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DALLA TUTELA DELL’AVERE A QUELLA DELL’ESSERE: Il DANNO ESISTENZIALE

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DALLA TUTELA DELL’AVERE A QUELLA DELL’ESSERE:

Il DANNO ESISTENZIALE

Avv. Mario Milone

1° La genesi interpretativa del danno esistenziale: il danno biologico

Prima di parlare del danno esistenziale devo necessariamente ricostruire, sia pure in sintesi, la genesi interpretativa del danno biologico, in quanto il percorso giuridico interpretativo è del tutto identico.

Ricordo quando nel lontano 1977, (lontano non tanto perché sono passati 25 anni, ma perché in materia di tutela dei diritti della persona sembrano passati secoli), chiesi la tesi di laurea sul c.d. danno biologico, incuriosito dalla portata innovativa di alcune sentenze del Tribunale di Genova che da qualche anno lo rappresentavano, mettendo in discussione il costante indirizzo giurisprudenziale che riteneva che anche i danni alla persona e specificatamente quelli alla salute, liquidabili ex art. 2043 c.c., non potessero uscire fuori dal paradigma interpretativo che limitava la risarcibilità alle conseguenze patrimoniali immediate (danno emergente) e future (lucro cessante), limitando, invece, i danni non patrimoniali nei limiti della tutela risarcitoria dei danni morali ex art. 2059 c.c..

Il nuovo indirizzo prospettato dai Giudici di Genova poneva il danno alla salute da liquidare ex art. 2043 (norma che prevede la risarcibilità del danno ingiusto e non solo dei danni patrimoniali) su una diversa prospettiva: non più in relazione alla incidenza patrimoniale, ma in relazione alla incidenza sulla persona, che assumeva per la prima volta, ex art. 2 Cost., il valore di bene primario da difendere a prescindere

Avvocato del foro di Palermo

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dalla sua capacità di produrre reddito che diveniva una circostanza del tutto secondaria ed eventuale.

Si diceva, appunto, che il danno alla salute non rilevasse solo in relazione alle possibili conseguenze patrimoniali e non patrimoniali (le sofferenze ed i patimenti), ma anche, e con priorità, come limite alla piena esplicazione della personalità (vita affettiva, relazione sociali, intesa sessuale, paternità e/o maternità, attività ludiche, tempo libero, sport, vacanza, ecc.).

Tale danno, come a Voi noto, assumeva la denominazione di “danno biologico” e veniva ritenuto risarcibile ex art. 2043 perché lesivo del diritto costituzionale alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione ogni qual volta vi fosse una lesione psico-fisica.

Il danno biologico incontrò, come spesso avviene quando si introducono nuove tutele, una grossa resistenza sia in dottrina che in giurisprudenza.

Ebbi, pertanto, il tempo di laurearmi, di svolgere la pratica forense e gli esami di abilitazione per potere vedere finalmente condivisa la portata innovativa della giurisprudenza genovese dalla Suprema Corte che, per la prima volta, con sentenza n. 3675/1981, affermò che il danno biologico va risarcito a prescindere dalla incidenza sul reddito, e ciò in quanto il bene salute, costituzionalmente tutelato dall’art. 32 della nostra Carta trova diretta tutela risarcitoria nell’art. 2043 c.c..

Dopo alcuni anni la Suprema Corte arrivò (sentenza n. 2396 del 6.4.1983) ad una definizione di danno biologico che possiamo, a tutti gli effetti, ritenere antesignana del danno esistenziale: “la menomazione incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica, e aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica”.

La portata innovativa di tale nuovo indirizzo giurisprudenziale (la

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patrimoniali) veniva, però, normalmente, racchiusa e limitata nell’ambito del solo danno alla salute, non tenendo conto che la personalità umana si esplica ed è meritevole di tutela non solo sotto il profilo medico legale, ma anche sotto il profilo antropologico, sociologico, psicologico, relazionale, ambientale ecc. e che il fare della personalità si esplica in campi illimitati che possono venire compressi dall’azione ingiusta del danneggiante.

2° L’evoluzione del danno biologico ed il rischio di semplificazione tabellare.

Il danno biologico è stato, poi, nel tempo circoscritto come “lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale” e tale definizione è stata accolta dal nostro legislatore nella legge n. 57/2001 in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.

La giurisprudenza, dopo una iniziale ricerca di criteri oggettivi per la liquidazione del danno che dovevano essere esaminati e motivati caso per caso, si è via via adagiata all’interno di “gabbie” precostituite (i c.d.

sistemi tabellari), consacrate dal visto di legittimità della Suprema Corte, attraverso le quali era in linea di massima pressoché prevedibile, una volta accertata la incidenza medico-legale (la durata della invalidità temporanea e la percentuale di invalidità permanente), l’ammontare del risarcimento.

Peraltro, come è a voi noto anche il danno morale si è sempre più quantificato in misura proporzionale (da 1\4 ad 1\2) al danno biologico e viene frequentemente liquidato in misura fissa di 1/3.

In pratica la liquidazione del danno finisce per essere “messa nelle mani” del medico legale e gli avvocati sono divenuti semplici

“collettori” per richiedere tale accertamento in sede stragiudiziaria o giudiziaria, ed il giudice, quasi sempre, limita la sua decisione sull’an,

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provvedendo, in ordine al quantum ad un semplice calcolo matematico, con compiti quasi notarili e non di giudizio.

Il legislatore si è adattato a tale criterio attribuendo con la citata legge n. 57/2001 il c.d. valore a punto di invalidità.

Tale criterio, però, se ritenuto esaustivo, risulta non rispettoso della effettiva incidenza che l’attività illecita ha sulla persona umana, che non è limitata all’integrità psico-fisica o all’interiorità, ma investe tutte le molteplici espressioni della vita.

Per tali ragioni nel tempo si sono susseguite una molteplicità di sentenze che hanno liquidato un danno in relazione a conseguenze non patrimoniali, sia pur in mancanza o a prescindere da lesioni medicalmente accertate, che sono state ritenute rientranti, nel genus

“danno biologico”.

Basti pensare al c.d. “danno sessuale” e cioè al danno subito dal coniuge della vittima di una lesione biologica sessuale.

In questa ipotesi (Cass. 11.11.1986 n. 6607) il coniuge non ha subito alcun danno evento, nessuna menomazione medicalmente accertabile (può continuare ad avere rapporti sessuali), ma subisce un danno conseguenza anche se non di natura patrimoniale: non può avere rapporti sessuali con il partner in conseguenza della lesione da quest’ultimo subita.

In danno alla persona, pertanto non viene più circoscritto nell’evento medicalmente accertato, ma in relazione alle conseguenze che ne derivano.

Provo con Voi a fare alcune riflessioni su due casi specifici che permetteranno di comprendere i limiti delle “gabbie tabellari”.

Una donna incinta che subisce la perdita del feto che ha in grembo, ma non l’astratta capacità di procreare, subisce un danno medicalmente accertato e quantificato anch’esso in punti percentuali.

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Tale danno evento in astratto è sempre identico a parità di avanzamento dello stato di gravidanza, ma le conseguenze di tale lesione non sono sempre uguali.

Diverso è il caso della donna in attesa in giovane età rispetto a quella ai limiti delle possibilità riproduttive.

Diverso è il caso della donna che ha già altri figli rispetto a quella che non ha ancora figli.

Diverso è il caso di una donna che è rimasta incinta senza particolari problemi, e che se lo vuole, ripeterà di lì a breve la gravidanza, rispetto ad altra che, prima di restare incinta, ha dovuto sottoporsi a continui interventi presso centri di fecondazione, e che rischia, dopo anni di attesa, di aver perso forse l’unica occasione della vita.

Diverso è il caso della donna che mantiene il rapporto affettivo con il partner rispetto a quella che diviene, nelle more, vedova o si separa.

Un bambino perde entrambi i genitori.

La lesione subita, in astratto identica (la perdita di entrambi i genitori) può avere diverse conseguenze, medicalmente non accertabili, in base alle modalità che ne hanno dato causa.

Ed infatti a parità di lesione l’incidenza del danno sul danneggiato è diversa se il danno deriva da un fatto colposo o doloso ed a seconda della gravità della causa.

Un fatto è subire una lesione per un sinistro stradale. Altro è subirla per un disastro aereo o ambientale, altro per dolo, altro ancora per dolo da parte della criminalità organizzata, o, peggio ancora, della mafia.

Unico è l’evento connesso alla lesione della integrità psico-fisica medicalmente accertata, ma molteplici sono le conseguenze che dovranno essere accertate rigorosamente caso per caso attraverso i sistemi della prova diretta e contraria (e qui si riscopre l’importanza della difesa tecnica qualificata) e dovranno, poi essere valutati dal

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giudicante con criteri finalmente di giudizio e non semplicemente matematici e\o notarili.

In proposito la Suprema Corte con la sentenza n. 6023 del 24.4.2001, ha affermato che il giudice, nella liquidazione del danno alla salute non può applicare pedissequamente le tabelle, ma che le stesse possono essere utilizzate come riferimento in una valutazione complessiva ed equitativa che tenga conto del pregiudizio arrecato alle specifiche attitudini di vita del danneggiato...che deve tener conto della impossibilità o della difficoltà, per chi abbia subito menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale.

Del resto il nostro legislatore nella già richiamata legge n. 57/2001, pur dettata da finalità di contenimento della spesa ha ritenuto di lasciare spazio valutativo in relazione alle ulteriori conseguenze che il danno biologico può causare, laddove al 4° comma dell’art. 5 recita espressamente che “fatto salvo quanto previsto dal comma 2° il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”.

Ora se in astratto sono prevedibili ulteriori conseguenze per le c.d.

micropermanenti, pensate quante conseguenze sono, invece, connesse alle gravi invalidità o alla morte.

Non posso certo dire che con tale norma sia stato riconosciuto il danno esistenziale, ma sicuramente possiamo affermare che anche per il danno biologico non può più parlarsi solo di danno evento e cioè della lesione alla salute medicalmente accertata, ma deve tenersi conto, altresì delle refluenze soggettive (danno conseguenza) che la lesione può avere su ciascun soggetto.

3° La scoperta del danno esistenziale.

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Come vedete, partendo dalla genesi storica della ricostruzione giuridica del danno biologico, si perviene a quella visione ontologica del danno alla persona che ha portato una significativa parte della dottrina e della giurisprudenza ad individuare la categoria giuridica del c.d. “danno esistenziale” così definita dalla I Sezione della Suprema Corte con la sentenza n. 7713 del 7.6.2000:

“La violazione dei diritti fondamentali della persona umana, collocati al vertice della gerarchia dei diritti costituzionalmente garantiti, deve essere risarcita quale lesione in sé ed indipendentemente dai suoi profili patrimoniali, non come danno morale, ma come danno esistenziale secondo la regola della responsabilità aquiliana contenuta nell’art. 2043 c.c. in combinato disposto con l’art. 2 Cost.”

(sent. n. 7713 del 7.6.2000).

E’ vero che non tutte le Sezioni della Suprema Corte hanno accolto immediatamente con favore la categoria del danno esistenziale, ma il contrasto, a mio parere, è del tutto apparente.

La Sezione terza, infatti, pur mantenendo inizialmente la risarcibilità del danno alla persona nell’ambito della categoria giuridica del danno biologico ha via via allargato i confini di tale categoria sino a farla coincidere con quella del danno esistenziale, laddove ha affermato (Sentenza n. 15034 del 27.11.2001 che “costituisce danno biologico anche la temporanea impossibilità o diminuzione delle normali occasioni di vita, ed un pregiudizio deve essere risarcito al danneggiato ancorché quest’ultimo non ne abbia risentito alcun danno patrimoniale”.

Con la citata sentenza la Sezione III ritiene risarcibili anche le conseguenze non patrimoniali subite dalla vittima non accertabili medicalmente (la impossibilità o diminuzione delle normali occasioni di vita), che costituiscono l’essenza del danno esistenziale.

Per danno esistenziale, infatti, dovrà intendersi il diminuito ventaglio delle attività realizzatrici della personalità che la vittima si trovi a

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svolgere dopo la commissione del torto, in confronto a ciò che essa avrebbe potuto fare laddove il fatto non avesse avuto luogo.

Tale categoria secondo un’iniziale interpretazione va affiancata a quella del danno biologico con cui condivide la specificità areddituale ed un unico percorso interpretativo.

Ed infatti una volta accertata la portata cogente delle norme costituzionali, attraverso la individuazione del diritto alla salute, stessa sorte dovrà, necessariamente, essere riconosciuta a tutte le altre norme costituzionali.

In proposito deve evidenziarsi che i diritti fondamentali della persona umana ricevono attenzione, tutela e riconoscimento nei primi 47 articoli della costituzione, laddove ala persona viene fatta attenzione nelle sue molteplici attività esplicative, almeno per quelle ritenute meritevoli di tutela di rango costituzionale, anche se non necessariamente economiche.

In particolare l’art. 2 e 3 disciplinano i diritti fondamentali dell’uomo, mentre le successive norme disciplinano varie fattispecie meritevoli di tutela: la famiglia, il lavoro, la giustizia, la libertà di espressione, la libertà di circolazione, la maternità, la scuola, ovviamente la salute, e così via.

La salvaguardia aquiliana rispetto al danno esistenziale - le cui figure vedono posti in gioco momenti così importanti dell’individuo - rientra, pertanto, anch’essa, al pari del danno alla salute, a pieno titolo sotto l’egida costituzionale: talvolta in maniera diretta e specifica (le “attività realizzatrici” collegate alla famiglia, al lavoro, alla proprietà, alla libertà di espressione, alla giustizia, etc.), tal’altra in forza delle indicazioni più generali di cui agli artt. 2 e 3 (i momenti espansivi sul terreno della socialità, dell’ambiente, della comunicazione).

Va, comunque, precisato che l’aver ricondotto anche il danno esistenziale sotto l’egidia costituzionale non deve costituire un limite alla tutela della persona nelle molteplici espressioni che via via

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potranno ritenersi meritevoli di tutela, proprio in conseguenza della portata generale dei principi fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 Cost..

Le espressioni meritevoli di tutela, pertanto, potranno essere individuate nelle norme comunitarie, legislative e regolamentari e nell’interpretazione giurisprudenziale.

Può affermarsi, in proposito, che il diritto vivente, nell’ambito dei principi costituzionali, procede alla valorizzazione di quelle specifiche componenti della personalità umana ritenute meritevoli di tutela in un determinato momento storico, tenuto conto delle indicazioni del legislatore nazionale e sovranazionale e della coscienza sociale.

In proposito con un veloce excursus di alcune recenti sentenze si ricordano alcune ipotesi in cui è stato ritenuto sussistente il danno esistenziale:

La lesione alla reputazione personale a seguito di divulgazioni di notizie non veritiere (Cass. n. 6507/2001).

La lesione del diritto alla identità personale (Trib. Verona 26.2.1996).

La lesione del diritto all’immagine ed alla riservatezza (Corte Appello Trieste 13 gennaio1993).

La lesione iure proprio del congiunto della vittima, anche se sopravvissuta, che, oltre ai danni morali (Cass. Sez. Un. N. 9556 dell’1.7.2002, vede contratte buona parte delle esplicazioni della sua personalità (si pensi al coniuge o al giovane figlio della vittima condannata a vivere su una sedia a rotelle, o con grave trauma psichico) e subisce una lesione del rapporto parentale (Trib. Milano 31.5.1999;

Trib. Firenze 24.2.2000; Trib. Milano 15.6.2000; Cass. n. 4186 del 23.4.1998; Cass. n. 1516 del 2.2.2001; Cass. n. 1073 del 29.1.2002).

La lesione del diritto alla procreazione cosciente e responsabile, nell’ipotesi di nascita di un bambino nonostante fosse stato eseguito un intervento di vasectomia (Trib. Milano 20.10.1997), o nel caso di mancato accertamento di gravi lesioni del feto (Trib. Locri 6.10.2000) La perdita del feto (Giudice di pace di Casamassima del 10.6.1999, Trib. Torre Annunziata 25 marzo 2002).

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L’abbandono del figlio da parte del genitore e l’ostinato rifiuto di corrispondergli i mezzi di sostentamento, e persino il ritardo nella corresponsione degli alimenti (Cass. 7.6.2000 n. 7713).

La lesione di interessi legittimi (Cass. Sez. Un. N. 500 del 22.7.1999) Le immissioni acustiche non tollerabili che non comportano un danno all’integrità psicofisica (Trib. Milano 21.10.1999).

Il nervosismo, lo stress e la perdita di occasioni derivanti da ritardi aerei o dalla mancata consegna del bagaglio o, ancor di più nel caso di mancato rispetto del c.d. contratto di viaggio (Trib. Torino 8.11.1996;

Giud. Pace Siracusa 26.3.1999; Giud. Pace Milano 18.12.2000).

La illegittima elevazione di un protesto (Cass. n. 11103 del 5.11.1998;

Cass. n. 4881 del 3.4.2001).

Il c.d. mobbing, ovvero il comportamento persecutorio nei confronti del lavoratore (Trib. Torino Sez. Lav. 16.11.1999).

La mancata fruizione del riposo settimanale da parte del lavoratore (Cass. n. 9009 del 3 luglio 2001).

La compromissione dell’ambiente (Cass. Sez. Un. N. 2515 del 21.2.2002).

La ritardata attivazione di un servizio di pubblica utilità, nella specie l’utenza telefonica (Giud. Pace Verona 16.3.2000).

In sintesi (consentitemi un pò di campanilismo, richiamando la motivazione della sent. Trib. Penale Agrigento n. 191 del 4.6.2001) “la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile per le conseguenze non patrimoniali, consistente nell’alterazione delle normali attività dell’individuo, che non sia tale da incidere gravemente sulla sfera psichica del soggetto, comporta un danno esistenziale in quanto lede diritti della personalità normativamente tutelati o, comunque, il diritto alla qualità della vita ed alla libera estrinsecazione della personalità costituzionalmente garantito dall’art. 2 della Cost.”.

In proposito va ricordato che la Suprema Corte a Sezioni Unite con la

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interpretativo, ammettendo la risarcibilità del danno non patrimoniale indipendentemente dalla sussistenza di una lesione dell’integrità psicofisica, o danno biologico ritenendo il danno morale sussistente nel caso di altre lesioni (rispetto a quella della salute) della personalità umana.

Il danno esistenziale assurge, quindi, a figura del tutto autonoma rispetto ai danni tradizionalmente riconosciuti (danno patrimoniale, danno biologico, danno psichico, danno morale) e permette, poi, di unificare le altre ipotesi risarcitorie che sono state nel tempo coltivate e mantenute da parte della giurisprudenza, proprio per tentare di non restare “ingabbiati” nelle tabelle.

Si pensi al “danno alla vita di relazione”, al “danno estetico”, al “danno sessuale”, al “danno alla serenità familiare”, al “danno edonistico”, ai

“danni riflessi”, ai “danni indiretti” ecc…

L’avvento del danno esistenziale finisce, infatti, per togliere alle predette ipotesi risarcitorie qualsiasi significato pratico.

4° Esame delle principali critiche

La presenza nella odierna giornata di studio di qualificati giuristi che non condividono la individuazione della categoria “danno esistenziale”

ed in particolare del dott. Marco Rossetti, mi induce ad esaminare con particolare attenzione le critiche dallo stesso proposte. Mi riferisco, in particolare, alla sua recente sentenza come G.U. del Tribunale di Roma, pubblicata sul n. 32/2002 di Guida al Diritto.

In particolare si obbietta ai cultori del danno esistenziale:

1) La Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 372/1994 ha negato che la lesione di un diritto, anche se garantito costituzionalmente, possa ritenersi risarcibile a prescindere dalle conseguenze che tale lesione abbia causato.

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2) Il danno esistenziale si pone fuori dai principi giuridici su cui si fonda il nostro sistema civilistico sulla colpa con riguardo alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento.

3) Se con il danno esistenziale si vogliono comprendere solo le lesioni di diritti normativamente protetti, non sarebbe necessaria tale nuova categoria, in quanto già riconosciuti dalla Cassazione meritevoli di tutela con la famosa sentenza n. 500/1999, mentre se si ritiene di risarcire qualunque lesione dell’essere, il danno esistenziale non potrebbe sfuggire alla critica di totale indeterminatezza.

4) Il danno esistenziale finisce per sovrapporsi al danno morale che non è un solo sentire, ma anche rinunzia.

Per quanto concerne il riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale si osserva che il danno esistenziale, pur partendo dall’evento della lesione alla persona, assume rilevanza in materia aquiliana, proprio in considerazione delle conseguenze che tale lesione ha e potrà avere sulla piena esplicazione della personalità della vittima, e quindi nel pieno rispetto della personalità umana.

La sentenza della Corte Cost. risulta emessa in relazione al danno biologico che troppo spesso, utilizzando apoditticamente i giudizi medico legali e le gabbie tabellari, finiva per divenire un semplice danno evento (la lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accertata), del tutto autonomo rispetto alle concrete conseguenze che la lesione poteva causare alla vittima.

Il danno esistenziale, invece, accertato l’evento della lesione della personalità, assurge a tutela aquilina non solo in sé, ma soprattutto con specifico riferimento alle conseguenze che ne deriveranno.

Tale interpretazione è pienamente rispettosa della citata interpretazione della Corte Costituzionale.

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Per quanto concerne la prevedibilità ed evitabilità del danno (argomento utilizzato per decenni per negare l’autonoma risarcibilità dei danni dei congiunti della vittima) mi riporto alla sentenza della Suprema Corte n. 1516 del 2.2.2001 e soprattutto alla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 9556 dell’1.7.2002, che hanno chiarito che sono da considerare risarcibili tutti i danni che rientrano nelle conseguenze ordinarie e normali del fatto non già in termini di causalità materiale (la conseguenza visibile), ma giuridica (anche se non visibile, comunque direttamente connessa).

La vittima dell’illecito, normalmente, può essere padre, madre, figlio ecc. e può esplicare le estrinsecazioni della sua personalità in svariati settori della vita umana, anche se l’autore del danno ne é inconsapevole.

La Corte ha, pertanto, concluso che sono risarcibili i danni che rientrano nelle conseguenze ordinarie e normali del fatto e non solo quelli prevedibili o evitabili.

La vittima del danno esistenziale ha, pertanto, diritto al risarcimento non in relazione alla previsione dell’evento, ma alla causalità e consequenzialità con l’illecito generatore della lesione.

Per quanto concerne la critica di indeterminatezza si osserva che i principi costituzionali e precipuamente gli artt. 2 e 3 della Carta, non sono per nulla vaghi ed indeterminati, tanto che costituiscono la base per l’esame di legittimità costituzionale delle norme.

In ogni caso, una volta riconosciuta la risarcibilità della lesione degli interessi normativamente protetti (Cass. n. 500/1999), bisognerà chiarire a quale titolo si legittima tale tutela aquiliana, e cioè se limitatamente alle conseguenze patrimoniali e morali, o, se invece, al pari del danno biologico, anche per le conseguenze c.d. areddittuali.

In quest’ultima ipotesi, a prescindere dalla definizione, parliamo di danno esistenziale.

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Infine l’ultimo rilievo, che peraltro è quello più di frequenza sollevato, appare di utilità, proprio per meglio precisare l’autonomia del danno esistenziale da quello morale.

Potremo dire che il danno morale è essenzialmente un “sentire”, il danno esistenziale è piuttosto un “fare” (cioè un non poter più fare, un dover agire altrimenti). L’uno attiene per sua natura al “dentro”, alla sfera dell’emotività; l’altro concerne il “fuori”, il tempo e lo spazio della vittima.

Nel campionario della responsabilità potranno esservi, dunque, fatti illeciti che arrecano unicamente danni morali; altri soltanto danni esistenziali; altri ancora sia i primi che i secondi.

Un esempio classico: un bambino che perda la madre o che se la ritrovi gravemente invalida, andrà incontro, (a prescindere dall’evento - morte o grave invalidità - in sé) a due ordini di ripercussioni, ben distinte fra di loro:

- il danno morale per le sofferenze ed i patimenti: rivangherà il passato, piangerà, si tormenterà, singhiozzerà, paventerà il futuro;

- il danno per non poter mantenere lo stesso livello qualitativo della sua vita e quindi vedere stravolta la sua esistenza: il genitore non potrà seguirlo più, o non potrà seguirlo come prima, e quindi mangerà cibi meno buoni, sarà più solo a casa, balbetterà, avrà maggiori difficoltà a studiare, si vestirà spesso disordinatamente, non saprà sempre di sapone, si ammalerà più spesso, non saprà con chi confidarsi, e così via.

(quest’ultimo danno, come vedete è del tutto autonomo rispetto al primo e, sulla scia di quanto detto, lo chiamerò esistenziale).

Posso, pertanto, concludere che le predette critiche del dott. Rossetti, che sintetizzano le migliori posizioni dottrinarie e giurisprudenziali di critica al danno esistenziale, non incidono sulla genuinità e correttezza della novità interpretativa del danno esistenziale, ma possono aiutare a meglio circoscriverlo ed individuarlo.

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Non mi resta che accennare alle modalità di risarcimento ed ai criteri di liquidazione. In proposito è necessario riaffermare la funzione reintegratoria del risarcimento, sia pur in forma sostitutiva (le lesioni alla personalità siano esse esistenziali o biologiche non possono essere reintegrate) ed a tal fine si ritiene necessario pervenire all’accertamento del danno esistenziale, procedendo all’accertamento, caso per caso, della sussistenza delle lesioni lamentate alla personalità e della loro incidenza specifica, ricorrendo, ai soli fini della quantificazione, a valutazioni equitative, ma ancorate alla specificità ed alle entità delle lesioni, ex art.1226 c.c.

Il taglio consequenzialistico, nella sua maggior coerenza con i principi del risarcimento integrale, scongiura i tanti rischi di appiattimento che sono insiti nel fatto stesso di una gabbia immaginata a priori.

Peraltro escludendo qualsiasi possibilità di automatismo, l’impostazione consequenzialistica diminuisce il pericolo di risarcimenti eccessivi e immotivati.

Si tratta, infatti, di avvicinarsi il più possibile alla misura di ripercussioni che riguardano frangenti del mondo concreto che dovranno, comunque essere provate.

Non si tratta, infatti di liquidare danni per astratte compromissioni di potenziali esplicazioni della personalità, ma per quelle concretamente esercitate o esercitabili che non potranno più essere pienamente espletate.

Resta il problema della prova che dovrà essere fornita sulla base delle norme processuali.

In proposito va ribadito, come del resto ritenuto universalmente accettato per il danno biologico, che la consulenza tecnica potrà essere di ausilio del giudice anche per il danno esistenziale.

Peraltro è appena il caso di ricordare che il consulente è solo un ausiliario delle parti o del giudice che dovranno poi provvedere

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all’accertamento della lesione ed alla quantificazione del danno tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti, ivi compreso, il lavoro svolto dal detto ausiliario.

Bisogna, pertanto, scoprire e valorizzare l’operato, quali consulenti tecnici, di nuove specializzazioni tratte dai bacini della sociologia, della psicologia, della sessuologia, della vittimologia - figure tutte quante indispensabili, in un campo a-biologico come quello in esame, per il formarsi di una seria “cultura della quantificazione”: una cultura sempre meno indifferente alle ricadute che i torti minacciano, e insieme sempre più addestrata a sventare, grazie alla persuasività dei suoi strumenti, i rischi di ogni commisurazione arbitraria.

Spero di non causare la ribellione dei tanti medici legali, e mi auguro che la mia riflessione possa servire ad indurli ad ampliare le loro specializzazioni nei vari settori ove si esplica la personalità umana, e non solo limitatamente alla mera integrità psico-fisica.

6° Conclusioni

Mi rendo conto, comunque, che il dibattito dottrinario e giurisprudenziale non è per nulla concluso e, pertanto, gli elementi da me oggi indicati, dovranno ancora essere meglio individuati e precisati e potranno subire non indifferenti processi evolutivi, difficilmente prevedibili.

Le linee più importanti del discorso appaiono, tuttavia, abbastanza chiare:

il danno esistenziale è ormai entrato a pieno titolo nel nostro ordinamento, così come è avvenuto, in passato, per quello biologico, e non serve oggi (come non serviva allora) discutere se esista o meno tale figura giuridica, ma occorre lavorare per un’interpretazione più consona e rispettosa del nostro ordinamento giuridico.

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