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Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 13 novembre 2003, ha adottato la seguente delibera:

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Delegabilità da parte del Presidente della Corte di appello degli atti previsti dall'art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198.

(Risoluzione del 13 novembre 2003)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 13 novembre 2003, ha adottato la seguente delibera:

“Su richiesta della Ottava Commissione il Comitato di Presidenza, nella seduta del 20 marzo 2003, ha autorizzato l’apertura di una pratica avente ad oggetto: “La delegabilità da parte del Presidente della Corte di appello degli atti previsti dall’art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198”.

L’analisi delle procedure disciplinari concernenti i giudici di pace, ed in particolare la verifica di prassi difformi in ordine alle modalità di esercizio dei diversi atti del “procedimento disciplinare” dei magistrati onorari, ha determinato l’opportunità di una puntualizzazione della materia, per garantire una uniformità di comportamento da parte dei titolari dell’esercizio dell’azione disciplinare.

Di conseguenza, nella seduta del 31 marzo 2003 la Commissione ha deliberato di richiedere all’Ufficio Studi e Documentazione una relazione sul tema in oggetto. Il predetto Ufficio Studi ha reso il seguente parere:

«I. - Premessa.

L’Ottava Commissione, nella seduta del 31 marzo 2003, ha deliberato di richiedere a quest’ufficio una relazione urgente con riferimento al tema in oggetto indicato .

Alla richiesta di relazione è allegata copia della delibera consiliare del 6 giugno 2001, per una migliore comprensione dei termini del quesito.

L’indicata delibera consiliare affronta la questione della delegabilità o meno da parte del presidente della Corte di appello dell’adempimento consistente nella formulazione, e contestazione, dell’addebito disciplinare al giudice di pace incolpato e conclude nel senso della non delegabilità innanzitutto per una ragione di ordine letterale, che rende irrilevante l’esame del contrario argomento interpretativo, secondo cui la delegabilità delle funzioni costituisce un principio generale del diritto amministrativo.

Rileva, infatti, la delibera che le disposizioni dell’art. 17 D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, rimettono alcuni atti del procedimento in via esclusiva al presidente della Corte di appello, e specificamente la contestazione per iscritto del fatto al giudice di pace interessato e la proposta conclusiva al consiglio giudiziario, mentre altri atti, pur rimessi al presidente, sono indicati come espressamente delegabili, e specificamente gli accertamenti necessari e preliminari alla proposta, da trasmettersi al consiglio giudiziario.

La ragione di siffatta disciplina è individuata, dalla delibera consiliare, nella “diversa valutazione del rilievo che i singoli atti assumono all’interno del procedimento...”: alcuni atti, come appunto la formulazione e contestazione dell’addebito, richiedono una maggiore responsabilità e pertanto si è inteso affidarli al presidente della Corte di appello senza possibilità di delega ad altri soggetti, mentre per gli atti che implicano una minore responsabilità, come gli adempimenti istruttori, non v’è ragione per escludere la delega.

D’altronde, si prosegue, è una scelta logicamente coerente l’esclusione della possibilità di delegare l’atto di contestazione dell’addebito, dal momento che il presidente della Corte di appello è poi chiamato a formulare le richieste finali al Consiglio giudiziario ed è bene che a codesti essenziali adempimenti provveda sempre lo stesso organo.

II. - Osservazioni dell’Ufficio Studi.

2.1. Il necessario riferimento alle previsioni legislative.

Il rilievo attribuito dal precedente consiliare al dato letterale delle disposizioni regolamentari sul procedimento di decadenza, dispensa o di natura disciplinare non sembra giustificato dalla comparazione, pur necessaria, tra le disposizioni regolamentari e quelle legislative, di cui sono attuazione.

Eventuali limiti al potere di delega debbono infatti essere rintracciati nella normazione legislativa, che è la fonte dell’attribuzione di competenza in materia al presidente della Corte di appello: l’attenzione riposta esclusivamente sulla disposizione regolamentare sembra così fuorviante. Ed infatti, quest’ultima non può all’evidenza, per collocazione gerarchica, derogare al regime di rango legislativo, sicché l’argomento interpretativo circa la non delegabilità di alcuni atti del procedimento non può fondarsi soltanto sulla disposizione regolamentare.

Nel caso in cui non si rinvenga un divieto di delega nelle norme di legge, la previsione

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regolamentare espressa circa la delegabilità di alcuni atti, in particolare gli accertamenti istruttori, non può esser letta come eccezione in funzione della affermazione dell’esistenza in generale del divieto, ma equivale a mera attestazione, magari in funzione esemplificativa, di una comune regola di delegabilità degli atti procedimentali affidati alla competenza del presidente della Corte di appello.

Si consideri poi che la legge, nel descrivere l’ambito di competenza del presidente della Corte di appello, non fa menzione di particolari adempimenti endoprocedimentali preliminari, che invece sono individuati dalle disposizioni regolamentari nella iscrizione immediata della notizia e nella contestazione del fatto rilevante, limitandosi a prevedere che il presidente della Corte di appello è titolare del potere di proposta al Consiglio giudiziario integrato.

Per gli atti che la legge non prende in considerazione è all’evidenza impossibile ritenere che la legge stessa ponga un divieto di delega.

Questi atti, individuati solo dalla disposizione regolamentare, sono certo conformi alla previsione legislativa, ponendosi in rapporto di strumentalità con l’atto finale, di competenza presidenziale, di proposta al Consiglio giudiziario integrato. Non v’è però ragione di ritenere che tali atti non siano delegabili, dato appunto che il legislatore, non avendoli presi in esame, non ha potuto farne oggetto di un’attribuzione di competenze esclusiva, con la conseguente necessità che l’eventuale delega sia autorizzata dalla legge.

Si può però obiettare che, nel caso in cui la norma attributiva della competenza sia di tipo regolamentare, occorre rintracciare, perché si possa affermare la delegabilità degli atti, l’esistenza di “una previsione normativa di valore almeno pari a quello della norma attributiva della competenza…”, dunque di una norma pur essa di natura regolamentare.

Senza voler infirmare la validità di siffatto criterio generale, si osserva che nel caso di specie la norma attributiva della competenza è di rango legislativo, perché è la disposizione dell’art.9 l. n. 374/91, e succ. modif., a prescrivere che sia il presidente della Corte di appello a formulare la proposta al Consiglio giudiziario integrato. Le norme regolamentari altro non fanno che specificare il contenuto delle norme legislative attributive della competenza, ma non può dirsi che siano la fonte primigenia della competenza a provvedere in capo al presidente della Corte di appello.

Se si conviene su tale premessa, e non sembra che si possa dubitare della plausibilità della ricostruzione normativa, l’ulteriore impegno interpretativo consiste nel verificare se le norme di legge attributive della competenza ammettano ovvero lascino intendere che la delega possa operare.

Sul punto deve considerarsi che la legge, come già detto, individua espressamente le attribuzioni del presidente della Corte di appello soltanto nel compimento dell’atto di proposta al Consiglio giudizio integrato: sembra allora logicamente coerente dedurre che solo per codesta specifica attribuzione la legge abbia valutato la particolare posizione di tale organo, che è anche componente di diritto del Consiglio giudiziario, a cui la proposta è diretta.

Se per gli atti, sempre di competenza presidenziale, che precedono la proposta al Consiglio giudiziario integrato, non vi sono allora ragioni per inferire che la legge abbia inteso vietare il ricorso alla delega, per l’atto dalla legge specificamente considerato sembra invece che si sia voluto assicurare una stretta relazione tra il proponente e l’organo collegiale chiamato all’espressione della proposta finale diretta al Consiglio superiore della magistratura, titolare del potere decisorio, così implicitamente vietando una delega.

Ora, è pur vero che nel rapporto di delega il soggetto delegante può in ogni momento controllare l’operato del soggetto delegato ed anche revocare, sol che lo voglia, l’incarico, per sostituirsi al delegato, ma non può negarsi che la delega allenta il collegamento tra l’atto, così compiuto dal delegato, ed il soggetto, a cui spetta la competenza a provvedere.

Ad una diversa conclusione non sembra possa giungersi evidenziando che il rigoroso orientamento, già menzionato, secondo cui “in ossequio al principio di legalità ed all’art. 97 cost., la delegazione richiede una espressa previsione legislativa”, ha riguardo soprattutto, se non esclusivamente, alle ipotesi di delegazione intersoggettiva ed interorganica, per poi argomentare che la delega del presidente della Corte di appello ad un magistrato della stessa Corte non integra una fattispecie di delega in senso proprio, né ovviamente intersoggettiva, né interorganica, dal momento che il magistrato della Corte di appello eventualmente delegato non è titolare di un altro ufficio.

Non si rinvengono, infatti, conferme giurisprudenziali della correttezza di una tale impostazione, almeno per la parte in cui si vuole affermare l’ammissibilità piena ed illimitata del ricorso alla delega, ed anche l’argomento secondo cui una siffatta delega, irrilevante per il sistema legislativo delle competenze tra organi diversi, risponde ad esigenze di speditezza ed economicità procedimentale, così trovando legittimazione nel principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione, non si sottrae al

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rilievo critico che “il fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione…..è dalla Costituzione assegnato alla legge….e può essere perseguito rispettando la norma attributiva delle competenze, e non spostando, con violazione della norma, la competenza a provvedere….”.

III. - Conclusioni.

Alla stregua delle argomentazioni che precedono, sembra di poter concludere nel senso che il presidente della Corte di appello può delegare il compimento degli atti di sua competenza nelle procedure di decadenza, di dispensa o per l’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti di un giudice di pace, ad eccezione dell’atto di proposta al Consiglio giudiziario integrato.».

Ritenuto che le argomentazioni formulate nella relazione sopra riportata appaiono pienamente condivisibili,

d e l i b e r a

1) che deve ritenersi che, nelle procedure di decadenza, di dispensa o per l’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti dei giudici di pace ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, il Presidente della Corte di appello possa delegare il compimento degli atti di sua competenza, ad eccezione dell’atto di proposta al Consiglio Giudiziario integrato;

2) di comunicare la presente risoluzione ai Presidenti delle Corti di appello”.

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