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Il rapporto Atrio sinistro/Radice aortica come predittore di successo nell'ablazione della fibrillazione atriale.

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Indice

Introduzione……… pag. 1

L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale………… pag. 24

Rimodellamento strutturale dell’atrio………... pag. 37

Il nostro studio

o Ipotesi……… pag. 47

o Il rapporto LA/RAo………... pag. 50

o Selezione dei pazienti……… pag. 51

o Metodi……… pag. 56

o Risultati……….. pag. 61

o Discussione……… pag. 69

o Conclusioni……… pag. 74

(2)

La fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune e clinicamente rilevante

nei paesi occidentali. All’inizio del XXI secolo essa rappresenta uno

degli argomenti più caldi della cardiologia. La fibrillazione atriale si

configura, oggi, come una vera e propria epidemia. Si stima che più di

due milioni di americani e tre milioni di europei ne siano affetti ed il

trend è in continuo aumento. La vera e propria esplosione della letteratura scientifica sull’argomento che abbiamo osservato nel corso

degli ultimi anni è testimone di tutto questo. Basti pensare che negli

ultimi dieci anni sono stati pubblicati più studi sulla fibrillazione atriale

che nel resto della storia della medicina. Nel deliniare in maniera chiara

(3)

Introduzione

2

presentare appare necessaria una trattazione delle basi patologiche ed

epidemiologiche della malattia che prenda in considerazione le opzioni oggi disponibili per il trattamento dell’aritmia, il successo ed il profilo di

rischio di tali metodiche. Scopo della nostra trattazione e della nostra

ricerca è individuare un parametro clinico, semplice da ottenere,

disponibile ovunque ed a basso costo, che sia in grado di fornire

indicazioni sulle possibilità di successo del trattamento ablativo per la

fibrillazione atriale.

Basi epidemiologiche

La fibrillazione atriale si configura, come accennato sopra, come una

vera e propria epidemia. Questo principalmente per due ragioni. In primo

luogo per il fatto che la prevalenza dell’ aritmia aumenta con l’età e, dato l’invecchiamento della popolazione che osserviamo su scala planetaria,

l’incremento del numero dei pazienti affetti da fibrillazione atriale è

inevitabile. L’altra principale ragione dell’aumento di prevalenza atteso

nei prossimi anni è risiede nell’ aumento di sopravvivenza dei soggetti

affetti da malattie cardiovascolari, in special modo ipertensione arteriosa

(4)

3

responsabili dello sviluppo di fibrillazione atriale. Numerosi studi

epidemiologici, da quaranta anni a questa parte, sono stati condotti per stabilire l’esatta incidenza della malattia, la sua prevalenza nelle diverse

fasce di età della popolazione e non ultime la morbilità e la mortalità che

essa comporta. Un altro dato rilevante analizzato sempre più spesso

riguarda i costi sociali della malattia che, considerati i numeri con cui abbiamo a che fare, sono tutt’altro che trascurabili. Secondo un recente e

autorevole studio condotto negli Stati Uniti la prevalenza generale della fibrillazione atriale nell’intera popolazione è dello 0.95%. La prevalenza

aumenta con l’età passando dallo 0,1% nei soggetti di età inferiore a 55

anni al 9% nei pazienti di età > 80 anni. Essa risulta essere del 3,8% nei pazienti di età superiore a 65 anni. La prevalenza dell’aritmia è risultata

essere superiore nei maschi rispetto alle femmine in tutti i gruppi di età

(5)

Introduzione

4

Figura 1. Prevalenza della FA stratificata per età e sesso

Dallo studio risulta che circa 2.3 milioni di americani sono affetti da

fibrillazione atriale. Incrociando i dati di prevalenza con quelli relativi

alla crescita attesa della popolazione ed al suo invecchiamento si stima

che per il 2050 tali numeri sono destinati ad aumentare di 2.5 volte

arrivando a 5.6 milioni di americani affetti. Negli altri studi di

prevalenza condotti negli USA ed in Europa troviamo numeri simili. Per l’Europa la stima del numero di pazienti affetto nel 2050 ammonta a 7

milioni.

(6)

5

Figura 2. Proiezione del numero di pazienti affetti da FA al 2050

L’incidenza della fibrillazione atriale è stimata essere di circa 2,4 nuovi

casi ogni mille persone per anno. Secondo lo studio di Framingham l’incidenza cresce con l’età con valori di 3,1 negli uomini e 1,9 nelle

donne di età compresa tra 55 e 64 anni arrivando fino a 38 e 31,4 nuovi

casi per mille persone per anno nei soggetti di età superiore agli 85 anni.

Numerosi altri studi epidemiologici condotti confermano questi dati.

Sempre dai dati del Framingham Heart Study viene fuori che il rischio di

sviluppare fibrillazione atriale dai 40 ai 95 anni è pari a 26% per gli

(7)

Introduzione

6

uomini e 23% per le donne. Altri aspetti epidemiologici fondamentali da considerare sono la morbilità e la mortalità associate all’aritmia. Da tutti

gli studi su larga scale effettuati sull’argomento si evince chiaramente

che le conseguenze della fibrillazione atriale sono tutt’altro che

trascurabili. La mortalità per tutte le cause, nei pazienti affetti da

fibrillazione atriale, è aumentata di 1,3-1,8 volte per gli uomini e 1,9-2,8 volte per le donne. Uno studio clinico condotto sull’argomento ha

mostrato un rischio di morte superiore di 2,4 volte anche aggiustando i

dati per età, sesso e altri fattori di rischio cardiovascolare. La

complicanza legata alla fibrillazione atriale che pesa di più da un punto

di vista epidemiologico è lo stroke tromboembolico. Nello studio di

Framingham il rischio di sviluppare un ictus ischemico nei paziente con

fibrillazione atriale ammonta a 1,5% nei pazienti di età compresa tra i 50

ei 59 anni fino ad arrivare al 23% nei pazienti con età superiore ad 80

anni. Oltre a ciò bisogna sottolineare che gli stroke associati a

fibrillazione atriale sono mediamente più gravi ed associati ad un più elevato grado di disabilità. I pazienti afferri dall’aritmia, inoltre, tendono

ad avere stroke recidivanti e più frequentemente fatali anche aggiustando

i dati per gli altri fattori di rischio di stroke. Un’altra conseguenza della

(8)

7

sviluppare insufficienza cardiaca. Nello studio Manitoba la presenza di

fibrillazione atriale è stata associata ad un aumento del rischio di

sviluppare insufficienza cardiaca di 3 volte. Naturalmente le terapie

disponibili attualmente per il controllo del ritmo e della frequenza e l’uso

estensivo della terapia anticoagulante hanno ridotto notevolmente tali

conseguenze. C’è da dire comunque che la fibrillazione atriale è

responsabile di un numero ragguardevole di stroke che ammonta, negli

USA, al 15-25% del totale. Nei pazienti di età superiore a 75 anni la

fibrillazione atriale è la prima causa di stroke.

Data la morbilità ad essa associata la fibrillazione atriale ha un notevole

impatto sui costi di assistenza sanitaria. Essa rappresenta un grosso

problema di costi data la prevalenza in costante aumento e quindi il

crescente bisogno di cura. Da studi europei ed americani risulta che il

costo medio per anno di un paziente affetto da fibrillazione atriale è di

circa 3000 Euro. Il numero di ospedalizzazioni per fibrillazione atriale è

triplicato rispetto a venti anni fa. Il trattamento della fibrillazione atriale

negli USA ha un costo annuale di circa 6,65 miliardi di dollari. Ai costi

di ospedalizzazione vanno aggiunti i costi di gestione domiciliare del

paziente e quindi di farmaci, presidi e monitoraggio della terapia

(9)

Introduzione

8

Fattori di rischio

La fibrillazione atriale mostra numerosi fattori di rischio. In linea generale qualsiasi condizione emodinamica provochi l’aumento delle

pressioni atriali sinistre, l’aumento di dimensioni dell’atrio sinistro, un

danno al miocardio atriale o una modifica delle proprietà

elettrofisiologiche dei miocardiociti atriali può causare fibrillazione

atriale. Possiamo dividere fattori di rischio in due principali categorie:

fattori di rischio cardiovascolari e non cardiovascolari.

Tra i fattori di rischio cardiovascolari il più importante è sicuramente l’ipertensione arteriosa. Il danno al cuore causato dall’ipertensione con

conseguente riduzione della compliance del ventricolo sinistro ed

aumento delle pressioni atriali sinistre è responsabile della maggior parte

dei casi di fibrillazione atriale legati ad ipertensione arteriosa. Un altro

fattore di rischio cardiovascolare importante nella pratica clinica è la cardiopatia ischemica. L’ischemia atriale e le modificazioni

emodinamiche indotte dalla cardiopatia ischemica sono un forte fattore di rischio per lo sviluppo di fibrillazione atriale. L’altro importante

(10)

9

L’aumento delle pressioni atriali sinistre e destre a causa dell’aumento

della pressione polmonare portano in una percentuale elevata i pazienti

affetti da scompenso cardiaco a sviluppare fibrillazione atriale. Possiamo

includere nei fattori di rishio cardiovascolare le valvulopatie mitraliche e

soprattutto la stenosi che, causando nel tempo un notevole aumento di

dimensioni atriali sinistre, porta quasi invariabilmente a fibrillazione

atriale. Anche se più rara la cardiomiopatia ipertrofica è un potente fattore di rischio per l’aritmia data la compromissione della funzione

diastolica del ventricolo sinistro ad essa attribuibile ed il sovvertimento dell’architettura cellulare miocardica con la presenza di fibrosi, potente

coadiuvante nel mantenimento della fibrillazione atriale. Altri fattori di

rischio cardiovascolari sono la disfunzione del nodo del seno, la pericardite, l’elettrostimolazione ventricolare destra, le cardiopatie

congenite ed altre cardiomiopatie.

Tra i fattori di rischio non cardiovascolari il più importante è sicuramente l’età e, connessa ad essa, l’aspettativa di vita alla nascita.

L’invecchiamento porta a fibrillazione atriale attraverso svariati

meccanismi. Sicuramente il rimodellamento strutturale ed elettrico dell’atrio giocano un ruolo fondamentale. Con l’età sopraggiungono

(11)

Introduzione

10

comparsa di fibrosi e la perdita di cellule specializzate, la diminuzione

delle cellule del nodo del seno, la fibrosi a livello del nodo AV. A livello

del miocardio compaiono diffuse aree a basso voltaggio con

rallentamento della conduzione regionale. Un altro fattore di rischio non

cardiovascolare importante soprattutto nei paesi mediterranei sono le

patologie tiroidee. Gli ormoni tiroidei predispongono alla fibrillazione

atriale mediante la modificazione delle proprietà elettrofisiologiche della

cellula cardiaca. Altri fattori di rischio non cardiovascolari che assumono

importanza nella pratica clinica sono il diabete, l’obesità e le malattie

polmonari. Anche la stimolazione adrenergica e vagale possono portare a

fibrillazione atriale mediante le modificazioni indotte sul periodo

refrattario cellulare atriale. I disturbi elettrolitici possono agire da cause scatenanti. Nei paesi occidentali anche l’abuso di alcool, soprattutto tra i

giovani, può essere una causa scatenante di fibrillazione atriale.

Meccanismi fisiopatologici

La storia della ricerca sui meccanismi fisiopatologici della fibrillazione

atriale possiamo considerarla relativamente recente. Se possiamo far risalire la descrizione della fibrillazione atriale come “irregolarità” del

(12)

11

polso a circa mille anni fa è solo con la invenzione dell’elettrocardiogramma da parte di Einthoven che la ricerca sul ritmo

atriale ha avuto in impulso decisivo. Nel corso del secolo scorso si sono

succedute numerose teorie che individuavano il meccanismo

patogenetico fondamentale della fibrillazione atriale in fenomeni di

rientro o di aumentato automatismo. Negli anni venti gli studi di Lewis

individuarono come meccanismo fondamentale il rientro. Queste teorie

furono abbandonate negli anni cinquanta grazie agli studi di Sherf e

Prinzmetal. Questi studi dimostrarono che la fibrillazione atriale può

essere indotta mediante la stimolazione con aconitina o acetilcoline del

miocardio atriale ed interrotta mediante il successivo raffreddamento di

queste aree. Sherf concluse che la fibrillazione atriale poteva essere

dovuta a un focus ectopico e che si sosteneva mediante una propagazione peculiare delle onde di attivazione che egli chiamò “conduzione

fibrillatoria”. Questa teorie fu abbandonata a favore della ipotesi del

rientro e delle onde di attivazione multiple, ipotesi venute alla ribalta grazie agli studi di Moe e di Alessie. Quest’ultimo ha potuto

documentare in modelli animali la modalità di attivazione degli atri

durante la fibrillazione atriale. Dai suoi studi è emerso che l’aritmia è

(13)

Introduzione

12

e direzione. Questi circuiti non avrebbero una base anatomica ma

funzionale legata alla refrattarietà di aree contigue di miocardio. La

formazione di tali circuiti sarebbe favorita dal rallentamento della

conduzione in aree specifiche di miocardio e dalla brevità della

refrattarietà cellulare. Secondo altri autori in accordo con questa teoria

esisterebbero aree preferenziali di formazione di questi circuiti soprattutto in corrispondenza della parete posteriore dell’atriosinistro ed

intorno allo sbocco delle vene polmonari. In queste sedi si formerebbero i cosiddetti “rotors” responsabili del perpetuarsi dell’aritmia. Un altro

concetto fondamentale per la pratica clinica che emerge dagli studi sperimentali sull’aritmia è il concetto che la fibrillazione atriale favorisce

la fibrillazione: la cosiddetta teoria “atrial fibrillation begets atrial

fibrillazion”. Secondo tale teoria la persistenza dell’atrio in fibrillazione

atriale favorisce la comparsa di cambiamento patologici a livello del

miocardio. Uno dei principali è quello che riguarda i meccanismi intracellulari di scambio del calcio. L’elevata frequenza atriale presente

durante la fibrillazione atriale provoca un accumulo intracellulare di

calcio che porterebbe alla morte cellulare. Numerose modificazioni del

metabolismo cellulare, alcune istantanee ed alcune dopo giorni, vengono

(14)

13

gran parte di questi meccanismi porta ad una riduzione del periodo

refrattario cellulare e come conseguenza favoriscono il mantenimento

della fibrillazione atriale. Alla fine degli anni novanta del secolo scorso

una svolta decisiva alla comprensione dei meccanismi patogenetici della

fibrillazione atriale insieme con una svolta terapeutica è stata data dagli

studi di Haisseguerre e del gruppo di Bordeaux. Da tali studi è emerso

chiaramente il ruolo innescante delle vene polmonari nella genesi della

fibrillazione atriale. Queste strutture, infatti, possono contenere foci

automatici capaci scariche rapide. Tali scariche de sincronizzano l’attività elettrica degli atri portandoli a fibrillare. In questo contesto le

alterazioni strutturali e funzionali della muscolatura atriale giocano un

ruolo fondamentale nel mantenimento della fibrillazione atriale. Tali teorie hanno dato un grosso impulso all’aritmologia nel corso delle

ultime due decadi ed hanno costituito la base dello sviluppo delle

tecniche interventistiche di trattamento della fibrillazione atriale. Da un

punto di vista clinico dobbiamo considerare la fibrillazione atriale non

come il risultato di un unico meccanismo patogenetico, ma come il

risultato finale di diversi meccanismi fisiopatologici la cui importanza

varia da paziente a paziente. In accordo con le teorie di Alessie

(15)

Introduzione

14

initiator e i perpetuator. I trigger sono variabili e possono essere rappresentati da foci ectopici all’interno delle vene polmonari o da altre

tachicardie. Perché i trigger possano innescare la fibrillazione atriale

hanno bisogno di un substrato elettrofisiologico in grado di favorire il

rientro: gli initiator. Spesso essi sono costituiti da aree di refrattarietà

breve o bassa velocità di conduzione. Infine perché la fibrillazione atriale possa sostenersi c’è bisogno dei perpetuator. Questi sono costituiti dalla

dilatazione degli atri e dalla modificazioni strutturali ed

elettrofisiologiche del substrato anatomico. Nei diversi pazienti il peso di

ognuno degli elementi patogenetici è diverso. Infatti nella fibrillazione

atriale parossistica ha un peso maggiore il trigger, mentre nella

permanente assume una importanza fondamentale il perpetuator.

Trattamento

Fino a poche decadi fa il trattamento della fibrillazione atriale e

soprattutto quello volto al controllo del ritmo non veniva nemmeno preso

in considerazione. Veniva raccomandata la CVE o farmacologica con

chinidina o più spesso il controllo della frequenza cardiaca mediante la digitale o più raramente mediante l’uso di antagonisti del sistema

(16)

15

adrenergico. La terapia anticoagulante veniva consigliata soltanto nel

breve periodo che precedeva la cardioversione. La prima cardioversione

elettrica fu effettuata nel 1962. Da allora le strategie terapeutiche per la

fibrillazione atriale hanno subito una notevole evoluzione. Non solo le

strategie per il controllo della frequenza, ma soprattutto quelle rivolte al controllo del ritmo sono cambiate notevolmente con l’avvento di nuovi

farmaci antiaritmici e soprattutto dell’ablazione transcatetere. Si è

discusso molto sul significato prognostico del mantenimento del ritmo

sinusale. Sono state espresse numerose e discordanti opinioni a riguardo

e molti studi randomizzati sono stati condotti per arrivare ad una

conclusione scientificamente accettabile. Il più importante di questi studi

è stato lo studio AFFIRM. Questo studio ha mostrato che, se la terapia viene applicata correttamente, non c’è una differenza significativa dal

punto di vista prognostico tra controllo del ritmo e controllo della

frequenza. Il controllo dl ritmo sarebbe da preferire soltanto nei pazienti

in cui non si riesce ad ottenere un buon controllo dei sintomi mediante il

controllo della frequenza cardiaca. Questo studio però è stato condotto in

pazienti mediamente molto anziani e ad elevato rischio di stroke e per

tale motivo i risultati non possono essere applicati a tutti i pazienti affetti

(17)

Introduzione

16

attuale è quella di ottenere il controllo del ritmo quando possibile e

soprattutto un buon controllo dei sintomi. Per quello che riguarda il

rischio tromboembolico le linee guida internazionali sono molto chiare

suggerendo di effettuare la scelta tra terapia antiaggregante ed

anticoagulante in base al punteggio di rischio tromboembolico del

singolo paziente ottenuto mediante uno score calculator semplice da

applicare. Una svolta nella gestione del rischio tromboembolico è

arrivata nel corso degli ultimi due anni. Essa deriva dalla possibilità di occludere l’auricola sinistra mediante un dispositivo impiantabile per via

percutanea. L’efficacia della procedura, relativamente semplice e scevra

da rischi, è stata validata mediante uno studio randomizzato che ha

messo a confronto tale strategia con la terapia anticoagulante orale

tradizionale ottenendo risultati in termini di prevenzione degli eventi

tromboembolici del tutto sovrapponibili. La procedura, però, è possibile

solo in un gruppo selezionato di pazienti con fibrillazione atriale che non

abbiano malattie valvolari.

Strategie di trattamento rivolte al controllo della frequenza cardiaca.

Attualmente le strategie rivolte al controllo della frequenza cardiaca

(18)

17

controllo del ritmo è fallito o non è possibile. Per il controllo della

frequenza abbiamo a disposizione sia terapie farmacologiche che non

farmacologiche. Lo scopo della terapia farmacologica è quella di

rallentare la conduzione dell’impulso a livello del nodo atrio-ventricolare e quindi di abbassare la risposta ventricolare durante l’aritmia. Per

ottenere ciò vengono in genere usate diverse classi di farmaci, tutte con

un effetto intrinseco dromotropo negativo. I farmaci maggiormente usati

sono i beta bloccanti ed i calcio antagonisti ad azione cardiaca. Un altro

farmaco molto usato in passato per ottenere il controllo della frequenza

ventricolare durante fibrillazione atriale è la digitale, oggi meno usata a

causa degli effetti avversi. Quando non è possibile ottenere il controllo

della frequenza cardiaca mediante i farmaci può essere attuata una strategia cosiddetta “ablate and pace”. Essa consiste nell’impianto di un

pacemaker definitivo per la stimolazione ventricolare e della successiva

ablazione, in genere mediante radiofrequenza, della porzione compatta

del nodo atrio-ventricolare. Tale strategia consente un perfetto controllo della frequenza cardiaca anche se è gravata dai rischi legati all’impianto

del dispositivo ed alla conseguente ablazione. Le strategie appena descritte funzionano bene nell’alleviare i sintomi legati alla fibrillazione

(19)

Introduzione

18

ventricolare, che l’elevata frequenza può comportare nel tempo. Appare

ovvio rimarcare il fatto che tale strategia non risolve in alcun modo né le

conseguenze emodinamiche della fibrillazione atriale (perdita del

contributo atriale), né il rischio tromboembolico legato all’aritmia

configurandosi come una opzione terapeutica rivolta ai soggetti più

anziani ed a quelli che comunque hanno indicazione ad assumere terapia

anticoagulante per altre ragioni.

Strategie di trattamento rivolte al controllo del ritmo cardiaco

Le terapie rivolte al controllo del ritmo cardiaco sono un argomento di estrema attualità nell’odierna cardiologia e, nel corso degli ultimi dieci

anni, sono diventate argomento di accese discussioni tra esperti oltre che

di un fiorire di letteratura scientifica. Indicazioni e linee guida

internazionali sono state più volte modificate a seconda dei risultati dell’ingente numero di trials sull’argomento. Sul versante della terapia

farmacologica ed ancora di più su quello della terapia non farmacologica

si sono avute innovazioni che hanno cambiato radicalmente il modo di approcciare i pazienti con fibrillazione atriale. L’obiettivo attuale è

quello di fornire al singolo paziente l’opzione di trattamento più efficace

(20)

19

rischi. Cominciamo col dire che esistono due approcci terapeutici, quello

farmacologico e quello non farmacologico. Nella pratica clinica, in

realtà, non esiste questa netta distinzione e per lo stesso paziente in

genere si usano entrambi gli approcci terapeutici, spesso anche

contemporaneamente. Diciamo quindi che il trattamento della fibrillazione atriale si avvale di una strategia “integrata” rivolta al

controllo del ritmo avvalendosi di farmaci e di procedure interventistiche complesse quale l’ablazione.

La terapia farmacologica

I farmaci usati per il controllo del ritmo appartengono essenzialmente

alla classe I ed alla classe III. Della classe I fanno parte i farmaci che

agiscono sui canale del sodio. I farmaci di questa classe utilizzati nella

pratica clinica sono quelli della sottoclasse Ic (flecainide e propafenone).

Essi sono potenti inibitori della corrente rapida del sodio e quindi agiscono sulla fase iniziale del potenziale d’azione rallentando l’onset

della depolarizzazione. Essi, inoltre, prolungano la durata del potenziale d’azione agendo sulla corrente lenta del sodio. Tali farmaci si sono

rivelati relativamente efficaci nel controllo degli episodi di fibrillazione

(21)

Introduzione

20

soggetti con cuore sano dati gli effetti proaritmici ed inotropi negativi ad

essi correlati. Effetti pro aritmici per la flecacainide sono stati dimostrati

nello studio CAST e per il propafenone nello studio CASH. Essi includono l’induzione e l’esacerbazione di tachicardie ventricolari oltre a

casi di morte improvvisa. Questi farmaci, inoltre, in presenza di blocchi

atrio-ventricolari preesistenti possono peggiorarne il grado fino ad

indurre blocchi avanzati soprattutto in associazione con altri farmaci

come i beta-bloccanti ed i calcio-antagonisti. Gli altri farmaci molto usati nella pratica clinica sono gli antiaritmici di classe III come l’amiodarone,

il recente dronedarone ed il sotalolo. Entrambi agiscono sui canali del

potassio prolungando il potenziale d’azione ed il periodo refrattario

assoluto. Essi non sono antiaritmici di classe II puri dato che l’amiodarone è anche un inibitore dei canali del sodio mentre il sotalolo

ha anche un effetto beta-bloccante. Il più recente dronedarone ha effetti elettrofisiologici simili a quelli dell’amiodarone, ma non contiene Iodio,

responsabile degli effetti avversi dell’amiodarone sulla tiroide. Questi

farmaci si sono dimostrati più efficaci di quelli di classe I, ma sono

gravati da effetti collaterali importanti. Essi, prolungando il potenziale d’azione causano inevitabilmente un allungamento dell’intervallo QT e

(22)

21

elettrolitici, predispongono a torsione di punta. L’amiodarone inoltre ha

effetti collaterali sistemici importanti, soprattutto a carico dei polmoni e

della tiroide, che spesso causano la sospensione del farmaco da parte del

paziente. Il Dronedarone ha mostrato di aumentare la mortalità nei

pazienti con grado avanzato di scompenso cardiaco e, malgrado l’impiego ancora limitato, ha mostrato alterazioni anche importanti della

funzione renale. Gli altri farmaci disponibili per il controllo del ritmo

sono usati in maniera molto limitata e sono di fatto scomparsi dalla pratica clinica. Veniamo ora all’argomento che ci interessa di più e cioè

quello dell’efficacia di questa strategia terapeutica. Una recente

metanalisi (2009) condotta su tutti gli studi effettuati allo stato dell’arte

sulla terapia farmacologica antiaritmica ha documentato una efficacia

generale del 52%. È importante considerare il fatto che la percentuale di

successo, intesa come assenza di aritmia, risultava del 24,9% nei pazienti trattati con placebo. Il farmaco più efficace è risultato l’amiodarone con

una efficacia sei volte superiore a quella del placebo e due volte

superiore a quella del propafenone. È doveroso sottolineare il tasso di

complicanze che è venuto fuori da questi studi. Più del 10% dei pazienti

è stato costretto a sospendere la terapia per eventi avversi e più del 13%

(23)

Introduzione

22

Figura 3. L'immagine mostra i risultati in termini di % di successo degli studi effettuati sulla terapia farmacologica antiaritmica per la fibrillazione atriale.

da H. Calkins et al; Circulation 2009

(24)

23

Dalla nostra trattazione si evince che la terapia farmacologica ha una

efficacia sicuramente limitata (di poco superiore al 50%) a fronte di

effetti collaterali significativi. Un argomento fondamentale nella pratica

clinica quotidiana è la scarsa maneggevolezza di questi farmaci. Essi

hanno tutti controindicazioni importanti e spesso è difficile a trovare l’antiaritmico che dia un buon profilo di sicurezza nello specifico

paziente. Queste limitazioni portano spesso i medici ad “accontentarsi”

di una strategia terapeutica rivolta al controllo del ritmo anche quando il

controllo della frequenza risulta perseguibile o sottodosare la terapia nel tentativo di “arginare” gli effetti avversi. Questo bisogno di terapie più

sicure ed efficaci ha portato, soprattutto nel corso degli ultimi quindici

anni, la ricerca a spingere verso soluzioni “curative” definitive per la

fibrillazione atriale e quindi allo sviluppo delle terapie interventistiche

che discuteremo di seguito e che assumono una importanza

fondamentale per lo studio che ci accingiamo a presentare in queste

(25)

L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale

Storia

Storicamente il primo approccio non farmacologico diretto al trattamento della fibrillazione atriale è stato l’ablazione del nodo atrio-ventricolare

nell’ambito della strategia ablate and pace menzionata in precedenza. Il

primo tentativo di trattare la fibrillazione atriale mediante la creazione di lesioni all’interno degli atri risale agli inizi degli anni novanta con gli

studi condotti dal cardiochirurgo americano Cox. Questo approccio

terapeutico prevedeva la creazione di lesioni lineari all’interno dell’atrio sinistro e dell’atrio destro. Tali lesione dividevano gli atri, da un punto di

(26)

25

“sentiero” di attivazione preferenziale tra il nodo del seno ed il nodo

atrio-ventricolare. Tale procedura venne denominata MAZE e si

dimostrò efficace nel prevenire le recidive di fibrillazione atriale anche

grazie al fatto che, giudicando con le conoscenze attuali, portava

inevitabilmente all’isolamento elettrico delle vene polmonari.

Naturalmente, essendo una procedura altamente invasiva, essa non è

stata mai accettata come terapia di prima linea per il trattamento della

fibrillazione atriale. La vera svolta, in realtà, si ebbe alla fine degli anni

novanta grazie agli studi condotti dal gruppo di Bordeaux guidati dall’elettrofisiologo francese Michel Haissaguerre. Essi dimostrarono il

ruolo causale svolto da foci presenti all’interno delle vene polmonari

nell’innesco della fibrillazione atriale. I loro studi aprirono la strada alla

strategia terapeutica ampiamente accettata ai giorni nostri che prevede l’isolamento elettrico delle vene polmonari come il caposaldo della

terapia non farmacologica della fibrillazione atriale. Da allora molti

progressi in questo campo sono stati fatti e nuove teorie si sono affacciate all’orizzonte. Le vene polmonari sembrano avere il ruolo di

“initiator” dell’aritmia. Appare chiaro oggi, in accordo con i

numerosissimi studi clinici effettuati sull’argomento, che l’isolamento

(27)

L’ablazione della fibrillazione atriale

26

procedura di ablazione e che altri approcci sono solo complementari

senza poter sostituire questa tecnica. Questa tecnica, nel corso dell’ultimo decennio, ha avuto un successo senza precedenti vedendo

moltiplicare il numero di pazienti sottoposti ad ablazione. Oltre all’isolamento delle vene polmonari ulteriori tecniche e tipi di lesione

sono stati proposti per migliorare la percentuale di successo della

procedura anche se ad oggi non esistono evidenze veramente forti per

nessuna di queste. Le ricerche si sono concentrate soprattutto sulla

possibilità di agire, oltre che sugli initiator, anche sui perpetuator dell’aritmia e quindi sulla possibilità di modificare elettricamente il

substrato che consente all’aritmia di autosostenersi. Sono state proposte

a riguardo numerose teorie che esamineremo in dettaglio nel capitolo

successivo. Ora, come abbiamo fatto nel corso della trattazione relativa

alla terapia farmacologica, ci preme discutere le tecniche utilizzate, l’efficacia di questa procedura e le eventuali complicanze a cui il

(28)

27

Tecnica

Abbiamo accennato precedentemente al fatto che le vene polmonari

costituiscono il trigger maggiore per lo sviluppo di fibrillazione atriale. I

battiti prematuri originati da queste strutture interagiscono con il substrato atriale a livello dell’antro delle vene polmonari, cioè il luogo di

congiunzione anatomica tra queste e l’atrio. Le vene polmonari, oltre a

svolgere la funzione di triggers, sono implicate, in accordo con le

evidenze di numerosi studi, anche nel mantenimento della fibrillazione

atriale, cioè come perpetuators. Lo scopo dell’ablazione della

fibrillazione atriale è proprio quello di interrompere la connessione tra le vene polmonari e l’atrio sinistro. La connessione può essere interrotta a

vari livelli, ma le evidenze attuali suggeriscono che essa deve essere

interrotta a livello antrale, cioè creando una lesione sufficientemente

ampia e prossimale allo sbocco della vena. Questo perché è stato

dimostrato che la massima anisotropia delle fibre muscolari si trova non

solo a livello della parte prossimale della vena, ma soprattutto è distribuita intorno all’area di sbocco in atrio di quest’ultima. Grazie al

rapido sviluppo delle tecnologie applicate a questa metodica esistono diversi sistemi deputati a localizzare i cateteri all’interno dell’atrio

(29)

L’ablazione della fibrillazione atriale

28

sinistro e di conseguenza a posizionare con esattezza le lesioni effettuate all’interno dello spazio tridimensionale. Inizialmente veniva usata la

semplice fluoroscopia che dava, però, una informazione solo

bidimensionale. Successivamente sono stati introdotti sistemi di

mappaggio elettroanatomici che, sfruttando un campo elettrico o

magnetico creato intorno al paziente e più recentemente con l’ausilio

della ecografia intracardiaca, riescono a ricostruire in maniera

tridimensionale le strutture cardiache ed a localizzare i cateteri e le lesioni effettuate con una precisione millimetrica. L’utilizzo di questi

sistemi ha accresciuto notevolmente la percentuale di successo ed il

profilo di sicurezza delle procedure riducendo in maniera significativa i

tempi di esposizione radioscopica del paziente. Per quello che riguarda le

fonti di energia utilizzate per creare le lesioni la più usata è sicuramente la radiofrequenza. Un’altra fonte energetica usata con successo è la

crioablazione. L’endpoint della procedura è quella di ottenere un blocco

completo della conduzione bidirezionale tra atrio sinistro e vene

polmonari in modo da avere una attività elettrica nelle vene dissociata da quella dell’atrio. All’isolamento delle vene polmonari è possibile

aggiungere, anche se con evidenze scientifiche discutibili, l’isolamento

(30)

29

fibrillazione atriale e la de connessione del seno coronaria ottenuta

mediante una lesione circolare intorno al suo sbocco in atrio destro. Oltre all’isolamento delle vene polmonari esistono altre tecniche

proposte per incrementare le possibilità di successo della procedura. Una

di queste, molto utilizzata anche se accettata con molte riserve dagli esperti, è la creazione di lesioni lineari all’interno dell’atrio sinistro per

scongiurare la possibilità di formazione di aritmie da macrorientro. Tali

linee di lesione vengono create più frequentemente a livello del tetto dell’atrio sinistro, tra le vene polmonari superiori, ed a livello dell’istmo

mitralico, tra l’anello e la vena polmonare inferiore di sinistra.

L’efficacia di questa tecnica non è stata ancora ben dimostrata e, in

alcuni trials, essa è risultata addirittura aritmogena. Alcuni studi

randomizzati sono tuttora in corso per chiarire il ruolo di questa tecnica come adiuvante all’isolamento delle vene polmonari. Un altro grosso

capitolo relativo alle tecniche di ablazione della fibrillazione atriale è

quello che riguarda il tentativo di modificare i perpetuators, cioè il substrato responsabile del mantenersi dell’aritmia. Nell’ipotesi

attualmente accettata il substrato sarebbe costituito da zone di tessuto a

bassa velocità di conduzione. Queste zone favorirebbero i meccanismi di microrientro dell’impulso e di conseguenza la formazione dei cosiddetti

(31)

L’ablazione della fibrillazione atriale

30

“rotors”. Nel tentativo di intercettare queste zone nel 2004

l’elettrofisiologo americano Nademanee propose una tecnica di

ablazione basata sul mappaggio e la successiva ablazione di zone a

potenziale molto veloce, di bassa ampiezza e frammentato che lui

chiamò CFAEs. Usando questo approccio riuscì, verificando i risultati

con uno studio randomizzato, ad ottenere le stesse percentuali di successo dell’ablazione tradizionale senza effettuare l’isolamento delle

vene polmonari. Da allora nessun altro gruppo è riuscito ad emulare i

suoi risultati. Alcuni studi hanno testato questa tecnica come

complementare all’isolamento delle vene polmonari riconoscendole la

capacità di aumentare il successo della procedura soprattutto nei pazienti

con fibrillazione atriale persistente e permanente. Oltre a questa altre

tecniche sono state proposte, ma esse sono di quasi nessun impiego nella

pratica clinica e per tale motivo consideriamo superflua la loro

trattazione ai fini del nostro studio.

Efficacia

La capacità dell’ablazione transcatere di “guarire” i pazienti dalla

(32)

31

precisare subito che le percentuali di successo che vengono attribuite alla procedura variano notevolmente da un trial all’altro a seconda della

tecnica utilizzata, del tipo di fibrillazione atriale, dell’esperienza del

centro e, soprattutto, in base al metodo utilizzato per eseguire il

follow-up. Quest’ultimo, infatti, assume una importanza fondamentale dato che

le recidive di aritmia possono essere asintomatiche e di breve durata e

quindi difficili da diagnosticare. Una recente meta-analisi sull’argomento ha mostrato che la percentuale di successo generale dell’ablazione dopo

una singola procedura ed in assenza di farmaci antiaritmici è del 57%

riferendosi a 31 braccia di studi clinici e 2800 pazienti trattati. La

percentuale di successo sale notevolmente dopo procedure multiple

arrivando a 71%. Con procedure multiple e terapia antiaritmica in corso

la percentuale di successo è risultata del 77% e dopo singola procedura del 72%. La tecnica utilizzate per l’ablazione nei trial presi in

considerazione prevedeva l’utilizzo di un sistema elettroanatomico solo

nel 30% dei casi. L’uso di questi sistemi ha mostrato ridurre i tempi di

fluoroscopia in maniera significativa. Un’altra meta-analisi effettuata su

grandi numeri ha mostrato che la percentuale di successo in assenza di farmaci antiaritmici era del 52% e saliva a 76% con l’uso dei farmaci.

(33)

L’ablazione della fibrillazione atriale

32

significativa nell’outcome clinico tra i diversi tipi di fibrillazione atriale.

I pazienti con fibrillazione atriale parossistica sono quelli che hanno

mostrato i risultati migliori con una percentuale di successo che è

arrivata anche al 90% in alcuni studi. A seguire i pazienti con

fibrillazione atriale persistente. Il risultato peggiore si è ottenuto nei

pazienti con fibrillazione atriale permanente. In questi pazienti la

percentuale di successo supera di poco il 50%.

Figura 4. Efficacia dell'ablazione di FA

Da questi dati emerge un concetto fondamentale per la pratica clinica: l’ablazione transcatetere è più efficace della terapia farmacologica nel

(34)

33

prevenire le recidive di fibrillazione atriale ed è una opzione clinica valida. Le attuali linee guida suggeriscono di considerare l’ablazione nei

pazienti sintomatici che siano stati refrattari ad almeno un farmaco

antiaritmico. Il razionale è quello di provare con la terapia

farmacologica, a basso costo e relativamente efficace, e passare poi subito all’ablazione nel caso in cui l’aritmia non venga controllata.

Complicanze

Le complicanze legate all’ablazione transcatetere sono un argomento

spinoso della cardiologia. Dimostrata comunque la buona percentuale di

successo, i detrattori la prendono scarsamente in considerazione nella

pratica clinica adducendo la motivazione che essa rappresenta una procedura a rischio elevato. Il concetto fondamentale è che l’ablazione è

una valida alternativa ai farmaci, ma è risolutiva in una percentuale dei casi che non arriva all’80%. Possiamo considerarla una alternativa valida

solamente se siamo in grado di offrire al paziente una percentuale di

complicanze accettabile se paragonata ai rischio di vivere con la

fibrillazione atriale. Il tasso di complicanze riportato in letteratura varia

(35)

L’ablazione della fibrillazione atriale

34

alle metodiche utilizzate. Una recente meta-analisi internazionale

condotta tra i centri a più alto volume dal dott. Cappato ha riportato una percentuale generale di complicanze legate all’ablazione transcatetere

del 4,5%.

Figura 5. Complicanze osservate durante ablazione di FA e loro frequenza.

La complicanze più comune è risultata essere il tamponamento cardiaco

che si è verificata nell’ 1,3% dei casi. Altre complicanze comuni sono

risultate essere quelle legate agli accessi venosi come le fistole

artero-venose e gli pseudoaneurismi. I TIA si noso verificati nello 0,71% dei

da Cappato et al.; Circulation2010

(36)

35

casi e gli stroke nello 0,23%. Stenosi delle vene polmonari che hanno

richiesto un intervento si sono verificate nello 0,29% dei casi. Nello

studio si sono osservate 25 morti legate alla procedura che rappresentano

una percentuale dello 0,15%. Questi numero sono in accorso con altri

studi effettuati sulle complicanze ed è doveroso osservare che la

percentuale di eventi avversi non è risultata inferiore nei centri a

maggiore esperienza. Se paragonata agli effetti avversi della terapia

farmacologica, questa percentuale di complicanze appare del tutto

accettabile.

Conclusioni

Dai dati presentati fino ad ora si evince chiaramente che l’ablazione

transcatetere rappresenta una valida strategia di trattamento nei pazienti con fibrillazione atriale. Uno dei problemi maggiori nell’uso di questa

metodica nella pratica clinica è la scarsa disponibilità di elementi e dati

clinici che abbiano valore predittivo di successo o insuccesso della procedura. Sicuramente l’eliminazione dei triggers rappresenta il

“cornerstone” di ogni procedura di ablazione e questo si è ottenuto in

maniera efficace mediante lo sviluppo delle tecniche di isolamento delle

(37)

L’ablazione della fibrillazione atriale

36

nell’insuccesso della procedura e come cercare di modificare questa

situazione. Noi crediamo che la maggiore causa di insuccesso sia legata

non all’inefficace eliminazione dei triggers, ma all’alterazione strutturale

del miocardio atriale, alterazione contro la quale le tecniche di ablazione possono fare ben poco. Una delle alterazioni fondamentali nell’ambito

del rimodellamento atriale è la comparsa di fibrosi. Il nostro scopo è

presentare un metodo semplice ed efficace che dia una stima del grado di

rimodellamento atriale e verificare sperimentalmente se esso sia in grado

di essere usato come predittore di successo della procedura di ablazione.

Nel prossimo capitolo analizzeremo nel dettaglio le alterazioni ultrastrutturali che portano al rimodellamento dell’atrio e la loro

(38)

Rimodellamento strutturale dell’atrio e suo ruolo nel successo dell’ablazione della fibrillazione atriale.

Tra i meccanismi che stanno alla base della genesi e del mantenimento

della fibrillazione atriale uno dei più importanti è senza dubbio il

rimodellamento degli atri. Questo si espleta a vari livelli ed in diverse

forme. Possiamo distinguere un rimodellamento elettrico, che avviene poco dopo l’instaurarsi della fibrillazione atriale, un rimodellamento

contrattile, che impiega più tempo ad instaurarsi ed infine un rimodellamento strutturale che comporta profonde modifiche all’architettura istologica degli atri. Quest’ultimo tipo di rimodellamento

impiega un tempo abbastanza lungo per attuarsi e comporta

(39)

Il rimodellamento atriale

38

soffermeremo sui meccanismi che stanno alla base del rimodellamento

strutturale e sul ruolo di tale rimodellamento nella genesi e nel

mantenimento della fibrillazione atriale oltre che sulla sua importanza

nel determinare il successo della procedura di ablazione transcatetere.

La fibrosi atriale.

La fibrosi è il meccanismo principale del rimodellamento strutturale

nella fibrillazione atriale. Essa deriva da un accumulo di fibre collagene.

Tale accumulo deriva in parte dalla sostituzione fibrotica di miocardio

andato in necrosi ed in parte da processi reattivi che causano espansione

interstiziale. La fibrosi è il processo terminale di differenti insulti al miocardio come l’invecchiamento, lo scompenso cardiaco, le malattie

valvolari e la cardiopatia ischemica. La fibrosi assume un ruolo

determinante nella patogenesi della fibrillazione atriale. Un aumento

della deposizione delle fibre collagene a livello atriale è stato riscontrato

in pazienti con fibrillazione atriale e cuore sano ed inpazienti con

malattie valvolari e fibrillazione atriale. Un altro studio ha mostrato la

correlazione tra il volume della matrice extracellulare e la persistenza

(40)

39

aiutato a chiarire il ruolo della fibrosi nella fibrillazione atriale. In alcuni

studi effettuati sui cani la stimolazione ventricolare cronica a frequenza

elevata produce sviluppo di fibrillazione atriale ed un pattern di fibrosi

interstiziale comparabile a quella osservata in clinica. Lo studio di questi

atri ha rivelato zone di miocardio a conduzione rallentata che

costituiscono la base elettrofisiologica per fenomeni di rientro e blocchi

di conduzione. Anche la stimolazione atriale ad elevata frequenza, in

presenza di normale frequenza ventricolare, è stato dimostrato aumentare

il volume della matrice extracellulare confermando il fatto che anche la

fibrillazione atriale da sola, in assenza di patologia cardiaca, induce il rimodellamento strutturale dell’atrio.

Meccanismi cellulari di fibrosi atriale.

Molti studi sono stati effettuati anche per chiarire quali siano i

meccanismi alla base della formazione di fibrosi a livello del miocardio

atriale. La perdita di miocardiociti, sia per necrosi che per apoptosi, è

stata osservata procedere di pari passo con lo sviluppo di fibrosi.

Possiamo distinguere una fibrosi ripartiva, che è quella che si sviluppa

(41)

Il rimodellamento atriale

40

caratterizzata da una deposizione di fibre collagene tra i fasci di

miocardiociti . Tale tessuto fibrotico costituisce una barriera di separazione fisica tra i miociti ed altera la propagazione dell’impulso

elettrico. È stato osservato che tale deposizione fibrotica altera anche la

funzione e la distribuzione delle connexine che sono proteine localizzate

a livello delle gap-junctions tra i miociti e garantiscono la connessione elettrica a bassa resistenza tra una cellula e l’altra. La fibrosi è il risultato

di numerosi segnali ormonali con effetto profibrotico che spesso

agiscono in contemporanea. Uno di questi, molto ben caratterizzato, è l’Angiotensina II. Il sistema renina-angiotensina-aldosterone è implicato

nella fibrosi miocardiaca nell’ipertensione arteriosa, lo scompenso

cardiaco, la cardiopatia ischemica e le cardiomiopatie. L’angiotensina II

prodotta a livello del miocardio atriale si è dimostrata associata con l’apoptosi dei miociti e los viluppo di fibrosi. In topi transgenici

l’iperespressione dell’ enzima ACE a livello cardiaco ha determinato la

dilatazione dell’atrio e lo sviluppo di fibrillazione atriale. Inoltre

l’angiotensina II promuove la formazione delle specie reattive

dell’ossigeno attraverso l’attivazione dell’enzima NADPH ossidasi.

(42)

41

atriale dell’enzima ACE e l’attivazione dei segnali intracellulari di

trasmissione dell’angiotensina II in tessuti umani fibrillanti.

Anche l’Aldosterone sembra giocare un ruolo importante nel

promuovere lo sviluppo di fibrosi atriale. L’infusione di aldosterone

genera fibrosi atriale indipendentemente dallo stress di parete o dalla

presenza di ipertensione arteriosa in studi condotti su modelli animali.

Un'altra forte evidenza deriva dal fatto che i pazienti affetti da

iperaldosteronismo primitivo hanno un rischio di sviluppare fibrillazione

atriale pari a 12 volte il rischio dei soggetti sani. Un altro mediatore che

assume una importanza significativa nel promuover lo sviluppo di fibrosi

a livello atriale è il TGFB1. Esso è fortemente profibrotico data la

capacità di promuovere la differenziazione dei fibroblasti e la sintesi di

collagene. Il TGFB1 inoltre promuove la formazione delle specie reattive

da Burstein e Nattel, JACC 2008

(43)

Il rimodellamento atriale

42

dell’ossigeno. In modelli animali transgenici la iperespressione di

TGFB1 causa fibrosi atriale selettiva, disomogeneità di conduzione ed

una propensione allo sviluppo di fibrillazione atriale. Anche l’infiammazione e lo stress ossidativo promuovono la formazione di

fibrosi a livello atriale. Infiltrati infiammatori sono stati dimostrati in

molto modelli animali di fibrillazione atriale. Anche biopsie ottenute da

pazienti affetti da fibrillazione atriale hanno mostrato la presenza di

infiammazione e danni da stress ossidativo. Alcuni studi hanno mostrato

una correlazione positiva tra i livelli di proteina C reattiva, un potente

marker di infiammazione, e la persistenza di fibrillazione atriale.

da Burstein e Nattel, JACC 2008

(44)

43

Tutti questi fattori agiscono nella cellula in maniera sinergica e

differente a seconda della patologia cardiaca che è alla base sel

rimodellamento. La fibrosi si genera quando i fattori profibrotici

circolanti e quelli prodotti localmente alterano l’equilibrio tra produzione

e degradazione di fibre collagene. Esiste una complessa interazione tra i diversi tipi cellulari ed al centro di questa c’è il fibroblasto.

L’esposizione all’angiotensina II ed al TGFB1 influenza in maniera

significativa le funzioni del fibroblasto aumentando la secrezione di

proteine della matrice extracellulare. Anche lo stress meccanico di parete

aumenta la sintesi di collagene agendo sui fibroblasti. Questi ultimi,

inoltre, possono influenzare direttamente le funzioni elettriche dei

miocardiociti in risposta allo stress di parete. Tutte queste considerazioni

sul ruolo del sistema renina-angiotensina-aldosterone e del TGFB1 nello sviluppo della fibrosi atriale hanno portato all’esecuzione di diversi studi

clinici diretti a capire se una terapia appropriata (con ACE inibitori, sartani ecc.) potesse influenzare l’outcome clinico nei pazienti affetti da

fibrillazione atriale. Purtroppo questi studi sulla cosiddetta “upstream

therapy” hanno dato risultati contrastanti e siamo lontani da una risposta

(45)

Il rimodellamento atriale

44

Metodiche cliniche per valutare la presenza di fibrosi atriale e loro valore come predittori di successo dell’ablazione transcatetere.

La correlazione tra dilatazione dell’atrio sinistro e fibrillazione atriale è

conosciuta in clinica da più di 50 anni. La presenza di dilatazione dell’atrio sinistro di è rivelata un buon predittore di successo a lungo

termine della cardioversione elettrica. Quanto la causa della dilatazione

sia imputabile al rimodellamento strutturale ed alla comparsa di fibrosi è

stato indagato solo recentemente. Con un elegante studio pubblicato nel

2007 Knackstedt ed i suoi colleghi dimostrarono la correlazione tra

dilatazione atriale misurata con l’ecocardiografia e la presenza di fibrosi

allo studio autoptico in auricole di cani. Da un punto di vista clinico le

dimensioni atriali aumentate sono un fattore di rischio per recidiva di

fibrillazione atriale dopo il trattamento di ablazione. Questo si è

dimostrato vero, però, soltanto per gli atri fortemente dilatati , mentre per

gli atri moderatamente dilatati i dati in letteratura risultano contrastanti.

Quello che si è dimostrato sicuramente un fattore di rischio per recidiva

di aritmia dopo RFCA è la presenza di fibrosi. Mappando in modo invasivo le aree di fibrosi all’interno dell’atrio sinistro, nel 2005 Verma

et al. dimostrarono che l’estensione delle aree di scar è un predittore

(46)

45

sono state proposte diverse metodiche, utilizzabili in clinica, per “misurare” la quantità di fibrosi a livello dell’atrio sinistro nei pazienti

da sottoporre ad ablazione della fibrillazione atriale. Gli studi effettuati

con la risonanza magnetica usando la metodica del late-enhancement per

visualizzare le aree di cicatrice a livello atriale hanno mostrato una

chiara correlazione tra estensione delle aree fibrotiche ed outcome

clinico dei pazienti sottoposti ad ablazione della fibrillazione atriale.

Studi effettuati dallo stesso gruppo di ricercatori hanno mostrato anche la

relazione inversa tra la fibrosi misurata con la risonanza magnetica e lo

strain-rate atriale misurato all’ecocardiografia. Altri ricercatori hanno

proposto metodiche ecocardiografiche per quantificare la fibrosi atriale.

Un gruppo olandese di Leiden ha proposto recentemente una tecnica

basata sulla reflettività agli ultrasuoni della parete atriale. Secondo la

loro ipotesi un indice chiamato IBS (calibrated integrated backscatter) è in grado di dare una stima della presenza di fibrosi all’interno dell’atrio

sinistro e può essere usato come predittore di successo nell’ablazione

della fibrillazione atriale. Ulteriori studi sono stati effettuati con la

tomografia computerizzata. Nedios e colleghi hanno messo a punto una

metodica basata sulla TC che si basa sulla ricostruzione tridimensionale dell’atrio sinistro e la successiva divisione di questo in due porzioni, una

(47)

Il rimodellamento atriale

46

anteriore e una posteriore. Il rapporto tra il volume della porzione anteriore ed il volume totale dell’atrio è stato definito “asymmetry

index”(ASI) e messo in relazione al successo della procedura di

ablazione. Un altro studio effettuato con la TC ha dimostrato la superiorità di questa nella stima dell’effettiva dilatazione atriale e la

capacità, soprattutto negli atri più dilatati, di predire il successo della

procedura di ablazione. Dalla nostra trattazione emerge il concetto che la presenza di rimodellamento strutturale dell’atrio, comunque esso venga

misurato, condiziona in maniera significativa le possibilità di successo dell’ablazione della fibrillazione atriale. Sicuramente non esiste ad oggi

una metodica accettata su larga scala e soprattutto prontamente

disponibile in clinica che dia una stima della gravità del rimodellamento

atriale. La possibilità di disporre di una metodica del genere derebbe la

possibilità di scegliere in maniera più oculata i possibili candidati all’ablazione ed in ultima analisi di migliorare l’outcome della

(48)

Il nostro studio

Ipotesi

Come abbiamo visto nelle pagine precedenti la fibrillazione atriale

costituisce un problema della medicina moderna data la morbilità e la

mortalità che essa comporta. Abbiamo anche discusso del fatto che il

trattamento farmacologico si è dimostrato scarsamente efficace nel prevenire le recidive di aritmia e che l’ablazione transcatetere costituisce

una alternativa terapeutica valida. Dalla nostra trattazione dell’ablazione

sono venuti fuori alcuni concetti a mio avviso significativi. Il primo è

sicuramente il fatto che la procedura di ablazione ha un buon profilo di

sicurezza, soprattutto se effettuata con le tecniche più moderne ed in

mani esperte. Il secondo è che, purtroppo, le percentuali di successo della procedura restano “incollate” agli stessi numeri da più di dieci anni

(49)

Il nostro studio

48

ogni angolo del pianeta. Questo deriva in gran parte dalla nostra scarsa

conoscenza dei meccanismi di base, che sono poi quelli determinanti,

sulla genesi e sul mantenimento della fibrillazione atriale. Nel campo della ricerca sull’ablazione, paradossalmente, stiamo procedendo a

“tentoni”; corretto sarebbe seguire una ipotesi ben precisa e cercare di

dimostrarla per via sperimentale. Un luminare dell’aritmologia mondiale

ha definito questo atteggiamento “learning while burning” e io penso che

ciò descriva benissimo quello che sta accadendo. Tale atteggiamento ha

generato una enorme confusione tra gli addetti al settore e, ancora di più,

tra i non addetti. Oggi la corretta selezione dei pazienti da sottoporre ad

ablazione è la chiave del successo del trattamento clinico. I pazienti con

cuore sano, atrio lievemente dilatato e fibrillazione atriale parossistica

non generano alcun dubbio nel medico curante: essi sono i candidati

ideali date le altissime probabilità di successo della procedura. Tolti

questi pazienti si apre una immensa zona grigia. È veramente difficile,

stando alle conoscenze attuali, prevedere le possibilità di successo dell’ablazione in un paziente che abbia una fibrillazione atriale

persistente, atrio dilatato e qualche patologia cardiaca. In questi pazienti

il successo del trattamento, più che basso, è imprevedibile ed è questo che genera l’imbarazzo nella decisione clinica. Abbiamo cercato di

(50)

49

spiegare, nelle pagine precedenti, che i pazienti della “zona grigia” sono

quelli in cui il rimodellamento atriale assume un ruolo di primo ordine

nel determinare il successo della procedura di ablazione. È stato

dimostrato che tale processo di rimodellamento stravolge profondamente le funzioni meccaniche ed elettriche dell’atrio portando al circolo vizioso

“atrial fibrillation begets atrial fibrillation” che è deleterio per le

possibilità di mantenimento del ritmo sinusale. Ad oggi esistono tecniche

per quantificare la presenza di fibrosi all’interno dell’atrio, ma, quelle

più affidabili come la risonanza magnetica, sono molto costose e non prontamente disponibili sul territorio. L’indice a cui i medici si affidano

maggiormente è il calcolo delle dimensioni dell’atrio sinistro all’ecocardiografia transtoracica, metodica semplice e prontamente

disponibile. Questo indice ha dato buoni risultati come predittore di

successo della procedura di ablazione negli atri normali o in quelli

severamente dilatati, mentre appare di scarso valore in presenza di

dimensioni atriali moderatamente aumentate. Lo scopo del nostro studio

è quello di fornire un indice semplice, a basso costo e prontamente disponibile che aiuti il cardiologo nel “quantificare” la presenza di

rimodellamento atriale e quindi nella scelta dei pazienti da sottoporre ad

(51)

Il nostro studio

50

convinti che il rimodellamento atriale sia strettamente correlato con le dimensioni dell’atrio sinistro crediamo che esista un modo più accurato

per determinare “quanto” l’atrio sia dilatato.

Il rapporto LA /RAo

Nel nostro studio abbiamo considerato, come indice di dilatazione e quindi rimodellamento dell’atrio sinistro, non solo le sue dimensioni

effettive, ma il rapporto tra questo e la radice aortica. Abbiamo scelto

una popolazione di pazienti con cuore sano, affetti da fibrillazione atriale

persistente. In tale popolazione sarebbe difficile immaginare una

dilatazione della radice aortica in assenza di patologia cardiaca specifica.

Abbiamo considerato la radice aortica, quindi, come un marker delle “dimensioni” del cuore ed abbiamo stabilito quanto l’atrio sinistro fosse

dilatato rispetto ad essa. In assenza di una patologia cardiaca o valvolare,

una eccessiva dilatazione dell’atrio sinistro significa la presenza di una

malattia che coinvolge in maniera specifica gli atri e ne determina il

rimodellamento. Nel gruppo di pazienti considerato questa patologia è la

fibrillazione atriale che, essendosi sviluppata in forma persistente, ha

(52)

51

atriale di cui discutevamo sopra. In questo modo siamo riusciti ad avere

una stima delle dimensioni atriali non condizionata dalle classiche

formule di indicizzazione per superficie corporea che, in presenza di

distribuzioni fuori dalla norma della massa magra e grassa, generano sovrastime o sottostime delle dimensioni dell’atrio. Abbiamo osservato,

in poche parole, quanto l’atrio è grande rispetto al resto del cuore.

L’indice Atrio/Aorta era stato già studiato in precedenza da altri

ricercatori. Nel 2008 Kimura e coll. dimostrarono la validità di questo indice nel dare una stima reale dell’ingrandimento atriale e quindi di

rivelare patologie cardiache sottostanti. La nostra ipotesi è che, nel

gruppo di pazienti preso in considerazione e sottoposto ad ablazione di FA, l’indice Atrio/Aorta correli con il successo della procedura e,

soprattutto, correli con esso meglio della semplice misurazione delle dimensioni dell’atrio sinistro.

Selezione dei pazienti

La nostra ipotesi si basa sul fatto che le dimensioni dell’atrio sinistro,

misurate tramite il rapporto atrio/aorta, possano essere espressione del rimodellamento strutturale dell’atrio e di conseguenza del grado di

(53)

Il nostro studio

52

fibrosi presente a livello miocardico. Come abbiamo accennato in precedenza il rimodellamento strutturale dell’atrio è un processo che

impiega tempo ad attuarsi. Per tale motivo abbiamo incluso nel nostro

studio pazienti affetti da fibrillazione atriale persistente, intesa come

episodi di aritmia di durata maggiore di 7 giorni o che abbiano richiesto

un intervento esterno per il ripristino del ritmo sinusale che avessero

indicazione ad effettuare la procedura di ablazione perché sintomatici e

dopo che avesse fallito almeno un farmaco antiaritmico. Dato il ruolo di

riferimento delle dimensioni della radice aortica nel nostro studio i

pazienti con dilatazione della radice aortica sono stati esclusi. Sono stati

esclusi anche i pazienti con ipertensione arteriosa severa non controllata

dalla terapia farmacologica. Il processo di rimodellamento e la conseguente dilatazione dell’atrio sinistro possono essere causati da vari

agenti eziologici ed uno dei più importanti tra questi è rappresentato

dalle patologie della valvola mitrale. Dato che compito del nostro studio

era quello di identificare una metodica capace di dare una stima del rimodellamento dell’atrio dovuto a fibrillazione atriale abbiamo preferito

escludere i pazienti affetti da valvulopatia mitralica significativa che

avrebbe determinato recidive di aritmia non strettamente correlate solo al

(54)

53

l’aumento di pressione nell’atrio sinistro e lo stress di parete. Sono stati

anche esclusi i pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca. I pazienti andati

incontro ad intervento cardiochirurgico successivamente

all’arruolamento nello studio sono stati esclusi in una fase successiva. I

pazienti con frazione di eiezione inferiore al 50% sono stati esclusi dato

il rischio elevato di recidive di aritmia legato alla patologia di base. I

pazienti con dimensioni antero-posteriori dell’atrio sinistro superiori a 55

mm sono stati esclusi perché abitualmente non trattati con ablazione

della fibrillazione atriale nel nostro centro. Sono stati esclusi anche i

pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra significativa data la scarsa probabilità di successo dell’ablazione già dimostrata in questi pazienti.

I. Criteri di inclusione

Fibrillazione atriale persistente Frazione di eiezione >50%

Diametro A-P atrio sinistro <55 mm SIVd <16 mm

Assenza di valvulopatia mitralica significativa Assenza di ipertensione arteriosa di grado severo Assenza di dilatazione significativa della radice aortica Nessun precedente intervento cardiochirurgico

Figura

Figura 2. Proiezione del numero di pazienti affetti da FA al 2050
Figura 3. L'immagine mostra i risultati in termini di % di successo degli studi effettuati sulla terapia  farmacologica antiaritmica per la fibrillazione atriale
Figura 4. Efficacia dell'ablazione di FA
Figura 5. Complicanze osservate durante ablazione di FA e loro frequenza.
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