Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari
Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”
Corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione
Classe LM-92
Tesi di laurea
Come si comunica l’innovazione:
l’analisi delle presentazioni di Elon Musk
Relatore Laureando Prof. Marco Bettiol Marco De Gaspari n° matr.1155659 / LMSGC
Indice
Introduzione ... 3
1. IL MARKETING ... 7
1.1 Le basi del marketing ... 7
1.2 Il processo di marketing: fase analitica ... 12
1.3 Il processo di marketing: fase operativa ... 23
1.4 Il processo decisionale di acquisto ... 27
1.5 Brand management ... 35
2. IL MARKETING 2.0 ... 39
2.1 Elementi di discontinuità ... 39
2.2 L’economia dell’esperienza ... 49
2.3 Innovazione ... 53
2.4 Verso un nuovo brand management ... 56
2.5 Lo storytelling ... 59
3. LA COMUNICAZIONE DI ELON MUSK ... 65
3.1 L’analisi del contenuto ... 65
3.2 Il corpus ... 69
3.3 I risultati: analisi lessicale ... 80
3.4 I risultati: analisi delle classi semantiche ... 105
Conclusioni ... 131
Bibliografia ... 139
Introduzione
Il presente contributo si pone come la conclusione di un percorso di studi universitari, vale a dire la tesi di laurea magistrale in strategie di comunicazione. Pensiamo sia bene ribadire fin dal principio che la comunicazione rappresenta una disciplina frutto dell’interazione fra diversi altri ambiti accademici. Essa, infatti, trattandosi di una materia a stampo umanistico, ha come oggetto d’interesse la persona in sé, il suo modo di stare nel mondo e in contatto con le altre persone. In particolare, la comunicazione si concentra sulle modalità per creare un contenuto, dando forma a un’idea, e per trasmettere efficacemente questo contenuto. Per queste ragioni, per la sua ampia prospettiva nel modo di porsi verso i suoi oggetti di studio e, infine, per i suoi approcci di natura pluridisciplinare e interdisciplinare, essa può essere applicata agli ambiti più disparati.
L’obiettivo dell’elaborato è quello di fornire una lettura di un fatto economico da una prospettiva umanistica. Nello specifico, abbiamo voluto condurre una piccola ricerca riguardo allo stile comunicativo di una certa figura imprenditoriale. Ci stiamo riferendo a Elon Musk, amministratore delegato di SpaceX, Tesla Inc. e altre aziende dall’alto tasso d’innovazione tecnologica. Abbiamo voluto analizzare tramite metodi qualitativi e quantitativi di analisi dei testi il suo stile oratorio e il suo modo di relazionarsi con le persone. Abbiamo, quindi, preso in considerazione e analizzato alcune delle sue presentazioni, tenute in pubblico dal 2013 al 2017.
La tesi è articolata in due parti. Nella prima parte, la quale comprende i capitoli uno e due, il discorso è incentrato sul marketing. Nella seconda parte, invece, la quale comprende il capitolo tre, il discorso si sposta sull’analisi del contenuto e sulla presentazione della ricerca condotta e dei suoi risultati.
Iniziamo con un’introduzione sul marketing, esposta nel primo capitolo. Abbiamo pensato di dare le definizioni fondamentali e d’illustrare i principi alla base del marketing, in modo da avere a disposizione i fondamenti teorici per affrontare i capitoli successivi. Oltre a ciò, si parla anche di processo di marketing e di processo decisionale d’acquisto. Il capitolo si conclude con la teoria circa la gestione di una delle più importanti risorse a disposizione delle aziende, cioè il marchio.
marketing tradizionale, il capitolo affronta la trattazione dei temi più importanti del marketing 2.0: dall’economia dell’esperienza, al tema dell’innovazione e le sue caratteristiche, fino alle nuove tendenze in materia di gestione del marchio. Il capitolo si conclude con un paragrafo dedicato allo storytelling, una tecnica comunicativa sempre più utilizzata in diverse discipline e nella vita di tutti i giorni. Cercheremo di capire le ragioni della sua efficacia, oltre a descriverne i tratti peculiari, i quali saranno oggetto d’indagine nell’analisi del contenuto.
Infine, nel terzo e ultimo capitolo, in primo luogo presentiamo la teoria alla base dell’analisi del contenuto. Spieghiamo di cosa si tratta, dando le definizioni fondamentali e mostrando i concetti utilizzati nella ricerca. In secondo luogo, passiamo all’esposizione vera e propria delle analisi condotte e dei risultati ottenuti, corredati da alcune riflessioni personali in ottica di marketing. L’intero discorso è costruito in modo tale da cercare di unire le due prospettive, economica e linguistica. Al termine del capitolo si trova una parte dedicata alle osservazioni finali e ai possibili filoni di ricerca per future analisi o eventuali approfondimenti.
Capitolo 1
IL MARKETING
In questo primo capitolo, e in parte nel prossimo, vogliamo fornire una panoramica sul quadro di riferimento teorico alla base di questo lavoro.
Iniziamo definendo il marketing ed esponendo le sue principali caratteristiche. Il campo d’azione del marketing spazia per ambiti molto diversi e molto ampi. Nella nostra trattazione andiamo a parlare di quegli aspetti che secondo noi costituiscono il denominatore comune per una buona gestione d’impresa in termini di marketing e di comunicazione. Vogliamo, quindi, mostrare nei prossimi paragrafi i fondamenti del marketing e i processi alla sua base, insieme a dei cenni sul comportamento dei consumatori e sulla gestione del brand.
1.1 Le basi del marketing
quale deve sapersi mettere in relazione con il mercato e la società. La creazione di valore non mira solamente al beneficio dell’impresa stessa, ma anche, in un’ottica più ampia, dal momento che essa si trova inserita in un ambiente complesso e in continuo divenire, a quello di tutti i portatori d’interesse nei confronti delle attività dell’impresa. Fanno parte di questo gruppo di attori, per citarne alcuni a titolo esemplificativo, i clienti, i fornitori, i distributori, gli investitori, i concorrenti, le autorità (Fiocca e Sebastiani, 2015).
La generazione di valore ci porta al punto fondamentale, rappresentato dalla soddisfazione del cliente. Un cliente soddisfatto, infatti, molto probabilmente potrà ripetere un acquisto in futuro. Inoltre, può anche porsi come un portavoce dell’impresa. Tutto ciò si traduce in un vantaggio competitivo duraturo per l’impresa. Con ciò intendiamo la capacità di generare valore differenziale per il cliente, rispetto ai concorrenti. Si tratta di una posizione privilegiata e protetta pro tempore dai mutamenti dell’ambiente esterno, come per esempio le fluttuazioni della domanda e dell’offerta (Porter, 1980). Più un’impresa è in grado di difendere questa posizione, maggiore potrà essere la sua redditività. Il valore si diffonde per tutta la rete dei portatori d’interesse, fino a raggiungere e a beneficiare la società nel suo complesso. Questo può darci un’idea circa l’importanza della soddisfazione del cliente e del favorire atteggiamenti positivi da parte sua verso l’impresa.
per cercare di chiarire e prendiamo in considerazione Tesla Inc. Nel sito web aziendale ci viene specificato che la missione dell’impresa è rappresentata dalla volontà di porsi come promotore del cambiamento verso l’energia pulita e rinnovabile. La sua visione, invece, è quella di diventare un punto di riferimento all’avanguardia nel settore automobilistico e dei trasporti. Perciò, queste due fondamentali linee guida verranno in seguito tradotte in una strategia di marketing coerente con i comportamenti dell’azienda.
Una volta definite missione e visione, l’impresa può decidere fra diversi orientamenti, cioè modi di porsi. Passiamoli brevemente in rassegna, secondo la tradizionale classificazione proposta da Kotler e altri autori (2015).
l’ottimizzazione dei processi di acquisizione, elaborazione e interpretazione delle informazioni. Significa saper interagire con il cliente, capire chi sia, i suoi bisogni, il suo processo di decisione dell’acquisto e quello di consumo, in modo tale da creare una relazione fidelizzata che si traduce in un consolidamento della quota di mercato.
Questi quattro tipi di orientamento rappresentano dei modelli ideali. Nella realtà è molto più facile trovare imprese che ne adottano più di uno e in gradi diversi. Molto dipende dalle caratteristiche intrinseche dell’impresa, dalla cultura aziendale, dal settore nel quale opera, dalle forze esterne. Per quanto riguarda Tesla, per esempio, possiamo ipotizzare che essa principalmente adotti un orientamento al prodotto, unitamente a un orientamento alla vendita. Possiamo affermare ciò poiché, stando a quanto riportato nel sito web aziendale, in primo luogo essa si pone come un’azienda innovatrice, la quale sta investendo molto in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi prodotti. In secondo luogo, possiamo notare una precisa volontà di controllo diretto sui punti vendita. Non troviamo, infatti, le classiche concessionarie gestite da terzi, ma dei Centri Tesla, direttamente sotto il controllo della sede centrale, nei quali i clienti sono a contatto diretto con il personale dell’azienda. Vediamo, dunque, che questa scelta, diversamente da quanto accade comunemente per il settore automobilistico, denota una certa volontà di gestione dei presidi sul territorio.
interazione con i portatori d’interesse. Recentemente, assistiamo all’emergere di un nuovo orientamento da parte delle imprese, l’orientamento al marketing sociale. Le aziende, infatti, non sono responsabili solamente dei propri prodotti o servizi, ma sono anche corresponsabili dell’ambiente nel quale sono inserite. Perciò, questo tipo di orientamento è verso la creazione di relazioni sia profittevoli, sia allo stesso tempo socialmente responsabili. Inoltre, prestare attenzione all’ambiente può essere anche un modo per risparmiare qualcosa.
grandi multinazionali e le piccole imprese, per esempio. È chiaro che le prime possono contare su metodologie, strumenti e risorse dalla portata ben più ampia rispetto alle seconde, le quali in alcuni casi nemmeno sanno di che cosa si tratti il marketing. Infine, il processo di marketing richiede anche un certo grado di creatività riguardo all’interpretazione dei dati raccolti. Per poterne beneficiare in modo opportuno, infatti, bisogna considerare il contesto nel quale l’impresa opera e adattare i ragionamenti sui dati di conseguenza. Vediamo, ora, di descrivere e spiegare questi due importanti momenti del processo di marketing.
1.2 Il processo di marketing: fase analitica
La prima fase consiste in uno studio analitico per acquisire le informazioni necessarie alla seconda fase, quella operativa. Abbiamo, perciò, un’analisi di settore per indagare il lato dell’offerta. Per esempio, per conoscere da quali componenti è formata l’offerta. Oltre a ciò, si affianca un’analisi della domanda di mercato per indagare circa il suo stato, il comportamento del cliente e i suoi bisogni. In questo modo, durante la fase successiva, diventa possibile operare la segmentazione della domanda, cioè il raggruppamento, secondo certi parametri, dei consumatori in insiemi omogenei internamente ed eterogenei esternamente. Da ciò l’azienda può capire quale sia la fonte del suo vantaggio competitivo e il suo posizionamento nel mercato.
costantemente attivo, deve essere possibile intervenire prontamente dove richiesto. Gli effetti dell’intervento si propagano a ridefinire e migliorare l’intero processo.
Durante la fase analitico conoscitiva, si studiano anche le caratteristiche dell’ambiente, il quale può essere diviso in due categorie (Fiocca e Sebastiani, 2015). Abbiamo da un lato l’ambiente esterno, nel quale il ruolo dell’azienda è più limitato e può intervenire con margini molto ridotti. Pensiamo alle tendenze di mercato, per esempio, rispetto alle quali l’impresa può gestire, non esercitare un controllo. Al massimo essa potrebbe generare una tendenza, per esempio introducendo un’innovazione tecnologica. Dall’altro lato abbiamo l’ambiente interno, il quale riguarda le caratteristiche dell’azienda e nel quale essa può assumere un ruolo attivo nel modellarlo.
ogni fase del processo produttivo, con la propria forza lavoro e il proprio bagaglio di competenze e conoscenze. Nel microambiente, oltre all’azienda, ai concorrenti, ai fornitori e ai clienti, possiamo trovare anche altri attori che interagiscono con l’impresa. Tra di essi citiamo gli influenzatori, i quali non sono coinvolti direttamente. Possiamo considerare che intervengano ugualmente, poiché si tratta di clienti che influenzano l’acquisto da parte di altri clienti, per esempio rendendosi portavoce dei valori aziendali. A loro si aggiungono anche i facilitatori, cioè quegli attori che facilitano un processo di vendita, come, per esempio, nel caso dell’e-commerce, un’azienda che si appoggia a un’altra di sistemi di pagamento online. Inoltre, è possibile individuare due tipi di relazioni, quelle verticali, le quali avvengono lungo la filiera produttiva, dal fornitore di materie prime a monte al cliente finale a valle, e quelle orizzontali tra impresa e concorrenti.
in grado di fare efficacemente, i luoghi nei quali è forte. Viceversa, dove si notano carenze, siamo in presenza dei punti di debolezza. Esempi di punti di forza oppure debolezza possono essere il valore percepito del marchio, il livello di fidelizzazione della clientela, i processi distributivi, le economie di scala. Ampliando la portata del ragionamento a livello esterno, le opportunità sono rappresentate da tutti i potenziali campi nei quali l’impresa potrebbe espandersi oppure da occasioni che potrebbe cogliere e sfruttare con profitto. Al contrario, le minacce sono qualcosa che può potenzialmente danneggiare l’attività d’impresa e rispetto alle quali l’impresa può fare ben poco, se non approntare una buona difesa. Esempi di opportunità e minacce possono essere la dimensione e il grado di maturità di un mercato, il posizionamento competitivo, la presenza o meno di barriere all’entrata e le loro caratteristiche, i bisogni dei clienti.
Fattori positivi Fattori negativi Analisi interna Punti di forza Punti di debolezza
Analisi esterna Opportunità Minacce
Tabella 1.1. La matrice per l’analisi Swot.
L’analisi Swot, dunque, rappresenta uno strumento conoscitivo fondamentale, il quale permette di strutturare le decisioni. Essa può essere impiegata per valutare anche altre cose più specifiche, come per esempio, un’idea di business, una decisione d’investimento oppure altre azioni strategiche.
differenziale rispetto ai concorrenti che essa è in grado di generare per i propri clienti e portatori d’interesse. Si tratta, perciò, di una capacità distintiva. In seguito, è bene essere consapevoli anche degli strumenti per difendere questa posizione. Tra di essi possiamo ricordare l’investimento in soddisfazione del cliente oppure in innovazione.
finale è rappresentato dal cliente pubblico, come un’istituzione pubblica oppure uno stato, per esempio. In questo caso particolare, la relazione è caratterizzata dal fatto di essere meno collaborativa. Ci riferiamo all’aspetto della gara di appalto, la quale prevede certi standard da raggiungere e rispettare. Esistono, infatti, dei rigidi vincoli rispetto a quello che è stato precedentemente formalizzato. Ciò implica l’impossibilità di giocare sulle alternative, ridefinendo il prodotto in corso d’opera. Si tratta, dunque, di un processo molto più formalizzato, nel quale si gioca tutto solamente sul prezzo. Nella nostra trattazione, tuttavia, ci concentriamo sul B2C e B2B.
Dal punto di vista concettuale, poiché l’appartenenza a un settore presuppone l’omogeneità delle leve competitive, possiamo affermare che tutte quelle imprese che soddisfano il medesimo gruppo di clienti, impiegando tecnologie simili, facciano parte dello stesso settore. In un primo momento ciò veniva sintetizzato nel seguente paradigma: una certa struttura del settore, data come punto di partenza del ragionamento, implica l’adozione di una certa condotta da parte dell’impresa. La condotta adottata, infine, produce una certa performance. Questa visione è molto riduttiva e limitante, poiché presuppone implicazioni necessarie. Invece, ciò non è detto e inoltre non c’è da considerare solamente la struttura. Altrimenti, tutte le imprese che operano in un settore dovrebbero comportarsi nella stessa maniera, ma ciò è un assurdo. L’analisi del settore rimane un passo essenziale per la definizione della strategia di marketing e per questo motivo è importante valutarne attentamente le caratteristiche. Passiamo ora a esporle, facendo riferimento a quanto ci dicono Fiocca e Sebastiani (2015) e Goodwin e altri autori (2012).
presidio del mercato. Esistono, infatti, settori concentrati, settori frammentati e settori né concentrati, né frammentati. Diciamo che un settore è concentrato quando le prime quattro imprese che vi operano detengono più della metà delle quote di mercato. Per esempio, pensiamo agli operatori di telefonia mobile. Poche grandi aziende si spartiscono il mercato. Al contrario, un settore si definisce frammentato quando le prime quattro imprese che vi operano detengono meno di un decimo delle quote di mercato. Esiste una tendenza alla frammentazione in quei settori nei quali è presente la personalizzazione del prodotto, poiché il vantaggio competitivo è qui legato alla differenziazione. Al contrario, esiste una tendenza alla concentrazione in presenza di economie di scala, poiché si pone l’accento sulla standardizzazione del prodotto. In tutti gli altri casi, il settore può essere più vicino alla condizione di concentrazione oppure a quella di frammentazione, dipende dalla distribuzione delle quote di mercato tra le imprese che vi operano. La concentrazione può essere di tre tipi: tecnica, quando riguarda le unità produttive; finanziaria, quando le unità produttive sono controllate da un unico soggetto, come per esempio un gruppo industriale; economica, quando riguarda la capacità di presidio del mercato.
su un numero maggiore di unità e questo contribuisce ad abbassare i costi medi di produzione. Un secondo tipo è l’economia di apprendimento. Man mano che si matura esperienza in un processo produttivo, è possibile diventare più esperti e quindi più efficienti rispetto allo stesso e questo produce un abbassamento dei costi. Un terzo tipo è rappresentato dai vantaggi assoluti di costo. Questo aspetto è legato direttamente al potere contrattuale degli attori in gioco. Facciamo un esempio, un’azienda molto grande che si rivolge ai suoi fornitori può avere accesso alle risorse produttive, come le materie prime, a costi minori rispetto ad altri concorrenti. Infatti, per non perdere un cliente così importante, i fornitori sono disposti ad abbassare i propri prezzi e la grande impresa si assicura risorse a costi inferiori perché può contare su un potere contrattuale maggiore. Semplicemente è in grado di imporre il suo gioco. Infine, un ultimo tipo di economie di dimensione è rappresentato dalle economie di scopo. In questo caso, le riduzioni di costo si manifestano quando un’azienda è in grado di razionalizzare i suoi processi produttivi usandone uno o pochi per produrre tanti prodotti diversi. Riguardo alle economie basate sulla differenziazione, invece, quello che le aziende cercano di fare è spingersi al limite dell’unicità e della personalizzazione. Per fare questo, esse puntano soprattutto sulle caratteristiche fisiche, sul livello qualitativo, sui costi d’accesso e di utilizzazione e sull’immagine del prodotto o servizio. In molti casi, la leva più importante si rivela essere quella dell’immagine.
mercato. In seguito, nella fase di maturità, le vendite si stabilizzano e si tende a massimizzare i profitti. È in questo momento che si rende necessario valutare l’opzione di differenziarsi tramite l’innovazione per tentare un rilancio oppure lasciare tutto così com’è e passare alla fase di declino. Per questi motivi, bisogna valutare attentamente opportunità e minacce, costi e benefici. Per esempio, in settori emergenti può non convenire investire ed entrare, poiché l’incertezza relativa a quell’ambiente può essere troppo alta e comportare un rischio troppo gravoso da assumere. Tuttavia, anche in settori maturi può convenire non investire eccessivamente, dal momento che possono esserci margini molto limitati per innovare. Quando un settore diventa maturo, per fattori di natura tecnologica esso può convergere in altri settori, dando vita ai metamercati. Questi ultimi vanno monitorati attentamente, poiché possono rappresentare sia un’opportunità, sia una minaccia. Per esempio, il primo attore a muovere può avere il vantaggio rappresentato dall’aver compiuto la prima mossa. Il rischio rimane elevato, infatti se l’investimento non va a buon fine, i secondi e i terzi possono prendere spunto e beneficiare dell’errore del primo per effettuare investimenti più mirati ed efficaci.
1.3 Il processo di marketing: fase operativa
raggiungere certi traguardi di business o, in altri termini, per vincere le battaglie. Le altre decisioni hanno un fine più elevato, infatti sono di lungo periodo e sono necessarie per vincere la guerra. Vengono definite decisioni strategiche.
Le tre maggiori attività che costituiscono il nucleo fondamentale di questa seconda fase sono la segmentazione, il targeting e il posizionamento (Fiocca e Sebastiani, 2015; Kotler, 2015). Ci troviamo nel cuore del processo di marketing, lo strumento con il quale, unitamente alle quattro leve del marketing mix, l’azienda può creare valore differenziale e quindi costruire e difendere il suo vantaggio competitivo.
Iniziamo trattando la segmentazione del mercato, la quale implica anche il tema dell’evoluzione dei bisogni del consumatore. L’obiettivo che si pone è quello di dividere il mercato in segmenti diversi tra loro e uniformi al loro interno. Per esempio, secondo la professione degli individui oppure secondo l’appartenenza a un gruppo sociale. Il mercato, quindi, non viene trattato come un unicum indistinto. Le fasi distintive della segmentazione, del targeting e del posizionamento, secondo Fiocca e Sebastiani (2015), possono essere sintetizzate in quattro momenti. Si parte dall’osservazione e dalle analisi di mercato per raccogliere le informazioni da usare unitamente agli altri dati in possesso dell’azienda. Si procede con la suddivisione del mercato in tanti segmenti, sulla base delle informazioni raccolte precedentemente. In seguito si definiscono le priorità, cioè l’azienda decide quali siano i segmenti da aggredire. Infine, si definiscono il posizionamento e le politiche di marketing più opportune.
d’indagine, come le informazioni richieste per potersi iscrivere a un corso in palestra, oppure non osservabili, come capire il motivo che spinge una persona a volersi iscrivere a quel corso. Vediamo che i dati non osservabili, proprio a causa della loro natura più sfuggente, richiedono un’analisi più elaborata e una capacità d’interpretazione più raffinata. Inoltre, esiste una seconda dimensione per classificare i dati. Essi, infatti, possono essere generali oppure riferirsi specificamente al prodotto. Per esempio, le informazioni raccolte da una carta fedeltà sono classificabili come specifiche del prodotto o servizio fruito. Le variabili usate per effettuare la segmentazione possono differire sensibilmente e portare a una segmentazione più o meno complessa (Kotler e altri autori, 2015). Possiamo impiegare, infatti, variabili classiche come quelle descrittive, cioè l’età o il genere. A un livello superiore, possiamo operate una segmentazione sulla base di variabili psicografiche, quindi raggruppare gli individui secondo i propri valori o stili di vita. In alternativa, possiamo ragionare in termini di benefici ricercati, i quali possono essere funzionali oppure simbolici, cioè cercare di capire se un individuo esprime bisogni di appartenenza a un gruppo sociale. Infine, possiamo disporre di variabili comportamentali, le quali pongono l’accento sui comportamenti degli individui, come il grado di sensibilità alle promozioni, il livello di fedeltà, la tipologia di uso del prodotto.
quali derivano dall’impiego di modelli matematici e di elaborazioni statistiche.
Esistono, inoltre, delle linee guida per poter operare un’efficace segmentazione e ottenere una buona profilazione che approssimi accettabilmente la realtà. Innanzi tutto parliamo di distintività. Più un segmento è omogeneo al suo interno, più facilmente si riesce a distinguere dagli altri. Strettamente legata a quanto appena detto, la seconda caratteristica è l’identificabilità, la quale si riferisce alla facilità operativa d’identificazione di un segmento. Troviamo, poi, la sostanzialità, cioè la misura della numerosità degli individui. Un segmento di ampie dimensioni è sicuramente più interessante, poiché potenzialmente dispone di una maggior profittabilità, cioè può valere di più. In seguito, è preferibile costruire segmenti quanto più stabili possibile nel tempo e soprattutto accessibili, poiché l’azienda deve relazionarsi con il segmento obiettivo, perciò è preferibile anche la facilità d’interazione. Infine, è importante l’azionabilità, cioè la misura di quanto l’azienda sia in grado d’impattare effettivamente su quel segmento.
secondo caso, invece, troviamo un certo grado di specializzazione selettiva, in quanto l’azienda propone diversi prodotti a segmenti diversi. Infine, attraverso una strategia di marketing concentrato, l’azienda può porsi in tre modi: concentrarsi al massimo grado nell’offerta di un solo prodotto per un solo segmento; specializzarsi in un prodotto specifico da declinare in più modi per proporsi a segmenti diversi; specializzarsi in un segmento specifico al quale offrire una gamma di prodotti. Tramite il posizionamento, dunque, l’impresa decide come collocarsi nel mercato. È possibile analizzare il posizionamento per mezzo di mappe di preferenze e di percezione da parte dei clienti. Esse ci permettono di avere un’idea del modo in cui i consumatori percepiscono i diversi marchi, sulla base di certe variabili del prodotto. Si tratta di utili strumenti per comprendere e per verificare la coerenza tra strategia di comunicazione ed effettivo posizionamento nel mercato (Fiocca e Sebastiani, 2015).
Infine, dal posizionamento si passa alle decisioni relative alla gestione degli strumenti del marketing mix. Con questo concetto intendiamo le quattro leve per mezzo delle quali si decidono e si gestiscono le scelte relative alle politiche di comunicazione, di prezzo, di distribuzione e di prodotto. Esse rappresentano le quattro P del marketing, dalla lettera iniziale dei termini inglesi promotion, pricing, placement e product (Kotler e altri autori, 2015).
1.4 Il processo decisionale di acquisto
momenti, i quali possono essere considerati come i cinque esami del processo di acquisto, cioè le opportunità per catturare il consumatore e orientare le sue scelte. In questo paragrafo facciamo riferimento alla teoria formalizzata da Kotler (2015) e da Goodwin (2012).
esempio, acquistando l’automobile dei propri sogni, possiamo soddisfare il nostro essere e contemporaneamente il nostro desiderio di appartenenza a un gruppo sociale, come un club esclusivo.
Percepito il bisogno, il secondo momento del processo d’acquisto è rappresentato dalla ricerca d’informazioni. In questo passaggio, per l’azienda diventa fondamentale riuscire a farsi trovare dal consumatore. Le fonti d’informazione possono essere sia pubbliche, sia commerciali. Comunemente, si tende a informarsi tramite internet, consultando i siti web dei rivenditori, dei produttori e di coloro i quali si occupano di recensioni. In alternativa ci si può rivolgere direttamente ai distributori. Oltre a queste fonti dirette, ne esistono anche d’indirette, come l’osservazione delle persone che utilizzano un certo marchio; personali, come informarsi chiedendo ai propri amici o conoscenti; di natura empirica, come l’esperienza direttamente maturata dal consumatore.
seconda: stiamo parlando in termini di percezioni, le quali sono sempre soggettive e cambiano a seconda dell’individuo. Per una persona potrebbero essere più importanti certe variabili rispetto ad altre, in più ogni persona utilizza pesi diversi per la propria valutazione.
In seguito giungiamo al momento dell’acquisto vero e proprio. La decisione d’acquisto può essere influenzata da fattori differenti, tra i quali il brand e altri fattori di contesto. Spesso, infatti, accade che una persona entri nel punto vendita con in mente un’idea e poi esca con un altro prodotto, del tutto diverso rispetto all’idea iniziale. Tra il momento dell’entrata e quello dell’uscita esiste un mondo di opportunità. Questo è il campo d’azione dello shopper marketing e del retail marketing (Cappellari, 2016). Il cliente potrebbe aver bisogno di qualcosa e si può proporre alla sua attenzione un ventaglio di alternative. La decisione d’acquisto finale può cambiare a seconda degli stimoli ricevuti durante l’interazione. Possiamo affermare che la prima battaglia sia rappresentata dalla pubblicità, ma ciò non implica la vittoria finale. È bene poter contare su un personale formato, competente, capace di relazionarsi con la clientela, eventualmente motivato e incentivato opportunamente.
soddisfazione e del riacquisto da parte del consumatore, la quale può spingerlo fino al punto di diventare apostolo del prodotto. In questo caso vediamo come l’atto del consumare si faccia comunicazione.
In ogni processo d’acquisto possiamo individuare dei ruoli, i quali vengono assunti dai diversi attori in gioco. Ciascun ruolo può appartenere a individui diversi oppure più ruoli possono essere detenuti dalla stessa persona, dipende dalla natura della relazione. Possiamo, comunque, notare: l’iniziatore, colui il quale ha l’idea oppure suggerisce l’acquisto; l’influenzatore, cioè la persona che ha voce in capitolo, i cui consigli hanno peso sulla decisione; il decisore, al quale spetta il compito di prendere la decisione finale; l’acquirente, cioè chi materialmente effettua l’acquisto; l’utilizzatore, il quale consuma o utilizza il prodotto.
I processi decisionali sono diversi a seconda della natura dei prodotti e dei servizi. Per esempio, ci sono acquisti più semplici, i quali vanno direttamente dal bisogno all’acquisto, e altri più complessi, come l’acquisto di un’automobile. Spesso le aziende tendono a far leva sull’acquisto d’impulso. Ciò può essere reso possibile accentuando il carattere di urgenza, di limitatezza temporale, di scarsità di particolari promozioni. Il fine è quello di comprimere il più possibile le cinque fasi del processo d’acquisto, riducendole a una soltanto: l’acquisto da eseguire il più velocemente possibile e senza pensarci troppo.
È possibile classificare i beni in quattro categorie in base al grado di complessità del processo d’acquisto (Fiocca e Sebastiani, 2015).
disposti a rivolgerci a un solo negozio per cercare questo genere di prodotti. Di conseguenza, ce li procuriamo presso il luogo più vicino e una marca vale l’altra, poiché vengono acquistati frequentemente, immediatamente e senza operare confronti. Tramite la loro vendita, l’azienda può spuntare margini limitati, quindi, per cercare un maggior profitto, essa tende a puntare sulla differenziazione, creando delle sottocategorie rivolte a sottosegmenti. Questi beni richiedono un’ampia distribuzione su molti punti vendita affinché per il cliente risulti semplice reperirli.
Il secondo livello è occupato dai beni di tipo preference, i quali prevedono un certo grado di differenziazione, sia intrinseca, sia di comunicazione. Rispetto a una categoria di prodotto, come per esempio alcune tipologie di birra industriale, iniziamo ad avere un insieme di marche più o meno equivalenti tra le quali poter scegliere e inoltre anche un certo livello di preferenza per una di esse.
Aumentando ancora la complessità del processo d’acquisto, il gradino successivo è rappresentato dai beni di tipo shopping. Appartengono a questa categoria l’abbigliamento e gli accessori, per esempio. Notiamo che ora esiste una differenza rilevante tra una marca e l’altra. Inoltre, siamo disposti a cambiare più negozi per operare confronti, sempre in una prospettiva di razionalità limitata. Si tratta di un acquisto più oculato, per il quale si rende necessario più tempo e ciò implica un investimento maggiore da parte dell’individuo. Questi beni non si trovano ovunque come i precedenti, ma il numero dei punti vendita inizia a essere più ridotto.
un’analisi puntuale rispetto a ciascuna fase per poter essere in grado di maturare una decisione ponderata. Ci troviamo nel mondo del lusso o delle automobili, per esempio, e la preferenza dipende marcatamente dal brand. Inoltre, la distribuzione diventa molto concentrata. Infatti, ora è il cliente a cercare il punto vendita, non avviene il contrario.
A seconda del processo d’acquisto cambia l’investimento di marketing. Per i beni convenience, la chiave diventa la P di place perché bisogna farsi trovare, altrimenti l’azienda non riesce a vendere. Al contrario, per i beni shopping e specialty, il tema dei canali distributivi assume un altro tipo d’importanza, slegata dalla capillarità dei presidi territoriali, poiché il consumatore è disposto a cercare l’azienda.
influenzatore, un decisore, un acquirente ed essi potrebbero anche essere collettivi. Oltre a queste figure, però, possiamo trovarne un’altra, quella del gatekeeper o connettore, cioè colui attraverso il quale una figura deve passare per ottenere accesso agli altri attori del processo. Il processo d’acquisto, inoltre, in questo settore può subire influenze da parte di variabili: ambientali, come l’economia o le normative; organizzative, come le strutture o le conoscenze procedurali; interpersonali, le quali implicano il saper decodificare i ruoli, poiché non è necessariamente vero che chi detiene formalmente il potere in azienda corrisponda effettivamente a una certa figura; individuali, come gli stili di vita e di acquisto o la propensione al rischio. Le variabili individuali persistono anche nel B2B perché, anche se si tratta di un ambiente più professionale e più razionale, esso è comunque costituito da persone, perciò necessariamente entra in gioco un fattore emozionale.
1.5 Brand management
Il marchio è una delle risorse più importanti a disposizione di un’impresa. Abbiamo, dunque, pensato di dedicare un paragrafo a parte per parlare di questo concetto, in modo da poterci soffermare più in dettaglio. La gestione del marchio rappresenta un altro aspetto appartenente alla fase operativa del processo di marketing.
In secondo luogo, il marchio permette anche l’espansione internazionale. Più un brand è forte, più facilmente può essere inserito in diversi mercati, perché ha un’elevata riconoscibilità e la sua fama ne precede l’arrivo. In più, ciò rassicura i consumatori, i quali non hanno mai provato prima quel brand. Successivamente esistono vantaggi anche per quanto riguarda la scelta dei canali distributivi. Per esempio, per un’azienda che possiede un brand molto forte può essere più semplice stipulare contratti di esclusiva e ottenere le posizioni migliori riguardo agli spazi espositivi. Infine, l’ultimo vantaggio è rappresentato dalla capacità di operare la brand extension. Con questa espressione intendiamo la diversificazione produttiva su mercati differenti. Per esempio, un’azienda può estendere le proprie attività in campi diversi dal business primario attraverso l’autorità del proprio brand. Ciò tuttavia nasconde un’insidia in grado di erodere considerevolmente il valore del marchio. È fondamentale che ogni estensione rispetti l’identità aziendale e quella del brand, infatti non è possibile espandersi con successo in maniera casuale, poiché si perde in credibilità e si disorienta il consumatore.
prodotto sia sempre lo stesso, indipendentemente dal canale di acquisto impiegato. Inoltre, l’azienda si sta giocando la reputazione. Infatti, se l’esperienza del consumatore rispetto al marchio dovesse rivelarsi negativa, egli molto probabilmente non sarà più disposto a ripetere l’acquisto.
concorrono a costruirne il valore. Le marche leader godono di alti livelli sia di forza, sia di statura.
Capitolo 2
IL MARKETING 2.0
Nel corso del tempo, mutamenti di diversa natura, come i cambiamenti delle abitudini sociali, dei paradigmi culturali e valoriali e le innovazioni tecnologiche, hanno rivoluzionato le percezioni, gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone. Come conseguenza il concetto di marketing si è evoluto, così come il modo di operare delle imprese.
In questo secondo capitolo andiamo a ridefinire il concetto di marketing secondo questo nuovo punto di vista. Iniziamo tratteggiando il nuovo quadro, comparandolo con quello tradizionale ed evidenziando cambiamenti e loro implicazioni. In seguito ci fermiamo a riflettere sui temi, secondo noi, più importanti introdotti dal nuovo paradigma, rispetto ai quali diventano necessarie la conoscenza e la capacità di sfruttarli nei modi più opportuni.
2.1 Elementi di discontinuità
Negli ultimi anni, il marketing ha assunto una nuova prospettiva, conseguentemente agli importanti cambiamenti sociali, culturali e valoriali della società. Le persone e le loro abitudini sono evolute, si sono affermate nuove consuetudini, stanno avanzando le nuove generazioni, con le loro visioni del mondo e del ruolo di se stessi nel mondo marcatamente differenti rispetto a quelle appartenenti al passato. Tutto ciò viene accelerato e amplificato dalle nuove tecnologie, come il web 2.0 e i social media, per esempio. Di fatto, stiamo vivendo una fase rivoluzionaria. Oggi l’ammontare d’informazioni disponibili sta crescendo in modo esponenziale. D’altro canto si sono sviluppati algoritmi di ricerca molto più sofisticati, i quali propongono una parte di contenuti, filtrati sulla base dei profili degli utenti. Questo significa non accedere a parte delle informazioni, trovandosi così in una bolla.
(Brioschi e Uslenghi, 2009). È sufficiente pensare al ruolo e agli effetti del passaparola digitale tra consumatori. Essi possono esprimersi in modo indipendente e l’azienda può controllare fino a un certo punto.
Un’altra conseguenza che segna un elemento di discontinuità rispetto alla tradizione, continua Fabris (2010), è rappresentata dalla partecipazione attiva dei consumatori o dei gruppi, la quale implica il tema della personalizzazione. Le imprese non tendono più a generare la domanda, ma la seguono, cercando di arrivare laddove esistano spazi per sviluppare nuove soluzioni e tecnologie insieme ai consumatori, sempre più attivi. Internet consente la gestione di tutte queste informazioni in modo molto più economico rispetto ai media tradizionali, i quali rappresentano un’alta barriera all’entrata. Ciò che realmente costa è la produzione dell’informazione o dei contenuti, infatti il passo successivo, cioè la condivisione o la replicazione dei file, è pressoché gratuito. Più si condivide, più si diffonde, sia nel bene, sia nel male.
economico, globalizzazione significa complementarietà e interdipendenza dei processi. Pensiamo agli accordi di libero scambio, per esempio. Perciò, tramite la globalizzazione cambia la struttura dell’economia. Per gestire efficacemente questo processo rivoluzionario, unitamente a un’ottica di sostenibilità, si rende necessario ragionare in modo multi laterale. Quindi andare verso una globalizzazione più attenta a livello locale, poiché non è possibile e nemmeno si è disposti a rinunciare alla propria identità culturale. Le differenze vanno composte, messe insieme, non omologate. Perché ciò sia possibile, serve una piattaforma in comune e questa è rappresentata da internet. Notiamo, dunque, l’emergere di un nuovo bisogno, quello di autenticità, che si traduce nella volontà del ritorno all’identità locale contrapposta al mondo spersonalizzato del Novecento. Il mondo di oggi si fa più piccolo e allo stesso tempo più complesso. Inoltre, i consumatori sono divenuti più attenti e più sensibili al tema della sostenibilità. Da parte loro esiste una notevole presa di coscienza, una nuova consapevolezza circa le implicazioni dei processi produttivi e di consumo. Di fatto, il mondo è globale, non è più possibile tornare sui propri passi, tuttavia siamo consapevoli che sarà una globalizzazione diversa.
spazio alcuno per alcun tipo d’intelligenza, ma solamente per un principio meccanico. Come vedremo, ciò può funzionare in ambienti a bassa complessità, mentre quando essa aumenta, il modello inizia a incepparsi.
Al contrario, oggi si ragiona secondo un altro principio, quello di riflessività (Fabris, 2010). Durante la prima modernità eravamo sostanzialmente ciechi e la riflessività di oggi ci serve per cercare di porre rimedio agli errori derivanti come effetto collaterale del precedente modello economico. Significa rivedere i nostri passi, preoccupandoci delle possibili conseguenze delle nostre attività economiche. Non è più possibile applicare il vecchio modello novecentesco, poiché altrimenti non potremmo durare molto come società. Il mondo del Novecento era il mondo del determinismo, un mondo che ci dava sicurezza tramite la riduzione delle complessità, perché tutto diventava prevedibile. Oggi il mondo non è più riducibile e non è nemmeno più disposto a esserlo, quindi la diversità emerge, portando con sé complessità. Le relazioni industriali sono un tentativo di semplificare per poter gestire questa complessità, regolandola dentro degli schemi. La complessità diventa rischio e noi, come consumatori, lo prendiamo in carico. Abbiamo la possibilità d’intervenire, per esempio esercitando pressione.
quando si hanno a disposizione tanti prodotti simili, si passa a giocare sulle sfumature, cercando associazioni con un immaginario. Definiamo il marketing “nuovo” perché cambiano anche gli acquisti, che diventano di sostituzione. Questo implica una forte motivazione verso il nuovo acquisto, le persone devono avere un buon motivo per prendere la propria decisione e agire.
Il marketing della prima modernità era focalizzato sul momento della transazione. Oggi, invece, conta molto di più la relazione che s’instaura col cliente e la sua gestione. Vediamo che si tratta di un orizzonte più ampio, di lungo periodo. La transazione rimane ugualmente importante, ma non rappresenta più l’obiettivo immediato. Dal punto di vista del rapporto tra azienda e consumatore, prima ci si trovava in una situazione di subalternità. Le aziende detenevano più informazioni, quindi più potere, e quest’asimmetria veniva evidenziata nel rapporto coi mass media (Menduni, 2016). Oggi, invece, il consumatore non accetta più l’offerta standard. La rete consente lo scambio d’informazioni e di esperienze. Perciò, egli tende a voler riprendere in mano la propria vita, non delega più come prima, ma s’informa in modo indipendente. Il rapporto va verso un nuovo equilibrio più paritario. Il lato del consumo può spingersi anche oltre, fino a diventare innovatore e produttore.
attivo nel processo produttivo, come per esempio nel caso delle comunità online. Ciò indica che il lato del consumo è capace di andare per conto proprio. Si rende, dunque, necessaria la sintonizzazione da parte delle aziende, le quali devono implementare la logica dell’ascolto.
particolare, insieme a una gestione oculata. Possono essere di tre tipi: owned, paid, earned. I punti di contatto di tipo owned sono quelli posseduti dall’azienda e sui quali essa può esercitare un controllo diretto. Un esempio può essere rappresentato dai negozi monomarca. In questi punti vendita, l’azienda può decidere il tipo di esperienza che il proprio cliente può vivere entrandovi e le politiche di gestione del luogo. I punti di contatto di tipo paid sono, invece, tutti quelli che l’impresa può usare a proprio vantaggio dietro pagamento. La pubblicità può essere considerata un punto di contatto paid, perché viene acquistato un certo spazio, il quale permette di relazionarsi col proprio cliente finale. Infine, definiamo i punti di contatto di tipo earned tutti quei canali di relazione i quali non è possibile acquistare, ma solamente guadagnare. Essi rappresentano il gruppo più importante dei tre, poiché, sempre più, le conversazioni online, quelle offline, gli atteggiamenti positivi e di consenso verso l’azienda e i suoi marchi, risultano determinanti per orientare scelte e consumi.
fondamentali: consumare diventa comunicare e la scelta di consumare in un certo senso diventa più attiva e più complessa del semplice soddisfacimento di un bisogno. Questa scelta di adesione, attraverso la quale costruire la propria identità, può essere una determinante d’acquisto. Inoltre, non per tutti gli acquisti i consumatori dedicano la stessa attenzione, perché entra in gioco la soggettività personale rispetto alle valutazioni. Prestiamo attenzione, perché per alcuni settori, nei quali sono presenti un consumo di massa e prodotti standard o poco differenziati, la logica tradizionale può ancora funzionare. Il nuovo marketing pone, invece, l’accento sugli aspetti sociali e d’interazione. Entrambi rappresentano approcci validi, applicabili nel modo più opportuno in base alle caratteristiche del contesto. Perciò, il marketing 2.0 non ha sostituito in toto il marketing tradizionale. Diciamo che gli si affianca laddove si renda necessario andare oltre ai bisogni più semplici, come per esempio nelle nicchie di mercato, nelle relazioni con certi gruppi sociali, dove si ha a che fare con prodotti e servizi altamente differenziati, personalizzati, dotati di una profonda dimensione di senso.
individui, rappresenta un fattore d’innovazione, il quale può tradursi in un valore aggiunto per l’azienda.
Infine, per quanto riguarda gli investimenti in comunicazione, sono variati i pesi. Le imprese più all’avanguardia, infatti, avendo compreso l’importanza della dimensione interattiva e di coinvolgimento, stanno gradualmente spostando una quota dei loro investimenti pubblicitari dai media tradizionali verso internet (Vaccaro, 2016). A sostegno di ciò, notiamo l’emergere e l’affermarsi del native advertising, per esempio. Gli investimenti in pubblicità tradizionale detengono ancora un posto di primo piano tra le voci di spesa nel bilancio, tuttavia altri investimenti in pubblicità online e contenuti sponsorizzati, appositamente ideati e realizzati per il web, stanno avanzando in modo significativo. C’è da prestare attenzione, però, al fatto di poter proporre un prodotto di sostanza. L’azienda può fare tutti gli investimenti in pubblicità che ritiene opportuni, tuttavia i consumatori capiscono se ci sono problemi o criticità e ne parlano tra loro.
fornito di tecniche, strategie, strumenti. Il punto vendita resta un aspetto importante, ma ancor più importante è la convenienza, intesa come comodità complessiva di accesso al sistema di offerta.
4 P 4 C Prodotto Prezzo Promozione Posizione → → → → Cliente Costi complessivi Comunicazione Convenienza
Tabella 2.1. Dalle 4 P del marketing tradizionale alle 4 C del marketing 2.0.
2.2 L’economia dell’esperienza
un’esperienza generata dalla comunità, stimolandone il lavoro semplicemente creando spazi di condivisione. Questo si traduce in un’alta redditività, poiché gli investimenti pubblicitari sono contenuti. Il valore così generato si mantiene nel corso del tempo solamente tramite la partecipazione dei consumatori appassionati. Notiamo che il brand è solo uno dei soggetti in gioco, non l’unico.
Ecco, dunque, che il brand non è più qualcosa di chiuso, ma diviene una costruzione collettiva più distribuita. Le marche imposte dall’alto, invece, diventano sempre meno credibili. Oggi, dobbiamo intendere il marchio meno in senso tradizionale, come la prima cosa che viene in mente pensando a una categoria merceologica, e più in senso d’interazione. I social media hanno facilitato questo processo e aiutato le marche a porsi come spazi a disposizione della creatività anche dei consumatori.
2.3 Innovazione
I consumatori che sostengono l’innovazione ci portano a parlare di un altro importante punto del marketing 2.0, il tema dell’innovazione aperta. In poche parole, l’azienda ha un’idea e per il suo sviluppo si rivolge all’esterno, indagando anche circa il sostegno a un possibile nuovo prodotto o idea di business. I consumatori si sentono, così, sperimentatori, perché si assumono il rischio di pagare per qualcosa che non esiste ancora e la cui esistenza non è nemmeno garantita per il futuro. Questo meccanismo sta alla base della pratica del crowdfunding, cioè il finanziamento collettivo.
di propensione da parte dell’azienda, e meno rispetto al livello di complessità dell’innovazione.
Oggigiorno, le conoscenze d’uso, le competenze e le passioni stanno anche e soprattutto fuori dall’azienda. Per esempio, la figura dell’influenzatore, non si limita a influenzare. L’azienda non domina il contesto d’uso, il quale viene vissuto e pertanto compreso a pieno titolo solamente dal consumatore. Il progetto del prodotto viene sviluppato sulla base delle possibili esigenze del consumatore medio, ma l’uso predomina sul progetto. È bene saper raccogliere le informazioni opportune e poi sviluppare l’idea. Comunque, non tutti i consumatori sono uguali. Esiste una categoria, i lead user, la quale è in grado di fornire indicazioni molto qualificate, poiché i suoi appartenenti possono rivelarsi degli anticipatori di bisogni, oltre a detenere il potere d’influenza, poiché possiedono la comprensione e la padronanza del contesto d’uso.
riscontri empirici diretti. Significa saper valorizzare il contesto d’uso, il quale è difficile da capire in astratto, in quanto necessita di manifestarsi concretamente. Infine, l’innovazione collaborativa è un modo alternativo per agganciare nuovi potenziali clienti. In un primo momento possono partecipare, in seguito potrebbero trasformarsi in acquirenti, nel caso vedessero di essere stati ascoltati, insieme alla loro idea.
essere aperte sia in entrata, sia in uscita. Nel primo caso, l’azienda compra da fuori il capitale umano e di conoscenze che le serve per capire e sviluppare un’idea potenzialmente innovativa. Nel secondo, essa finanzia venture capital per valorizzare le idee dei propri dipendenti. Il ritorno per l’impresa finanziatrice può avvenire su due livelli: non perde il capitale umano rappresentato da quella persona; in caso di successo, si troverà a essere azionista e compartecipare agli utili (Bohlander e Snell, 2013).
2.4 Verso un nuovo brand management
Da questo quadro di riferimento deriva altresì una gestione rinnovata del brand. Abbiamo visto in precedenza cha la marca si compone, a livello superficiale, di un nome o identificativo e, a un livello superiore, di una dimensione simbolica (Murphy, 1990). Essa evoca un immaginario ben definito, il quale rappresenta il tentativo di dare una certa lettura del mondo. Le imprese creano differenziazione per mezzo delle marche (Porter, 1980). Un tempo, il prodotto nuovo, puro e semplice, era sufficiente. Oggi, invece, ci troviamo in condizioni di eccesso di offerta. Da qui, l’esigenza di connotare, di dare un’identità. Per il marketing, quindi, la marca è un attributo, il quale, in alcuni casi, prevale sul prodotto.
condizioni di razionalità limitata. Un cliente che si trova ad aver vissuto un’esperienza positiva rispetto a una marca, può velocizzare le sue decisioni. Infatti, non rimetterà in discussione il proprio processo d’acquisto, più semplicemente riapplica la scelta, secondo una logica di economicità rispetto al proprio tempo e alle proprie risorse cognitive. La marca, perciò, è pratica e da questo punto di vista rappresenta una rendita per le aziende, perché i consumatori soddisfatti tendono a essere fedeli e a ripetere l’acquisto. Un’altra funzione della marca è la personalizzazione. Essa, infatti, riesce a portare fuori dall’anonimato, per esempio, valorizzando il mito del fondatore. Perciò diventa come una carta d’identità del prodotto. Non solo rispetto a certi livelli di standard industriali e produttivi, ma anche in termini di reputazione. I parametri funzionali da soli, ormai, non sono più sufficienti, ci troviamo in un contesto più complesso. Infine, la marca possiede anche una funzione ludica, perché le persone tendono a giocarci. Il consumo ha assunto una componente di attività ludica, di divertimento. Assistiamo all’emergere di una dimensione edonistica e di una creativa da parte dei consumatori, poiché giocare con le marche vuol dire giocare con i significati.
comunicazione, infatti il punto vendita diviene il luogo nel quale rendere concreto e vivibile lo storytelling aziendale. In secondo luogo, abbiamo la caratteristica della permanenza perché i significati e i valori devono restare costanti nel tempo. Un marchio è riconoscibile proprio perché è permanente. Infine, tutti gli atti comunicativi devono convergere. La coerenza è fondamentale, in ogni aspetto, dal più piccolo al più grande. Se venisse meno, ciò minerebbe la permanenza e il consumatore ne risulterebbe confuso e disorientato. Perciò, qualsiasi mondo possibile si voglia costruire, esso deve necessariamente essere in sé coerente, rispettoso delle proprie regole. Per questo motivo risulta possibile riconoscere questi mondi, infatti essi sono differenziati verso l’esterno e omogenei al proprio interno.
questo significa saper cambiare opportunamente e adattandosi ai tempi. Prestiamo attenzione, però, perché i consumatori tendono a proiettare le proprie emozioni, fino al punto, in alcuni casi, da creare delle love marks. In questo caso limite, il brand diventa una rendita e allo stesso tempo un vincolo. Ogni modifica diviene impossibile perché le persone amano o odiano profondamente il marchio. Più in generale, invece, i consumatori sono alla ricerca di autenticità, non di qualcosa che si ripete. Ciò può funzionare solamente per quanto riguarda i prodotti culto. L’autenticità costituisce un tema fondamentale. Essa si rende possibile attraverso il coinvolgimento attivo e il dialogo, poiché, in questo modo, i valori del brand possono definirsi e ridefinirsi in maniera costante nel tempo. Se così non fosse, il marchio è destinato inesorabilmente a logorarsi (Bettiol, 2015).
2.5 Lo storytelling
Infine, concludiamo la nostra panoramica sui nuovi temi del marketing 2.0 parlando dello storytelling, rispetto al quale ci riferiamo alla teoria esposta principalmente da Bettiol (2015) e in misura minore anche da Thompson (2016) e da Salmon (2008).
perché non si tratta di un racconto, ma di qualcosa di molto più astratto che non riusciamo a contestualizzare. Le storie, invece, lasciano più facilmente una traccia nella nostra memoria, risultando più semplici da ricordare e anche più coinvolgenti.
È possibile raccontare qualcosa di originale con successo perché si tratta di un codice familiare per le persone. Un qualsiasi racconto può produrre coinvolgimento e quindi identificazione. Il classico schema del racconto è rappresentato dall’eroe sottoposto dall’esterno, quindi per una colpa non sua, a una prova. Ciò implica un percorso di cambiamento e di evoluzione. Il motivo del racconto è esattamente quel qualcosa d’inaspettato che interrompe il naturale svolgimento degli eventi. Rispetto al linguaggio utilizzato, l’accento si sposta dalla linearità dell’argomentazione dialettica verso una dimensione mitica e simbolica, dove prevale la retorica (Thompson, 2016). Vediamo, dunque, un passaggio dal linguaggio funzionale a quello metaforico. Inoltre, ci spostiamo dalla dimensione della razionalità alla dimensione delle percezioni soggettive. L’enfasi sull’esperienza sostituisce il classico sistema basato sul procedere per prove ed errori. Per rendere possibile l’identificazione si punta sulla soggettività, la quale si traduce nello schema di un “io” che incontra il mondo.
storie imprenditoriali, legate alla figura mitica del fondatore. In alternativa o in ottica complementare sorgono sempre più frequentemente i musei aziendali, di complessità più o meno articolata, i quali si pongono come spazi d’incontro e luoghi di comunicazione della memoria storica dell’impresa (Bettiol, 2015). Ciò può esercitare un fascino particolare per il consumatore, il quale deve sostenere uno sforzo non indifferente per decidere e impegnarsi in una visita del genere. Egli si troverà perciò in condizioni particolarmente favorevoli all’ascolto, memorizzazione e introiezione dello storytelling aziendale. In parte, ciò avviene anche nei punti vendita monomarca, dove la narrazione del marchio è supportata anche dall’esperienza di acquisto in negozio (Cappellari, 2016). Rispetto ai casi appena citati, ci troviamo a un livello macro, infatti il soggetto che racconta è l’impresa stessa. Al polo opposto, invece, a livello micro, troviamo l’esperienza dei singoli individui, i quali interagiscono tramite il passaparola. Anche quest’ultimo rappresenta una declinazione dello storytelling. Possono da qui sorgere problemi di raccordo rispetto a quello che dicono le due fonti, per questo motivo può essere utile una comunicazione interna alle aziende per allinearsi circa i valori e ricercare una coerenza tra storie interne ed esterne. In un certo senso, la stessa strategia d’impresa potrebbe essere pensata come una storia perché si può intendere anch’essa come la decisione di una direzione da perseguire senza conoscerne l’esito finale.
indelebilmente l’identità aziendale. In questo caso, è più forte il tema dell’autenticità. Infine, le storie possono essere progettate e costruite insieme al pubblico di riferimento, enfatizzando in questo modo il coinvolgimento attivo e le dimensioni creative e collaborative.
Capitolo 3
LA COMUNICAZIONE DI ELON MUSK
In questo capitolo vogliamo andare a considerare la comunicazione pubblica di un’importante figura manageriale. Stiamo parlando di Elon Musk, fondatore e amministratore delegato di diverse imprese, tra le quali ricordiamo la casa automobilistica Tesla Inc. e l’azienda aerospaziale SpaceX. L’obiettivo della nostra analisi è cercare di capire la maniera attraverso la quale egli si pone al pubblico, i temi trattati, il tipo di linguaggio utilizzato e il tipo d’immaginario evocato dai suoi discorsi pubblici. A ciò uniamo qualche considerazione di marketing, sulla base della teoria trattata in precedenza, per riflettere e cercare di comprendere meglio come tutto questo possa contribuire alla creazione di valore e di consenso verso l’azienda e il suo operato. Abbiamo scelto, dunque, di procedere con un’analisi del contenuto su alcuni dei suoi discorsi e interviste. Essa è stata svolta principalmente in termini qualitativi, ma viene affiancata e supportata da dati e considerazioni di tipo quantitativo.
3.1 L’analisi del contenuto
andremo a esporre quanto emerso dalla nostra ricerca. Per quanto riguarda l’analisi del contenuto, stiamo parlando di uno strumento di ricerca per indagare sui testi, scritti o parlati che siano, riguardo a questioni di natura letteraria (Cortelazzo, 2013). Perciò, ora ci poniamo da una prospettiva linguistica e in parte anche statistica. Per la nostra ricerca sulle presentazioni di Elon Musk abbiamo fatto affidamento sulla teoria dell’analisi del contenuto studiata da alcuni docenti del corso di laurea magistrale in Strategie di comunicazione dell’Università degli Studi di Padova. In particolare, ci riferiamo alle opere del professor Michele A. Cortelazzo per quanto riguarda le considerazioni linguistiche, mentre abbiamo fatto riferimento alla teoria formalizzata dalla professoressa Arjuna Tuzzi e dai suoi collaboratori per le questioni metodologiche e statistiche. Inoltre, per le definizioni dei concetti che andremo a illustrare nelle prossime pagine e per le interpretazioni dei dati emersi dalla nostra ricerca, ci siamo basati sul modus operandi e sulla teoria elaborata dal Giat. Si tratta del Gruppo Interdisciplinare di Analisi Testuale dell’università di Padova, il quale riunisce diversi docenti e ricercatori di varie discipline e ambiti accademici nello studio dell’analisi testuale.
Sui testi è possibile effettuare delle misure e produrre dei dati, i quali vengono trattati ed elaborati statisticamente, al fine di ottenere informazioni e una conoscenza più approfondita del testo, la quale non emerge naturalmente da esso attraverso una semplice lettura. Questa conoscenza sarà, dunque, frutto d’interpretazione secondo la commistione di una prospettiva linguistica, statistica e, nel nostro caso specifico, anche di marketing e comunicazione.
comprese tra due spazi bianchi (Tuzzi, 2003). Quest’accezione è diversa da quella semiotica, la quale definisce come testo una qualsiasi porzione di mondo soggetta a interpretazione. In questo senso, anche un’immagine o una sinfonia possono essere considerate un testo. Per la nostra analisi, invece, è sufficiente parlare di testo in senso più stretto. Dunque, i testi utilizzati per l’analisi del contenuto sono rappresentati dai file contenenti le trascrizioni delle parole di Elon Musk.
singola sequenza di caratteri. Nonostante ciò, la medesima approssimazione, intrinseca al funzionamento del software utilizzato, viene impiegata nell’elaborazione di tutti i testi presi in esame, quindi l’errore che si commette viene distribuito. Se c’interessasse l’informazione semantica, cioè quella sul significato delle parole, allora useremmo un programma diverso. In ogni caso, ciò ci fa comprendere l’importanza di conoscere gli strumenti che utilizziamo e d’impiegarli in modo consapevole e coerente rispetto ai nostri obiettivi di ricerca.
3.2 Il corpus
Il concetto di corpus definisce l’insieme dei testi di riferimento utilizzati per l’analisi del contenuto. Esso costituisce la realtà del ricercatore e ciò implica che la bontà dei risultati dipende da quella del corpus costruito. In particolare, sia l’attendibilità dei risultati, sia i confini di quello che si può o meno asserire, dipendono direttamente dalla qualità del corpus (Cortelazzo, 2013).
generale, avremo un valore di V minore rispetto a quello di N. Per esempio, supponiamo di avere un corpus costituito unicamente dalle parole “car” e “cars”. Vediamo che in questo esempio abbiamo due token (N = 2) e due type (V = 2). Nonostante si tratti della medesima parola, ma con una variazione morfologica dovuta alla differenza tra la forma singolare e quella plurale, la stringa di caratteri è diversa e quindi abbiamo due forme grafiche differenti. I calcolatori elettronici non hanno comprensione della semantica, perciò essi trattano le parole come sequenze di caratteri compresi tra due spazi e operano confrontando queste stringhe, indipendentemente dal loro significato. Per questa ragione, in alcuni casi può convenire procedere manualmente oppure automaticamente, dove possibile, attraverso la lemmatizzazione, cioè il l’operazione di raggruppamento delle diverse forme morfologiche della medesima parola in un’unica unità, cioè il lemma.
interviste. Il corpus di riferimento sul quale siamo andati a operare, quindi, è frutto di una scelta personale. Abbiamo incluso un numero di testi che ci è parso sufficiente per condurre l’analisi. Inoltre, abbiamo preferito i testi più lunghi, sebbene a volte si tratti di trascrizioni parziali. Abbiamo escluso, invece, i testi più corti, in modo da avere materiale più sostanzioso sul quale lavorare. Infine, è stato più semplice trovare testi del 2015, mentre è risultato più difficoltoso reperire testi di altri anni. Questo spiega l’abbondanza di testi del 2015 riscontrabile nel nostro corpus. Nonostante ciò, abbiamo cercato di comprendere un numero adeguato di testi anche di altri anni, in modo tale da bilanciare il corpus. Il nostro sforzo, però, è stato in parte limitato dalle possibilità offerte dalla rete. Quindi, ricapitolando le caratteristiche del corpus che abbiamo deciso di costruire, ci troviamo ad aver svolto l’analisi del contenuto solamente su una parte dei testi, in riferimento all’arco temporale che abbraccia il periodo dal gennaio 2013 al settembre 2017. Riassumiamo il tutto nella seguente tabella.
Anno Numero di testi
2017 2016 2015 2014 2013 1 4 11 6 8 Totale 30
Tabella 3.1. Totale dei testi inclusi nel corpus e numero di testi per ciascun anno.