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Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 5 ottobre 2016, ha adottato la seguente delibera: - letta la

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Quesito in ordine al regime di pubblicità dei provvedimenti in materia di astensione dei magistrati.

(Risposta a quesito del 5 ottobre 2016)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 5 ottobre 2016, ha adottato la seguente delibera:

- letta la nota n. 40860 in data 20 novembre 2014 del Presidente della Corte di appello di … avente ad oggetto: "Quesito in ordine al regime di pubblicità dei provvedimenti in materia di astensione dei magistrati" che qui di seguito si trascrive:

“Questa Presidenza ha acquisito, su richiesta della Procura generale, informazioni circa i fatti riferiti in un esposto presentato il 2 luglio 2014 dell'avv. … del Foro di …, per dolersi di alcuni provvedimenti adottati dal Presidente del Tribunale di … ex art 743 c.p.c. In particolare, con tali provvedimenti erano state rigettate delle istanze presentate dal predetto professionista per conoscere il contenuto dì dichiarazioni di astensione di magistrati di quell'Ufficio, accolte dal Presidente, in cause civili in cui l'esponente era parte.

Si allega in proposito certificazione dì cancelleria del Tribunale di … a relativa ai casi in oggetto da cui si evince che si tratta di tre giudizi assegnati al medesimo magistrato, in cui lo stesso si è astenuto per gravi ragioni di convenienza e l'astensione è stata accolta dal Presidente del Tribunale.

Le istanze dell'avv. … di prendere visione sia della richieste di autorizzazione all'astensione del magistrato che del provvedimento di accoglimento sono state respinte dal Presidente del Tribunale perché si tratta di "atti che attengono all'organizzazione interna dell'Ufficio" ( provv. 5 maggio 2010).

L'istanza è stata reiterata 1’8 giugno 2010 senza effetto. L'avv. … ha presentato analoga istanza il 25 giugno 2010 con riferimento ad altro giudizio tra le stesse parti in cui il medesimo magistrato era stato del pari autorizzato ad astenersi e l'istanza è stata respinta dal Presidente dei Tribunale con la medesima motivazione con provvedimento del 6 luglio 2010. Il 20 luglio 2010 l’avv. … ha presentato ricorso contro i dinieghi di accesso alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio e la Commissione con provvedimento del 14 settembre 2010 ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile per tardività e, quel che qui più importa, in parte inammissibile perché la materia del diritto di accesso ai documenti amministrativi che, ai sensi dell'art 22 legge 241/90, sono quelli "formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque inutilizzati ai fini dell'attività amministrativa'' non comprende atti "aventi carattere squisitamente processuale" (Cons. Stato , sez. VI, n.

1882, del 30 marzo 2001). Con provvedimento dell’8 ottobre 2011 il Presidente del Tribunale ha respinto nuova istanza dell'avv. … riferita a tutte le richieste di astensione presentate dal magistrato in vari giudizi ed ai relativi provvedimenti di autorizzazione. Nel suo provvedimento il Presidente del Tribunale ha osservato che si trattava di reiterazione di istanze già respinte ed ha fatto riferimento al provvedimento, già citato, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

La richiesta dell'avv. … pone un problema di carattere generale, sul quale é opportuno che si pronunci il Consiglio e che attiene al regime giuridico delle dichiarazioni di astensione del giudice ex art. 51, co.

1, c.p.c. ed alle istanze di astensione ex art. 51, ult. co., del medesimo codice, nonché dei relativi provvedimenti autorizzativi adottati dal presidente del tribunale o dal presidente della corte di appello.

Come si è visto il Presidente del Tribunale di … (e vi è prassi corrispondente in questa Corte di appello) ha affermato nel primo dei suoi provvedimenti che si tratta di "atti che attengono all'organizzazione interna dell'Ufficio”, si che le parti del giudizio in cui il giudice dichiara o chiede di essere autorizzato ad astenersi non hanno titolo per prenderne visione.

Tale orientamento trova fondamento nella dottrina tradizionale, di cui si dà conto nella risposta a quesito di codesto Consiglio del 16 aprile 2009, secondo la quale l'astensione non dà luogo ad un procedimento contenzioso, ma ad un procedimento amministrativo interno al quale le parti della causa principale sono estranee. Corte Cost. 19 gennaio 1988, n. 35, ha affermato che il provvedimento del capo dell'Ufficio avrebbe carattere meramente ordinatorio, non giurisdizionale, con la conseguenza che

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dell'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ult. co. c.p.c. nella parte m cui non prevede alcun rimedio contro la decisione del Capo dell'Ufficio.

Nella predetta risposta a quesito codesto C.S.M. ha peraltro affermato che il provvedimento del Capo dell'Ufficio ha carattere ordinatorio e natura di atto autorizzativo, ma, pure connotato giurisdizionale per il fatto che esso incide sull'organizzazione del processo. Nel già ricordato provvedimento del 14 settembre 2010 la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio ha ritenuto che il provvedimento in parola abbia natura di atto processuale, si da essere escluso dalla materia del diritto di accesso.

Osserva lo scrivente che l'atto di presa d'atto o di autorizzazione dell'astensione (nei casi di astensione facoltativa) da parte del Dirigente dell’Ufficio incide sul giudice naturale, perché s'inserisce nel procedimento per il mutamento della persona del magistrato chiamato a conoscere della controversia.

Esso non è certamente atto meramente amministrativo, proprio perché impinge direttamente sull'individuazione della persona del giudice.

Se è vero che si tratta di atto non impugnabile, non è neppure vero che non sussista interesse delle parti a conoscere sia le ragioni poste dal giudice a fondamento della dichiarazione o della richiesta di autorizzazione ad astenersi sia il relativo provvedimento di presa d'atto o di Autorizzazione perché eventuali anomalie potrebbero essere denunciate agli organi titolari del potere di vigilanza per gli opportuni provvedimenti.

Se queste considerazioni sono fondate e se gli atti in questione hanno natura di atti processuali, come ritenuto dalla Commissione per l'accesso agli atti amministrativi, essi dovrebbero far parte del fascicolo del processo e le parti dovrebbero essere legittimate a prenderne comunque visione, senza necessità di autorizzazione. Se cosi non fosse, d'altra parte, si giungerebbe alla conclusione che si tratta di atti interni dell'Ufficio sottratti sia al regime di pubblicità degli atti processuali (per quel che riguarda le parti in causa) sia al regime di pubblicità degli atti amministrativi ai sensi della legge 241/90. E' peraltro evidente che non si tratta di atti a mera rilevanza interna, posto che, come si è detto, essi incidono sull'individuazione della persona fisica del magistrato incaricato della trattazione del giudizio.

Per altro verso è pur vero che nella dichiarazione di astensione o nella richiesta di autorizzazione all'astensione il magistrato può esporre circostanze che attengono alla vita privata, certamente coperte dalla tutela della privacy, ed in particolare rapporti di carattere affettivo o patrimoniale con terzi, la cui divulgazione non può non avvenire senza pregiudizio.

Questa è la ragione pratica su cui si fonda la prassi in atto presso la Corte di appello ed il Tribunale di

… di non divulgare le ragioni dell'astensione, che sovente non vengono comunicate dal magistrato alle parti in udienza, non vengono menzionate nel relativo verbale e vengono comunicate al Dirigente dell'Ufficio con nota separata.

Si sottolinea che analoghi rilievi debbono essere formulati per quanto attiene alla disciplina dell'astensione nel processo penale ex art. 36, comma 3, c.p.p. stante la sostanziale identità della disciplina.

P.QM.

Si chiede di conoscere quale sia il regime giuridico delle dichiarazioni di astensione e delle richieste di autorizzazione all'astensione del magistrato ai sensi degli artt. 51 c.p.c. e 36, c.p.p. e del relativo provvedimento di presa d'atto o di autorizzazione del Dirigente dell’Ufficio”.

- constatato che nella seduta del 9 dicembre 2014 la Settima Commissione ha richiesto un parere all’Ufficio studi del Consiglio che qui di seguito integralmente si riporta:

“I.- Il quesito.

La Settima Commissione ha richiesto a quest’Ufficio Studi un parere sul quesito posto dal Presidente della Corte di appello di …, in ordine alla possibilità di riconoscere alle parti private di un giudizio l’accesso ai provvedimenti emessi dal dirigente dell’ufficio in relazione al contenuto di dichiarazioni di astensione formulate dal magistrato titolare dell’affare.

La richiesta trae origine da una vicenda relativa alla trattazione di tre giudizi civili pendenti avanti al Tribunale di … in cui il medesimo magistrato titolare ha dichiarato di astenersi per gravi ragioni di convenienza e l’astensione è stata accolta dal Presidente del

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tribunale. L’avvocato difensore, parte di tutti i giudizi in questione, ha formulato istanza di accesso agli atti relativi alle richieste di astensione ed ai conseguenti provvedimenti presidenziali. L’istanza è stata reiterata in relazione a tutti i giudizi in cui la astensione si è verificata. Il Presidente del Tribunale ha respinto tutte le istanze ritenendo che si trattasse di atti relativi all’organizzazione interna dell’ufficio e quindi non ostensibili.

L’istante ha presentato ricorso alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi che, a sua volta, ha rigettato la richiesta affermando, tra l’altro, che sono esclusi dal novero dei documenti amministrativi per cui la legge stabilisce il diritto di accesso gli atti di natura processuale.

Traendo spunto dalla vicenda descritta il Presidente della Corte d’appello di … pone la questione generale della conoscibilità, da parte dei privati coinvolti in giudizio, degli atti con cui il magistrato dichiari o chieda di astenersi, ai sensi dell’art. 51 del codice di procedura civili ovvero ai sensi dell’art. 36 del codice di procedura penale – secondo una disciplina sostanzialmente coincidente - e di quelli con cui ad essi sia dato seguito da parte del dirigente dell’ufficio.

A tale proposito osserva che la prassi degli uffici del distretto in cui egli opera è quella di rigettare tali richieste di accesso sulla base della natura meramente interna ed organizzativa degli atti in questione. Quest’ultima affermazione è conforme a precedenti prese di posizione del Consiglio superiore della magistratura nonché alla giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui si tratta di attività meramente ordinaria e non giurisdizionale, espressa all’interno di un procedimento non contenzioso, così risultando costituzionalmente legittima la mancata previsione di un rimedio impugnatorio.

La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha ritenuto infondata la richiesta di accesso, ritenendo che i provvedimenti in questione avrebbero natura di atti processuale.

Il Presidente della Corte d’appello osserva d’altra parte che gli atti con cui si pronuncia l’astensione ed il mutamento della persona fisica del giudice chiamato ad occuparsi di un affare incidono sull’individuazione del giudice naturale garantito dalla Costituzione, e quindi influiscono direttamente sull’attività giurisdizionale. D’altra parte, a suo dire, sussiste un interesse delle parti a conoscere le modalità di scelta del giudice, potendo eventuali anomalie essere oggetto di rilievo agli organi chiamati alla vigilanza.

Ove gli atti di astensione fossero ritenuti di natura processuale, dovrebbero comunque essere sottoposti alla disciplina della pubblicità degli atti del processo, sempre conoscibili alle parti, pervenendosi altrimenti alla conclusione che essi sarebbero sottratti sia alla disciplina degli atti amministrativi che di quelli processuali.

Infine, il dirigente fa presente che nella materia devono essere valutate le istanze di tutela della privacy atteso che, in genere, le astensioni dei magistrati sono motivate da condizioni o rapporti personali privati costituenti dati sensibili per i quali sussiste un interesse, riconosciuto dall’ordinamento, alla segretezza.

II.- Osservazioni dell’Ufficio Studi.

La richiesta di parere della Settima Commissione concerne il problema generale del regime di pubblicità e di accessibilità degli atti con cui, nel corso di un giudizio civile o penale, il magistrato titolare del fascicolo dichiari o chieda di astenersi ai sensi dell’art. 51 del codice di procedura civile o dell’art. 36 del codice di procedura penale e del relativo provvedimento presidenziale.

Per motivi di continenza della trattazione saranno in questa sede evitati riferimenti preliminari generali agli istituti giuridici coinvolti, cercando di orientare l’argomentazione all’esame dell’aspetto specifico oggetto della richiesta di parere formulata dalla Commissione.

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Rinviando alle più recenti pubblicazioni di studio che hanno in maniera approfondita ed articolata esaminato ogni questione, teorica e pratica relativa all’impostazione generale degli istituti1, è sufficiente in premessa rammentare come esista unanime consenso nel ritenere che le norme che disciplinano l’astensione e la ricusazione dei magistrati nei giudizi siano tese a garantire che in ciascuna vicenda giudiziaria sia garantita la assoluta imparzialità e terzietà del giudicante, quale presupposto indispensabile per l’esercizio fedele, autonomo ed imparziale della giurisdizione esclusivamente finalizzata all’applicazione della legge (art. 101 comma 2 Cost.). In tal senso, secondo la dottrina più avveduta, esse si pongono in coerenza e continuità logica e sistematica, in un rapporto di sussidiarietà funzionale, rispetto alle regole di giurisdizione e competenza che, come è noto, hanno la precipua funzione di inverare il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). Si è così osservato che l’astensione e la ricusazione del giudice servono a completare il sistema per garantire in concreto la terzietà ed imparzialità del giudice persona fisica rispetto alle parti od all’oggetto della specifica lite a posteriori, nei casi in cui il risultato non sia stato raggiunto attraverso l’applicazione a priori dei criteri predeterminati, generali ed astratti che disciplinano la composizione degli organi giudicanti e la ripartizione degli affari negli uffici giudiziari2.

Il collegamento degli istituti - che influiscono in maniera diretta sulle condizioni di corretta individuazione del giudice persona fisica addetto a trattare la specifica vicenda processuale - con principi fondamentali dell’ordinamento, è stato affermato con riferimento alla materia della ricusazione dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 20 novembre 2003, n.

17636, proprio allo scopo di risolvere il contrasto di giurisprudenza in merito esistente. Le Sezioni Unite hanno prescelto la soluzione per cui, a seguito della modifica dell'art. 111 Cost., che ha sancito in modo espresso il principio dell'imparzialità del giudice, adeguando il sistema processuale al fondamentale principio dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, “l'esigenza di fare decidere la controversia da un giudice imparziale non costituisce più soltanto una questione amministrativa relativa all'organizzazione degli uffici giudiziari, che dà luogo ad un procedimento incidentale definito con un provvedimento di natura ordinatoria (come era stato affermato dalla precedente giurisprudenza di questa Corte), bensì rappresenta un diritto soggettivo della parte processuale, non solo pieno ed assoluto, ma anche fondamentale ed insopprimibile, in quanto riconosciuto dalla Costituzione e dalla indicata Convenzione europea, con riferimento a qualunque tipo di processo”.

La sentenza del Supremo Collegio ha richiamato la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. 21 marzo 2002 n. 78, di cui si dirà) in tema di ricusazione del giudice, in cui si è affermato che il secondo comma del nuovo testo dell'art. 111 Cost. ha espressamente sancito il

“diritto ad un giudizio equo ed imparziale, implicito nel nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria di cui all'art. 24 della Costituzione”. E l'istanza di ricusazione del giudice è, secondo la Corte, “diretta appunto a far valere concretamente quel diritto”.

Così le Sezioni Unite hanno ritenuto di non condividere “il precedente e risalente orientamento seguito dalle Sezioni semplici di questa Corte” secondo cui l'ordinanza resa sull'istanza di ricusazione configura un provvedimento privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo, essendo esso diretto, in via ordinatoria e strumentale, ed in esito ad un

1 Fra le pubblicazioni più recenti che approfondiscono, con puntuali richiami giurisprudenziali e dottrinali in maniera analitica e dettagliata tutti i temi di rilievo generale in materia si segnala A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, in Commentario del Codice di Procedura Civile a cura di S. Chiarloni, Libro Primo:

Disposizioni generali art. 51 – 56; ed. Zanichelli, Bologna, 2015.

2 In tal senso, da ultimo, A. Tedoldi, Astensione ricusazione e responsabilità dei giudici cit., pagg. 9 e s., in cui si legge:

“La disciplina su astensione e ricusazione del giudice – persona adempie ad una funzione sussidiaria rispetto alle regole in materia di giurisdizione, competenza ed attribuzione degli affari all’interno degli uffici giudiziari: quando queste non bastino ad assicurare terzietà ed imparzialità del singolo giudice (o della sede giudiziaria nel processo penale), sovvengono le norme in materia di astensione e ricusazione (o, soltanto in ambito penale, di rimessione del processo ad altro ufficio giudiziario), affinché quei fondamentali valori, costituenti, Grundnorm dello ius dicere, risultino sempre salvaguardati senza discrasie”.

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procedimento di tipo sostanzialmente amministrativo, ad assicurare il soddisfacimento di interessi di ordine generale relativi all'imparzialità del giudice ed al corretto esercizio dell'attività giudiziaria, opinando al contrario che “l'imparzialità del giudice non è soltanto un interesse generale dell'amministrazione della giustizia, ma è anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte, poiché "ogni persona ha diritto ad... un tribunale indipendente e imparziale" (art. 6 della citata Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ed "ogni processo si svolge... davanti a un giudice terzo e imparziale" (art. 111, secondo comma, Cost.)”.3

La conclusione è stata condivisa dalla Corte costituzionale che, ragionando in materia di conformità a Costituzione delle regole che individuano il giudice competente a decidere sulla istanza di ricusazione proposta da una parte privata, ha affermato che “Il diritto ad un giudizio equo ed imparziale, implicito nel nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria di cui all'art.

24 della Costituzione, ed oggi espressamente sancito dall'art. 111, secondo comma, della stessa Costituzione, sulla falsariga dell'art. 6, primo comma, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, comporta certamente che la decisione sulla istanza di ricusazione di un giudice – diretta appunto a far valere concretamente quel diritto – sia assunta da un organo e secondo procedure che assicurino a loro volta l'imparzialità del giudizio” (Corte cost., sent. n. 78 del 2002)

Analoga elaborazione non è stata compiuta con riferimento specifico al tema dell’astensione del giudice, in particolare quella di natura facoltativa stabilità dal secondo comma dell’art. 51 c.p.c.. In relazione a tale istituto, infatti, la Corte costituzionale, in epoca più risalente, anteriore alla innovazione dell’art. 111 Cost. citata nella giurisprudenza citata sulla ricusazione, con l’ordinanza n. 35 del 1988 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede alcun rimedio contro la decisione del Capo dell’Ufficio in tema di astensione, né determina la forma di tale provvedimento, di cui non è neppure prescritta una motivazione esplicita. La Corte ha ritenuto che la proposizione di istanza di astensione dia luogo

“ad un procedimento del tutto distinto dal giudizio in relazione al quale l’istanza stessa è stata formulata”, ed ha affermato che il conseguente provvedimento del Capo dell’Ufficio riveste “un carattere meramente ordinatorio”, in quanto “espressione della facoltà di distribuzione e, più in generale, della potestà direttiva”. Il Giudice delle leggi quindi, escludendo la natura giurisdizionale del procedimento a quo, ha dichiarato inammissibile il giudizio di legittimità costituzionale.

Simile valutazione è stata fornita dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 123 del 1999, in cui, richiamando la decisione precedente, si legge che, “come ha già affermato questa Corte, il provvedimento del capo dell’ufficio "riveste un carattere meramente ordinatorio in quanto espressione della facoltà di distribuzione del lavoro e, più in generale, della potestà direttiva"

(ordinanza n. 35 del 1988), sì che al relativo procedimento restano necessariamente estranee le parti del giudizio nel corso del quale viene richiesta l’autorizzazione all’astensione”.

Anche nel 2012, dopo cioè l’introduzione del nuovo articolo 111 Cost., con l’ordinanza n.

240 la Corte, nel dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità concernente l’assenza di un meccanismo di impugnazione – da parte del giudice istante – della decisione del Capo dell’ufficio in ordine alla astensione richiesta ha osservato che il rimettente invoca una pronuncia additiva che, da un lato, necessiterebbe da parte di questa Corte della individuazione (certamente non “a rime obbligate”) di quale sia l’autorità “sovraordinata” al capo dell’ufficio, cui attribuire il compito di valutare la eventuale illegittimità del diniego alla astensione; e che, dall’altro lato, presupporrebbe in pari tempo un intervento manipolativo di sistema, che – attraverso la richiesta di introdurre la possibilità di impugnazione da parte del giudicante del diniego opposto alla dichiarazione ovvero alla richiesta di astensione – verrebbe a snaturare il meccanismo

3L’indirizzo prescelto dalle Sezioni Unite, sempre con riferimento alla materia della ricusazione era stato già sostenuto da Cass., 26 marzo 2002, n. 4297; nello stesso senso Cass., 28 marzo 2002, n. 4486, Cass., 27 luglio 2002, n. 1131).

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amministrativo di carattere meramente ordinatorio (sentenza n. 123 del 1999) disciplinato dalle norme censurate, per trasformarlo in un procedimento del quale dovrebbero essere altresì configurati fasi e gradi”; ha ritenuto quindi che “in un ámbito, quale quello della disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali, caratterizzato dalla ampia discrezionalità spettante al legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (sentenza n. 17 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012 e n. 141 del 2011) – la questione risulta, anche sotto questo aspetto, inammissibile, in quanto diretta a chiedere a questa Corte un intervento non costituzionalmente obbligato, oltre che largamente creativo, come tale riservato al legislatore (sentenza n. 36 del 2012; ordinanze n. 36 e n. 7 del 2012), al quale è tradizionalmente attribuito l’apprestamento di misure idonee a salvaguardare il valore costituzionale della imparzialità del giudice, ove non ritenga che esso sia sufficientemente assicurato dagli istituti dell’astensione e della ricusazione (sentenza n. 287 del 2007)”.

Così, in materia di astensione, può dirsi che la tendenza giurisprudenziale consolidata appare essere quella di non riconoscere prerogative soggettive qualificanti in termini di interesse giuridicamente tutelato della parte privata al procedimento ed agli atti che lo compongono. Tale giudizio si basa peraltro sulla constatazione che, al contrario di quanto avviene in materia di ricusazione, la disciplina processuale dell’astensione non prevede strumenti di partecipazione diretta e di tutela delle parti del processo, essendo le scelte relative affidate alla sola determinazione del giudice – nella fattispecie obbligatoria – o all’interlocuzione tra giudice e capo dell’ufficio – in quella facoltativa – senza prevedere diritti di intervento o sindacato ad opera o ad iniziativa della parte privata.

La mancanza di qualsivoglia potere processuale diretto delle parti in merito sembra essere il fondamento del giudizio di assenza di interesse processuale apprezzabile da parte di esse che sta alla base della prassi, assolutamente consolidata negli uffici giudiziari, e riportata dal Presidente della Corte d’appello di Roma, di non consentire loro l’esame e la conoscenza diretta degli atti relativi che, normalmente, non vengono neppure conservati nel fascicolo processuale.

La qualificazione dottrinale prevalente e più recente dei modelli procedimentali di astensione previste dal codice di procedura civile è nel senso della distinzione per cui, secondo il combinato disposto dell’art. 51 c.p.c. e dell’art. 78 disp. att. c.p.c., nelle ipotesi di astensione obbligatoria la dichiarazione del giudice è immediatamente produttiva dell’effetto tipico di impedirgli il compimento di ogni ulteriore atto processuale, essendo la comunicazione al capo dell’ufficio necessaria solo per consentire la designazione di un sostituto. Al contrario le ipotesi di astensione facoltativa di cui al comma 2 dell’art. 51 c.p.c., pur a seguito della istanza del giudice, non operano fino a che non sia intervenuta l’autorizzazione ad astenersi del capo dell’ufficio che ha effetto costituivo dell’astensione4 .

Il procedimento di astensione facoltativa sarebbe quindi da qualificarsi quale

“procedimento amministrativo giudiziario” all’interno di cui “il potere autorizzatorio del capo dell’ufficio è tipicamente discrezionale e insindacabile”.5

D’altra parte, la giurisprudenza amministrativa, decidendo in materia di definizione della nozione di documento amministrativo ai fini dell’applicazione del diritto di accesso stabilito dall’art. 25 della legge 241/90, ha ritenuto che gli atti – del giudice e del capo dell’ufficio – con cui si era determinata la sostituzione del magistrato addetto all’affare, non sono ostensibili. Si è in merito affermato che “la richiesta di astensione del magistrato non è ostensibile, in quanto atto interno al processo, privo di autonomia strutturale e funzionale, che, dunque, rimane attratto nel regime giuridico dell’attività giurisdizionale cui accede” (T.A.R. Reggio Calabria, 7 ottobre 2010, n. 926). L’affermazione è conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Si legge infatti, in plurime decisioni del giudice amministrativo di secondo grado, che il diritto di accesso è esperibile

4 In tal senso A. Tedoldi, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici cit, ed anche L. Dittrich, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice civile, Cedam, Padova, 1991, p. 212 e s.; V.U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, II, Utet, Torino, 1966, p. 22.

5 A.- Tedoldi cit. p. 285

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solo se ha ad oggetto “documenti ed attività qualificabili come amministrative, quanto meno in senso oggettivo e funzionale, anche se espresse mediante atti di diritto privato” e che non è ammissibile la domanda di accesso agli atti processuali ed “a quelli espressivi della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello jus dicere, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi”. Su queste premesse si è osservato che i criteri di assegnazione degli affari in vigore presso un ufficio giudiziario requirente sono “atti che, per la loro provenienza (soggettivamente giurisdizionale) e funzione, prodromica alla individuazione del soggetto abilitato all’esercizio dell’azione penale in ordine ad una determinata fattispecie, non sono riferibili sotto alcuna prospettiva all’esercizio della funzione amministrativa, con conseguente inapplicabilità della normativa generale sull’accesso” (Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004 n. 4471).

Affermazioni conformi sono state fatte per respingere l’impugnazione dell’atto con cui era stato negato ad un denunciante in sede penale l’accesso agli atti compiuti dal Pubblico ministero competente a seguito della denuncia (Cons. Stato, sez IV, 22 febbraio 2003, n. 961). Con le medesime motivazioni è stata respinta l’azione di annullamento di un diniego di accesso ad una decisione del giudice tributario (Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2008, n. 1363) specificandosi, inoltre che all’accessibilità dei provvedimenti giudiziari si oppone, oltre alla impossibilità di ricondurli alla nozione di documento amministrativo, anche l’indicazione, contenuta nell’art. 23 l.

241/90, dei soggetti passivi del diritto di accesso, “tra i quali non sono previsti gli organi giudiziari, che emettono atti con un regime definito (anche di pubblicità), che è completamente estraneo e non assimilabile alla disciplina in tema di accesso amministrativo”.

Anche con riferimenti ai procedimenti giudiziari ordinari, si è escluso che “nei confini oggettuali dell'accesso possano rientrare atti aventi carattere squisitamente processuale, quali, per l'appunto, la memoria difensiva o la relazione medica presentate in giudizio dal consulente di parte” (Cons Stato sez IV, 30 marzo 2001 n. 1882).

In una vicenda che ha visto coinvolto il Consiglio superiore, in cui la parte di un giudizio civile chiedeva di accedere, tra le altre cose, ai ruoli di udienza di un magistrato, il T.A.R. del Lazio ha ritenuto la pretesa infondata “posto che si tratta di atti ai quali occorre riconoscere la natura di atti giudiziari, poiché strettamente propedeutici all’esercizio della funzione giurisdizionale e, come tali, estranei alla disciplina dell’accesso, che riguarda i documenti amministrativi” (T.A.R. del Lazio, 3 gennaio 2011, n. 2/2011).

La decisione del Consiglio di Stato sez. IV, n. 883 del 2002 ha ritenuto corretto il rigetto della domanda di accesso alla documentazione inerente alle assegnazioni, sostituzioni, supplenze all'ufficio del G.I.P. dei magistrati che avevano autorizzato intercettazioni telefoniche nell'ambito del procedimento penale pendente nei confronti del ricorrente (in senso analogo cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 1996, n. 1043, che ha escluso l'accesso ai ruoli di udienza, al verbale di dissenso compilato da un membro del collegio giudicante, alla minuta di una sentenza).

A tale opinione consolidata si è quindi conformata la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, nella vicenda oggetto del quesito del Presidente della Corte d’appello di … ha respinto l’istanza di accesso della parte privata, ritenendo che l’atto di cui ha chiesto l’esibizione rientra tra quelli “squisitamente processuali”, che ne sono per legge sottratti.

Quanto precede consente di pervenire alla esclusione degli atti amministrativi ed organizzativi strumentalmente e funzionalmente connessi all’esercizio della funzione giurisdizionale – adottati da organi espressivi del potere giudiziario – i quali non sono compresi nel novero dei documenti amministrativi in relazione ai quali può essere esercitato da ogni interessato il diritto di accesso ai sensi della legge n. 241 del 1990.

A tal proposito, merita di essere citata la motivazione della sentenza del Consiglio di Stato sez. IV, n. 883 del 2002, particolarmente chiara ed approfondita nella definizione della natura degli atti in discussione, in cui si legge che “la negazione della proponibilità dell'actio ad exhibendum in relazione ad atti attinenti all'esercizio della funzione giurisdizionale o di altro

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potere dello Stato diverso da quello amministrativo costituisce opzione di politica legislativa dotata di un respiro più ampio di quello strettamente nazionale si coglie scrutinando la norma divisata dall'art. 255 del Trattato Ce, che attribuisce a qualsiasi cittadino dell'Unione il diritto di accesso ai documenti del Parlamento, del Consiglio, della Commissione ma non degli organi giurisdizionali dell'Unione medesima”.

Il giudice ha allora considerato che “Viene in rilievo una particolare categoria concettuale annoverante i c.d. atti amministrativi emanati da organi non strutturalmente appartenenti alla pubblica amministrazione.

All'interno di essa, accanto ad atti sicuramente non giustiziabili perché, se pur a contenuto amministrativo, essi stessi espressivi della funzione propria, diversa da quella amministrativa assegnata dall'ordinamento all'organo emanante - si pensi a quelli di volontaria giurisdizione - convivono atti adottati in funzione meramente interna, ordinatoria e servente delle potestà attribuite all'organo (ad esempio gli atti relativi al funzionamento interno degli organi legislativi o giudiziari: ripartizione degli affari tra le sezioni di un tribunale; calendario delle udienze, cfr.

Cons. Stato, ord., 23 novembre 1999, n. 2235, che ha ritenuto non impugnabile a mente dell'art. 26, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, il calendario delle udienze dibattimentali penali predisposto dal presidente del Tribunale, in quanto atto espressivo del potere giudiziario manifestazione diretta della funzione giurisdizionale; Sez. IV, 1 ottobre 2001, n. 5176, che ha declinato la giurisdizione sulla domanda di accertamento della illegittimità del silenzio del pubblico ministero sull'istanza diretta alla cancellazione del nome del ricorrente dal registro delle notizie di reato).

Questi atti, in definitiva, essendo ontologicamente privi di autonomia strutturale e funzionale rimangono attratti al regime giuridico dell'attività giurisdizionale cui accedono”.

La caratteristica saliente di queste fattispecie, secondo il Consiglio di Stato “è che l'attività esercitata, pur apparendo sostanzialmente amministrativa, è attribuita direttamente dalla legge all'organo giudiziario in ragioni di considerazioni di opportunità politica e di merito che, correlativamente conducono ad escludere ogni possibilità di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità con cui l'attività stessa viene posta in essere”.

Del resto, quantomeno con riferimento all’istituto dell’astensione nel processo penale, il provvedimento del capo dell’ufficio ha natura di atto processuale tipico (il decreto, v. art. 36, comma 3, cod. proc. pen.) e può produrre anche effetti processuali, considerato che a mente dell’art. 42 cod. proc. pen. esso può anche disporre in ordine agli atti processuali fino a quel momento compiuti dal giudice poi astenutosi.

Le affermazioni che precedono, concludendo nel senso della riconduzione degli atti de quibus al regime legale di quelli processuali, introducono il problema della loro assoggettabilità alle norme dei codici di diritto processuale civile e penale, la cui interpretazione spetta tipicamente all’autorità giudiziaria interessata.

Tale prospettazione mette in dubbio la stessa competenza del Consiglio superiore – e conseguentemente di questo Ufficio – a rispondere al quesito specifico, essendo nota e pacifica la regola per cui l’Organo di governo della magistratura non ha il potere di pronunciarsi in materia di norme processuali, la cui interpretazione è affidata esclusivamente alla giurisdizione secondo i moduli in cui essa si esprime tipicamente.

Si tratterebbe, cioè, di fare applicazione delle regole del processo – civile o penale – onde stabilire il regime di formazione, documentazione e conoscibilità degli atti che lo compongono in senso stretto nonché di quelli che, inscindibilmente connessi, ne mutuano la disciplina, in quanto, comunque, espressione della funzione giurisdizionale.

In ogni caso, ove si addivenga ad una soluzione che contempla l’ipotesi di consentire ai privati la conoscenza degli atti che attuano la astensione processuale del magistrato, deve tenersi conto dell’ulteriore, delicatissimo profilo di tutela rilevante nella materia, relativo alla esposizione alla conoscenza di dati ed informazioni attinenti alla sfera riservata della vita personale del magistrato. E’ infatti evidente, ed emerge dalla sola lettura delle norme che definiscono le ipotesi di astensione, che le ragioni per cui è consentito al giudice di sottrarsi alla trattazione del fascicolo

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concernono ambiti della sfera personale fortemente connotati da privatezza. Si tratta di informazioni che sicuramente rientrano nell’ambito dei dati personali6 e possono, in alcune ipotesi, attingere al novero dei dati sensibili7.

E’ inutile argomentare come il profilo della tutela della privacy del giudice meriti particolare attenzione in quanto, oltre alle istanze che giustificano in via generale ed ordinaria la tutela della riservatezza di qualsiasi cittadino, sussistono specifiche ulteriori ragioni a sostegno, attinenti la garanzia del corretto dispiegamento della dialettica processuale e la appropriata instaurazione del rapporto tra parte privata ed organo giudicante in maniera tale da non compromettere le condizioni di autonomia, equilibrio ed imparzialità dell’esercizio della giurisdizione8.

E ciò considerando che le peculiarità specifiche dell’azione giudiziaria – si pensi all’attività di repressione di importanti, pervasivi e pericolosi fenomeni criminali – induce a ritenere sconsigliabile, a tutela della sicurezza personale, familiare e della serenità del giudice, la comunicazione alle parti di dati personali che in altri contesti potrebbero apparire neutri ed inoffensivi, quali ad esempio quelli relativi al luogo di residenza o a frequentazioni proprie o dei componenti della famiglia.

Non vi è dubbio invero che, in ragione della ricostruzione offerta dalla giurisprudenza, gli atti concernenti la astensione del magistrato realizzano un trattamento dei dati personali per ragioni di giustizia ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. 196 del 20039

Il trattamento in questione è esonerato dal rispetto di diverse norme del codice in materia di protezione dei dati.10

D’altra parte la deroga va interpretata in maniera tassativa, rimanendo comunque applicabili, a tutte le ipotesi di trattamento dei dati, i principi generali stabiliti nella prima parte della disciplina legislativa ed in particolare negli artt. 3 e 11 che prescrivono, tra l’altro la correttezza e non eccedenza del trattamento rispetto all’interesse di giustizia per cui è operato11.

I principi di necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del trattamento, evidentemente, introducono un necessario bilanciamento tra le diverse istanze

6 È dato personale, secondo la lett. b) dell’art. 4 del d.lgs.vo n. 196 del 2003 “qualunque informazione relativa a persona fisica, [persona giuridica, ente od associazione,] identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

7 Sono dati sensibili secondo la lettera d) dell’art. 4 del D.Lgs. n. 196 del 2003, “i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

8 Si pensi al potere di fatto che la parte privata acquisirebbe nei confronti della persona del giudice ove avesse la disponibilità di informazioni di carattere personale la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio alla – o comunque alterare la – considerazione pubblica o privata del giudicante.

9. La norma stabilisce che: “Agli effetti del presente codice si intendono effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, o che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, hanno una diretta incidenza sulla funzione giurisdizionale, nonché le attività ispettive su uffici giudiziari. Le medesime ragioni di giustizia non ricorrono per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi o strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla predetta trattazione”.

10 Si tratta delle norme relative: alle modalità di esercizio dei diritti dell’interessato (art. 9) ed al riscontro da dare all’interessato (art. 10), alla promozione di codici di deontologia e buona condotta (art. 12), all’obbligo di informativa (art. 13), alle modalità di trattamento da osservare alla cessazione del trattamento (art. 16), alle norme di cui agli artt.

18-22 applicabili ai soggetti pubblici, agli obblighi di notificazione del trattamento (art.37) ed alle modalità di notificazione (art. 38), agli obblighi di comunicazione di trattamenti (art. 39), alle autorizzazioni generali (40 e 41) nonché ai trasferimenti di dati all’estero (artt. 42-45).

In riferimento al trattamento dei dati effettuato per ragioni di giustizia non è inoltre consentito alle parti proporre ricorso al Garante.

11 In tal senso, ad esempio M. Messina, in La Nuova disciplina della privacy diretto da S. Sica e P. Stanzione, Zanichelli, p. 199 e ss. In termini analoghi G. Pignatone, Privacy e processo penale relazione all’incontro di studi organizzato dal Consiglio superiore della magistratura, 9 – 1 maggio 2005, p. 11.

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rappresentate dai beni giuridici contrapposti in relazione a ciascuna fattispecie concreta in considerazione.12

Nella materia dei trattamenti in ambito giudiziario, in ragione della rilevanza dei valori perseguiti dall’esperimento della funzione giurisdizionale – di difesa sociale, affermazione e tutela dei diritti e pacifica convivenza civile – la riservatezza individuale è considerata istanza recessiva dall’ordinamento.

Analoga conclusione non può essere data per scontata in relazione agli atti che pur, come si è detto, ricondotti alla disciplina degli atti del processo, non siano diretta espressione di attività strumentali all’accertamento dei fatti utilizzabili per il giudizio per il pieno dispiegamento della funzione giurisdizionale. Si tratta di atti, che – quindi – non hanno la finalità di concorrere a formare il panorama istruttorio che, acquisito formalmente secondo le regole del procedimento di cognizione giudiziale, sarà oggetto dell’apprezzamento nel contraddittorio processuale da cui dovrà scaturire la decisione.

Per tali atti, quindi, sempre ove si voglia aderire alla tesi per cui esiste uno spazio valutativo rimesso al giudice in ordine all’ostensibilità, è possibile in astratto immaginare, venendone meno la stringente necessità in relazione alla garanzia del pieno e corretto dispiegamento della funzione di giustizia, un diverso bilanciamento di valore e, quindi, un diverso rilievo dei principi di correttezza pertinenza e non eccedenza imposti dalla legge. La natura eminentemente organizzativa, sia pure obbiettivamente connessa al processo, degli atti e provvedimenti adottati in materia di astensione, consente dunque probabilmente di declinare diversamente la necessità di compressione del valore della riservatezza individuale.13

III.- Conclusioni.

Alla luce delle suesposte, in risposta al quesito proposto dalla settima commissione deve osservarsi quanto segue:

- l’esame della giurisprudenza costituzionale, ordinaria ed amministrativa conduce alla conclusione che gli atti relativi all’astensione del magistrato nei procedimenti affidati alla sua cognizione sono ontologicamente privi di autonomia strutturale e funzionale e rimangono attratti al regime giuridico dell'attività giurisdizionale cui accedono e di cui sono espressione sotto il profilo oggetto e soggettivo; essi sono pertanto esclusi dal novero degli atti amministrativi nei confronti dei quali è esercitabile il diritto di accesso di cui all’art. 25 della legge 241/90;

- non è possibile enucleare una univoca soluzione interpretativa giurisprudenziale in ordine al regime di conoscibilità di essi da parte dei soggetti coinvolti nel procedimento e dei terzi, considerato che l’applicazione dalle norme che regolamentano il processo è affidata alla interpretazione ed applicazione dell’autorità giudiziaria procedente.”

Tanto premesso, vanno qui condivise le conclusioni dell’Ufficio Studi in ordine all’attrazione degli atti afferenti il procedimento di astensione al regime giuridico dell’attività giurisdizionale, cosicchè spetta non a questo Consiglio ma all’autorità giudiziaria procedente l’interpretazione e l’applicazione delle relative norme.

12 F. Di Resta, in Protezione delle informazioni privacy e sicurezza, Giappichelli, 2008, p. 60 e ss..

13 A tal proposito vale la pena citare la giurisprudenza di legittimità che, nell’operare un bilanciamento degli opposti interessi rilevanti in una specifica fattispecie ha stabilito che Ai sensi degli artt. 4 e 11 del d. lgs. 30 giugno 2003, n.

196, i dati personali oggetto di trattamento vanno gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del nuovo loro utilizzo. Ha così stabilito - confermando il provvedimento dell’Autorità Garante della privacy impugnato - che, ad esempio, è eccedente rispetto al suo scopo il trattamento dei dati sensibili da parte di un datore di lavoro allorquando, pur potendo diversamente dimostrare l'illiceità della condotta di un suo dipendente, consistita in reiterati e non autorizzati accessi alla rete effettuati sul luogo di lavoro, diffonda numerose informazioni, non indispensabili per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, indicative anche degli specifici contenuti degli accessi ai singoli siti "web" visitati dal medesimo dipendente durante le varie navigazioni (in termini analoghi Cass., 13 febbraio 2012, n. 2034, Cass., 4 gennaio 2011, n. 186).

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D’altro canto, però, come si coglie dal quesito, si verte in tema di bilanciamento degli interessi in gioco, quello della pubblicità degli atti processuali a fronte di quello della riservatezza dei dati afferenti la vita privata del magistrato che chiede di astenersi, cosicchè deve ritenersi che proprio tale ultimo valore giustifichi l’intervento consiliare, afferendosi a temi relativi allo status del magistrato.

Se quindi si legittima per tali ragioni e nei relativi limiti l’intervento del Consiglio, deve condividersi quanto affermato dal Presidente della Corte di appello di …, che individua nella tutela della riservatezza la ragion pratica per negare l’accesso alla richiesta ed al provvedimento di autorizzazione all’astensione.

In effetti titolare del dato riservato posto a base della richiesta di astensione è esclusivamente il magistrato richiedente. Di ciò risulta tener conto, a ben vedere, proprio la disciplina processuale, che esclude dal novero degli atti da inserire nel fascicolo d’ufficio - previsto dall’art. 168 c.p.c. - gli atti processuali relativi al procedimento di astensione. Infatti, non solo non vi sono norme che dispongono l’inserimento automatico degli atti nel fascicolo, ma, di contro, vi sono disposizioni processuali che sembrano dettare una sottodisciplina singolare, proprio in evidente considerazione della delicatezza degli interessi in gioco, tanto che l’art. 78, disp. att. c.p.c., rubricato “astensione del giudice istruttore” attribuisce al magistrato stesso la facoltà di optare per una “espressa dichiarazione” oppure per una “istanza scritta al presidente” al fine di comunicare il motivo di cui all’art. 51 cit. per cui la dichiarazione del magistrato, a sua insindacabile scelta, potrà essere formalizzata in modo pubblico, con dichiarazione formale acquisita agli atti del fascicolo o piuttosto con un’istanza indirizzata personalmente ed individualmente al presidente e, dunque, con un atto riservato, extra fascicolo. Per altro parimenti accade anche quando la conoscenza del motivo di astensione interviene ad istruttoria iniziata, posto che anche in questo caso (art. 78, comma 2, cit.) il magistrato “ne dà notizia al capo dell’ufficio […] e dichiara o chiede di astenersi” e dunque anche in questa evenienza è prevista una atipicità formale del mezzo comunicativo (“dà notizia”) che pare escludere di poter ritenere automaticamente incluso nel fascicolo l’atto in oggetto.

Deve rilevarsi, dunque, che sia per la disciplina processuale che per quella in materia di riservatezza spetta esclusivamente al magistrato optare per la richiesta di astensione con ordinanza (a verbale o fuori udienza) trasmessa al Capo dell’ufficio (e dunque con atto pienamente conoscibile) o in forma strettamente riservata (e dunque con atto sicuramente non ostensibile). Tale soluzione, peraltro, trova conferma anche alla luce di quanto diversamente disciplinato dall’art. 79, disp. att. c.p.c., a tenore del quale devono essere inseriti nel fascicolo d’ufficio l’istanza ed il decreto del capo dell’ufficio che abbiano determinato la sostituzione del giudice istruttore nei soli casi previsti dall’art. 174 c.p.p. - e cioè nelle ipotesi di “assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio” ipotesi in cui, sicuramente, non rientra il caso dell’astensione.

Pertanto saranno pubblici esclusivamente la richiesta e il relativo provvedimento che autorizza o nega l’astensione laddove il magistrato richiedente, nella qualità di titolare del dato, abbia optato per una forma di richiesta pubblica.

Tanto premesso

delibera

di rispondere al quesito in oggetto nel senso che, fermo restando che gli atti relativi all’astensione del magistrato nei procedimenti affidati alla sua cognizione sono ontologicamente privi di autonomia strutturale e funzionale e rimangono attratti al regime giuridico dell'attività giurisdizionale cui accedono e di cui sono espressione sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli stessi atti non risultano in ogni caso compresi tra quelli necessariamente da inserire nel fascicolo d’ufficio ai sensi dell’art. 168 c.p.c. per cui la relativa dichiarazione del magistrato, a sua insindacabile scelta, potrà essere formalizzata in modo pubblico, con dichiarazione formale acquisita agli atti del fascicolo o piuttosto con un’istanza indirizzata personalmente ed individualmente al presidente e dunque con un atto riservato, extra fascicolo, che in tal caso resterà riservato e non ostensibile alle parti.”

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