.I., in relazione alle modalità di svolgimento della votazione della pratica 134/CD/2019 ai sensi dei commi 4,5 e 6 dell'art. 38 del R.I.
La modalità di votazione delle proposte prevista dall’art. 38 comma 4 R.I.
non è applicabile alle procedure caratterizzate da una limitata discrezionalità nell’attribuzione dei punteggi, derivanti quasi esclusivamente da criteri oggettivi, quali le procedure per i trasferimenti ordinari, le cui proposte devono essere votate secondo le regole generali di cui all’art. 47 R.I..
Riferimenti normativi: art. 38 commi 4, 5 e 6 R.I.;
Altri riferimenti normativi: art. 47 R.I.
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Il comma 4 dell’articolo 38 prevede che quando devono essere assegnati più posti di un medesimo ufficio contestualmente pubblicati con unico bando le modalità dell’ordine di votazione non seguono la regola generale di cui all’art. 47 ma quella speciale indicata dal successivo comma 5.
La Commissione rileva che tale ultima disposizione contiene previsioni di difficile interpretazione e non sempre ragionevoli quanto alle modalità di voto. La norma sembrerebbe, infatti, prevedere la votazione per ballottaggio solo quando la pluralità delle proposte provenga a seguito di formulazione espressa al di fuori della Commissione da taluno dei Consiglieri prima della discussione, mentre nei casi di pluralità originaria di proposte formulate dalla Commissione competente si dovrebbe procedere a votazione separata secondo l’ordine di cui al primo inciso del comma 5.
Tale distinzione non appare ragionevole e meriterebbe un intervento di modifica.
Ritiene, peraltro, la Commissione di poter affermare che la disposizione di cui all’art.38 non sia ragionevolmente applicabile alle procedure di cui al TITOLO I della parte III della Circolare n.13778 del 2014 caratterizzate da una limitata discrezionalità nella attribuzione dei punteggi, derivanti quasi esclusivamente da criteri oggettivi.
Depongono nel senso indicato i lavori preparatori che riferiscono la nuova formulazione dell’art. 38 alle cd. “nomine a pacchetto”, cioè, per quanto qui di interesse, alle procedure di cui ai Titoli V,VI e VII della parte III della richiamata circolare sui tramutamenti e la prassi costantemente seguita sin dall’approvazione del nuovo regolamento e quindi sia dal CSM che ha approvato il RI che da quello attuale.
La Commissione ritiene pertanto, sulla base degli argomenti esposti, di poter proporre una interpretazione restrittiva del 4 comma dell’art. 38 RI nel senso sopra precisato in ragione del quale per la pratica n.134/CD/2019 ritiene che la modalità di votazione delle proposte debba seguire le regole generali di cui all’art. 47 RI.
4. Parere dell’8 ottobre 2019 in ordine alla disciplina del mantenimento del segreto tra la fase della decisione in commissione e il Plenum.
Fasc. 5/MO/2019 - Parere dell’8 ottobre 2019 relativo alla disciplina del mantenimento del segreto tra la fase della decisione in commissione e il Plenum.
L’impianto complessivo del Regolamento interno si fonda sul principio della pubblicità dell’attività del Consiglio, salva la possibilità di esclusione della pubblicità in casi particolari, allorquando sia preminente la tutela di diversi e concomitanti interessi.
L’esistenza di un procedimento disciplinare non costituisce di per sé un dato sensibile meritevole di segretazione, la quale può essere invece opportuna allorquando nella vicenda disciplinare vi siano riferimenti a dati sensibili del magistrato interessato, ricorrendo in tale caso le condizioni di cui all’art. 27 comma 2 R.I.
Riferimenti normativi: art. 34 R.I.
Altri riferimenti normativi: art. 27; art. 29; art. 33; art. 45; art. 28 R.I.
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Nella seduta plenaria del 10 aprile 2019 con riferimento alle pratiche segretate n.
1-16/V5/2018 e n. 2-7/V2/2019 di competenza della Quarta Commissione, il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo ampia discussione, riteneva opportuno trasmettere il verbale al Comitato di Presidenza affinché quest’ultimo investisse la Seconda Commissione in ordine alla interpretazione delle norme del Regolamento interno in materia di pubblicità dei lavori del Consiglio e delle Commissioni.
Ed invero, nel corso della trattazione delle pratiche segretate sopra indicate, I’Assemblea plenaria discuteva in ordine ai presupposti della segretazione, con particolare riferimento alle pratiche nelle quali vi fossero riferimenti a procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati interessati, ed alle modalità con cui la stessa debba essere deliberata ed attuata.
Come è noto, l’art. 27 del Regolamento interno stabilisce come regola generale la pubblicità delle sedute del Consiglio, prevedendo tuttavia la possibilità che il Consiglio stesso deliberi di escludere la pubblicità laddove ricorrano motivi di sicurezza, ovvero quando sulle esigenze di pubblicità prevalgano ragioni di riservatezza della vita privata del magistrato o di terzi, in particolare nel trattamento di dati sensibili. In tali casi
l’esclusione della pubblicità delle sedute o di parti di esse è deliberata su proposta delle singole Commissioni o di almeno tre componenti del Consiglio.
Con riferimento invece alle sedute delle Commissioni, l’art. 29 del Regolamento interno prevede, quale regola generale, che esse non sono pubbliche.
La possibilità di disporre che la stampa o anche il pubblico siano ammessi a seguire lo svolgimento di singole sedute in separati locali attraverso impianti audiovisivi è prevista quale ipotesi “del tutto eccezionale”. Solo con riferimento alla trattazione dinanzi alle Commissioni competenti delle pratiche riguardanti il conferimento di uffici direttivi e semidirettivi, ovvero l’assegnazione di più posti di un medesimo ufficio pub blicati con un unico bando, la pubblicità di singole sedute può essere disposta dalla Commissione su richiesta anche solo di un terzo dei suoi componenti. La pubblicità delle sedute delle Commissioni è in ogni caso preclusa nei casi previsti dall’art. 27, comma 2, ossia quando ricorrono quelle medesime situazioni che consentono al Consiglio di escludere la pubblicità delle sedute (“motivi di sicurezza, ovvero quando sulle esigenze di pubblicità prevalgano ragioni di riservatezza della vita privata del magistrato o di terzi, in particolare nel trattamento di dati sensibili”).
L’art. 34 del Regolamento interno prevede poi l’obbligo del segreto a cui sono tenuti i componenti del Consiglio, sia su quanto riguarda le sedute del Consiglio per le quali e stata esclusa la pubblicità, sia su quanto concerne i lavori delle Commissioni per i casi per i quali è stata deliberata la segretazione, nei limiti in cui essa e stata disposta. La norma in esame specifica che “Non sono coperti dal segreto, salvo che ricorrano esigenze di sicurezza, le deliberazioni adottate dal Consiglio, i dispositivi delle proposte delle Commissioni, il risultato delle votazioni e il voto espresso da ciascun componente.”
Il comma secondo dell’art. 34 stabilisce inoltre che “le Commissioni, se sussistono le esigenze di riservatezza indicate nell’art. 33, possono deliberare, a maggioranza dei componenti, la segretazione dei propri lavori o di singoli atti. Per i medesimi motivi, il Comitato di Presidenza, all’atto dell’assegnazione della pratica alla Commissione competente, può disporne la segretazione provvisoria fino a che la Commissione non abbia deliberato in merito”. Con riferimento alla efficacia della segretazione, il comma 3 dell’art. 34 dispone che “la segretazione disposta dalla Commissione ha efficacia fino alla approvazione delle proposte da sottoporre al Consiglio, salvo che la Commissione
non deliberi, con il voto della maggioranza dei propri componenti, di proporre al Consiglio di escludere la pubblicità delle sedute consiliari o di mantenere la segretazione di singoli atti o documenti”.
Come si vede, l’impianto complessivo del Regolamento interno si fonda sul principio della pubblicità dell’attività del Consiglio, salva la possibilità di esclusione della pubblicità in casi particolari, allorquando sia preminente la tutela di diversi e concomitanti interessi.
La segretazione delle sedute consiliari può, in particolare, essere disposta dal Consiglio stesso, su proposta delle singole Commissioni o di almeno tre componenti del Consiglio, per motivi di sicurezza, ovvero quando sulle esigenze di pubblicità prevalgano ragioni di riservatezza della vita privata del magistrato o di terzi, in particolare nel trattamento di dati sensibili.
Prima di esaminare la specifica questione posta all’attenzione di questa Commissione, pare utile accennare alla normativa che disciplina la particolare materia del procedimento disciplinare. L’art. 18 comma 4 del D. Lgs. 109/06 dispone che nel procedimento davanti alla Sezione disciplinare del CSM ''si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento". Pertanto, in materia di pubblicità e segretezza degli atti, deve ritenersi applicabile al procedimento disciplinare l’art. 114 del codice di procedura penale, che dispone che “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto”
nonché che “è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’art. 292”. Ai fini che qui interessano, inoltre, il comma 3 dell’art. 114 c.p.p. dispone che “Se si procede al dibattimento, non e consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia in grado di appello. E’
sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni”. Con sentenza della Corte Costituzionale n. 59 del 1995, la norma appena riportata e stata dichiarata illegittima limitatamente alle parole “del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli”. Ne deriva che non
sussiste, in base alla normativa vigente, alcun divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, salvo che sia celebrato a porte chiuse “nei casi previsti dall’art. 472 commi 7 e 2”.
Cosi ricostruite la normativa regolamentare interna in materia di pubblicità delle attività del Consiglio e quella relativa alla pubblicità dei procedimenti disciplinari, occorre ora fornire risposta agli specifici quesiti posti all’attenzione di questa Commissione.
Come si è anticipato in premessa, l’assemblea plenaria si e interrogata innanzitutto sull’individuazione delle ipotesi nelle quali il Consiglio, su proposta della Commissione, possa escludere la pubblicità delle sedute. In particolare, con riferimento alle pratiche nelle quali vengano in rilievo procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, si è ritenuto necessario chiarire se dette pratiche debbano essere sempre segretate ai sensi dell’art. 27 comma 2 del Regolamento interno, costituendo di per sé il procedimento disciplinare un dato sensibile, o se piuttosto l’opportunità della segretazione debba essere valutata caso per caso.
Sul punto, la Commissione ritiene che l’esistenza di un procedimento disciplinare non costituisce di per sé un dato sensibile meritevole di segretazione, tenuto conto tra l’altro della regola della pubblicità della fase della discussione orale del procedimento. Sarebbe invero illogico ritenere sussistente un’esigenza di riservatezza in relazione ad un procedimento che è pubblico per espressa previsione normativa. Piuttosto, allorquando nella vicenda disciplinare che venga in rilievo vi siano riferimenti a dati sensibili del magistrato interessato (come, ad esempio, condizioni di salute del magistrato o di suoi familiari), la segretazione può essere opportuna ricorrendo le condizioni di cui all’art.
27 comma 2 del Regolamento interno. Sarà l’assemblea plenaria, su proposta delle singole Commissioni o di almeno tre componenti del Consiglio, a dover valutare caso per caso se ricorrano tali condizioni.
Tanto chiarito con riferimento ai rapporti tra procedimento disciplinare e poteri di segretazione, è ancora opportuno precisare con quali modalità debba essere portata all’attenzione dell’assemblea plenaria una delibera in ordine alla quale la Commissione competente richieda al Consiglio la segretazione.
Allorquando la Commissione abbia deliberato, ai sensi dell’art. 34 del Regolamento interno, di proporre al Consiglio di escludere la pubblicità delle sedute consiliari nonché
di mantenere la segretazione, già disposta dalla Commissione, sugli atti del fascicolo, prima della trattazione della pratica il Consiglio dovrà deliberare in ordine alla proposta di segretazione come previsto dall’art. 27 comma 2. Tale delibera è adottata in assenza di pubblico e con la maggioranza pari a due terzi dei voti validamente espressi.
La segretazione già disposta dalla Commissione viene quindi mantenuta fino al voto dell’assemblea plenaria e cessa solo in caso di voto contrario del Consiglio.
L’esclusione della pubblicità della seduta comporta l’allontanamento del pubblico dalla sala ove si svolge la seduta e la cessazione delle riprese televisive, della registrazione, della trasmissione radiofonica e di ogni altra forma di pubblicità contestuale in diretta (art. 27 comma 3 del Regolamento interno).
Con riferimento alla resocontazione dei lavori del Consiglio, allorquando sia stata deliberata 1’esclusione della pubblicità della seduta, l’assemblea plenaria può altresì stabilire che il resoconto contenga esclusivamente la deliberazione adottata, il risultato della votazione e, in caso di appello nominale, il voto espresso da ciascun componente, ove risultante secondo le disposizioni degli artt. 45 e seguenti (art. 28 comma 2).
5. Parere del 7 gennaio 2020 in ordine all’interpretazione dell'art. 17 del Regolamento Interno - “Comitato per le pari opportunità in magistratura”.
Fasc. 10/ES/2019 - Interpretazione dell'art. 17 del Regolamento interno. Comitato per le pari opportunità in magistratura.
La Presidenza del Comitato pari opportunità spetta, di diritto, al Presidente pro tempore della Sesta Commissione, con avvicendamento automatico nella carica al variare della Presidenza di Commissione.
Riferimenti normativi: art. 17 R.I.
Altri riferimenti normativi: art. 15 comma 2; art. 18, comma 2 R.I.;
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La richiesta di parere ha ad oggetto l'interpretazione dell'art. 17 Reg. interno, con specifico riferimento alla Presidenza del Comitato pari opportunità in magistratura.
Più in particolare, il dubbio interpretativo riguarda la questione se la Presidenza del Comitato sia da attribuire stabilmente, per ciascuna consiliatura, al (primo) Presidente della Sesta Commissione (che sia stato) nominato entro tre mesi dall'insediamento del Consiglio; o se, invece, durante la consiliatura, la presidenza del Comitato spetti, di diritto, al Presidente pro tempore della Sesta Commissione, con conseguente avvicendamento nella carica, al variare della Presidenza di Commissione.
*
Secondo la formulazione letterale dell'art. 17 Reg. interno, il Comitato è presieduto dal Presidente della Sesta Commissione (comma 2), il quale (così come i componenti del Comitato) resta in carica sino alla fine della consiliatura in cui è stato nominato (comma 3).
Inoltre, è anche previsto che il Consiglio proceda alla nomina del Presidente del Comitato (e dei componenti) "non oltre tre mesi dal suo insediamento" (comma 4, 1°
inciso).
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Premesso che l'esame dei Lavori preparatori non fornisce indicazioni chiarificatrici (dal momento che l'attuale art. 17 si limita a riproporre il testo di analoga norma previgente, senza alcuna specifica discussione sul punto), osserva la Commissione che
la formulazione letterale della disposizione propone, effettivamente, il dubbio interpretativo.
Nella direzione di una possibile permanenza in carica del Presidente della Sesta Commissione nominato per primo sembrerebbero militare, infatti, i seguenti argomenti (letterali):
a) la previsione secondo la quale il Presidente nominato "resta in carica sino alla fine della consiliatura" (comma 3);
b) la circostanza che l'unica nomina presidenziale (espressamente considerata dall'art.
17 Reg. int.) di cui è menzione nella norma sia quella fatta dal Consiglio "non oltre tre mesi dal suo insediamento" (comma 4).
Sul piano sistematico, poi, un argomento ulteriore potrebbe essere offerto dal rilievo che per tutti gli altri componenti del Comitato – due membri del Consiglio, sei magistrati elettivi; due esperti di nomina (in senso lato) governativa – sia prevista, (questa volta) in modo non equivoco, la stabilità della carica per l'intera consiliatura.
***
Nonostante quanto appena illustrato, ritiene la Commissione che sia da privilegiare l'opposta interpretazione, nel senso dell'avvicendamento, nella carica di Presidente del Comitato, dei Presidenti di Sesta Commissione che si succedano in quest'ultima carica durante la consiliatura.
In tal senso, infatti, orientano, in definitiva, diversi argomenti.
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A) Ragioni funzionali. Intanto, occorre evidenziare che – analogamente a quanto previsto da altre disposizioni regolamentari (per es., l'art. 18, comma 2, per la S.T.O.) – la carica di Presidente (del Comitato) è direttamente individuata con riferimento (non a una persona fisica – da individuare – ma) all'organo al quale si fa richiamo (Presidente della Sesta Commissione).
Ciò, evidentemente, sul presupposto di una ragionevole funzione di coordinamento istituzionale con la struttura consiliare (Sesta Commissione) primariamente preposta alla formulazione di attività propositive e consultive di carattere generale in tema di organizzazione e funzione giudiziaria (v. lett. c), d) e f) delle attribuzioni di Sesta Commissione di cui alla tabella A) annessa al Reg. interno): in altri termini, il rinvio alla (Presidenza della) Sesta Commissione tiene conto della circostanza che la
competenza funzionale del Comitato, quale descritta nel comma 1 dell'art. 17 Reg. int., si inscrive nel contesto più generale delle competenze della Sesta Commissione, dalle quali si differenzia solo per la particolare specificità della materia attribuita (che giustifica la specializzazione dell'organismo, a composizione mista, cioè solo parzialmente consiliare).
In questa prospettiva, la comune Presidenza dei due organismi (Comitato e Sesta Commissione) da parte di un medesimo soggetto serve ad assicurare, secondo la ratio ispiratrice della disposizione, una concordanza di azioni che giustifica la previsione secondo la quale "il Comitato è presieduto dal Presidente della Sesta Commissione"; per contro, la conservazione della Presidenza in capo a chi è (già) stato Presidente della Sesta Commissione, senza più esserlo, finirebbe per frustrare il fondamento funzionale della regola.
In senso contrario, rimanendo ancora sul piano funzionale, non sembrerebbe decisiva la considerazione, sopra richiamata, della stabilità della carica per l'intera consiliatura, avuto riguardo a(gli altr)i componenti del Comitato; non mancano, infatti, altre strutture consiliari permanenti rispetto alle quali alla (indiscutibile) stabilità della carica rispetto agli appartenenti alla struttura, si contrappone una (altrettanto indiscutibile) Direzione o Presidenza variabile, durante l'arco della consiliatura: è quanto accade, ad es., per l'Ufficio Studi (art. 15, comma 2, Reg. int.); e anche per la Struttura Tecnica per l'Organizzazione (art. 18, cpv., secondo inciso, Reg. int.).
Non si comprende, conseguentemente, per quale ragione dovrebbe desumersi una diversa soluzione, in ordine alla Presidenza della struttura, nel caso qui considerato.
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B) Compatibilità letterale dell'interpretazione proposta. Sotto altro profilo, poi, occorre anche evidenziare che la stessa portata letterale della disposizione da interpretare (art. 17 Reg. int.) – anche al di là, in ogni caso, della prudenza ermeneutica raccomandata dal tradizionale avvertimento secondo il quale "littera enim occidit, spiritus autem vivificat"– non indirizza univocamente verso la prima soluzione.
Infatti, intanto la disposizione secondo la quale il Presidente (come pure i componenti) resta in carica sino alla fine della consiliatura in cui è stato nominato (art.
17, comma 3) non sembra preoccuparsi di regolamentare la durata complessiva dell'incarico, quanto – e piuttosto – il termine finale di scadenza della carica, dovendosi
dunque intendere nel senso che quest'ultima è comunque destinata a cessare al termine della consiliatura durante la quale è stata attivata, senza possibilità di proroga in quella successiva (a differenza, invece, di quanto dettato dal comma 4 (in deroga alla regola generale) per i soli componenti esterni al Consiglio).
Nella stessa direzione, poi, anche la previsione in forza della quale "il Consiglio procede alla nomina del Presidente (...) non oltre tre mesi dal suo insediamento" (art. 17, comma 4, primo inciso, Reg. int.) non consente di trarre dalla stessa argomenti a favore della stabilità, nella carica, del primo (nominato) Presidente. La disposizione, infatti, ha riguardo al (solo) termine per la costituzione dell'organo consiliare (Comitato), come pure si desume dalla riferibilità della medesima regola ai componenti interni e, in pratica, anche a quelli esterni (rispetto ai quali ultimi, tuttavia, dal momento che la designazione non è nella disponibilità del Consiglio, si detta la regola ulteriore della prorogatio, sotto il profilo, più correttamente, del recupero di una carica "quiescente").
In questa prospettiva, la circostanza che la disposizione contempli solo in questa caso la nomina del Presidente del Comitato, di cui non si parla più nel rimanente corpo dell'art. 17, si spiega agevolmente considerando che la preoccupazione della norma è, appunto, quella di dettare un termine per la costituzione dell'(intero)organismo (e, dunque, del primo Consigliere, Presidente p.t. della Sesta Commissione, che si troverà a presiederlo), senza che da ciò si possa trarre argomento per ritenere che altri (successivi) Presidenti non possano avvicendarsi nella carica.
C) Prassi consiliare. A conferma della soluzione interpretativa proposta, infine, viene in considerazione anche la consolidata prassi consiliare (relativa anche a precedente disposizione regolamentare del medesimo tenore, sia pure diversamente numerata), la quale è sempre stata orientata nel senso dell'avvicendamento nella carica dei Presidenti p.t. della Sesta Commissione.
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A qual proposito deve anche segnalarsi che il subentro nella carica – a giudizio della Commissione – avrà luogo ipso iure, e senza alcuna necessità di indicazione elettiva del Presidente; al più, potrà ammettersi che, a soli fini di certezza ricognitiva della carica, e della indicazione della sua decorrenza, il Plenum del Consiglio provveda, con propria delibera, a dare atto che a partire da una determinata decorrenza (quella dell'insediamento in carica del nuovo Presidente di Sesta Commissione) il nuovo
Presidente del Comitato pari opportunità vada individuato nel corrispondente nuovo Presidente della Sesta Commissione.
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Per tutte le ragioni sopra esposte (argomento funzionale; compatibilità letterale della soluzione indicata; prassi consiliare) il parere di questa Commissione è nel senso che la Presidenza del Comitato pari opportunità (di cui all'art. 17 Reg. int.) spetti, di diritto, al Presidente p.t. della Sesta Commissione, con avvicendamento automatico nella carica ogni volta che muti il Consigliere titolare della carica di Presidente della Sesta Commissione (mentre deve essere scartata l'opzione interpretativa secondo la quale il primo (in ordine cronologico) Presidente di Sesta Commissione nominato Presidente del Comitato pari opportunità resti titolare di quest'ultima carica per l'intera consiliatura).
6. Parere del 9 marzo 2020 in ordine all'ammissibilità a termini di Regolamento interno e di Regolamento di Amministrazione e contabilità dello svolgimento dell'attività istituzionale da remoto.
1Fasc. 2/ES/2020 - Richiesta dei Consiglieri Lanzi, Braggion e Basile di verificare l'ammissibilità a termini di Regolamento interno e di Amministrazione e contabilità dello svolgimento dell'attività istituzionale da remoto.
La presenza del singolo consigliere ai lavori di Commissione ed a quelli del Consiglio implica l’effettiva possibilità di prendere parte attiva ai lavori, incidendo sugli stessi, esprimendo le proprie argomentazioni e dichiarando la propria volontà o la conoscenza di fatti rilevanti per la deliberazione in modo chiaramente percepibile dagli altri componenti; essa può quindi sostanziarsi anche in una partecipazione a distanza, da considerarsi ammissibile nella misura in cui sia sostanzialmente equivalente a quella posta in essere di persona, nel luogo fisico di svolgimento dei lavori.
Deve invece escludersi la possibilità di una partecipazione telematica, a distanza, di singoli componenti della Sezione Disciplinare alle attività di quest’ultima..
Riferimenti normativi: artt. 10, 31, 58, 64, 61, 62, 57, 59, 60, 64, 66, 63, 64, 29, 34, 27, 67, 69, 45, 3, 81, 30, R.I.
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Partecipazione alle attività del Consiglio con modalità telematiche “da remoto”
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La richiesta di parere riguarda la possibilità - in base alla normativa regolamentare vigente - che singoli Consiglieri prendano parte alle attività consiliari con modalità telematiche, cc.dd. “da remoto”.
La richiesta contingente è legata alla situazione emergenziale sanitaria in atto, ed è fondata sulle istanze di tre Consiglieri, ma prospetta – ovviamente – interrogativi di carattere più generale e di sistema. Proprio ragionando su quest'ultimo piano, peraltro, non può non premettersi che la presenza reale dei Consiglieri (di tutti i Consiglieri) nel
"luogo fisico" dell'Istituzione ha un valore fondamentale e insostituibile, legato alla
1 Parere reso prima dell’introduzione nel Regolamento Interno dell’art. 91 (articolo aggiunto con deliberazione del 5 maggio 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2020, anno 161 °, n.
115 Serie generale, Parte I).
condivisione delle idee, al confronto dialettico costante, alla tempestività dell'analisi e risoluzione delle questioni, etc., non surrogabile efficacemente attraverso modalità diffuse o ripetute di "partecipazione virtuale".
Conseguentemente - anche tenendo conto delle raccomandazioni governative intese ad adottare tutte le misure precauzionali idonee a contenere il rischio di un aggravamento dell'emergenza sanitaria - le considerazioni che seguono devono intendersi giustificate (e, al contempo, strettamente dipendenti) dalla sola eccezionalità della situazione emergenziale in atto, mentre ne sarebbe non pienamente plausibile una estensione generalizzata o duratura.
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In proposito, sembra necessario distinguere tra l’attività di commissione e quella assembleare plenaria, che costituiscono le principali forme di partecipazione alle attività consiliari da parte dei Consiglieri (v. art. 10, comma 1, Reg. int.), sebbene le stesse non esauriscano il novero di tutte quelle potenzialmente espletabili (v., ad es., artt. 31, 58, 64, commi 2 e 10).
Naturalmente, soltanto qualora tutte le attività consiliari fossero efficacemente espletabili da remoto potrebbe darsi risposta affermativa al quesito.
Tanto premesso, verranno di seguito esaminate le specifiche attività sopra richiamate e la loro compatibilità con una "partecipazione da remoto".
A) Attività delle Commissioni.
Secondo quanto previsto dall’art. 61 Reg. int., «le Commissioni formate da almeno sei Consiglieri deliberano validamente con la presenza della maggioranza dei componenti», mentre se la Commissione è formata da tre componenti (in particolare, la X), occorre
«la partecipazione di tutti» (e v. pure, per altro riferimento alla "presenza" dei componenti, l'art. 62, comma 4, Reg. int.).
In proposito, sebbene il termine “presenza” alluda principalmente - com’è ragionevole argomentare - alla partecipazione fisica (cioé, di persona) del singolo componente (tanto che ne è prevista la possibilità di sostituzione, attraverso nomina di un supplente, in caso di impedimento), ci si deve domandare se veramente sussistano ragioni insuperabili che impongono di accedere ad una interpretazione completamente rigorosa del lemma (tale da escludere la possibilità, al contrario, di un'accezione più ampia,
capace di comprendervi, in chiave funzionale, (anche) la semplice partecipazione a distanza).
Invero, la disciplina complessiva dell'attività consiliare di Commissione (prescindendo, in questa sede, dalle disposizioni di carattere meramente organizzativo e programmatico) rende manifesta la necessità che, all'interno di ciascuna Commissione, ciascun componente sia (messo) in condizione:
- di prendere parte attiva ai lavori, avendo preventiva cognizione del calendario delle attività (v. art. 57-59 Reg. int.), del loro oggetto (art. 60), degli incombenti istruttori (art.
64) e di tutti gli adempimenti programmatici;
- di riferire alla Commissione (v., in particolare, l'art. 66) e prendere parte attiva alla discussione (v. art. 62), anche presso Commissioni diverse da quelle di appartenenza (v.
art. 63);
- di esprimere il proprio voto, anche argomentandone previamente le ragioni (art. 65).
La sostanza dell'attività consiliare di Commissione, dunque, richiede che ciascun Consigliere possa contribuire alle determinazioni da assumere in Commissione (ascoltando gli interventi degli altri componenti, confrontandosi con gli stessi e, ove lo ritenga, esponendo le proprie posizioni), avendo preventivamente possibilità di accedere ai contenuti dell'oggetto delle delibere, e di esprimere, infine, il proprio voto (tranne che si tratti di Commissione diversa da quella di appartenenza).
La "presenza" del singolo Consigliere ai lavori di Commissione, dunque, implica - se riguardata da un punto di vista sostanziale - l'effettiva possibilità di prendere parte attiva ai lavori, incidendo sugli stessi, esprimendo le proprie argomentazioni e dichiarando la propria volontà o la conoscenza di fatti rilevanti per la deliberazione in modo chiaramente percepibile dagli altri componenti.
Nessuno di questi "segmenti partecipativi" (cognizione, ascolto, dialogo, confronto, dichiarazioni di scienza e di volontà), a ben vedere, è compromesso da una partecipazione a distanza del singolo Componente, a condizione che vengano adottati espedienti tecnici idonei ad assicurarne la piena realizzazione (idoneità che, ad es., può ritenersi assicurata attraverso una "partecipazione audiovisiva" in tempo reale, che consenta al Consigliere "a distanza" di interloquire con gli altri componenti, ascoltando la discussione e prendendovi parte attiva in modo percepibile da tutti gli altri componenti).
Se così è, evidentemente, risulterebbe argomento inutilmente formalistico quello secondo il quale la "presenza" richiesta dal Regolamento implicherebbe anche la necessità di una partecipazione fisica, di persona e sul posto, almeno tutte le volte in cui la partecipazione attiva e pienamente consapevole sia comunque possibile in altre forme, quali oggi consentite dagli strumenti e dalle attrezzature tecnologiche (rimanendone quindi escluse solo ipotesi peculiari, quali, ad es., un accesso fuori sede della Commissione, una verifica intesa a riscontrare condizioni oggettive di un dato luogo, di un ufficio, etc. Ma si tratterebbe, all'evidenza, di situazioni del tutto particolari, rispetto alle quali non appare possibile esprimere una preventiva valutazione di carattere generale, non diversamente da quanto dovrebbe dirsi - d'altra parte - della possibile ricorrenza di specifici impedimenti occasionali).
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Piuttosto, un problema d'ordine generale è dato dalla circostanza che, secondo la normativa regolamentare, «le sedute delle Commissioni non sono pubbliche» (art.29, comma 1, reg. int.).
Invero, la modalità verosimilmente più probabile di partecipazione a distanza (quella audiovisiva, con collegamento "bilaterale") renderebbe astrattamente possibile che terzi, presenti nel luogo di collegamento remoto, assistano "in diretta" alle attività della Commissione, nonostante che le stesse non siano pubbliche e non possano esserlo, salvo specifica delibera di Commissione ai sensi (e con i limiti) dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 29 Reg. int.
Né risultano agevolmente ipotizzabili misure precauzionali adatte a garantire con certezza che ciò non abbia luogo.
Nondimeno, va considerato che ciascun Consigliere ha, secondo espressa disposizione regolamentare (art. 34 Reg. int.) uno specifico obbligo di segretezza (pur se afferente a contenuti parzialmente diversi - e, per vero, più rigorosi - rispetto a quelli evocati dalla mera assenza di pubblicità dell'attività di Commissione, non pienamente sovrapponibile, evidentemente, alla segretazione delle attività consiliari); e tale obbligo, in particolare, riguarda contenuti persino più sensibili di quelli salvaguardati dalla mera assenza di pubblicità dell'attività di Commissione.
Sembra, allora, che il risultato voluto dalla disposizione regolamentare (assenza di
"pubblicità" dei lavori di Commissione) possa essere comunque conseguito affidandosi