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Pubblicato il 15/01/2019 ROBERTO ANTONINI
La transizione energetica, troppo lenta sia in Italia che nel mondo, resta un tema chiave nella lotta al riscaldamento globale e verso una maggiore sostenibilità. Senz’altro si tratta di una delle tematiche più importanti per chi è preoccupato per il futuro del Pianeta e soprattutto dei suoi abitanti. In questo percorso, certo difficile e complesso, quindi, il cittadino non può restare soggetto passivo nelle scelte energetiche, deve piuttosto “integrarsi verticalmente” con chi decide, “per abbracciare e comprendere un fenomeno complesso come la transizione energetica”. Da ciò deriva “una nuova
responsabilità in capo al cittadino-consumatore-produttore:
quella di informarsi correttamente su tempi, modalità e costi della transizione”.
Così facendo potrebbe scoprire, ad esempio, con riferimento all’Italia, che il sistema energetico nazionale, in termini di produzione, consumo di energia e relative emissioni, mostra
Italia, quali tempi e quali costi per la transizione energetica?
Ce lo racconta una ricerca condotta per Aspen Institute Italia da Shell, in collaborazione con Elettricità Futura, e con una raccomandazione: massimizzare la produzione
domestica di energia
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punti di forza e punti di debolezza. In questo quadro la lotta al riscaldamento globale e la questione della sicurezza
energetica “trarrebbero benefici diretti dalla massimizzazione della produzione domestica di energia, sia essa rinnovabile (con impatti positivi sulla decarbonizzazione e sulla CO2) che tradizionale, in particolare gas, con impatti positivi in termini di sicurezza, ambiente e crescita economica, a partire dal
contributo alla crescita del Paese attraverso l’aumento del PIL”.
Questo quanto segnala una ricerca condotta per Aspen Institute Italia da Shell in collaborazione con Elettricità Futura.
Il supporto alla crescita del PIL dalla massimizzazione della produzione domestica di energia si materializzerebbe
supportando nuovi investimenti in infrastrutture, contribuendo alle entrate fiscali, migliorando la bilancia commerciale. Nel quadro italiano, infatti, la modesta crescita del PIL è tra i principali punti di debolezza, specialmente in considerazione del crollo della componente “investimenti” (-23% in 10 anni), tra cui quelli energetici non fanno eccezione. Il recente, seppur lieve, aumento del PIL nazionale ha portato con sé un aumento delle emissioni di poco più dell’1%, in linea con le dinamiche mondiali.
Ciò detto, si legge nella ricerca condotta per Aspen Institute Italia da Shell in collaborazione con Elettricità Futura, per quel che riguarda le fonti fossili “dove si concentrano le operazioni estrattive, il beneficio sul PIL è immediatamente tangibile: lo dimostra il caso della Basilicata, regione in cui si concentra oltre il 50% della produzione nazionale di idrocarburi (e i tre quarti della produzione di petrolio), e dove il settore estrattivo è il principale contributore al PIL regionale”. Confrontato con quello delle regioni limitrofe “il PIL lucano è quello che mostra il migliore trend storico (in concomitanza con l’inizio delle attività di estrazioni dalla fine degli anni 90), e il più alto PIL pro-capite:
l’11,6% in più rispetto alla media del Mezzogiorno”.
In tutto ciò, però, emerge la “necessità di una profonda integrazione verticale tra decision maker e cittadino”. Sembra insomma “che il cittadino sia al corrente (e si interessi) del rischio, ma che al contempo si disinteressi del processo che, almeno in parte, potrebbe aiutare a mitigare quel rischio (la transizione energetica, appunto)”, invece “è assodato che
integrazione e cooperazione verticale sono elementi imprescindibili per favorire la transizione”.
Intanto la situazione energetica del Paese, ricorda la ricerca, mostra la fragilità del decoupling nazionale, ovvero della capacità di generare ricchezza limitando al contempo le emissioni. Resta inoltre il tema della forte dipendenza
energetica. “Paradossale la situazione nel settore idrocarburi, e in special modo nel gas naturale - si legge nella ricerca - dove la quota di import raggiunge il 93% del fabbisogno mentre la produzione cala ogni anno in virtù del fatto che si sono quasi azzerate le attività di esplorazione (dalle quali la produzione dipende fisiologicamente)”. Fenomeno ”paradossale in quanto investe la prima fonte energetica del Paese per ampiezza della domanda e per strategicità nel favorire la transizione”. In linea con la massimizzazione della produzione domestica di energia,
“un ulteriore supporto potrà venire dallo sviluppo del settore del biometano – gas rinnovabile prodotto da matrici agricole, agroindustriali e rifiuti organici – che potrebbe integrare il gas naturale negli usi finali e che presenta un potenziale di sviluppo considerevole”, conclude la ricerca condotta per Aspen Institute Italia da Shell in collaborazione con Elettricità Futura.
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