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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA SETTIMA COMMISSIONE Incontro con i referenti distrettuali per l’informatica (RID) e i magistrati di riferimento (MAGRIF)

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

SETTIMA COMMISSIONE

Incontro con i referenti distrettuali per l’informatica (RID) e i magistrati di riferimento (MAGRIF)

L’ARCHITETTURA DEL PROCESSO TELEMATICO

(il funzionamento del sistema nell’impianto delle regole tecniche e la disciplina della P.E.C.)

Relazione a cura del Dott. Vincenzo DI GIACOMO

(Presidente della sezione civile/Magistrato di riferimento per l’Informatica del Tribunale di Campobasso)

ROMA, Hotel Ergife – 27 maggio 2014

DIRITTI RISERVATI

I N D I C E

1) L’architettura del processo civile telematico: il funzionamento del sistema nell’impianto delle regole tecniche ………. pag. 2

2) L’architettura del processo civile telematico: ancora su regole tecniche e specifiche tecniche interne al PCT ………... pag. 10

3) L’architettura del processo civile telematico: le regole tecniche esterne al PCT ma rilevanti per il PCT ……… pag. 14

4) L’architettura del processo civile telematico: la disciplina della P.E.C. …………... pag. 16

5) Conclusioni sull’architettura del processo civile telematico: luci ed ombre del PCT (inclusa la consolle del magistrato) ………... pag. 25

N. 2 CONVENZIONI ALLEGATE

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1) L’architettura del processo civile telematico: il funzionamento del sistema nell’impianto delle regole tecniche

Nell’intento del legislatore, l’architettura del processo civile telematico dovrà essere quella di un processo completamente (o quasi) dematerializzato, nel senso che la quasi totalità degli atti processuali e degli allegati saranno documenti digitali, contenuti nel fascicolo informatico. Il fascicolo cartaceo, in tale prospettiva, assume una funzione del tutto residuale.

Per la verità, fino ad oggi, il processo civile telematico è stato posto in essere solo presso quegli uffici giudiziari che vi sono stati specificamente ammessi con apposito decreto ministeriale/dirigenziale DGSIA. Tali decreti avevano inizialmente ad oggetto i procedimenti monitori e partivano da una prima fase sperimentale c.d. di doppio binario, nel senso che si procedeva contemporaneamente al deposito telematico senza valore legale di atti di parte e provvedimenti del giudice (continuando ad avere valore legale gli atti e provvedimenti cartacei che venivano contestualmente depositati), per poi passarsi alla fase del c.d. binario unico, nel senso che si procedeva (e si procede) al solo deposito telematico con valore legale degli atti di parte e provvedimenti del giudice. Dal procedimento monitorio, poi, si passava, con ulteriore decreto ministeriale/dirigenziale DGSIA, a settori ulteriori, quali il civile contenzioso (compreso lavoro e previdenza), la volontaria giurisdizione, le esecuzioni e le procedure concorsuali. Binario unico, però, non significa(va) che il PCT fosse obbligatorio, ma semplicemente che, per chi procedeva con tali modalità, i depositi telematici avevano valore legale.

Le cose sono cominciate a cambiare con l’emanazione del DL n. 179/2012, convertito nella L. n. 221/2012, che, all’art. 16, ha previsto l’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni telematiche nei procedimenti civili pendenti dinanzi ai Tribunali ed alle Corti di Appello.

Dopodiché, è intervenuta la L. n. 228/2012, che ha inserito l’art. 16-bis nella L. n. 221/2012, prevedendo l’obbligatorietà, in tutto o in parte, anche dei depositi telematici degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice (e quindi del PCT) nei procedimenti civili pendenti dinanzi ai Tribunali (mentre gli altri uffici giudiziari possono esservi ammessi solo previa emanazione dei DM di cui al co. 7 del citatao art. 16-bis).

Si tratta, però, ancora di una fase transitoria, perché la suddetta obbligatorietà è diversamente modulata a seconda del tipo di procedimento, per cui non si è ancora in presenza della completa dematerializzazione del processo, di cui si diceva all’inizio.

Il modello dell’integrale dematerializzazione del processo è, allo stato attuale, contenuto solo nell’art. 16-bis, co. 4 DL n. 179/2012, conv. nella L. n. 221/2012, come integrata dalla L. n.

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228/2012, relativo ai procedimenti monitori dinanzi ai Tribunali. Qui, a partire dal 30.6.2014, tutto sarà telematico, dagli atti di parte (ossia dal ricorso monitorio, procura e documenti allegati) ai provvedimenti del giudice, e tutto sarà contenuto nel fascicolo informatico. L’eventuale fascicolo cartaceo conterrà solo eventuali originali unici analogici (cfr. es. art. 9, co. 3 DM n. 44/2011 ed art.

22, co. 5 e 6 CAD di cui al D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i.) e/o copie cartacee di singoli atti e documenti di cui il giudice abbia ordinato il deposito per ragioni specifiche (art. 16-bis, co. 9) e/o atti depositati con modalità non telematiche su autorizzazione del Presidente del Tribunale quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza (art. 16- bis, co. 4) e/o le marche relative al pagamento del contributo unificato (ove non si sia proceduto al suo pagamento per via telematica e fino a quando anche tale modalità di pagamento non diverrà a sua volta obbligatoria).

Non troverà così applicazione l’art. 12, co. 3 DPR n. 123/2001 (secondo il quale la formazione del fascicolo informatico non elimina l’obbligo di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo), il quale DPR è stato abrogato dall’art. 37, co. 2 DM n. 44/2011. Si è al riguardo obiettato che un DM non può abrogare un DPR, ma, di rimando, deve evidenziarsi come il DM in questione non è un atto amministrativo intervenuto autonomamente a regolamentare una materia nella cornice di una legge, ma è un atto amministrativo cui la legge n. 24/2010 (all’art. 4, co. 1 e 2) fa specifico rinvio, così attribuendogli forza di legge. È pur vero che detto rinvio riguarda le sole

“regole tecniche” e che quindi la discrezionalità (tecnica) della PA nel dare esecuzione al rinvio in bianco di cui al citato art. 4 L. n. 24/2010 non sembrerebbe potersi spingere fino all’abrogazione di un DPR o comunque di una norma in esso contenuta che non parrebbe integrare una “regola tecnica” in senso stretto: e questo è il motivo per cui è in parte controverso se il DPR n. 123/2001 sia tuttora vigente o meno. A mio sommesso avviso, tuttavia, l’art. 37, co. 2 DM n. 44/2011 cit. non ha ecceduto il rinvio di cui all’art. 4, co. 1 L. n. 24/2010, posto che quest’ultimo comma si chiude nel senso che “le vigenti regole tecniche del processo civile telematico continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei decreti di cui ai commi 1 e 2”, e, poiché il DPR n. 123/2001 è (era) il “Regolamento recante la disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile …”, erano proprio queste le regole tecniche ancora vigenti nel 2010, cui il legislatore aveva fatto riferimento e che aveva voluto provvisoriamente lasciare in vita, fino appunto all’emanazione del DM n. 44/2011, che (in esecuzione appunto del disposto legislativo) le ha abrogate, sostituendole con le proprie; in altri termini, il legislatore del 2010 ha inteso fare riferimento ad un concetto in senso lato di regole tecniche, sì da prevederne e legittimarne l’abrogazione da parte delle nuove regole tecniche (intese a loro volta lato sensu). Ebbene, quest’ultimo DM, mentre da un lato prevede la formazione del fascicolo informatico anche per i

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processi cartacei (cfr. artt. 9, co. 1, 14, co. 2 e 15, co. 4), non prevede più, all’inverso, la formazione di un fascicolo cartaceo in presenza di un fascicolo informatico, se non con riferimento agli originali unici su supporto cartaceo previsti dal CAD (art. 9, co. 3 DM cit.); fascicolo cartaceo nel quale dovranno essere altresì inseriti anche gli altri atti di cui alle già menzionate ipotesi ex art. 16- bis, co. 4 (e 8) e 9 L. n. 221/2012 e s.m.i. .

Diverso discorso vale per altri settori del processo civile (diversi dal procedimento monitorio), quali i procedimenti contenziosi (compreso lavoro e previdenza) e di volontaria giurisdizione, le esecuzioni e le procedure concorsuali, cui pure è stata estesa (cfr. sempre art. 16- bis cit.) l’obbligatorietà del processo civile telematico, estensione però in questo caso solo parziale (sebbene, come dicevo all’inizio, il fine ultimo del legislatore è quello di estendere progressivamente l’obbligatorietà del processo civile telematico a tutti i settori del processo civile).

Così, quanto ai processi esecutivi, il processo civile telematico dopo il 30.06.2014 sarà obbligatorio quanto al deposito degli atti di parte e degli ausiliari del giudice successivi all’atto con cui inizia l’esecuzione (art. 16-bis, co. 2 l. n. 221 cit.).

E, quanto alle procedure concorsuali, lo stesso diverrà obbligatorio con riferimento agli atti del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario (art. 16-bis, co. 3 l. n. 221 cit.).

Un discorso più approfondito meritano i procedimenti civili contenziosi (ivi incluse le opposizioni a d.i.: cfr. art. 16-bis, co. 4, ultima parte) e di volontaria giurisdizione, anche rispetto ai quali deve ritenersi permanere quanto ai provvedimenti giurisdizionali la facoltatività del deposito telematico, posto che l’art. 16-bis, co. 1 L. n. 221 e s.m.i. fa espresso riferimento al “deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti” ma non anche (a differenza del successivo co. 4, relativo al procedimento monitorio) al “deposito dei provvedimenti” (per inciso, deve rilevarsi come tra i provvedimenti del giudice rientri anche quello contenuto nel verbale di udienza, ma su ciò si tornerà oltre).

Inoltre, pure per quanto riguarda il suddetto deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti, il medesimo art. 16-bis, co. 1 aggiunge l’inciso “precedentemente costituite”.

Col che, secondo un’interpretazione logica e teleologica (a mio avviso condivisibile, in quanto favorevole alla più estesa attuazione/diffusione del PCT), visto che il successivo co. 9 dell’art. 16-bis contempla la possibilità di deposito di copie cartacee di singoli atti e documenti solo su ordine del giudice e per ragioni specifiche e visto che il precedente co. 8 (e v. poi pure sul punto specifico la seconda parte del già menzionato co. 4 -quanto però ai procedimenti monitori-) contempla a sua volta la possibilità di deposito degli atti e documenti di cui ai precedenti commi

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con modalità non telematiche solo su autorizzazione del giudice (quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti), il suddetto inciso (“precedentemente costituite”) andrebbe correlato alla data del “30 giugno 2014” citata nello stesso comma 1, nel senso che il legislatore ha voluto estendere l’obbligatorietà del PCT anche a tutti i procedimenti civili cartacei contenziosi o di volontaria giurisdizione già pendenti e quindi anche alle parti costituite in detti procedimenti precedentemente al 30 giugno 2014, mentre per le cause iscritte a ruolo dal 30 giugno 2014 in poi il PCT sarebbe obbligatorio (tranne che per quei procedimenti nei quali la parte può stare in giudizio di persona) sin dalla costituzione in giudizio e quindi sin dall’atto introduttivo (compresa la scansione degli allegati cartacei e della relata di notifica, salvo l’obbligo del depositante di presentare alla prima udienza l’originale dell’atto di citazione notificato in formato cartaceo e l’originale della relata di notifica, che il cancelliere assevererà conforme all’atto depositato telematicamente: cfr. pure sul punto la scheda “Deposito iscrizione a ruolo” presente nel Portale Servizi Telematici/PST del Ministero della Giustizia).

Invece, secondo l’interpretazione letterale (che risulta ormai quella corrente, anche se sfavorevole alla più estesa attuazione/diffusione del PCT), il suddetto inciso (“precedentemente costituite”) riguarda non solo i procedimenti civili contenziosi o di volontaria giurisdizione iscritti a ruolo prima del 30 giugno 2014, ma anche quelli iscritti a ruolo dal 30 giugno 2014 in poi, sicché, pure rispetto a questi ultimi, la costituzione in giudizio (e quindi, tra l’altro, il deposito dell’atto introduttivo, della comparsa di risposta e dei relativi allegati) può continuare ad avere luogo in forma cartacea.

Anche seguendosi quest’ultima interpretazione, deve ritenersi però restare sempre ferma la facoltà del difensore della parte di costituirsi telematicamente, in tal caso dovendo egli seguire le modalità di cui alla predetta scheda “Deposito iscrizione a ruolo” e depositare altresì telematicamente la procura ad litem (ancorché su foglio telematico separato rispetto all’atto introduttivo telematico, purché nella ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi: arg. es. da Cass., nn. 336/2012 e 12332/2009), ai sensi dell’art. 83, co. 3 cpc. Per maggiore precisione, ove l’atto introduttivo sia un atto di citazione (depositato telematicamente previa sua scansione), il depositante ha l’obbligo di presentare alla prima udienza l’originale dell’atto introduttivo notificato in formato cartaceo e l’originale della relata di notifica, che il cancelliere assevererà conforme all’atto depositato telematicamente; ove invece l’atto introduttivo sia un ricorso, questo può essere depositato sin ab origine telematicamente, dopodiché il difensore, ottenutane dalla cancelleria copia cartacea conforme all’originale informatico, procede alla sua notifica (unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza) alla controparte e poi alla prima udienza

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deve ridepositare la copia conforme con l’originale della relata di notifica. Anzi, se la controparte è un soggetto iscritto in pubblici elenchi, sia l’atto introduttivo che la procedura di notificazione possono essere posti in essere telematicamente con modalità “native”, ai sensi dell’art. 3-bis, co. 1 L. n. 53/1994 e s.m.i. (in caso di ricorso, però, a condizione che anche il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza sia stato depositato telematicamente).

Se così non fosse e, cioè, se si ritenesse che l’art. 16-bis, co. 1 L. n. 221/2012 e s.m.i. ha reso obbligatorio il deposito in forma cartacea degli atti introduttivi, non si saprebbe più che fine facciano gli atti introduttivi in precedenza validamente depositati per via telematica in quegli uffici giudiziari che già erano stati ammessi al sistema dei depositi telematici (anche con riferimento agli atti introduttivi) col decreto ministeriale/dirigenziale DGSIA ex art. 35 DM n. 44/2011. D’altra parte, la previsione di cui all’art. 16-bis, co. 1 cit. secondo cui “il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche” non implica ed anzi, argomentando a contrario, esclude che il deposito degli atti introduttivi debba aver luogo esclusivamente con modalità non telematiche. La possibilità di deposito degli atti introduttivi con modalità non telematiche, del resto, è contemplata espressamente non solo nella menzionata scheda “Deposito iscrizione a ruolo” presente nel Portale Servizi Telematici/PST del Ministero della Giustizia, ma anche (e soprattutto) dall’art. 83, co. 3, ultima parte cpc, secondo cui “la procura alle liti può essere rilasciata anche “su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici” e secondo cui “se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette copia informatica autenticata con firma digitale, …”. Ed ancora, la specifica tecnica di cui all’art. 19-bis, co. 3 Provv. DGSIA 16.04.2014 prevede testualmente che “nei casi in cui l’atto da notificarsi sia l’atto del processo da trasmettere telematicamente all’ufficio giudiziario (esempio: atto di citazione), si procede ai sensi del comma 1”. Ecco perché non può condividersi il recentissimo provvedimento presidenziale 29.04.2014 del Tribunale di Monza, che ha rifiutato il deposito telematico di un atto introduttivo del giudizio, invitando la parte a depositarlo in formato cartaceo.

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Riassumendo, conclusivamente, l’architettura del processo civile telematico è quella finalizzata alla sua integrale obbligatorietà, ossia alla (quasi) completa dematerializzazione del processo attraverso la formazione di fascicoli informatici e l’eliminazione (tranne le eccezioni di cui si è detto) dei fascicoli cartacei.

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Tuttavia, al momento attuale, o meglio a partire dal 30.06.2014, alla luce della disciplina vigente, il rapporto obbligatorietà/facoltatività del processo civile telematico nell’impianto delle vigenti regole tecniche può sintetizzarsi come segue:

a) procedimenti monitori: obbligatorietà integrale del PCT;

b) procedure esecutive e concorsuali: obbligatorietà del PCT quanto agli atti di parte e degli ausiliari del giudice e delle parti; con esclusione dell’atto introduttivo;

facoltatività quanto ai provvedimenti del giudice;

c) procedimenti contenziosi (inclusi lavoro e previdenza) e di volontaria giurisdizione:

facoltatività (anche se a mio sommesso avviso vi sarebbe pure qui obbligatorietà) del PCT quanto agli atti introduttivi (con modalità differenti a seconda che si tratti di citazione o ricorso); obbligatorietà del PCT quanto agli atti di parte successivi alla costituzione; obbligatorietà del PCT quanto agli atti degli ausiliari del giudice;

facoltatività del PCT quanto ai provvedimenti del giudice.

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Tornando al discorso relativo ai fascicoli processuali, quelli relativi ai procedimenti monitori saranno di regola solo fascicoli informatici, a parte la prassi di taluni uffici di formare dei fascicoli cartacei in cui inserire una stampa di comodo del ricorso telematico (non anche degli allegati) ed a parte, come si diceva in precedenza, gli eventuali originali unici analogici (cfr. es. art.

9, co. 3 DM n. 44/2011 ed art. 22, co. 5 e 6 CAD di cui al D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i.) e/o le copie cartacee di singoli atti e documenti di cui il giudice abbia ordinato il deposito per ragioni specifiche (art. 16-bis, co. 9) e/o gli atti depositati con modalità non telematiche su autorizzazione del Presidente del Tribunale quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza (art. 16-bis, co. 4) e/o le marche relative al pagamento del contributo unificato (ove non si sia proceduto al suo pagamento per via telematica).

Nelle procedure esecutive e concorsuali vi saranno due fascicoli processuali: l’uno contenente l’atto introduttivo cartaceo ed i provvedimenti del giudice (se in forma cartacea), oltre gli altri atti cartacei di cui si è detto sopra (ivi inclusi quelli di cui il giudice abbia autorizzato il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti, ex art. 16-bis, co. 8), tutti con valore legale; e l’altro contenente gli atti e documenti informatici con valore legale, oltre (artt. 9, co. 1, 14, co. 2 e 15, co. 4) la copia informatica per scansione (senza valore legale) con firma digitale del cancelliere degli atti cartacei con valore legale.

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Anche nei procedimenti contenziosi e di volontaria giurisdizione, infine, sia se già pendenti al 30.06.2014 e sia se di nuova iscrizione a ruolo a partire da detta data, vi saranno due fascicoli processuali: l’uno contenente il materiale cartaceo già depositato con valore legale nei processi già pendenti oppure gli atti introduttivi ed allegati se depositati in forma cartacea nei processi iscritti a ruolo dal 30.06.2014 in poi ed i provvedimenti del giudice se depositati in forma cartacea, oltre gli altri atti cartacei di cui si è detto sopra; e l’altro contenente tutti gli atti e documenti depositati (obbligatoriamente) con modalità telematiche, le eventuali CTP depositate telematicamente a mezzo dei difensori e le relazioni peritali depositate telematicamente dal CTU, nonché i provvedimenti del giudice (se depositati con modalità telematica), tutti con valore legale, oltre (artt.

9, co. 1, 14, co. 2 e 15, co. 4) la copia informatica per scansione (senza valore legale) con firma digitale del cancelliere degli atti cartacei con valore legale.

Dunque, la cancelleria, con riferimento agli atti processuali, provvedimenti ed allegati depositati in forma cartacea, deve provvedere in ogni caso ad effettuarne copia informatica e ad inserirla nel fascicolo informatico apponendovi la firma digitale, ai sensi degli artt. 9, co. 1, 14, co.

2 e 15, co. 4 DM n. 44/2011. Obbligo, questo, previsto già dall’art. 12, co. 1 e 2 DPR n. 123/2001, ma al quale pochissimi uffici giudiziari avevano adempiuto per mancanza di strumenti tecnici e personale. Il Tribunale di Campobasso è riuscito invece ad adempiervi da tempo tramite due convenzioni, allegate alla presente relazione, l’una stipulata con la Regione Molise e finanziata con fondi europei POR/FSE (ed ora con fondi ministeriali), che ha permesso di utilizzare ben 15 tirocinanti (su un personale amministrativo di 57 unità) diplomati e laureati inoccupati a supporto delle cancellerie, convenzione poi più volte prorogata e tuttora in regime di proroga; e l’altra stipulata con una società, che ha permesso e continua a permettere tuttora di utilizzare a titolo gratuito due soggetti, destinati esclusivamente alla scansione dei provvedimenti cartacei, con loro inserimento nei fascicoli informatici sotto la supervisione della cancelleria. Sono stati così scansionati tutti i procedimenti iscritti a ruolo dal settembre 2012 in poi, ora si sta procedendo a ritroso scansionando tutti i procedimenti iscritti a ruolo prima del settembre 2012 e si continuano comunque a scansionare giornalmente tutti gli atti cartacei che vengono depositati in Tribunale.

Copia delle due citate convenzioni è rinvenibile sul sito web/COSMAG delle Buone Prassi della VII Commissione del CSM e, ad ogni modo, le stesse vengono allegate alla presente relazione. In caso di stipula di consimili convenzioni da parte di altri uffici giudiziari, suggerisco comunque di trasmetterne previamente copia (come da noi fatto a suo tempo) al CSM ed al Ministero (compreso l’Ufficio ispettivo), specificando che, ove entro un certo termine non pervengano obiezioni in senso contrario, le convenzioni stesse verranno sottoscritte ed acquisteranno efficacia.

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Un discorso a sé stante meritano i verbali di udienza telematici. Il programma della consolle, anche in contrasto con la previsione dell’art. 126 cpc relativa alla sottoscrizione del cancelliere, permette la firma digitale del verbale dell’udienza telematica solo da parte del giudice: in tal modo, non solo il provvedimento finale contenuto nel verbale di udienza, ma l’intero verbale di udienza diviene un atto del giudice. Quanto al segnalato contrasto col disposto dell’art. 126 cpc relativo alla sottoscrizione del cancelliere, deve considerarsi che la SC è sempre stata ferma nel ritenere che la mancata assistenza del cancelliere nella formazione del verbale di udienza non importa né l’inesistenza, né la nullità dell’atto, in quanto la funzione del cancelliere ha natura soltanto integrativa di quella del giudice e la mancanza del primo non incide sull’idoneità al concreto raggiungimento degli scopi cui il verbale è destinato (cfr. es. Cass., nn. 9389/2007, 4849/1996, 11617/1990, 4033/1988, 888/1987). Piuttosto, si è posto il problema della validità del verbale di udienza telematico nelle ipotesi in cui vengano assunte prove testimoniali, giuramenti di CTU, interrogatori formali, ecc., senza che i soggetti coinvolti possano sottoscriverlo (essendone resa possibile dalla consolle del magistrato, come ripetesi, la sola firma digitale del giudice), problema superabile facendosi ricorso al disposto dell’art. 126, co. 2 c.p.c., secondo cui il processo verbale sottoscritto dal cancelliere è ugualmente valido anche se alcuno degli intervenuti “non può” (o non vuole) sottoscriverlo, di ciò facendosi menzione nel medesimo verbale; e tale impossibilità, nel caso di specie, deriva appunto dai limiti di tipo tecnico derivanti dal mancato possesso di una firma digitale utilmente inseribile nel verbale di udienza telematica, sicché il verbale in questione integrerà un documento informatico valido a tutti gli effetti con la sola firma digitale del giudice. Ove redatto dagli avvocati, è consigliabile trasferirlo non con penna usb (che potrebbe contenere dei virus) nella consolle del magistrato (che ovviamente lo controllerà, lo rileggerà anche alle parti presenti ed eventualmente lo modificherà, prima di firmarlo digitalmente), bensì in word all’indirizzo di posta elettronica dello stesso magistrato sul sito giustizia.it, che assicura un adeguato livello di protezione dai virus informatici.

Deve comunque ribadirsi che, poiché l’art. 16-bis, co. 1 l. n. 221/2012 cit., come integrata dalla l. n. 228/2012 cit., non prevede l’obbligatorietà del deposito con modalità telematiche degli atti del giudice, quest’ultimo potrà, anche dopo il 30/6/2014, continuare a redigere nella tradizionale forma analogica il verbale di udienza.

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2) L’architettura del processo civile telematico: ancora su regole tecniche e specifiche tecniche interne al PCT

L’art. 4, co. 1 DL n. 193/2009, conv. nella L. n. 24/2010 rinvia ad uno o più decreti interministeriali, ai fini dell’individuazione delle regole tecniche per l’adozione nel processo civile (ed in quello penale) delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. n. 82/2005 (CAD).

Ottemperando a tale rinvio, è stato emanato il Regolamento di cui al DM/Giustizia (di concerto col Ministro per la PA e l’Innovazione) 21.02.2011, n. 44 concernente appunto dette regole tecniche, successivamente modificato/integrato dal DM n. 209/2012 e poi ancora (quanto alle notificazioni telematiche eseguite dagli avvocati) dal DM n. 48/2013.

A sua volta, il predetto DM n. 44/2011, all’art. 34, rinvia all’emanazione di apposite specifiche tecniche, che, alla fine, altro non sono che regole tecniche ancor più dettagliate nella materia del PCT, aventi ad oggetto l’applicazione delle tecnologie dell’informatizzazione e della comunicazione al processo civile.

Ottemperando a tale rinvio, il DGSIA ha emanato il Provvedimento 18.07.2011, contenente appunto dette specifiche tecniche, le quali sono però, al pari delle regole tecniche, sono soggette ad aggiornamenti anche al fine del loro adeguamento all’evoluzione scientifica e tecnologica (v. pure art. 36 DM n. 44/2011). Il citato Provvedimento DGSIA 18.07.2011 è stato così da ultimo sostituito dal provvedimento DGSIA 16.04.2014, pubblicato sulla G.U. del 30.04.2014 ed entrato in vigore circa dieci giorni or sono, il 16.05.2014.

Come già accennavo nel precedente paragrafo 1, le regole tecniche di cui al DM n. 44/2011 e s.m.i. non integrano un mero regolamento amministrativo autonomamente intervenuto nella cornice di una legge che ne sta a monte, ma è frutto di un preciso rinvio recettizio della L. n.

24/2010, per cui anche le sue disposizioni hanno forza di legge; e la stessa cosa è a dirsi per le norme contenute nel Provvedimento DGSIA (oggi quello del 16.04.2014), a sua volta frutto di rinvio recettizio da parte del DM n. 44/2011 e, per il tramite di quest’ultimo, della L. n. 24/2010.

Trattasi di un meccanismo simile a quello di cui ad esempio all’art. 873 cc, quanto al rinvio recettizio alle maggiori distanze stabilite nei regolamenti locali (emanati o emanandi); ovvero all’art. 41-quinquies, co. 9 (come aggiunto dall’art. 17 L. n. 765/1967 e con le modifiche di cui al DPR n. 380/2001), quanto al rinvio recettizio all’emanando DM (ossia al poi emanato DM n.

1444/1968).

Non può dunque condividersi, a mio sommesso avviso, la parte motiva della sentenza del Tribunale di Milano (sez. IX) del 19.02.2014 (sebbene condivisibile, ma per altro motivo, è la soluzione cui perviene, come dirò nel successivo paragrafo 4), la quale assegna alle regole in

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questione natura meramente regolamentare e quindi subordinata a quella legislativa, nell’ambito della gerarchia delle fonti. Trattasi invece di norme regolamentari aventi forza di legge, in virtù del rinvio recettizio contenuto nell’art. 4 L. n. 24/2010 e questo spiega perché esse derogano e possono legittimamente derogare a precedenti norme di legge ordinaria (ivi incluse quelle dello stesso cpc), in quanto norme successive e speciali (concernenti cioè la speciale materia del PCT), ai sensi dell’art. 15 delle Preleggi. Vero è solo, tanto più per il fatto che il rinvio alle regole tecniche contenuto nell’art. 4, co. 1 e 2 L. n. 24/2010 (ed anche quello alle specifiche tecniche contenuto nell’art. 34 DM n. 44/2011) è un rinvio in bianco, che l’autorità amministrativa (Ministri di concerto, quanto alle regole tecniche; Direttore Generale SIA/Ministero della Giustizia, quanto alle specifiche tecniche) è tenuta ad operare entro i limiti della c.d. discrezionalità tecnica, ossia nell’ambito dei soli parametri tecnici legati alla scienza/disciplina di riferimento (senza con ciò escludere però che, come si diceva al paragrafo 1, nella materia di cui trattasi il concetto di regole tecniche va inteso in senso lato).

L’anzidetta efficacia delle regole tecniche e delle specifiche tecniche comporta che la loro violazione integra non una mera irregolarità processuale, ma una violazione di legge, foriera di determinare la nullità o comunque l’inammissibilità dell’atto processuale informatico o del documento allegato informatico non conforme alle stesse. Così, ad esempio, è a dirsi per una memoria ex art. 183, co. 6 cpc, la quale, ai sensi dell’art. 11 DM n. 44/2011 e s.m.i. e dell’art. 12 Provv. DGSIA 16.04.2014, deve essere depositata telematicamente quale atto informatico nativo in formato PDF ma (tra l’altro) senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, per cui non ne è ammessa la scansione di immagini (a differenza che per gli allegati, ai sensi dell’art. 12 DM n. 44/2011 e s.m.i. e dell’art. 13 Provv. DGSIA 16.04.2014); orbene, se un simile atto viene invece scansionato e poi depositato telematicamente, ricorrerà a mio avviso un’ipotesi di nullità (sia pure non rilevabile d’ufficio, stante il disposto dell’art. 157, co. 1 cpc) ai sensi dell’art. 156, co.

2 cpc (con relative decadenze e, sia detto per inciso, possibile responsabilità professionale dell’avvocato nei confronti del cliente, ove ne ricorrano anche gli altri presupposti di legge -danno e nesso causale-), mancando detto atto dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, tra i quali requisiti, nel PCT, deve intendersi compreso anche quello di permettere sia alla controparte che al giudice di operare appunto la selezione e copia (il copia e incolla) di parti del documento.

Tanto chiarito, tornando alla citata modifica apportata al DM n. 44/2011 dal DM n.

209/2012, tra gli aspetti più rilevanti (evidenziati anche dalla nota DGSIA 1.02.2013) della stessa vi è quello di non richiedere più (secondo la modifica apportata all’art. 15 DM n. 44 cit.) la controfirma digitale del cancelliere per attribuire valore legale al provvedimento depositato

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telematicamente dal magistrato (in senso sostanzialmente conforme, cfr. poi il passaggio motivazionale sulle sentenze in formato elettronico di Cass., ss.uu., 1°/8/2012, n. 13794), che il sistema del resto non consente neppure di apporre. Inoltre, aspetto ancor più rilevante, poiché l’art. 35 DM n. 44 cit. (sempre come modificato dal DM n. 209/2012) prevede la necessità del previo decreto dirigenziale DGSIA per attribuire valore legale ai soli depositi telematici provenienti dai soggetti abilitati esterni (problema anche questo peraltro ormai a sua volta risolto pure rispetto ai difensori, alla luce della successiva entrata in vigore dell’art. 16- bis, come inserito dalla l. n. 228/2011 nel d.l. n. 179/2011, conv. nella l. n. 221/2011), il giudice, indipendentemente dal decreto anzidetto, può già oggi depositare telematicamente con valore legale a mezzo consolle i propri provvedimenti. E tanto continuerà a valere anche oltre il 30.06.2014, per cui pure i giudici delle Corti di Appello, ancorché non ammesse al PCT obbligatorio dall’art. 16-bis cit. ed anche se non ammessevi con apposito decreto ministeriale/dirigenziale DGSIA, possono e potranno depositare telematicamente i loro provvedimenti con valore legale, a mezzo la propria consolle del magistrato.

La modifica apportata al DM n. 44/2011 dal DM n. 48/2013 riguarda invece le notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati (art. 18 DM n. 44), ai sensi dell’art. 3-bis (come inserito dall’art. 16-ter L. n. 221/2012 nella) L. n. 53/1994 e s.m.i. . Tanto, però, come chiarito anche nell’apposita scheda tecnica presente nel Portale Servizi Telematici/PST del Ministero della Giustizia, non era ancora sufficiente ai fini della validità di tale forma di notifica telematica (l’art. 18 cit. fa espresso rinvio alle specifiche tecniche, ma quelle di cui al Provv.

DGSIA 18.07.2011 erano sul punto carenti), per cui è al riguardo intervenuto l’art. 19-bis delle specifiche tecniche di cui al citato Provv. DGSIA 16.04.2014, rendendo oggi concretamente possibili le notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati.

E, restando a quest’ultimo Provvedimento DGSIA 16.04.2014 (che, come ripetesi, ha sostituito quello del 18.07.2011 in materia di specifiche tecniche), altre importanti novità nello stesso contenute riguardano: le nuove modalità di identificazione dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati (autenticazione a due fattori ex artt. 2-bb e 6); la comunicazione e consultazione degli indirizzi PEC delle PA (art. 9-bis, comunicazione che dovrebbe avvenire entro il 29 luglio 2014 o anche successivamente ai sensi dell’art. 30, co. 4); la nuova modalità di firma di cui all’art.

12, co. 2 (PAdES-BES o PAdES Part 3, in aggiunta a quella CAdES prevista dal previgente art. 12 Provv. DGSIA 18.07.2011; con divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario, divieto probabilmente inopportuno, ma presumibilmente inserito al fine di alleggerire il contenuto della busta, che, ai sensi dell’art. 14, co.

3, non può superare i 30 Magabyte); taluni nuovi formati dei documenti informatici allegati agli atti

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processuali ex art. 13 (.eml e .msg, mentre è stato soppresso il formato .odf; è stato invece mantenuto, tra gli altri, il .jpg, più leggero rispetto alla scansione); la possibilità di accesso al punto di accesso per i servizi di consultazione anche a soggetti delegati da un utente registrato (delegante), previo atto di delega sottoscritto da quest’ultimo con firma digitale, che il punto di accesso conserva per cinque anni unitamente alla tracciatura di ogni accesso effettuato su delega (art. 24, co. 10).

Infine, merita attenzione il disposto dell’art. 17 Provv. DGSIA 16.04.2014, che, a differenza della precedente versione dello stesso articolo contenuta nel previgente Provv. DGSIA 18.07.2011, intanto fa riferimento non soltanto alle comunicazioni ma anche alle notificazioni (e quindi anche alla notifica di nomina del CTU ex art. 192, co. 1 cpc) telematiche e poi prevede che il gestore dei servizi telematici recuperi il relativo indirizzo non più esclusivamente dal ReGIndE, ma più in generale dai pubblici elenchi di cui all’art. 16-ter o dell’art. 16, co. 7 DL n. 179/2012 (conv. nella L. n. 221/2012 ed integrato dalla L. n. 228/2012), ossia dai pubblici elenchi da cui risultano pubblicati (se pubblicati) gli indirizzi di PEC del domicilio digitale del cittadino (facoltativo, ex art.

4 DL n. 179 cit.), delle PA (art. 16, co. 12 DL n. 179/2012 cit.), delle imprese e dei professionisti (per questi ultimi attraverso la pubblicazione degli elenchi da parte dei rispettivi ordini o collegi professionali) ex art. 16 DL n. 185/2008, conv. nella L. n. 2/2009 ed art. 6-bis D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i. (CAD, articolo inseritovi dall’art. 5 DL n. 179/2012 cit., istitutivo dell’INI-PEC). Orbene, limitando il discorso ai CTU, deve rilevarsi che, dunque, le nomine potranno essere loro notificate telematicamente (ma sempre che l’ufficio giudiziario sia in possesso del loro numero di codice fiscale) anche ove gli stessi non si siano registrati al ReGIndE (registrazione cui, a differenza degli avvocati, possono procedere anche direttamente, ai sensi dell’art. 9 Provv. DGSIA 18.07.2011 ed ora dell’art. 9 Provv. DGSIA 16.04.2014), a condizione che il loro indirizzo di PEC risulti altrimenti dai pubblici elenchi di cui si diceva sopra; tuttavia, in mancanza di registrazione al ReGIndE, essi non potranno depositare telematicamente le loro relazioni peritali nei Tribunali, come dal 30.06.2014 saranno obbligati a fare in base al disposto dell’art. 16-bis, co. 1 DL n.

179/2012 (conv. nella L. n. 221/2012, come integrata dalla L. n. 228/2012) e ciò a differenza dei CTP, i quali ultimi, sempre in base alla citata norma, depositano le loro relazioni di parte per il tramite dei difensori delle parti. Il problema è di non poca rilevanza, perché allo stato in vari distretti sono veramente pochissimi i professionisti/CTU (o loro ordini o collegi professionali) che si sono registrati al ReGIndE (anzi, in vari casi gli uffici giudiziari non hanno neppure i loro numeri di codice fiscale, con relativa impossibilità di notificazioni/comunicazioni telematiche nei loro confronti), per cui occorre procedere ad un’opera di loro indispensabile sensibilizzazione, perché altrimenti, a partire dal 30.06.2014 in poi, essi non potranno depositare le relazioni peritali (neppure quelle relative ai processi nei quali sono stati già precedentemente nominati) e dovranno

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per tale motivo essere revocati e sostituiti con altri CTU regolarmente registrati al ReGIndE (che a loro volta, come si diceva, scarseggiano).

3) L’architettura del processo civile telematico: le regole tecniche esterne al PCT ma rilevanti per il PCT

Il discorso sulle regole tecniche non si esaurisce con riferimento a quelle di cui al precedente paragrafo, interne al PCT, ma si estende anche a quelle per così dire esterne al PCT ma per quest’ultimo rilevanti; d’altra parte, le stesse regole tecniche e specifiche tecniche di cui al precedente paragrafo sono state espressamente emanate (ai sensi dell’art. 4, co. 1 e 2 L. n. 24/2010)

“in attuazione” dei principi previsti dal D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i. (CAD).

Mi riferisco, in particolare, alle regole tecniche di cui all’art. 71 CAD, talune delle quali sono state già emanate, mentre altre mancano del tutto, per cui, riguardo a queste ultime, non può trovare applicazione neppure il co. 2 del citato art. 71 (che lascia provvisoriamente in vigore le regole tecniche vigenti, fino all’adozione delle nuove).

Cominciando dalle regole tecniche già emanate in attuazione dell’art. 71, co. 1 e 1-bis CAD, vi sono quelle relative alla firma elettronica di cui al DPCM 22.02.2013 (che hanno sostituito quelle di cui al DPCM 30.03.2009) e quelle relative alla conservazione e protocollazione dei documenti informatici di cui ai due DPCM in pari data 3.12.2013 (che hanno sostituito quelle di cui alla deliberazione CNIPA del 19.02.2004).

Un discorso a sé stante riguarda le regole tecniche per la formazione/trasmissione/validazione anche temporale della posta elettronica certificata/PEC, di cui al DM n. 19818/2005, emanato in attuazione dell’art. 17 DPR n. 68/2005, sul quale si tornerà nel successivo paragrafo 4.

Ma, restando al CAD, mancano ancora allo stato le regole tecniche più importanti di tutte, ossia quelle relative alla formazione, copia, duplicazione, riproduzione, asseverazione di conformità, ecc. dei documenti informatici, sia in originale che in copia. Gli artt. 20 e ss. CAD, difatti, contengono continui rinvii alle regole tecniche di cui all’art. 71, le quali però in materia (ed a distanza di circa nove anni) non sono state ancora emanate, né ve ne sono altre temporaneamente applicabili. Di dette regole tecniche si rinviene solo una bozza/schema di DPCM, pubblicata il 5.8.2011 sul sito DigitPA, ora AGID/Agenzia per l’Italia digitale (http://www.agid.gov.it). Per cui, al riguardo si pone il problema serio, e non di poco conto, sulla valenza probatoria dei documenti informatici (ovvero cartacei promananti da documenti informatici, come la stampa dei file) necessariamente non conformi alle regole tecniche di cui all’art. 71 CAD, dato che queste non sono state ancora emanate.

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Un documento informatico, difatti, può essere validamente depositato telematicamente, in conformità alle regole tecniche e specifiche tecniche interne al PCT, ma essere in sé non conforme alle regole tecniche di cui all’art. 71 CAD. Si pensi, ad esempio, alla stampa di un documento informatico allegato all’atto processuale (es. la stampa di una mail inviata o ricevuta di PEC -o anche non di PEC-), la quale venga scansionata nel rispetto di quanto disposto dagli artt. 12 DM n.

44/2011 e 13 Provv. DGSIA 16.04.2014 e quindi depositata telematicamente nel rispetto di quanto disposto dagli artt. 13 DM n. 44/2011 e 14 Provv. DGSIA 16.04.2014: qui le regole tecniche e specifiche tecniche interne al PCT sono state rispettate e quindi il formato del documento informatico allegato ed il suo deposito telematico sono stati regolari, ma, nondimeno, il documento in sé (ossia la stampa della mail) non è stato validamente formato, in quanto la sua formazione non è conforme alle regole tecniche (non ancora emanate, né altrimenti vigenti in via temporanea) di cui al comb. disp. degli artt. 23, co. 2 e 71 CAD.

Al riguardo, se le norme del CAD di cui agli artt. 20 e ss. si configurassero come norme imperative anche con riferimento alla conformità alle regole tecniche, allora la non-conformità alle regole tecniche del documento informatico (oppure del documento analogico tratto dal documento informatico, come nell’esempio testé illustrato) determinerebbe la nullità dello stesso, in base al disposto dell’art. 1418, co. 1 cc. Tuttavia, a mio sommesso avviso, il requisito della conformità alle regole tecniche di cui all’art. 71 CAD non integra un elemento essenziale di forma del documento la cui carenza ne produce la nullità (e ciò a differenza della non-conformità alle regole tecniche degli atti processuali e degli allegati sul piano processuale, di cui ho già parlato nel precedente paragrafo 2), bensì un elemento di forma del documento la cui carenza rende l’originale (o il duplicato di cui all’art. 23-bis, co. 1 CAD) del documento disconoscibile ex art. 214 cpc e liberamente valutabile dal giudice (nell’ambito dell’eventuale procedimento di verificazione ex artt. 216 e ss. cpc), ai sensi degli artt. 20, co. 1-bis CAD e (se vi è apposta una firma elettronica) ai sensi dell’art. 21, co. 1 CAD (fermo restando il discorso sulla querela di falso ex artt. 221 e ss. cpc, nelle ipotesi di cui all’art. 2702 cc, o comunque ove si contesti il contenuto del documento e, anche in tal caso, lo stesso sarà liberamente valutabile dal giudice); e rende la copia informatica del documento analogico (art. 22 CAD: e qui il co. 2 è riferibile anche alle notifiche di atti degli avvocati, in base al rinvio di cui all’art. 3-bis, co. 2 L. n. 53/1994 e s.m.i. -salvo il problema, quanto a quest’ultima norma, dell’eventuale applicabilità, in alternativa, del disposto dell’art. 19-bis, co. 4 in relazione al co. 2 dell’art. 19-bis Provv. DGSIA 16/04/2014-), oppure la copia analogica del documento informatico (art. 23 CAD), oppure la copia informatica di documento informatico (art.

23-bis, co. 2 CAD) disconoscibile, ancor più che ai sensi dell’art. 2719 cc, ai sensi dell’art. 2712 cc (degradando la copia a mera riproduzione meccanica o informatica: e la stessa SC è solita riportare nell’ambito dell’elencazione non tassativa di quest’ultima norma non solo “fatti” o “cose”, ma

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anche atti -cfr. es. Cass., nn. 6911/2009, 11269/2004 e 13916/2007-), con la conseguenza che, se detto disconoscimento è chiaro, circostanziato, esplicito e tempestivo, la copia/riproduzione in questione perde ogni efficacia probatoria (in materia, sebbene con riferimento ad altre ipotesi di disconoscimento ex art. 2712 cc, cfr. es. Cass., nn. 2117/2011, 9526/2010 e 8998/2001).

4) L’architettura del processo civile telematico: la disciplina della P.E.C.

La normativa di riferimento in materia di PEC, a parte provvedimenti normativi meno recenti, è innanzi tutto quella di cui alla legge n. 3/2003 e quella contenuta nel Regolamento di cui al DP R 11.2.2005, n. 68 (emanato ai sensi dell’art. 27 della citata L. n.

3/2003), oltre le regole tecniche di cui al DM/Innovazione e Tecnologie 2.11.2005, n. 19818 e relativo allegato (emanate ai sensi dell’art. 17 del citato DPR n. 68/2005). Poi vi sono numerosi altri provvedimenti legislativi e regolamentari, tra cui le circolari CNIPA (poi DigitPA ed oggi AGID/Agenzia per l’Italia Digitale) nn. 49/2005, 51/2006, 56/2009, il D L n. 185/2008, come convertito nella L. n. 2/2009, il DPCM 6/5/2009, lo stesso CAD (D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i.), la L. n. 183/2011, il DL n. 5/2012, come convertito nella L. n. 35/2012, il DL n.

179/2012, come convertito nella L. n. 221/2012 e la L. n. 228/2012. Nella materia del PCT, la normativa di riferimento è, ancor più specificamente, quella di cui al DL n. 193/2009, convertito nella L. n. 24/2010, al DM n. 44/2011 ed al connesso Provvedimento DGSIA 16.04.2014.

La posta elettronica certificata (P . E.C . ) è il sistema di posta elettronica nel quale il mittente riceve apposita documentazione elettronica (ricevute di accettazione e di avvenuta consegna: cfr. art. 6 DPR n. 68/2005) attestante l’invio e la consegna di documenti informatici.

Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore (art. 45, co. 2 CAD e art. 3 DPR n. 68/2005) e la ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di PEC nella casella messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall’avvenuta lettura da parte del destinatario (art. 6, co. 5 DPR n. 68/2005). La trasmissione ai sensi di legge del documento informatico per via telematica a mezzo di PEC equivale (salvo che la legge non disponga diversamente) alla notificazione per mezzo posta (art. 48, co. 2 CAD; e v. pure art. 3, co. 1 DPR n. 68/2005), con relativa opponibilità ai terzi di data e ora di trasmissione e ricezione (sempre che queste siano conformi alle disposizioni di cui al DPR n. 68/2005

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ed alle relative regole tecniche: art. 48, co. 3 CAD), sicché il destinatario che voglia contestare di avere ricevuto il messaggio (come risultante dalla ricevuta di avvenuta consegna in possesso del mittente) dovrà farlo tramite querela di falso.

Quanto alla contestazione del contenuto del messaggio di PEC e/o degli eventuali allegati al messaggio di PEC, occorre invece distinguere, dato che le ricevute di avvenuta consegna (RAC) possono essere di 3 tipi: a) la ricevuta avvenuta di consegna completa (default:

v. art. 1, lett. i d.m. n. 19818/2005), che è quella in cui il messaggio originale (compresi eventuali allegati) viene integralmente inserito nella medesima ricevuta di consegna; b) la ricevuta di avvenuta consegna breve (v. art. 1, lett. l DM n. 19818/2005 e v. pure il par. 6.5.2.2 dell’allegato a detto DM), che è quella in cui il messaggio originale viene allegato per estratto alla medesima ricevuta di consegna, ma gli eventuali allegati presenti al suo interno (così come lo stesso messaggio integrale) vengono sostituiti con i rispettivi hash, che equivalgono grosso modo ad una impronta, la quale, attraverso particolari procedure di tipo tecnico, permette di ricollegare detti allegati (e solo detti allegati) al messaggio originale (che l’interessato deve conservare sul proprio dispositivo, ai fini della successiva verifica tecnica, operata magari a mezzo di apposita CTU informatica); c) la ricevuta di avvenuta consegna sintetica (v. art. 1, lett. m DM n. 19818/2005 e v. pure il par. 6.5.2.3 dell’allegato a detto DM), che è quella in cui il messaggio originale non viene allegato neanche per estratto alla medesima ricevuta di consegna (e tanto meno vengono allegati alla medesima ricevuta di consegna gli eventuali allegati al messaggio originale), sicché qui va persa la certificazione sul contenuto del messaggio e degli allegati inviati, residuando solo la certificazione del mittente e del destinatario, dell’oggetto e della data e ora del messaggio inviato.

Nel primo caso, il valore certificativo della PEC si estende anche all’allegato e quindi deve ritenersi che quest’ultimo possa essere contestato solo con querela di falso; stessa cosa dovrebbe ritenersi pure nel secondo caso. Nel terzo caso, invece, il valore certificativo della PEC non può riguardare l’allegato (ed anzi neppure il testo della mail) e quindi deve ritenersi che colui contro il quale detta mail o allegato è prodotto possa semplicemente negare di avere inviato il testo della mail di PEC con quel determinato contenuto e/o quel determinato allegato ed in tal caso la parte che lo ha prodotto avrà l’onere di dimostrare di avere inviato il testo proprio con quel contenuto e/o proprio quel determinato allegato alla mail di PEC, onere non certo agevole, sebbene il mittente onerato possa chiedere al giudice di ordinare al destinatario ex art. 210 cpc l’esibizione della mail di PEC ricevuta e/o del suo documento allegato, con le conseguenze di cui all’art. 118, co.

2 cpc (il destinatario potrebbe rispondere però di avere eliminato mail ed allegato in quanto irrilevanti e diversi da quelli accampati dal mittente); in alternativa, occorrerebbe disporre una CTU informatica, con le complicazioni però connesse al fatto che per il CTU potrebbe risultare impossibile, nonostante l’autorizzazione del giudice, acquisire da un provider magari straniero il log

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relativo al contenuto di quella specifica mail (eventualmente ancora) conservato sul server.

Il mittente ha l’onere di conservare le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna (al pari delle ricevute cartacee di racc.te A/R). Ad ogni modo, nel caso in cui il mittente non conservi le ricevute, la traccia informatica (log) delle operazioni svolte viene conservata per 30 mesi in un apposito registro informatico custodito dai gestori (art. 11, co. 2 DPR n. 68/2005):

tale registro ha lo stesso valore giuridico delle ricevute (art. 6, co. 7 DPR cit.).

Invece, il Ministero della Giustizia conserva la traccia informatica (log) dei messaggi transitati attraverso il proprio gestore per 5 anni, ex art. 4, co. 3 Reg./DM n. 44/2011, norma questa sicuramente prevalente su quelle del DPR n. 68 cit, anche in virtù dell’espressa esclusione di cui all’art. 16, co. 4 di quest’ultimo DPR della sua applicabilità all’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile (e negli altri processi), che resta governato dalle disposizioni normative specificamente dettate in materia. Anzi, l’art. 4 del Provvedimento DGSIA 18.7.2011 prevedeva la conservazione del log per 10 anni e ciò in contrasto col disposto del citato (prevalente) art. 4, co. 3 Reg./DM n. 44/2011; l’attuale art. 4, co. 6 Provv. DGSIA 16.04.2014 ha sanato detto contrasto, confermando la conservazione del log per 5 anni.

Il servizio di PEC è soggetto a scadenza, la quale viene comunicata in anticipo ai fini del suo rinnovo, rinnovo da effettuarsi prima della scadenza perché altrimenti alla data di scadenza il servizio viene automaticamente disattivato e successivamente cancellato, con la perdita di tutti i messaggi ivi presenti.

Nei casi specificamente indicati col decreto di cui all’art. 65, co. 1-bis CAD, il documento informatico inviato tramite PEC ha valore legale solo se sottoscritto con firma digitale e ciò è quanto normalmente avviene con riferimento ai depositi telematici civili con valore legale, ivi inclusi i depositi telematici degli atti processuali da parte dei soggetti abilitati esterni (non così, invece, per le comunicazioni telematiche civili effettuate dalla cancelleria, le quali non richiedono la firma digitale). Nelle sovraesposte ipotesi, l’apposizione della firma digitale sul documento informatico è un passaggio necessario ed indefettibile, che precede il suo invio telematico (senza il quale preliminare passaggio, cioè, il sistema non permette di inviare telematicamente il documento). Qui dunque la firma digitale ha una duplice funzione: quella di formare un documento informatico qualificato; e quella di permetterne la trasmissione a mezzo PEC.

Negli altri casi, l’identificazione dell’autore della comunicazione viene effettuata in altre forme (art. 65, co. 1, lett. a/c-bis CAD). Deve comunque considerarsi che la trasmissione del messaggio di PEC e le relative ricevute (di accettazione, di presa in carico, di avvenuta o mancata consegna) sono comunque sottoscritte dai gestori con firma elettronica generata

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automaticamente dal sistema di posta elettronica, oltre che marcate temporalmente (cfr. artt. 9 e 10 DPR n. 68/2005 ed artt. 7 e 9 DM n. 19818/2005 -e relativo allegato-). In tutte le ipotesi di cui si sta discutendo (art. 65, sia co. 1 che co. 1-bis), le istanze e le dichiarazioni così inviate o compilate sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento (art. 65, co. 2 CAD). Tuttavia, il valore legale della trasmissione a mezzo PEC del documento informatico presuppone che tanto la casella del mittente quanto quella del destinatario siano caselle di PEC (in caso contrario, una serie di funzionalità della certificazione -es. la ricevuta con valore legale di avvenuta consegna- andranno perse).

L’art. 47 CAD detta regole per la trasmissione di documenti a mezzo posta elettronica tra le PA (sul che, cfr. pure l’art. 6 DL 9.2.2012, n. 5, conv. nella L . n. 35/2012), pena responsabilità dirigenziale, disciplinare ed eventualmente anche contabile di chi violi tale disposizione (art. 47, co. 1-bis CAD cit., come inseritovi dall’art. 6 DL n. 179/2012, convertito nella L. n. 221/2012).

Vari dei provvedimenti normativi citati in apertura del presente paragrafo prevedono inoltre l’obbligo, per determinati soggetti o enti, di istituire un indirizzo PEC iscritto in pubblici elenchi, obbligo che però, a tutt’oggi, non risulta da tutti pienamente assolto. Così è a dirsi per le PA (art. 16, co. 12 DL n. 179/2012, conv. nella L. n. 221/2012), per le imprese e per i professionisti (per questi ultimi attraverso la pubblicazione degli elenchi da parte dei rispettivi ordini o collegi professionali) ex art. 16 DL n. 185/2008, conv. nella L. n. 2/2009 ed art. 6-bis D.Lgs. n. 82/2005 e s.m.i. (articolo inserito nel CAD dall’art. 5 DL n. 179 cit., istitutivo dell’INI-PEC). Facoltativa resta invece l’istituzione del domicilio digitale del cittadino (art. 4 DL n. 179 cit.). Un riferimento ai suddetti pubblici elenchi, ai fini delle notificazioni e comunicazioni telematiche a mezzo PEC degli atti in materia civile (oltre che penale, amministrativa e stragiudiziale) è poi contenuto nell’art. 16-ter, come inserito nel DL n. 179/2012 (conv. nella L. n. 221/2012) dalla L. n. 228/2012.

Esaminando più specificamente i particolari profili della PEC in materia di PCT, al fine di incentivare l’utilizzo della PEC, l’art. 51, co. 3 DL n. 112/2008, convertito con modif. nella L. n. 133/2008, come modificato dall’art. 4, co. 3 DL n. 193/2009, convertito nella L . n. 24/2010, prevedeva che, negli uffici giudiziari individuati col DM di cui ai co. 1 e 2, le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alle parti che non avevano provveduto ad istituire e comunicare l’indirizzo di PEC dovevano essere fatte presso la cancelleria o segreteria del medesimo ufficio giudiziario. Ora l’art. 16, co. 11 L. n. 221/2012 ha abrogato questa disposizione, ma al co. 6 ha stabilito che, in caso di mancata istituzione (o comunicazione) dell’indirizzo di PEC tramite registrazione al ReGIndE (come pure nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al

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destinatario), le notificazioni e comunicazioni telematiche sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria (discorso su cui si tornerà oltre) e (co. 14) l’importo del diritto di copia dovuto per detti atti comunicati o notificati in cancelleria è aumentato di dieci volte.

Oltre a questa previsione, l’art. 4, co. 4 della l. n. 24/2010 ha poi anche aggiunto un comma (1-bis) all’art. 40 DPR n. 115/2002 sulle spese di giustizia, stabilendo un aumento di almeno il 50% dei diritti di copia rilasciata su supporto cartaceo rispetto all’importo previsto per la copia rilasciata in formato elettronico.

A sua volta, l’art. 37, co. 6, lett. q DL 6.7.2011, n. 98, come convertito nella L.

15.7.2011, n. 111, ha inserito il co. 3-bis nell’art. 13 del suddetto DPR n. 115/2002, prevedendo l’aumento del 50% del contributo unificato qualora il difensore non indichi il proprio indirizzo di PEC ed il proprio numero di fax ai sensi degli artt. 125, co. 1 cpc e 16, co.

1-bis D.Lgs. n. 546/92 (ovvero qualora la parte -non anche il difensore- ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio: omessa indicazione che, ai sensi dell’art. 163, co. 3, n. 2 cpc, produce la nullità dell’atto di citazione -non peraltro del ricorso- ex art. 164, co. 1 cpc, nullità peraltro sanabile ai sensi della medesima norma).

La L. n. 24/2010 ha pure integrato (art. 4, co. 8, lett. a, b, c) gli artt. 125, co. 1, 163, co. 3, n. 2 e 167, co. 1 cpc, con la previsione dell’indicazione da parte del difensore del codice fiscale negli atti di parte (art. 125, co. 1 cpc) e la previsione della specifica indicazione del codice fiscale dell’attore e del convenuto nell’atto di citazione e nella comparsa di risposta (artt. 163, co. 3, n. 2 e 167, co. 1 cpc); dopodiché, l’art. 2, co. 35-ter, lett. a del DL n.

138/2011, come convertito nella L. n. 148/2011 ha altresì ulteriormente integrato l’art. 125 cpc, nel senso che negli atti di parte il difensore deve indicare anche il proprio indirizzo di PEC (oltre che il numero di fax); previsione, quest’ultima, a sua volta ulteriormente integrata dall’art. 25, co. 1, lett. a della L . n. 183/2011, nel senso che il difensore deve indicare non un qualsivoglia proprio indirizzo di PEC, bensì l’indirizzo di PEC comunicato al proprio Ordine.

Sulla base delle anzidette previsioni, peraltro, la mancata indicazione da parte del difensore negli atti di parte dell’indirizzo di PEC comunicato al proprio Ordine e/o del numero di fax ex art. 125, co. 1 (come appunto più volte novellato) non dà luogo a nullità, non essendo questa comminata dalla legge, né integrando gli elementi suddetti dei requisiti formali indispensabili perché l’atto raggiunga il suo scopo (cfr. art. 156, co. 1 e 2 cpc), dato che la mancata indicazione dell’indirizzo di PEC (comunicato al proprio Ordine) produce solo la conseguenza che, come si diceva, le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento verranno fatte presso la cancelleria (e ciò vale, stante il disposto dell’art. 366, co. 2 cpc, come modificato dall’art. 25, co. 1, lett. i L. n. 183/2011, anche nel caso di mancata

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indicazione da parte del ricorrente per Cassazione dell’indirizzo di PEC comunicato al proprio Ordine, ove egli non abbia eletto il proprio domicilio in Roma), laddove la mancata indicazione del numero di fax renderà materialmente impossibili le comunicazioni a mezzo telefax (art. 136, co. 3 c.p.c.), oltre le già citate conseguenze sul piano fiscale (aumento del 50% del contributo unificato in caso di mancata indicazione della PEC e d e l fax del difensore -e/o del codice fiscale della parte nell’atto introduttivo- ed aumento di dieci volte dei diritti di copia in caso di mancata indicazione della PEC del difensore, oltre l’aumento di almeno il 50% dei diritti di copia rilasciata su supporto cartaceo).

Restando alle comunicazioni e notificazioni telematiche con valore legale a mezzo PEC degli atti civili, taluni Uffici giudiziari vi erano stati ammessi con decreto del Ministero della Giustizia/DGSIA emanato ai sensi dell’art. 35 del DM n. 44/2011, mentre altri vi erano stati ammessi con decreto del Ministero della Giustizia emanato ai sensi dell’art. 51 DL n.

112/2008, conv. nella L . n. 133/2008, come modif. dall’art. 4, co. 3 DL n. 193/2009, conv. nella L. n. 24/2010. In materia, si era sviluppato un acceso dibattito volto a stabilire se, rispetto al difensore sfornito di PEC regolarmente comunicata al proprio Ordine di appartenenza (o comunque di mancata consegna del messaggio di PEC al destinatario per cause a lui imputabili), gli uffici giudiziari ammessi alle comunicazioni telematiche civili ai sensi dell’art.

35 cit. dovessero (o meno) procedere alla comunicazione a mezzo telefax o notifica da parte dell’U.G. ex art. 136, co. 3 cpc (laddove gli uffici giudiziari ammessi alle comunicazioni telematiche civili ai sensi dell’art. 51 cit. procedevano in simili ipotesi, come già sopra accennato, al semplice deposito dell’atto in cancelleria).

Ma la questione è ormai superata, a seguito dell’entrata in vigore del D L n.

179/2012, come conv. nella L . n. 221/2012 (ed integrato dalla L . n. 228/2012), il cui art. 16 (oltre ad abrogare espressamente al co. 11 l’art. 51 cit., co. da 1 a 4), ha reso obbligatorie le comunicazioni e notificazioni civili per via telematica a mezzo PEC da parte delle cancellerie dei Tribunali e delle Corti di Appello, statuendo al co. 4 che le stesse “sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” (e che “La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”), per cui, come aggiunge il successivo co. 6,

“Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata

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per cause imputabili al destinatario”.

Sempre con riferimento alle comunicazioni e notificazioni telematiche civili a mezzo PEC, l’art. 4 DM n. 44/2011 e s.m.i. stabilisce, tra l’altro, che il Ministero della Giustizia si avvale di un proprio servizio di posta elettronica certificata, in conformità con quanto previsto dal CAD, gestendo anche (art. 7) il registro generale degli indirizzi elettronici (Re.G.Ind.E:

consultabile anche dai soggetti abilitati esterni tramite il proprio punto di accesso o tramite il Portale dei Servizi Telematici/PST del Ministero della Giustizia, secondo le modalità di cui all’art. 7 Provv. DGSIA 16.04.2014), contenente i dati identificativi e gl’indirizzi di PEC dei soggetti abilitati esterni (sia privati che pubblici e quindi: difensori delle parti private, avvocati dello Stato, CTU, ecc.: art. 2, lett. m, sub nn. 2-4 DM cit., soggetti la cui casella PEC deve avere i requisiti di cui all’art. 20 e quindi, tra l’altro, essere dotata di software antispam ed antivirus, oltre che di un servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della casella di PEC, disporre di uno spazio disco minimo di 1 Gigabyte, ecc.) e degli utenti privati (quanto invece alle funzioni messe a disposizione dei soggetti abilitati interni, cfr. l’art. 8 DM cit.). L’art. 9 DM cit. e l’art. 11 Provv. DGSIA cit. trattano del fascicolo informatico, contenente tra l’altro anche le ricevute di PEC, mentre gli artt. 16 e 17 DM cit. (e 17-19 Provv. DGSIA cit.) sono specificamente dedicati alle comunicazioni ed alle notificazioni per via telematica a mezzo PEC.

Per quanto concerne le comunicazioni telematiche, l’Ufficio giudiziario vi provvede (art. 16, co. 1 DM cit.) mediante invio di un messaggio dall’indirizzo della propria PEC all’indirizzo di PEC del destinatario, indicato nel registro generale degli indirizzi elettronici (Re.G.Ind.E, di cui all’art. 7), ovvero per la persona fisica consultabile ai sensi dell’articolo 7 DPCM 6.5.2009, previa formazione di copia informatica dei documenti cartacei da comunicare (art. 16, co. 2 DM cit.). Anche riguardo ai documenti cartacei da comunicare, la cancelleria provvede ad effettuarne una copia informatica in formato pdf ed a conservarla nel fascicolo informatico (art. 17, co. 2 Provv. DGSIA 16.04.2014). La comunicazione per via telematica si intende perfezionata (art. 16, co. 3 DM cit.) nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore della PEC del destinatario e produce gli effetti di cui agli articoli 45 e 48 del CAD . Nel caso in cui venga generato un avviso di mancata consegna secondo le regole tecniche della PEC e salvo il caso fortuito o la forza maggiore, negli uffici giudiziari individuati con il decreto ex art. 51, co. 2 d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008 (ma ora non solo in questi Uffici, bensì in tutti i Tribunali e le Corti di Appello, a seguito dell’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni per via telematica stabilita dall’art. 16 DL n. 179/2012, convertito nella l. n. 221/2012) si procede (art.

16, co. 4) ai sensi dell’art. 51, co. 3 d.l. cit. e quindi la comunicazione verrà eseguita presso la

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