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Consiglio Superiore della Magistratura Settima Commissione Commissione per l

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Academic year: 2022

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Relazione Lupi Pagina 1

Consiglio Superiore della Magistratura Settima Commissione

Commissione per l’Organizzazione degli uffici giudiziari

Incontro con i magistrati referenti per l’informatica (RID) e i magistrati di riferimento (Magrif)

Roma, Hotel Ergife - 26/28 maggio 2014

Il punto sull’informatica giudiziaria.

(dott. Pietro Lupi, MagRif del settore civile del Tribunale di Napoli).

A pochi giorni dalla prevista obbligatorietà nei giudizi civili del deposito telematico degli atti endoprocessuali di parte e della completa dematerializzazione della fase sommaria del procedimento per ingiunzione (artt. 633 e segg. c.p.c.) sono chiamato, insieme ad un Avvocato e ad un Dirigente Amministrativo, a fare il punto sull’informatica giudiziaria nella prima sessione di incontri del Corso RID/Magrif 2014.

Trattasi di un tema ampio ed impegnativo che mi limiterò, tuttavia, ad esaminare, così come mi è stato richiesto, prevalentemente dal punto di vista del settore civile considerata sia la mia formazione di giudice civile sia la mia specifica attività di MagRif all’interno del tribunale di provenienza, con brevi cenni al settore penale ed in particolare al SICP.

Proprio perché è oramai prossimo il 30 giugno 2014, data in cui scatterà (salvo proroghe o nuove disposizioni transitorie) l’obbligo, per le parti già costituite e per gli abilitati esterni in generale, del deposito telematico degli atti previsto dall’art. 16bis del d.l. n. 179/2012, affronterò in questa mia breve relazione l’attuale stato di sviluppo del processo civile telematico (PCT), tema attualissimo e

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che verrà esaminato sulla base della mia esperienza di magistrato di riferimento dell’informatica del più grande tribunale del Meridione d’Italia.

Dalla sperimentazione iniziata nel 2008 delle prime procedure monitorie telematiche ad oggi si sono fatti certamente enormi progressi nell’evoluzione dei programmi ministeriali utilizzati da cancellieri e magistrati pur se in settori, quali le esecuzioni, le procedute concorsuali ed il giudizio di appello, vi sia ancora molto da fare nonostante i recentissimi interventi.

Si può parlare oggi di PCT grazie alla progressiva informatizzazione dei registri di cancelleria, avvenuta concretamente negli ultimi anni e prevista dapprima dal D.M. 27/3/2000, n. 264, e poi dal D.M. 27/4/2009, che ha consentito la creazione di un imponente database all’interno del quale all’inizio sono state inserite soltanto le annotazioni riguardanti lo svolgimento del singolo procedimento mentre è ora possibile acquisire anche file contenenti le scansioni per immagini dei provvedimenti cartacei nonché gli atti redatti da magistrati, avvocati ed ausiliari direttamente in formato elettronico.

E così l’evoluzione degli applicativi di gestione di questi database permette oggi di effettuare direttamente, a mezzo PEC, le comunicazioni dall’ufficio all’utenza con indubbi vantaggi sia in termini di costi sia in termini di efficienza del servizio. Anche il programma in uso ai magistrati attinge dai registri informatici i dati necessari per la consultazione e la gestione del ruolo e per la redazione di provvedimenti direttamente in formato elettronico, così come sempre da questi dati si estrapolano le rilevazioni statistiche.

Il PCT, quindi, si fonda su dati la cui effettiva utilità è strettamente legata al loro corretto inserimento. L’esperienza della bonifica degli avvocati nei registri Sicid e Siecic ed ora anche degli Ausiliari rappresenta solo un esempio dell’importanza della corretta gestione del dato sulla quale ci si soffermerà in una successiva sessione di questo corso.

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Per assicurare la correttezza del dato è necessaria una specifica formazione del personale di cancelleria ed oggi anche degli avvocati ed, in genere,

dei cd. soggetti abilitati esterni. Invero, con l’accettazione da parte del cancelliere del deposito degli atti telematici trasmessi dagli avvocati o anche semplicemente con la lettura di una nota di iscrizione a ruolo redatta con apposito software generatore di codici a barre si implementano automaticamente i registri di cancelleria civili senza che sia più necessario un inserimento da parte del cancelliere che al più si limita a svolgere un’attività di controllo al momento dell’acquisizione o del successivo trattamento del dato. L’avvocato, in sostanza, concorre all’inserimento dei dati nei registri informatici ma gli evidenti vantaggi per il personale di cancelleria derivanti dall’uso della tecnologia non devono mai andare a detrimento della correttezza del dato ed è per questo motivo che ritengo che sia sempre necessario, attraverso un’adeguata e costante formazione, rappresentare a queste due categorie di soggetti fondamentali per l’esistenza del PCT, l’importanza dell’attività che sono chiamate a svolgere per lo sviluppo dell’informatica giudiziaria.

Non mi soffermerò oltre sugli applicativi utilizzati dal personale di cancelleria e dagli avvocati e sulla relativa formazione, di cui si occuperanno gli altri relatori, ma sulle dotazioni hardware e software dei magistrati e sulla loro formazione limitandomi soltanto a rilevare il ritardo nello sviluppo del Siecic (il registro delle procedure concorsuali ed esecutive) rispetto al Sicid (il registro del contenzioso civile e lavoro e della volontaria giurisdizione). Nel mio tribunale, ad esempio, si sta accumulando un ritardo di mesi per l’iscrizione di migliaia di procedure esecutive mobiliari perché il programma richiede l’inserimento manuale di numerosi dati per ciascuna procedura (a differenza del programma autoprodotto, utilizzato in passato, che consentiva una più veloce iscrizione).

Partendo dalla formazione dei magistrati ritengo, innanzitutto, sulla base della mia esperienza, ma penso che sia, comunque, opinione comune, che la

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formazione migliore sugli applicativi sia il cd. training on the job, cioè un’attività formativa svolta da personale qualificato sulla postazione del singolo giudice con il computer ed i fascicoli di quest’ultimo. L’esperienza di lezioni frontali a più discenti, tenute spesso quando questi ultimi non avevano ancora a disposizione il relativo programma installato sulla postazione di lavoro e talvolta anche da personale docente non all’altezza, si sono rilevate spesso una perdita di tempo e di denaro.

La formazione sui software deve, inoltre, essere permanente perché il continuo evolversi degli stessi, con l’inserimento di nuove funzioni, richiede un costante aggiornamento. Allo stato, invece, tutto ciò manca; anzi, capita che l’utente non sappia nemmeno dell’esistenza di nuove funzionalità ed, anche quando ne venga a conoscenza, l’apprendimento è lasciato alla sua intraprendenza o rimesso alla lettura sul video di un corposo manuale, quando questo sia effettivamente disponibile in rete.

Tuttavia, anche le sessioni di “training on the job” sono pur sempre limitate all’apprendimento dell’utilizzo del software mentre il PCT comporta soprattutto un notevole ampliamento del panorama normativo di riferimento per il lavoro di ogni singolo giudice.

Il PCT richiede, infatti, non solo la conoscenza della normativa specifica (DPR 123/2001, per chi lo ritiene ancora in vigore, DM 44/2001 e succ. modifiche;

d.l. 179/2012, ecc.) bensì anche lo studio della disciplina del documento informatico, delle copie e dei duplicati dello stesso, della firma digitale e delle comunicazioni e notificazioni a mezzo PEC.

Questo diverso tipo di formazione appare oltremodo necessaria già oggi, poiché il PCT è una concreta realtà in moltissimi tribunali e le notificazioni a mezzo PEC incominciano - e lo saranno sempre più - ad essere utilizzate dagli avvocati autorizzati dai rispettivi Consigli degli Ordini, considerate anche le recenti modifiche delle specifiche tecniche che consentono l’invio telematico all’ufficio

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della PEC e delle relative ricevute senza che sia più necessaria la stampa del messaggio, del suo contenuto e delle ricevute e l’attestazione di conformità prevista dall’art. 9, co1bis, della L. 53/94.

Oltre che urgente, questa formazione dovrà essere massiva, cioè dovrà interessare tutti i magistrati potenzialmente coinvolti nel PCT affinché non possa più accadere, come già avvenuto, che in corte di appello venga dichiarata nulla una sentenza di tribunale perché priva della sottoscrizione autografa del giudice in calce alla copia cartacea depositata dall’appellante mentre in realtà si trattava della copia cartacea di una sentenza sottoscritta digitalmente.

Ritengo, quindi, necessario uno sforzo ulteriore della Scuola Superiore della Magistratura ed, in particolare, delle strutture territoriali della formazione decentrata, che dalla prima dipendono, per continuare a diffondere capillarmente e costantemente la conoscenza di queste materie alla più amplia platea possibile di giudici, togati e non. Per questa finalità riterrei opportuna l’istituzione di una specifica figura di formatore decentrato che si occupi specificamente di questa nuova materia e che, sulla base delle indicazioni della SSM e di concerto con RID e Magrif, con il Ministero e con gli Ordini professionali, organizzi per i giudici ogni tipologia di formazione informatica, di natura sia tecnica sia giuridica.

Il tema della formazione anche sugli aspetti più squisitamente giuridici della materia mi induce ad alcune brevi riflessioni sul panorama normativo di riferimento. Innanzitutto, rilevo il dispersivo numero di provvedimenti, anche di rango diverso, all’interno del quale si devono ricercare le regole del PCT. Solo per citarne alcune: la Legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3), il Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (il cd. C.A.D.), il D.P.C.M. 2 novembre 2005 (Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche

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temporale, della posta elettronica certificata), l’art. 4 del Decreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni in legge 22 febbraio 2010, n.

24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), il D.M.G.

21 febbraio 2011, n. 44, con le modifiche apportate dal D.M.G. 209/2012 e dal D.M.G. 48/2013 (Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione), il Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16 aprile 2014 (Specifiche tecniche previste dall'art. 34, c.1, D.M. 44/2011), il Decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n.

221 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese) e non ultimo il codice di procedura civile.

Specie per facilitare l’apprendimento da parte di tutti gli operatori sarebbe auspicabile una razionalizzazione delle fonti normative così come dovrebbe mettersi mano ad una revisione degli istituti processuali previsti dal codice di rito per adattarli alle nuove forme di comunicazioni tra il giudice e le parti nell’ottica dell’eliminazione dei tempi morti del giudizio. Perché, ad esempio, se viene da una parte richiesta la correzione di una sentenza entro l’anno della pronuncia, continuare ad onerare la stessa della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza richiamando l’art. 170 c.p.c. e non, invece, disporre che sia l’ufficio, sul quale ricade peraltro solitamente la responsabilità dell’errore, a comunicare/notificare l’istanza ed il provvedimento del giudice tramite PEC agli altri procuratori che erano costituiti in quel giudizio? Se il giudizio era sospeso, perché la sua prosecuzione, previo impulso di parte, non potrebbe essere gestita dal giudice e dalla sua cancelleria sempre tramite PEC ai procuratori già costituiti?

Ed allo stesso modo si potrebbe provvedere nel caso di istanza, presentata dalla parte che aveva subito l’evento interruttivo, per la comunicazione del provvedimento di fissazione dell’udienza per la prosecuzione della causa ai sensi dell’art. 302 c.p.c.. Un altro esempio ancora potrebbe essere quello del ricorso al

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giudice ex art. 92 disp. att. c.p.c. per l’esame di questioni sorte durante le operazioni del consulente tecnico: si potrebbe prevedere espressamente che sia il giudice, tramite la cancelleria, a convocare le parti costituite per i provvedimenti opportuni senza onerare la parte istante di notifiche (soluzione questa, per la verità, alla quale, nel silenzio della norma, si potrebbe arrivare già oggi anche in via interpretativa).

In particolare, riguardo alle fonti, occorrerebbe un intervento normativo chiarificatore sulla sorte del DPR 123/2001, il primo testo che ha disciplinato il PCT.

Come è noto a chi si occupa della materia, l’art. 4 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni nella legge 2 febbraio 2010, n. 24, aveva previsto al primo comma che, con uno o più decreti del Ministro della giustizia adottati ai sensi dell'articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione di questo decreto legge, sarebbero state individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile (e nel processo penale) delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ed aggiungeva, all’ultimo periodo, che le vigenti regole tecniche del processo civile telematico si sarebbero continuate ad applicare fino alla data di entrata in vigore di detti decreti.

All’epoca, in effetti, le regole tecniche in vigore erano quelle di cui al D.M.

17 luglio 2008 (pubblicato nella G.U. del 2-8-2008 n. 180). Sennonché l’art. 37 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, emanato (con ritardo) proprio in virtù del disposto dell’art. 4 appena citato, ha stabilito che dalla data di entrata in vigore del medesimo cessavano di avere efficacia nel processo civile non solo le disposizioni del D.M. 17 luglio 2008 ma anche quelle del decreto del DPR 123/2001, e ciò, come rilevato da molti, in violazione del disposto dell’art. 17, co. 3, terzo periodo, della L. 400/1988 secondo il quale i regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.

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Non si tratta di una mera disquisizione sulla gerarchia delle fonti e sulla qualificazione o meno del DPR 123/2001 come testo normativo che disciplini unicamente “regole tecniche”, ma di una questione che ha importantissimi sviluppi pratici per il PCT in generale e per l’organizzazione del lavoro di cancellerie e giudici in particolare.

Solo per fare due esempi:

l’art. 12, co. 3, del DPR 123/2001 dispone per i cancellieri che “la formazione del fascicolo informatico non elimina l'obbligo di formazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo” mentre l’art. 9 del D.M. 44/2011 stabilisce che “la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo” esimendo, quindi, dalla tenuta di un doppio fascicolo, cartaceo ed informatico, di eguale contenuto;

per i giudici “telematici”, invece, si segnala che l’orientamento che si sta diffondendo sull’escussione dei testimoni e sui conferimenti degli incarichi agli ausiliari senza fare sottoscrivere il verbale - come prescrive, invece, l’art. 126 c.p.c.

(e per i mezzi di prova anche l’art. 207 c.p.c.) - dando atto, così come consente sempre l’art. 126, dell’impossibilità per questi soggetti di sottoscrivere digitalmente il verbale, che viene, quindi, firmato unicamente dal giudice, non potrebbe essere seguito perché l’art. 5 del DPR 123/2001 stabilisce che, se non è possibile procedere alla sottoscrizione in forma elettronica da parte dei testimoni, il processo verbale è redatto o stampato su supporto cartaceo, sottoscritto nei modi ordinari e allegato al fascicolo cartaceo mentre la copia informatica del processo verbale è allegata al fascicolo informatico.

Ritengo, quindi, opportuno su quest’ultimo punto un intervento normativo chiarificatore.

In questo contesto normativo, nuovo e complicato, appaiono più che giustificati i numerosissimi protocolli sul PCT elaborati da commissione congiunte formate da magistrati, cancellieri ed avvocati ed adottati nei tribunali italiani.

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Passo ora ad esaminare i software - o, meglio, dopo il tentativo, allo stato fallito, di introdurre un programma alternativo (MagOffice) - l’unico software attualmente in uso ai giudici civili italiani per il PCT, la Consolle del Magistrato. La possibilità di utilizzare questo programma anche sui portatili messi nel tempo a disposizione del Ministero e, quindi, anche fuori dal dominio giustizia ha aperto finalmente nuovi scenari per il lavoro del giudice non più necessariamente legato, per l’esame degli atti e del ruolo e per il deposito dei provvedimenti, alla presenza fisica in ufficio. Tuttavia, è un programma complesso e poco intuitivo e che richiede ancora molti interventi migliorativi specie nei ruoli “fallimentare” e delle esecuzioni dove probabilmente sconta anche i numerosi problemi che si riscontrano nel Siecic, dal quale attinge i dati. Inoltre, la scelta di adottare, presumo per motivi di sicurezza, un programma installato sulla macchina e non web-based impegna l’amministrazione nell’acquisto di macchine, nella loro non semplicissima configurazione e nella loro manutenzione.

Sempre a proposito della Consolle del Magistrato rilevo che, sebbene sia diventata lo strumento di lavoro oramai irrinunciabile di sempre più numerosi giudici (al 30 aprile 2014, secondo gli ultimi dati del Ministero, i magistrati che avevano depositato almeno un provvedimento telematico nell’ultimo anno erano diventati 2.145 con un incremento del 41% rispetto ai dati di fine febbraio 2014), rimane ai più oscura la gestione del suo sviluppo e quali siano le priorità adottate per le modifiche che periodicamente vengono apportate.

Sicuramente esisteva sino a poco tempo fa una commissione ministeriale (la cd. Commissione Consolle), alla quale partecipavano anche magistrati, che aveva essenzialmente una funzione di analisi delle modifiche a farsi e non un effettivo potere propulsivo. Occorrerebbe al più presto ripristinarla, consentendo ai giudici ed ai tecnici di stabilire quali siano le priorità di intervento e di filtrare ed esaminare le numerosissime istanze di modifiche correttive ed evolutive che

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provengono dagli utenti. Questa commissione dovrebbe, inoltre, essere dotata di effettivi poteri nei rapporti con il fornitore. Ritengo che la questione attenga pur sempre all’autonomia della Magistratura sotto il profilo dell’organizzazione e dell’efficienza del lavoro del giudice e degli uffici giudiziari; anzi, orami si può dire che riguardi che l’effettivo esercizio della giurisdizione.

Non intendo soffermarmi oltre sulla Consolle, ma mi preme in questa sede sottolineare unicamente un’attuale disfunzione che ritengo molto grave: quella del non corretto funzionamento della “ricerca giurisprudenziale” sui provvedimenti nativamente digitali depositati nel distretto di appartenenza. A Napoli dal 22 febbraio, in occasione della periodica patch di aggiornamento dei sistemi, l’archivio di giurisprudenza, che si stava andando formando (più di mille provvedimenti) e sui quali è possibile ancora oggi effettuare la ricerca testuale, non si implementa più. Sono a conoscenza che lo stesso problema si è verificato, e talvolta anche prima, in altri distretti. Questa funzione, se fosse effettiva e completa (ad esempio, a Napoli non si riescono a caricare le sentenze di lavoro), sarebbe un formidabile veicolo di trasmissione degli orientamenti della giurisprudenza e consentirebbe di fare apprezzare sempre di più il programma anche a coloro che lo utilizzano con riluttanza o che ancora non lo utilizzano.

L’argomento del software introduce le connesse questioni delle dotazioni hardware e dell’assistenza.

Presso il mio tribunale è arrivata, proprio in questi ultimi giorni, la seconda fornitura di portatili Lenovo e di schermi da 22” per il PCT, acquistata dal locale CISIA, che fa seguito alla prima fornitura dell’anno scorso alla quale era abbinata, oltre allo schermo, anche una stampante multifunzione. Si tratta complessivamente di 128 macchine (a fronte di n. 162 magistrati del settore civile e lavoro) e di 61 stampanti multifunzione che consentiranno ad altrettanti magistrati la disponibilità di strumenti adeguati per il PCT. Resta, comunque, da

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assicurare anche agli esclusi, ivi compresi i giudici onorari, macchine adeguate, poiché la Consolle richiede per essere performante una RAM di almeno 4GB, schermi grandi (per evidenti problemi alla vista che potrebbero scaturire) e stampanti capaci a basso costo di stampare ciò che il giudice non intende esaminare sul video.

Anche recuperando altrettante postazioni fisse dagli assegnatari dei portatili (così abbiamo disposto a Napoli per necessità), si è in grado soltanto di sostituire le macchine più obsolete con altre macchine meno datate su moltissime delle quali, tuttavia, è ancora installato il sistema operativo XP che dall’8 aprile di quest’anno, com’è noto, non è più aggiornato dalla Microsoft.

Il problema è ancora più grave per le cancellerie che si trovano a gestire il PCT con un parco macchine quasi del tutto obsoleto e con un magazzino praticamente vuoto che, con moltissima difficoltà, riesce a soddisfare, ma sempre con macchine vecchie recuperate, le continue richieste di sostituzione.

Suppongo che, in un periodo di contenimento della spesa come quello attuale, tutto ciò si stia verificando anche in molti altri uffici e ritengo, quindi, necessario un ulteriore sforzo da parte del Ministero nell’assicurare una dotazione hardware adeguata a tutti gli uffici ai fini di uno effettivo sviluppo del PCT.

Collegato alle dotazioni hardware è l’argomento dell’infrastruttura e sul punto l’esperienza di Napoli è esemplare. Da diversi mesi - ma forse proprio in questi ultimi giorni il problema potrebbe essere stato risolto grazie all’intervento del DGSIA - il distretto subisce improvvise e talvolta prolungate interruzioni dei servizi: si bloccano il Sicid, il Siecic e la Consolle del Magistrato. Spesso si è verificato nel tardo pomeriggio impendendo ai magistrati ed agli avvocati di depositare telematicamente; altre volte è accaduto di mattina paralizzando per ore l’attività di cancelleria con gravissime ripercussioni sui tempi di attesa dell’utenza e sul disbrigo del lavoro quotidiano ed, in particolare, delle urgenze. La causa non è mai stata chiarita nonostante il tribunale abbia ripetutamente e

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prontamente segnalato ogni disfunzione e richiesto informazioni anche direttamente al Ministero: si sono prospettati in via ufficiosa problemi legati all’alto numero di accessi in particolari orari da parte di soggetti abilitati esterni per la consultazione dei registri oppure l’utilizzo di programmi, quali il SIPD per la bonifica dei dati, che rallentano i sistemi o, ancora, l’attività di invio delle comunicazioni concentrate in determinati orari.

La domanda, che molti degli attuali e diversi utenti del PCT si pongono, è se l’infrastruttura sia in grado di reggere al traffico che si produrrà dal 30 giugno 2014. Il Ministero ha più volte rassicurato sul punto descrivendo gli interventi che sono stati fatti sulla rete ma anche evidenziando la necessità di altri interventi già programmati e che sarebbero ancora in corso per l’ampliamento della banda di trasmissione dati. Il timore è che, quando invece di 20.000 avvocati (pressappoco il numero complessivo di avvocati del solo distretto di Napoli) che depositano, alcuni sporadicamente, in modalità telematica, questi saranno diventati 150.000 o oltre, il sistema possa accusare contraccolpi come quelli che nel nostro piccolo ha già patito il Distretto di Napoli.

Con estrema cura dovrà poi essere assicurata dal Ministero sia la conservazione di questa enorme massa di dati in data sia la rapida capacità di ripristino in occasione di eventi non previsti che comportino il blocco dei sistemi.

Ancora, ma non per ultimo, vi è il problema dei continui aggiornamenti dei programmi che comportano – solitamente una volta al mese ma talvolta anche due - interruzioni di servizi anche in orari – si pensi al venerdì pomeriggio – in cui, quantomeno, i giudici sono ancora al lavoro dopo l’udienza. Spesso, poi, questi aggiornamenti creano problemi e richiedono nuovi interventi manutentivi con ulteriori sospensioni dei servizi.

Passando al tema dell’assistenza, è questo, probabilmente, l’aspetto attuale più critico non solo del PCT ma di tutta l’informatica giudiziaria in generale.

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All’interno dei tribunali l’assistenza è solitamente fornita da società esterne che nel tempo cambiano e non sempre i tecnici già a lavoro sono assorbiti dalle nuove società. Ciò comporta ogni volta la perdita di quel bagaglio di conoscenze per la soluzione dei problemi più ricorrenti che inevitabilmente si viene a formare con l’esperienza sul campo. Considerata l’adozione di registri informatici sia nel civile sia nel penale e l’oramai avviata informatizzazione di tutti le attività giudiziarie ed amministrative, auspicherei, appena ciò sarà possibile, l’assunzione da parte del Ministero di personale tecnico qualificato in grado di assicurare una presenza costante all’interno del singolo ufficio.

L’esperienza del mio tribunale ha evidenziato come, con riguardo al PCT, l’unica valida assistenza sul funzionamento dei programmi, sia quella offerta dal personale CISIA, i cui uffici si trovano nel medesimo edificio, mentre l’assistenza interna si occupa e con difficoltà, per la mole di richieste, di installazioni di macchine e programmi e di interventi di ripristino. Occorre, inoltre, che il numero di tali addetti sia adeguato. Si pensi che nell’intero tribunale di Napoli vi sono circa mille postazioni, tra giudici ed amministrativi, e i tecnici dell’assistenza interna non superano le quattro unità ed anche i tecnici del CISIA sono in numero molto ridotto.

Per il PCT si pone poi il problema dell’assistenza a tutti quei giudici che operano sui portatili dall’esterno e che non hanno allo stato riferimenti se non la possibilità di telefonare o scrivere ai colleghi più esperti, di mandare richieste di aiuto nelle mail list o di provare a chiamare, se è ancora orario, l’assistenza interna o il Cisia. Il Ministero ha annunciato sul punto che si sta approntando con un fornitore privato un servizio di assistenza via telefono che coprirebbe buona parte della giornata. Occorre augurarsi che ciò avvenga al più presto possibile e che la qualità del servizio sia all’altezza delle esigenze.

Per concludere sul PCT ma con valutazioni che valgono anche per l’informatizzazione del penale, volevo soffermarmi su un aspetto generale che

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ritengo necessario focalizzare. In questi ultimi anni si è sempre più spesso parlato di diffusione dell’informatica nei tribunali “a macchia di leopardo” ed i dati lo hanno ampiamente confermato. Più che la solita differenza tra Nord e Sud, che comunque continua ad esserci, si riscontrano in tutte le regioni rilevanti differenze sullo stato di informatizzazione anche tra tribunali con circondari confinanti.

Questo è probabilmente il frutto di un mancato governo centralizzato dello sviluppo del PCT e dell’informatica giudiziaria in generale. Dove vi erano persone attirate dallo sperimentare le nuove tecnologie ed i vantaggi da essere derivanti ed in grado di farlo, anche economicamente, spesso con l’appoggio dei cd.

“stakeholders”, si è partiti mentre in altre realtà si è rimasti in attesa di un intervento dal centro che, forse, soltanto in questi ultimi mesi, con l’approssimarsi del 30 giugno 2014, è arrivato nelle forme e nei contenuti idonei a gestire questo epocale cambiamento.

Ritengo che il PCT, così come anche il SICP, richieda un nuovo e più efficace sistema di governo del suo sviluppo, non solo per l’attuale fase di transizione dall’analogico al telematico, ma anche e soprattutto per la gestione ordinaria dell’informatica giudiziaria; occorre, cioè, un sistema finalizzato ad una diffusione uniforme di quest’ultima sul territorio nazionale per offrire a tutti gli operatori ed all’intera popolazione i vantaggi che da essa derivano.

Passando al penale, mi soffermerò, grazie alle informazioni assunte nel corso delle riunioni dell’ufficio per l’innovazione del mio tribunale e per le sue affinità con il PCT, esclusivamente sullo sviluppo nell’esperienza napoletana del SICP (Sistema Informativo Cognizione Penale) che è nato per sostituire i registri

cartacei ed al contempo, integrandoli, tutti gli applicativi attualmente esistenti che gestiscono singoli settori del processo penale. Il SICP è finalizzato a gestire l’intera vita del processo penale di cognizione dalla notizia di reato fino all’esecutività della

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sentenza con l’obiettivo di integrare le attività di cancelleria con le attività del magistrato.

Questo programma è utilizzato dal 2008 presso il Tribunale di Napoli perché sede pilota insieme ad altri tre tribunali italiani e da poco è stato adottato come unico registro nazionale.

L’esperienza napoletana ha, tuttavia, evidenziato problemi nella gestione legati: all’organizzazione interna degli stessi uffici; alle cd. false pendenze, la cui soluzione è stata affrontata con notevole ritardo ed allo stato è stata quasi completamente risolta grazie all’intervento del DGSIA; alla bonifica delle assegnazioni dei fascicoli; alla discrasia tra fascicoli che risultano ancora pendenti e che invece sono definiti; alla rigidità dell’assetto delle cancellerie che non si sono adeguate all’innovazione offerta dall’applicativo ed in generale all’innovazione tecnologica; alla mancanza di formazione iniziale che ha generato modalità di utilizzo non omogenee.

Vi sono poi problemi legati alla funzionalità ed allo sviluppo del programma, tra cui spiccano: le difficoltà di utilizzo corretto del modulo atti e documenti (applicativo di word che consente la redazione di atti estraendo i dati contenuti nel sistema e restituendoli modificati o integrati) che rende arduo l’utilizzo del sistema in maniera differente da un mero registro (per quanto informatico invece che cartaceo), impedendo di sfruttare al meglio le innumerevoli potenzialità del sistema; l’impossibilità per i magistrati di utilizzare consolle per la gestione del ruolo; la lentezza con cui avviene l’upgrade del software (nel febbraio 2014 era stata inviata agli uffici una nuova patch di sistema, la n. 6.28, per la sperimentazione in pre-esercizio della nuova versione che è invece fu sospesa per i bug riscontrati); la lentezza di funzionamento di alcune attività (come lo scarico delle impugnazioni), problematica non risolvibile dal CISIA e dalla locale assistenza e di cui è stata investita la DGSIA; la formazione del personale amministrativo e di magistratura; alle modalità di inserimento dei dati nelle varie fasi procedimentali

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(posto, infatti, che ciascuno è titolare delle attività legate alla fase, ogni modifica successiva o l’erroneo o impreciso inserimento iniziale, presuppongono o un provvedimento di modifica ovvero l’apertura di un ticket e, comunque, un aggravio di lavoro per il personale amministrativo che interviene nella fase successiva); il mancato avvio in esercizio dei Tribunali e delle Procure del Distretto e della Corte di Appello che incide, aggravandola, sulla tenuta dei registri della Corte di Assise e di tutte le cancellerie nella trasmissione degli atti in secondo grado in modalità diverse (problema in via di risoluzione in ragione dell’avvio in esercizio del sistema in tutto il distretto entro il 2014); i problemi legati alla mancata integrazione dei vari sistemi in uso per il settore penale (la nuova versione 7.00 dovrebbe risolvere alcuni di questi problemi).

L’integrazione del SICP attraverso la piattaforma documentale permetterà lo scambio dei dati per la creazione del fascicolo digitale e l’aggiornamento degli eventi del processo e l’integrazione del gestore documentale TIAP in SICP (prevista con la versione 7 del SICP) consentirà un passo in avanti quanto alle modalità di accesso agli atti ed alla archiviazione degli stessi.

Infine, nel tribunale di Napoli è in fase di sperimentazione l’utilizzo di SICP in udienza da parte del personale amministrativo che consentirà l’aggiornamento in tempo reale dei dati; il che, tuttavia, presuppone la dotazione di pc portatili da portare in aula, il collegamento di rete in ogni aula di udienza, il collegamento ad una stampante, la possibilità di utilizzare uno scanner in aula per le produzioni documentali da inserire in TIAP.

Dei moduli di SICP sono attualmente in uso a Napoli esclusivamente il Siris e la Consolle che consentono la estrazione, rispettivamente, dei dati di rilievo per le ispezioni ministeriali, per le commissioni flussi e per il capo dell’ufficio e dei dati di rilievo statistico per la Direzione generale delle statistiche.

Non è ancora funzionate il modulo “atti e documenti”, un applicativo di word che consente la formazione di modelli utilizzando “variabili” che estraggono i

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Relazione Lupi Pagina 17

dati direttamente da SICP ed il successivo invio al sistema stesso. L’applicativo, regolarmente utilizzato nei distretti di Genova, Firenze e Palermo, non è ancora correttamente in esercizio presso questo tribunale. Sono stati riscontrati, infatti, innumerevoli problemi legati prima all’installazione del programma sulle postazioni di lavoro ed attualmente al funzionamento delle cd. variabili dei modelli (allo stato sono in corso di istallazione e diffusione - previo adattamento alle esigenze del Tribunale di Napoli - i modelli utilizzati nel distretto di Firenze).

Non sono invece in uso la “Consolle del Giudice”, modulo che permetterebbe un controllo dei procedimenti assegnati a ciascun giudice (cruscotto del ruolo del magistrato), o a ciascun gruppo di lavoro o sezione dibattimentale, con filtri per materia, data iscrizione, reato, indagati etc. con l’inserimento di una serie di allarmi personalizzati in base alle esigenze del magistrato né l’ “Agenda del magistrato”, modulo per la gestione delle udienze e degli impegni lavorativi del magistrato, del Presidente di Sezione e del Capo dell’Ufficio Giudiziario.

In conclusione, sia nel civile sia nel penale il cambiamento è già in atto e molti obiettivi sono a portata di mano. Ritengo che sia proprio questo il momento di investire nuove risorse perché non si disperdano le conoscenze già acquisite e si vanifichino i risultati conseguiti che, specie nel settore civile, possono dirsi di sicura evidenza.

Pietro Lupi

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