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Fattori di rigenerazione tissutale in presenza di pseudoartrosi atrofica radio-ulnare su animali di piccola taglia: recenti acquisizioni.

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I

INDICE

Riassunto ________________________________________________________________ 1 Abstract __________________________________________________________________ 2 INTRODUZIONE _________________________________________________________ 3 CAPITOLO 1 : IL TESSUTO OSSEO _________________________________________ 4

1.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELL’ OSSO ____________________________________ 4 1.2 APPORTO EMATICO ALL’ OSSO ___________________________________________ 9 1.3 CRESCITA DELL’ OSSO __________________________________________________ 10 1.4 RIPARAZIONE DELLE FRATTURE E TEMPI DI GUARIGIONE _______________ 11

1.4.1 FREQUENTI COMPLICANZE NEL PROCESSO DI GUARIGIONE DELLE

FRATTURE ________________________________________________________________________ 15 CAPITOLO 2 : IL SEGMENTO ANTIBRACHIALE ____________________________ 17

2.1 LE FRATTURE RADIO – ULNARI E RELATIVI TRATTAMENTI

CHIRURGICI _______________________________________________________________ 17

2.1.1 FRATTURE DEL TERZO DISTALE DEL RADIO E DELLA DIAFISI ULNARE

NEI CANI DI RAZZA NANA E TOY ___________________________________________________ 29

2.2 BIOMECCANICA DELLE FRATTURE RADIO-ULNARI NEL CANE ____________ 30 2.3 APPORTO EMATICO AL RADIO: IMPLICAZIONI PER LA GUARIGIONE

DELLE FRATTURE DISTALI NEI CANI DI PICCOLA TAGLIA ___________________ 31

CAPITOLO 3 : LA PSEUDOARTROSI _______________________________________ 36

3.1 RITARDO DI CONSOLIDAMENTO E PSEUDOARTROSI _____________________ 36 3.2 DIAGNOSI E SEGNI CLINICI ______________________________________________ 36 3.3 ASPETTI RADIOLOGICI __________________________________________________ 38 3.4 CLASSIFICAZIONE DELLE PSEUDOARTROSI ______________________________ 41 3.5 FATTORI DI RISCHIO E CAUSE PREDISPONENTI __________________________ 46 3.6 INCIDENZA NEL CANE ___________________________________________________ 48

CAPITOLO 4 : TRATTAMENTO DELLA PSEUDOARTROSI ___________________ 51

4.1 TRATTAMENTO CHIRURGICO ___________________________________________ 51

4.1.1 FISSAZIONE INTERNA _________________________________________________________ 54 4.1.2 FISSAZIONE ESTERNA (FSE) ___________________________________________________ 56 4.1.3 INNESTI OSSEI ________________________________________________________________ 56

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II

4.1.4 SOSTITUTI DEGLI INNESTI OSSEI _______________________________________________ 60

4.2 METODI DI TRATTAMENTO ALTERNATIVI A QUELLI CHIRURGICI _______ 61

4.2.1 MAGNETO TERAPIA ___________________________________________________________ 61 4.2.2 ULTRASUONI PULSATI A BASSA INTENSITA’ ____________________________________ 62 4.2.3 ONDE SHOCK EXTRACORPOREE _______________________________________________ 62 CAPITOLO 5 : BONE MORPHOGENETIC PROTEIN _________________________ 64

5.1 BONE MORPHOGENETIC PROTEIN _______________________________________ 64 5.2 BMP-2 ___________________________________________________________________ 70 5.3 LE ALTRE CLASSI DI BMP ________________________________________________ 76

CAPITOLO 6: PARTE SPECIALE __________________________________________ 81

6.1 Introduzione ______________________________________________________________ 81 6.2 Materiali e metodi _________________________________________________________ 82 6.2.1 TruScient _______________________________________________________________________ 84 6.2.2 Inquadramento diagnostico ________________________________________________________ 87 6.3 Risultati e considerazioni___________________________________________________ 119 CONCLUSIONI _________________________________________________________ 130 BIBLIOGRAFIA ________________________________________________________ 132 Ringraziamenti _________________________________ Errore. Il segnalibro non è definito.

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Riassunto

Per pseudoartrosi si intende il fallimento del processo osteogenetico che si arresta nella fase del callo elastico; la cicatrizzazione si interrompe e si stabilizza in questa fase, rendendo la frattura non consolidabile se non con l’ausilio della terapia chirurgica.

Nel nostro studio sono stati inclusi piccoli animali con peso inferiore/uguale a 6 Kg (7 cani e 2 gatti) affetti da pseudoartrosi atrofica a carico del segmento antibrachiale e trattati mediante applicazione in situ di RhBMP-2 (Truscient Zoetis).

I dati sono stati raccolti presso l’Ospedale Didattico Veterinario “Mario Modenato” di Pisa, la Struttura Speciale Didattica Veterinaria-Ospedale Veterinario Universitario di Torino, l’Ospedale Veterinario Didattico dell’Università di Parma e la Clinica Veterinaria Vezzoni srl di Cremona.

Su di essi è stato eseguito uno studio retrospettivo atto a valutare i tempi medi di mineralizzazione precoce e di guarigione radiografica.

La casistica raccolta è stata valutata in relazione all’inquadramento diagnostico, ai protocolli terapeutici ed alla valutazione dei risultati ottenuti.

E’ stata pertanto valutata e comparata la tempistica di guarigione clinica e radiografica dei casi di pseudoartrosi trattati con RhBMP-2 (Truscient Zoetis) con i dati presenti in letteratura degli standard di trattamento per pseudoartrosi.

Si evidenzia che a carico del segmento radio-ulna di cani entro i 6 Kg di peso, i tempi di guarigione risultano essere in accordo con quelli avuti dal trattamento di pseudoartrosi radio-ulnare secondo Standard Of Care, mentre in rapporto al migliore dei dati pubblicati riguardanti il trattamento per mezzo di BMP, i casi più precoci hanno tempistiche di guarigione inferiori del 50%.

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Abstract

The non-union is defined as the interruption of the process of healing of a fracture, which will not tend to heal unless it runs additional surgery.

In our study we included 7 dogs and 2 cat weighing less than 6 kg with with radial-ulnar atrofic non-unions and treated in situ by application of RhBMP - 2 ( Truscient Zoetis ). Data were collected from Ospedale Didattico Veterinario “Mario Modenato” di Pisa, Struttura Speciale Didattica Veterinaria-Ospedale Veterinario Universitario di Torino, Ospedale Veterinario Didattico dell’Università di Parma and Clinica Veterinaria Vezzoni srl di Cremona.

On them it was performed a retrospective study designed to evaluate the average time of mineralization and early radiographic healing .

The case study collection was assessed in relation to classification diagnostic, therapeutic protocols and evaluation of the results obtained.

It was therefore evaluated and compared the timing of clinical and radiographic healing cases of non-union treated with RhBMP - 2 ( Truscient Zoetis ) with the data in the literature of the standard treatment for non-union.

We want to underline that the radius- ulna segment healing times for dogs under 6 kg, turn out to be in agreement with the one with non-union radio -ulnar joint treatment according to Standard Of Care, while in relation to the best published data concerning the treatment through BMP , the most precocious cases have an healing time 50% lower

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INTRODUZIONE

L’arresto nei processi di riparazione di una frattura, definito con il termine di pseudoartrosi, rappresenta una patologia comune nella pratica ortopedica tanto nel campo umano quanto in quello veterinario.

Nonostante i molti studi effettuati negli anni, nel tentativo di prevenire le pseudoartrosi, persistono ancora, nella pratica clinica, significative percentuali di mancato consolidamento nella guarigione delle fratture nei piccoli animali.

Le cause che portano alla mancata guarigione delle fratture possono essere molteplici ed esistono inoltre distretti anatomici, come la porzione distale radio-ulnare, particolarmente a rischio per l’insorgenza di tale complicanza.

E’ fondamentale ricordare anche le difficoltà che si incontrano, durante il trattamento di alcune fratture, nel controllo delle sollecitazioni statiche e dinamiche che interessano il segmento antibrachiale, a causa delle sue caratteristiche anatomiche.

I fattori meccanici, sicuramente influenzano la qualità, la quantità e la velocità dell’osteogenesi, mentre l’azione negativa del danno vascolare, indubbiamente importante, sembra poter essere compensata sufficientemente da una valida osteosintesi che non disturbi la rivascolarizzazione e la neoangiogenesi.

Non vi sono dubbi sul fatto che le pseudoartrosi non guariscano spontaneamente, ma viste le molteplici cause che le determinano, le varie forme e i livelli di gravità che le caratterizzano, gli approcci terapeutici sono di conseguenza svariati.

Scopo di questo lavoro è descrivere, in primo luogo, le caratteristiche di questa patologia, con riferimento particolare ai protocolli terapeutici che hanno visto l’impiego di biomateriali quali le proteine morfogenetiche ossee; si procederà quindi ad analizzare la casistica raccolta dall’equipe, valutando la dose di materiale impiegato in ogni caso di studio e i tempi medi necessari all’organismo per rispondere alla lesione, valutando i giorni necessari per la comparsa di una mineralizzazione radiografica precoce e quelli necessari affinché si verifichi la consolidazione radiografica.

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CAPITOLO 1 : IL TESSUTO OSSEO

1.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELL’ OSSO

Le singole ossa costituenti lo scheletro riconoscono diversi tipi di formazione, crescita, struttura e funzione ma nel loro insieme hanno il compito di fornire una valida protezione ad organi interni (come cuore, polmoni e SNC); fare da supporto interno per il sostegno del corpo; fornire siti di attacco per tendini e muscoli, svolgendo una funzione essenziale per la locomozione, e costituire una tra le principali fonti di calcio e fosforo per tutto l’ organismo.

L’ osso è composto di tessuto osteoide calcificato, che consiste di cellule e fibre collagene disperse in una matrice mucoproteica (osteomucoide) .

Osteoblasti, osteociti e osteoclasti sono le cellule direttamente coinvolte nel mantenimento dell’ integrità strutturale dell’ osso.

Funzioni delle cellule ossee

Osteoblasti: cellule della superficie ossea che formano la matrice cellulare, iniziano la mineralizzazione ossea e danno inizio al

riassorbimento osseo, in risposta a stimoli fisiologici

Osteociti: cellule che risiedono nella matrice ossea, che percepiscono le modificazioni dell’ osso dovute agli stress e agli stiramenti, inviando segnali agli osteoblasti per formare nuovo osso o per iniziare il suo riassorbimento

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Fig.1: Da sinistra osteoblasti, osteociti e osteoclasti

(http://www.pforster.ch/GruPraTer/Osteoporosi/MetabolOsseo.htm)

Gli osteoblasti sono le cellule che iniziano la mineralizzazione dell’ osteoide mediante il deposito di idrossiapatite e, inoltre, forniscono i segnali agli osteoclasti per il riassorbimento della matrice da parte degli stessi osteoclasti. Gli osteoblasti originano da cellule mesenchimali progenitrici, sono cellule voluminose, con abbondante citoplasma basofilo, ricco di RER e mitocondri. Queste cellule interagiscono con gli osteociti per il controllo dell’omeostasi del calcio e per la rilevazione dell’usura meccanica, nonché dei danni microscopici, dell’osso. Una misura indiretta dell’attività osteoblastica è espressa dalla concentrazione ematica dell’enzima fosfatasi alcalina, coinvolto nella mineralizzazione e nel trasporto del calcio attraverso le membrane cellulari, e della proteina osteocalcina, anch’ essa coinvolta nell’ attività biosintetica degli osteoblasti.

Gli osteociti sono osteoblasti inglobati nell’osteoide mineralizzato, essi occupano piccoli spazi ossei denominati lacune e interagiscono con il resto della popolazione cellulare attraverso lunghi processi citoplasmatici.

In una condizione di stress dell’omeostasi del calcio queste cellule sembrano capaci di riassorbire i minerali perilacunari e della matrice, allargando di conseguenza le lacune ossee (osteolisi osteocitica). Questo processo è apparentemente raro e non contribuisce in maniera significativa allo sviluppo delle lesioni ossee.

Gli osteoclasti derivano da cellule progenitrici del sistema emopoietico della serie granulocito-monocitaria, sono cellule multinucleate con abbondante citoplasma eosinofilico e membrana cellulare specializzata con caratteristico aspetto a spazzola. Queste cellule sono responsabili del riassorbimento osseo e sono infatti disposte nelle immediate

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6 vicinanze della superficie ossea che devono riassorbire. Fisiologicamente l’attività osteoclastica è controllata dagli osteoblasti e dalle cellule stromali del midollo osseo.

La matrice ossea mineralizzata e il suo interstizio determinano la resistenza del tessuto. La matrice organica è costituita da fibre collagene tipo I e da sostanza fondamentale (matrice extracellulare costituita da glicosaminoglicani, proteoglicani e proteine non collagene, lipidi e acqua); la sostanza intercellulare inorganica invece è costituita prevalentemente da fosfato e carbonato di calcio.

Le fibre collagene rappresentano la parte preponderante della sostanza intercellulare organica e, proprio a seconda della loro disposizione, possono essere distinti istologicamente due tipi di tessuto osseo:

a) di tipo fibroso o non lamellare b) lamellare o adulto

Il tessuto osseo non lamellare (woven bone) presenta un irregolare intreccio di fibre collagene, che decorrono in tutte le direzioni, ed un’ irregolare distribuzione degli osteociti; esso è presente nelle trabecole primarie, nell’ osso fetale e nelle condizioni patologiche come la riparazione di fratture.

Il tessuto osseo lamellare è a sua volta suddivisibile in osso spugnoso o trabecolare ed in osso compatto. La composizione di base è uguale ma diversa è la loro disposizione tridimensionale: nell’osso compatto le lamelle sono disposte concentricamente, nell’ osso trabecolare le lamelle sono in genere disposte parallelamente alla superficie. Il contenuto di collagene e la sua disposizione conferiscono all’osso resistenza e flessibilità.

L’osso compatto è organizzato in osteoni e sistemi haversiani. I canali di Havers sono piccolissimi condotti che decorrono paralleli tra loro e contengono fibre nervose, connettivo e vasi sanguigni e linfatici, questi ultimi giungono dal periostio attraverso sottili canalicoli a decorso trasversale chiamati canali perforanti di Volkmann. Nei canali di maggiore diametro si può trovare anche midollo osseo emopoietico.

Le lamelle ossee si dispongono attorno al canale di Havers concentricamente e formano con questo un osteone, il quale rappresenta l’ unità anatomica e funzionale del tessuto osseo.

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Fig.2: Osteoni. Sezione trasversale di tessuto osso compatto, colorata chimicamente,

che mostra l'organizzazione lamellare concentrica degli osteoni (https://it.wikipedia.org/wiki/Tessuto_osseo)

Le lamelle ossee sono formate da sostanza fondamentale, fibre collagene e da una componente inorganica, esse possono essere distinte in: lamelle dense in cui l’ intreccio di fibre collagene è molto fitto e perciò la sostanza fondamentale è scarsa, e lamelle lasse in cui l’ intreccio è meno fitto e contiene osteociti al suo interno. Le lamelle dense sono più resistenti alla trazione, mentre quelle lasse si oppongono alla compressione.

Attorno a ciascun osteone si trova un sottile strato di sostanza intercellulare, priva di fibre collagene e intensamente basofila, detta linea cementante. Nelle aree più esterna e più interna dell’ osso, cioè a ridosso del periostio e dell’ endostio, le lamelle sono orientate parallelamente alle superfici esterna ed interna del segmento osseo, formando i sistemi circonferenziali ( sottoperiosteo e perimidollare), necessari al supporto vascolare per l’ ispessimento dell’ osso corticale.

La superficie esterna dell’ osso è rivestita da una membrana connettivale, il periostio, costituito da uno strato esterno, fibroso e povero di cellule, ed uno strato profondo

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8 estesamente vascolarizzato, ricco di cellule quali fibroblasti, macrofagi, condroclasti e alcune fibre elastiche. Lo strato esterno è caratterizzato dalla presenza di numerosi vasi ematici che, attraversato lo strato profondo, si inseriscono nella compatta dell’ osso penetrando nei canali di Volkmann, dai quali possono raggiungere i canali di Havers. In questo strato si possono riconoscere anche numerosi fasci di fibre collagene dette fibre di Sharpey o fibre perforanti, che inserendosi perpendicolarmente nelle lamelle del sistema circonferenziale esterno e dei sistemi interstiziali, costituiscono un valido ancoraggio del periostio al sottostante tessuto osseo.

Anche la superficie interna, chiamata endostio e delimitante il canale midollare, è rivestita da un sottile strato di connettivo lasso, che spesso si continua nei canali di Havers, e che può potenzialmente svolgere le stesse funzioni osteogene del periostio.

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9 In contrasto con l’ osso compatto, quello spugnoso della cavità midollare è costituito da un’ anastomosi di trabecole intrecciate tra loro a delimitare numerose cavità intercomunicanti dette areole, contenenti midollo osseo, vasi sanguigni e nervi. In genere le lamelle sono disposte parallelamente alla superficie della trabecola e la rete formata dai canalicoli ossei si apre direttamente in corrispondenza dell'endostio assicurando così, per diffusione, il nutrimento diretto degli osteociti. L’ orientamento delle trabecole non è casuale ma riflette l’ adattamento agli stress meccanici applicati sull’ osso.

1.2 APPORTO EMATICO ALL’ OSSO

Il sangue arterioso della circolazione sistemica entra nelle ossa mediante arterie nutritizie, metafisarie, periostali ed epifisarie. Le arterie nutritizie penetrano la corticale diafisaria attraverso il forame nutritizio, ricoperto da fasce di protezione accessorie. Una volta penetrate nel midollo osseo queste arterie si dividono in due branche: prossimale e intramidollare distale. Più piccole e numerose, penetrano l’ osso corticale anche le arterie metafisarie prossimali e distali, esse, giunte nella cavità midollare, si anastomizzano con le branche terminali delle arterie nutritizie. Anche le piccole arterie periostali attraversano la corticale diafisaria all’ altezza dell’ inserzione di fasce o muscoli e possono irrorare un quarto o un terzo della corticale più esterna.

Il flusso di sangue attraverso la corticale è essenzialmente centrifugo (dal midollo al periostio) in conseguenza all’ elevata pressione sanguigna nei vasi intramidollari. I condrociti delle fisi vicine alle epifisi sono nutriti dalle arterie epifisarie, quelli vicini alle metafisi vengono irrorati da branche delle arterie metafisarie e nutritizie.

A differenza di quanto avviene negli adulti, negli animali che non hanno ancora raggiunto la maturità scheletrica sono presenti numerose arterie che attraversano l’osso di apposizione neoformato, ricorrendo longitudinalmente sulla superficie periostale. La metafisi e l’epifisi possiedono vascolarizzazioni separate e in genere non comunicano attraverso la cartilagine fisaria. L’apporto vascolare epifisario garantisce la nutrizione della zona delle cellule cartilaginee di riserva e degli elementi fisari in crescita. L’interruzione di questa parte del circolo esita nella morte delle cellule in via di accrescimento e nella cessazione della funzione fisaria.

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10 Le arterie metafisarie vascolarizzano le cellule coinvolte nell’ossificazione endocondrale; quest’ultima viene ritardata dalla distruzione della perfusione metafisaria, con conseguente ampliamento della fisi cartilaginea. Quando il circolo viene ripristinato, l’ossificazione endocondrale riprende.

1.3 CRESCITA DELL’ OSSO

L’ allungamento delle ossa avviene tramite una crescita interstiziale che ha luogo all’ interno dei dischi cartilaginei. Questo processo prende il nome di ossificazione encondrale. La cartilagine dei dischi di crescita metafisari è suddivisa in una zona di riserva, una zona di riposo, una zona proliferativa e una zona ipertrofica.

La zona di riserva serve come fonte di cellule per la zona proliferativa, dove le cellule si moltiplicano, accumulano glicogeno, producono matrice e si dispongono in colonne longitudinali. Nella zona ipertrofica invece, i condrociti secernono macromolecole che modificano la matrice, per ospitare i vasi capillari e per iniziare il processo di mineralizzazione. La calcificazione inizia nei setti longitudinali di matrice cartilaginea, dentro le colonne di condrociti. Nell’ ossificazione encondrale i vasi ematici metafisari, avanzando, invadono i dischi di crescita cartilaginei veicolando gli osteoblasti, che trasformano in osso le spicole cartilagine.

Le giunzioni condro-ossee metafisarie sono una rete fragile di spicole di cartilagine calcificata, ricoperta di osso (trabecole primarie); non appena i dischi di crescita avanzano e allungano le metafisi, le trabecole più mature si diffondono in profondità, diminuiscono di numero e si assottigliano (trabecole secondarie e terziarie).

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Fig.4: Ossificazione endocondrale. Placca di accrescimento epifisaria –Evidenziabili le differenti zone di

riserva, proliferazione, maturazione, ipertrofia, calcificazione, ossificazione e riassorbimento. (http://stevegallik.org/sites/histologyolm.stevegallik.org/htmlpages/HOLM_Chapter06_Page09.html)

Anche la crescita delle epifisi contribuisce all’ allungamento dell’ osso, che si realizza mediante ossificazione encondrale del complesso articolare-epifisario.

La crescita dell’ osso in larghezza avviene invece mediante un processo di ossificazione intramembranosa. La superficie ossea è ricoperta infatti dal periostio, il quale è composto da uno strato fibroso esterno e da uno osteogenico interno in grado di formare osso apposizionale lamellare e osso compatto nella corticale delle ossa in crescita.

1.4 RIPARAZIONE DELLE FRATTURE E TEMPI DI GUARIGIONE

La riparazione di una frattura può avvenire mediante una forma diretta (o di prima intenzione) ed una forma indiretta (o di secondaintenzione o per callo).

Nelle fratture che guariscono in maniera diretta, la vascolarizzazione ossea non è danneggiata, ci sono buone condizioni di asepsi ed esiste una perfetta riduzione chirurgica dei monconi, con una compressione interframmentaria moderata e continua. Quando le

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12 condizioni precedenti non sono tutte presenti, si realizza una guarigione per callo osseo, con formazione di un evidente tessuto interframmentario che mineralizza e va a colmare la perdita di sostanza.(S. Gary Brown et al., 2001).

Nelle sedi di contatto discontinuo fra i monconi ossei si verifica un riassorbimento delle superfici fratturate con ampliamento dello spazio interposto fra le stesse, seguito da unione ossea indiretta. Gli eventi che normalmente si verificano sono:

Formazione dell’ ematoma - Al momento della frattura dai vasi lacerati origina una più o meno intensa emorragia con formazione di un coagulo sanguigno attorno e tra i capi ossei. A motivo dell’ alterazione del flusso ematico e dei frammenti isolati, l’ osso nel punto di frattura e il midollo osseo possono presentare fenomeni di necrosi.

Infiammazione traumatica – La lesione tessutale induce una reazione infiammatoria con accumulo di ulteriore fibrina, iperemia e infiltrazione granulocitaria. Le alterazioni tissutali provocano uno scollamento del periostio dal tessuto sottostante e l’ ematoma assume così un aspetto fusiforme

Fase demolitiva – I macrofagi invadono il coagulo e rimuovono la fibrina, i globuli rossi, l’ essudato e i detriti. I frammenti ossei rimasti avulsi dalla propria vascolarizzazione, vanno in necrosi e vengono attaccati da macrofagi e osteoclasti.

Formazione del tessuto di granulazione – Le cellule mesenchimali indifferenziate derivate dallo strato profondo del periostio, dall’ endostio, da cellule staminali della cavità midollare e da una metaplasia di cellule endoteliali, hanno potenzialità osteogenica e vanno in contro a proliferazione vascolare reattiva, per formare tessuto connettivo fibroso libero.  Formazione di tessuto fibroso e cartilagine – Si ha la differenziazione delle cellule mesenchimali con formazione di osso immaturo e di cartilagine; per indicare quest’intreccio disorganizzato che tiene uniti i capi di frattura stabilizzando l’ area, si usa il termine di “callo”.

Formazione di osso lamellare – Rimossa l’ iniziale impalcatura riparativa (callo provvisorio), gli osteoblasti depositano sostanza osteoide che calcifica, formando osso lamellare (callo intermedio).

Rimodellamento – Corrisponde all’ effetto della continua opera demolitiva degli osteoclasti e riparativa degli osteoblasti, ed esita nella ricostruzione dell’ osso in maniera

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13 del tutto simile all’ originale. Il callo intermedio si trasforma in osso compatto cosicché le linee di carico si rafforzano.

Fig.5: Guarigione indiretta

A) Difetto colmato dall’ematoma che viene sostituito

B) Tessuto di granulazione C) Tessuto connettivo D) Fibrocartilagine E) Osso

F) Rimodellamento Haversiano

Alcuni studi dimostrano che, una precoce stabilità e rigidità dell’osteosintesi, diminuisce il movimento interframmentario, con una conseguente adeguata formazione del callo durante le prime fasi del processo di guarigione. Applicando invece il carico dopo le prime fasi del processo di differenziazione cellulare nel callo, lo stimolo meccanico sulla frattura aumenta la rivascolarizzazione e la formazione del callo stesso. È quindi importante la stabilizzazione precoce del focolaio, inoltre, dopo gli stadi iniziali dell’osteogenesi riparativa, il carico e la sollecitazione interframmentaria stimolano la formazione e l’evoluzione del callo e quindi di un osso neoformato più resistente.

Nella riparazione diretta, invece, non è evidenziabile la formazione di un callo osseo interframmentario e l’ossificazione avviene senza le tappe intermedie di formazione del tessuto connettivo e cartilagineo. Lungo la linea di frattura, nelle zone di contatto delle

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14 corticali si verifica una rigenerazione fra i frammenti; da ciascuno dei monconi partono quindi delle anse vascolari che originano da capillari periostali, dai canali di Havers, di Volkmann e dall’endostio. I bottoni vascolari si dirigono verso il tessuto osseo del moncone opposto e attraversano l’osso devitalizzato lungo la linea di frattura. L’apice dell’ansa rappresenta il fronte di erosione, in cui gli osteoclasti presenti riassorbono le lamelle ossee necrotiche. Gli osteoblasti, disposti ai lati dei nuovi capillari, depongono la sostanza osteoide che successivamente mineralizza e forma l’osso lamellare.

La guarigione diretta può avvenire per contatto o per spazio. La guarigione per contatto avviene sempre in caso di fissazione rigida, i fattori indispensabili per questo tipo di guarigione sono: il sanguinamento dei monconi di frattura, una buona riduzione, una compressione stabile tra i capi di frattura e l’asepsi del focolaio. Nella guarigione per spazio, si realizza la formazione diretta dell’osso lamellare in uno spazio; tale spazio trae profitto dalla compressione interframmentaria presente sulle aree strettamente contigue che provvedono alla stabilità della fissazione. (S.M Perren;2001)

Fig.6: Guarigione diretta

A) e B) Guarigione per spazio, C) Guarigione per contatto

I tempi di guarigione ossea possono essere influenzati da numerosi fattori, alcuni intrinseci come l’ età del soggetto, il tipo di frattura, la condizione dei tessuti molli o la presenza di

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15 artropatie sistemiche locali; altri che possono essere controllati, tra cui la riduzione insufficiente, l’ immobilizzazione inadeguata o la mancata asepsi durante la chirurgia.

Quando la frattura viene trattata in modo ottimale e tutti gli altri fattori sono in equilibrio, l’ età del soggetto è il fattore che più influenza la rapidità della riparazione tissutale.

Tabella 1: mostra la relazione tra l’ età del paziente e le tempistiche di guarigione diretta e indiretta di una

frattura (Ortopedia e trattamento delle fratture dei piccoli animali Autore: Piermattei – Flo. Ed. 10/1999)

Per “guarigione clinica” si intende la fase del processo riparativo in cui la formazione del callo ha raggiunto un punto di robustezza tale da consentire la rimozione dell’ apparato di fissazione. Gli intervalli di tempo indicati nella tabella sopra, variano alquanto in relazione al tipo di fissazione utilizzato.

1.4.1 FREQUENTI COMPLICANZE NEL PROCESSO DI GUARIGIONE DELLE FRATTURE

Le complicanze più frequenti nel processo di guarigione sono:  Inadeguata irrorazione sanguigna

Instabilità anatomica Infezioni secondarie

Denutrizione, osteomieliti batteriche

Interposizione di ampi frammenti di osso necrotico, muscolo o altri tessuti molli Se l’ irrorazione sanguigna è minore dell’ ottimale, il callo osseo conterrà cartilagine ialina, la cui quantità rispecchia proprio l’ adeguatezza dell’ irrorazione sanguigna. Un minore apporto di ossigeno promuove la differenziazione delle cellule staminali mesenchimali in

ETA' GUARIGIONE PER CALLO GUARIGIONE DIRETTA

< 3 mesi 2 - 3 sett. 4 sett.

3 - 6 mesi 4 - 6 sett. 10 sett.

6 - 12 mesi 5 - 8 sett. 16 - 18 sett.

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16 condroblasti più che in osteoblasti. Se l’ irrorazione sanguigna è del tutto interrotta, nel punto in cui determina anossia si osserva necrosi tissutale.

Alcuni dei fattori che possono impedire il verificarsi della risposta del sistema vascolare, e quindi, la guarigione ossea, sono rappresentati da traumi correlati alla lesione primaria, inadeguate manualità chirurgiche a carico dei tessuti molli, riduzione inadeguata e stabilizzazione non corretta dei frammenti ossei (i chiodi endomidollari possono danneggiare temporaneamente il sistema afferente, mentre le placche possono bloccare il deflusso venoso). Entrambi i sistemi, afferente e efferente, possono essere alterati ma il loro reintegro è necessario ad assicurare il corretto apporto ematico in funzione della guarigione dell’ osso.

La tensione meccanica, gli eccessivi movimenti e la compressione nel punto di frattura favoriscono lo sviluppo di tessuto connettivo fibroso, esso non stabilizza la frattura e non rappresenta una base strutturale per la formazione dell’osso.

Fissatori metallici troppo larghi tolgono all’ osso le normali forze meccaniche (protezione o difesa dagli stress) con conseguente perdita di tessuto osseo (atrofia da disuso). Inoltre, il materiale da impianto spesso è separato dall’ osso circostante da un sottile strato di tessuto connettivo fibroso, talvolta con metaplasia cartilaginea, che determina, in risposta al trauma, mobilità dell’ impianto o sua corrosione.

La superficie degli impianti, infine, può rappresentare un nido di crescita e di mescolanza di batteri, con la presenza di un fluido amorfo che costituisce un biofilm resistente agli antibiotici e alle cellule infiammatorie in sede locale. La risposta di tipo macrofagico a questo punto può portare alla liberazione di citochine e fattori di crescita che inducono riassorbimento osseo e deterioramento della superficie dell’ impianto, con conseguente allentamento e danneggiamento dell’ impianto stesso.

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CAPITOLO 2 : IL SEGMENTO ANTIBRACHIALE

2.1 LE FRATTURE RADIO – ULNARI E RELATIVI TRATTAMENTI

CHIRURGICI

Radio e ulna sono ossa lunghe, dritte e relativamente esposte, coperte da pochi tessuti molli; è per questi motivi che le fratture radio-ulnari rappresentano una percentuale variabile tra l’ 8,5 ed il 17,3% delle fratture riscontrate nel cane e nel gatto (Summer-Smith e Cawlwy, 1970; Philips, 1979). Esse sono conseguenti a differenti tipi di trauma (investimenti, ferite da arma da fuoco, cadute dall’ alto, calci, urti) ma possono anche essere fratture patologiche conseguenti a neoplasie o a malattie metaboliche.

I vari tipi di frattura che si possono osservare coinvolgono il radio, l’ulna o entrambe le ossa contemporaneamente. Distalmente al terzo prossimale del radio le due ossa di solito vanno in contro a frattura come un’ unità, mentre nel tratto prossimale sono più comuni le fratture indipendenti dell’ una o dell’ altra. Lo sviluppo di angolazioni e rotazioni nella sede di frattura e il consolidamento ritardato o la pseudoartrosi sono postumi non rari delle fratture del terzo distale. Le fratture di radio ed ulna possono essere così suddivise:

1) Fratture prossimali  Extrarticolare  Articolare semplice  Articolare multiframmentaria 2) Fratture diafisarie  Radiale semplice  Radiale complessa  Scheggiosa 3) Fratture distali  Extrarticolare  Articolare parziale

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18  Articolare completa

Radio prossimale

Queste fratture sono poco frequenti in quanto generalmente tende a fratturarsi per primo il condilo laterale dell’ omero, risparmiando così il settore prossimale del radio. La frattura della testa del radio coinvolge generalmente la superficie articolare e può essere associata a fratture ulnari e a lussazioni del gomito. Nei giovani possono determinarsi invece distacchi epifisari, ovvero fratture Salter-Harris tipo

I. Le fratture del collo radiale si vedono di rado, di solito si verificano in combinazione con fratture comminute coinvolgendo il radio prossimale e l’ ulna.

La riparazione efficace di queste fratture è molto importante perché l’ articolazione radio-omerale sostiene la maggior parte del peso durante il carico ed è essenziale per una corretta andatura. Fratture articolari dovrebbero essere affrontate con l'obiettivo di ripristinare l'integrità della superficie articolare. Sono richieste un’ accurata riduzione anatomica e, in relazione alla dimensione dei monconi di frattura, una fissazione stabile con viti a compressione e fili di Kirschner, per prevenire possibili artriti secondarie e rigidità articolari.

Anche in caso di fratture comminute, quando possibile, si dovrebbe tentare di preservare il capitello radiale. Sono indubbiamente lesioni di difficile risoluzione e richiedono un ampio accesso chirurgico. Quale trattamento per le fratture non ricostruibili della testa del radio sono state suggerite alcune procedure di salvataggio quali: l’ osteotomia della testa del radio (Prymak e Bennet, 1986), da eseguire in cani piccola taglia e con l’ aggiunta di un innesto osseo autologo in modo da preservare un buon grado di funzionalità all’ arto; e l’ artrodesi del gomito (Bloomberg, 1983) in cani di taglia grande.

L’ accesso è solitamente laterale, prendendo come punti di riferimento per l'incisione, l’ epicondilo omerale laterale ed il bordo cranio-laterale del terzo prossimale del radio. Seguendo questo accesso bisognerà aver cura di non danneggiare il nervo radiale.

Le fratture di Salter-Harris di tipo I sono stabilizzate con il semplice inserimento di due chiodi di Kirschner incrociati: il primo va dalla superficie prossimo-laterale della testa

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19

Fig. 7: fratture del radio prossimale (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

radiale vicino la superficie articolare, attraverso la frattura fino ad arrivare alla corticale mediale del radio (Fig. 11 A); il secondo filo viene inserito da mediale a laterale verso la corticale opposta, per migliorare la stabilità. Fratture articolari semplici possono essere stabilizzati con viti corticali e fili di Kirschner (Fig. 11 B).

Fratture articolari più complesse invece possono richiedere una prima riduzione con viti corticali, seguita dall'applicazione di una placca di neutralizzazione. I piccoli frammenti articolari, non riducibili, devono essere rimossi.

Fratture trasversali del collo radiale possono essere trattate mediante fissazione con miniplacche 1.5 o 2.0 o placchette a “T” 2.7 o 3.5 (Fig. 11 C), anche se in pazienti di piccola taglia la fissazione tramite fili di Kirschner laterale e mediale può certamente essere un’alternativa valida e sufficiente.

Diafisi radiale

Un’ alta percentuale di fratture a carico della diafisi del radio e dell’ ulna si verifica a livello del terzo medio e distale, con interessamento di entrambe le ossa. Le fratture diafisarie a carico di un singolo raggio osseo sono invece meno comuni. Spesso si tratta di

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20 fratture esposte a causa della scarsa quantità di tessuto molle che ricopre la zona media e distale del radio e dell’ ulna. La guarigione di fratture diafisarie distali può essere problematica particolarmente in cani di piccola taglia e razze toy.

L’ applicazione di un bendaggio gessato (meglio materiali leggeri e resistenti come Baycast e Vetcast) o di una steccatura rappresenta un’ ottima opzione terapeutica nel trattamento della maggior parte delle fratture radio-ulnari dei piccoli animali, a condizione di poter effettuare un’ adeguata riduzione a cielo chiuso e di poterla mantenere durante l’ applicazione del tutore. Tali trattamenti sono indicati per fratture a legno verde, incomplete, trasverse con minima dislocazione, spiroidi o oblique relativamente stabili. L’ obiettivo del chirurgo è di ottenere un contatto tra i monconi pari al 25% e di evitare la presenza di deviazioni assiali. In alcuni casi è preferibile effettuare un piccolo accesso chirurgico sul focolaio, al fine di allineare correttamente i monconi. I risultati più soddisfacenti si riscontrano nei soggetti giovani (di età inferiore all’anno) e di taglia media, di contro, in questi pazienti, una grave possibile complicanza è la chiusura prematura della cartilagine di accrescimento distale dell’ ulna. Bendaggi e stecche non dovrebbero mai essere utilizzati come unico mezzo di immobilizzazione in pazienti di taglia gigante e tantomeno nel trattamento delle fratture distali di radio ed ulna nei cani di razza nana e toy.

Fondamentale il corretto allineamento dei monconi nei cani di piccola taglia e nei gatti: la riduzioni può essere difficile a causa del diametro ridotto dei raggi ossei, per lo scarso rivestimento dei tessuti molli e per la tensione esercitata dai muscoli flessori del carpo e delle dita, che tendono a dislocare i monconi fratturati.

L’ applicazione di una placca da osteosintesi costituisce un metodo estremamente diffuso per il trattamento delle fratture radio-ulnari. La superficie piana del radio e la sua lieve curvatura craniale rendono il suo versante dorsale (superficie di tensione) la zona ideale per l’ applicazione della placca. Nella maggior parte dei pazienti si applica la placca esclusivamente sul radio, in quanto la fissazione dell’ ulna non viene ritenuta indispensabile. Si consiglia invece di applicare la placca sia sul radio che sull’ ulna nei soggetti di taglia grande o gigante, a causa della loro mole e delle considerevoli forze che si estrinsecano sugli impianti.

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21 A B C D

Fig. 8: A-vista craniale di una frattura diafisaria trasversale del radio, stabilizzata per mezzo di una placca LC

-DCP a compressione. B- vista craniale di una piccola frattura diafisaria obliqua del radio, in cui la riduzione è mantenuta con una vite corticale e sostenuta con placca LC - DCP di neutralizzazione. C e D- viste laterale e craniale di una fissazione effettuata con una placca LC- DCP applicata in modo da colmare il gap sulla zona di comminuzione. Si noti l’ aggiunta di innesto di osso autologo lungo tutta la zona di frattura. (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

La fissazione esterna (ESF) risulta particolarmente indicata nelle fratture comminute e nelle fratture esposte caratterizzate da perdita dei tessuti molli. Può essere utilizzata sia dopo riduzione della frattura a cielo chiuso, sia dopo riduzione eseguita mediante un piccolo accesso chirurgico, sia come tecnica di fissazione primaria e sia in associazione ad altre tecniche di fissazione interna, quali l’ applicazione di viti o cerchiaggi.

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Fig. 9: A sinistra: FST tipo Ib biplanare monolaterale con aggiunta di due barre aggiuntive per creare dei

collegamenti diagonali e rafforzare in modo significativo il costrutto. A destra: FST tipo II bilaterale monoplanare. (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Sono state impiegate per l’ avambraccio, con ottimi risultati, tutti i tipi di configurazioni (monolaterale, bilaterale, biplanare); la monoplanare è la più semplice da applicare, presenta un basso indice di complicanze ed è indicata nel trattamento della maggior parte delle fratture.

La tecnica con chiodo endomidollare non risulta indicata nel radio, in quanto è stato riscontrato un elevato numero di complicanze in soggetti trattati con questa metodica. Il radio risulta inoltre tecnicamente difficile da trattare con questa tecnica se confrontato con l’ ulna o altri segmenti scheletrici: il suo canale midollare presenta una sezione ovalare ed è limitato all’ estremità prossimale e distale da superfici articolari cartilaginee. Ciò significa che durante l’ inserimento del chiodo si rischia seriamente di danneggiare l’ articolazione del gomito e quella antibrachiocarpica, nonostante l’utilizzo di chiodi di piccolo calibro. Un chiodo endomidollare contrasta poco efficacemente le forze torsionali e quelle compressive e potenzialmente può oltretutto danneggiare i vasi endostali di un tratto osseo, il radio, provvisto di una scarsa vascolarizzazione nella sua parte distale.

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Fig. 10: vista laterale di una frattura multipla diafisaria. Inizialmente ridotta con una coppia di viti corticali.

Una placca LC - DCP è stata poi applicata sulla superficie craniale del radio, lasciando i 4 fori centrali della placca liberi e sovrapposti alle linee di frattura. Un chiodo centromidollare è stato inserito nell’ ulna per dare ulteriore stabilità nella riparazione della frattura radiale. (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Radio distale

Le fratture del radio distale sono frequenti e solitamente conseguono a cadute dall’alto. Sono generalmente esposte in quanto il settore presenta uno scarso rivestimento da parte dei tessuti molli. Le fratture delle cartilagini di accrescimento distali di radio e ulna sono caratteristiche degli animali in accrescimento e possono determinare la chiusura definitiva delle fisi. La fratture attraverso la cartilagine di accrescimento radiale distale sono frequentemente associate alla frattura dell'ulna distale o della fisi distale dell’ ulna; si consiglia in questi casi di eseguire una precoce riduzione a cielo chiuso e, in presenza di fratture stabili, di applicare un tutore esterno per circa 3 settimane.

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Fig. 11: Raffigurazione di una frattura di Salter-Harris tipo I del radio distale e concomitante frattura distale

dell’ ulna ridotta con due fili di Kirschner perpendicolari al piano di crescita e paralleli tra loro (a sinistra), e con fili di Kirschner applicati dal processo stiloideo radiale e da quello ulnare (a destra). (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Viceversa per le fratture instabili o non riducibili a cielo chiuso è necessario eseguire una riduzione a cielo aperto e fissare la frattura mediante l’ inserimento di fili di Kirschner paralleli.

Una potenziale complicazione di questo tipo di lesione, può essere una deformità angolare nella crescita delle ossa e conseguente valgismo carpico (corretto tramite osteotomia a cuneo).

Fratture metafisarie radiali in pazienti adulti invece sono state trattate con differenti tecniche di fissazione: immobilizzazione esterna, da sola o associata a viti a compressione, fili di Kirschner incrociati, fissazione interna con chiodi di Rush, placche a “T”, fissazione esterna.

Il legamento collaterale laterale del carpo ha la sua origine sul processo stiloideo del radio, quindi la frattura di questa prominenza ossea è associata all'instabilità antibrachiocarpica; lo stesso vale anche per la frattura del processo stiloideo ulnare (sul quale origina il legamento collaterale mediale del carpo), che comunemente si vede associata alla prima oltre che a lussazioni o sublussazioni dell’ articolazione antibrachiocarpica.

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Fig. 12: Frattura del processo stiloideo ulnare. Fissazione con un chiodo di Kirschner e un cerchiaggio di

tensione per assicurare il frammento distale e il leg. collaterale. (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Queste fratture vanno trattate con fissazione endomidollare del processo stiloideo mediante una vite a compressione per la stabilizzazione dello stiloide radiale, o, se il frammento è troppo piccolo, un filo di Kirschner, associati a cerchiaggio. E’ importante garantire un supporto esterno con una doccia rigida applicata sulla faccia caudale del carpo per 4-6 settimane.

Ulna prossimale: l’ olecrano

L’ estremità prossimale dell'ulna (olecrano) serve al braccio come leva per i potenti muscoli estensori dell'avambraccio; le fratture dell’ olecrano si distinguono principalmente in: extrarticolari e articolari.

Le fratture extrarticolari non vanno a coinvolgere l’ incisura trocleare e devono essere riparate utilizzando la tecnica della banda di tensione; per fratture intrarticolari trasversali o oblique brevi, che si verificano nella metà prossimale dell’ incisione trocleare, le tecniche di fissazione adatte sono il cerchiaggio di tensione o la placca da osteosintesi.

Il cerchiaggio di tensione viene utilizzato per contrastare la trazione esercitata dal muscolo tricipite sulla tuberosità olecranica (con la rotazione di quest’ ultima sull’ incisione trocleare), convertendola in una forza dinamica di compressione su tutte le linee di frattura. L' olecrano è esposto attraverso un accesso caudale e l’ estensione del gomito rilassa la tensione muscolare e facilita la riduzione della frattura. Dopo la rimozione di tutti i residui di tessuto, e la riduzione anatomica, due fili di Kirschner sono inseriti a partire dall’

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26 estremità prossimale vicino al margine caudale dell’ olecrano, fatti proseguire distalmente nella diafisi ulnare e orientati in modo che si impegnino nella corticale craniale, distalmente all’ incisura trocleare. Un piccolo foro viene poi praticato trasversalmente nella parte caudo-distale del frammento, in modo da far passare il cerchiaggio. Le estremità sono incrociate sulla superficie caudale dell'ulna. Un unico serraggio è realizzato su un lato del filo, e la sua estremità viene fatta passare sotto il tendine tricipite, cranialmente ai chiodi. Le estremità libere dei fili sono intrecciate insieme in modo che il filo formi un “8”.

Fig. 13: vedute laterale e caudale di una frattura obliqua dell'olecrano

stabilizzata con cerchiaggio di tensione a “8”. (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Il cerchiaggio deve essere sufficientemente serrato per resistere alle forze muscolari, ma non così tanto da provocare l’ apertura del lato articolare della frattura. L'eccesso di filo viene tagliato e le estremità dei chiodi piegate caudalmente a uncino, tagliate e ruotate di 180° in direzione craniale, all’ interno del tendine, e guidate contro l’ osso. Questo sistema consente di ridurre al minimo l’ irritazione dei tessuti molli che sovrastano i chiodi.

Con questo tipo di fissazione, i fili di Kirschner proteggono la linea di frattura dalle forze di rotazione e scorrimento e il cerchiaggio a “8” trasforma la forza di tensione in compressione.

Il metodo di trattamento preferito per le fratture intra-articolari dell’ ulna prossimale è invece l’impianto di una placca da osteosintesi. La placca è posta sulla superficie caudale

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27 dell’ osso con la funzione di apparato di trazione, e deve avere almeno due o preferibilmente tre viti su entrambi i lati della linea di frattura.

Fig.14: Frattura multiframmentaria dell’ ulna prossimale stabilizzata mediante placca. (AO Principles of

Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Le viti devono essere orientate obliquamente in una direzione leggermente medio-laterale per evitare il contatto o la penetrazione nella corteccia caudale del radio, interferendo con i movimenti di pronazione e supinazione. Oltre a dare irritazione locale, osteolisi e dolore, queste forze creano micromovimenti all'estremità delle viti e possono portare al loro allentamento. In caso di fratture comminute i frammenti articolari sono prima fissati con fili di Kirschner o viti corticali e la placca viene poi apposta sulla superficie caudale dell’ ulna, a ponte sulla zona di frattura.

Frattura del Monteggia

La frattura di Monteggia è una lesione piuttosto rara a carico dell’avambraccio. Essa è definita come una frattura prossimale del segmento ulnare con concomitante lussazione del capo radiale. Il capitello radiale può spostarsi in una qualsiasi delle quattro direzioni : laterale , mediale , craniale o caudale. Di solito lussa cranialmente, e in cani e gatti comunemente si riscontrano lesioni aggiuntive a carico degli arti interessati (Schwarz PD, Schrader SC, 1984).

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Fig. 15: fratture del Monteggia (AO Principles of Fracture Managementin the Dog and Cat 2005)

Il legamento anulare può essere interrotto o meno, a seconda dell’altezza in cui avviene la frattura; se questa è alla base del processo coronoideo o comporta un interessamento trocleare, è probabile che il legamento anulare rimanga intatto. In questi casi la riduzione della frattura ulnare consiste nella riduzione del capitello radiale che si è lussato. Poiché il radio e l'ulna sono uniti dal legamento anulare, dal legamento interosseo e dalla membrana interossea, la stabilizzazione della frattura ulnare, in questi casi, è sufficiente per ripristinare la funzione dell’arto.

La stabilizzazione si ottiene eseguendo un accesso caudale (di solito sufficiente ad avere un’esposizione adeguata dell’ulna e dell’ articolazione radio-omerale).Se necessario, può essere utilizzato in associazione, anche un accesso cranio-laterale al radio prossimale per ridurre il capitello radiale lussato e valutare il grado di congruità articolare.

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29 Quando la frattura ulnare è distale al capitello radiale, il legamento anulare si rompe. In questi casi è necessario non solo stabilizzare la frattura ulnare ma anche ridurre la lussazione radio-ulnare per ripristinare il normale rapporto del capitello radiale con l’ ulna. Per prima cosa si riduce la lussazione, poi si stabilizza la frattura. Le viti dovrebbero essere poste in direzione caudo-craniale e impegnare entrambe le corticali del radio. Di solito si preferisce rimuovere l’ impianto dopo 3-4 settimane, per consentire il ritorno al normale movimento fra radio e ulna (Piermattei DL, Flo GL 1997)

2.1.1 FRATTURE DEL TERZO DISTALE DEL RADIO E DELLA DIAFISI ULNARE NEI CANI DI RAZZA NANA E TOY

In questo tipo di fratture è stata riscontrata un’ incidenza insolitamente elevata di ritardi di consolidamento e pseudoartrosi. Si ritiene che il motivo principale di tali complicanze sia rappresentato dall’ insufficiente immobilizzazione della frattura, ma pare siano coinvolti anche altri fattori quali sepsi, immobilizzazione tardiva della frattura ed insufficiente apporto vascolare all’osso. Un requisito fondamentale è la stabilizzazione rigida della frattura mediante l’ impiego di miniplacche e placche a “T”.

Si raccomanda inoltre la rimozione delle placche in quanto, dopo alcuni anni dall’ intervento, in un numero significativo di soggetti è stata osservata la ri-frattura del radio in corrispondenza dell’ estremità prossimale della placca quale conseguenza di una riduzione locale della resistenza del tessuto osseo. Alcuni autori ritengono sia meglio rimuovere le placche applicate sul radio a distanza di 6-12 mesi dall’ intervento di osteosintesi, altri suggeriscono una rimozione precoce e l’ applicazione di un innesto di osso spongioso. Successivamente alla rimozione degli impianti è necessario proteggere l’ arto con un bendaggio di Robert-Jones per 1-2 settimane e limitare l’ attività fisica del paziente per circa un mese.

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2.2 BIOMECCANICA DELLE FRATTURE RADIO-ULNARI NEL

CANE

Le fratture distali di radio e ulna sono al terzo posto tra le fratture più comuni nel cane (Summer- Smith e Cawley , 1970); esse rappresentano circa tra l’ 8,5 % e il 17 % di tutte le fratture del cane (Summer - Smith e Cawley , 1970; . Lappin et al , 1983; Muir , 1997). In seguito a traumi, generalmente ritenuti a basso livello d’energia, i cani toy sembrano avere una certa predisposizione alle fratture antibrachiali. In queste razze, secondo uno studio di Peter Muir (1997), la porzione del complesso radio-ulnare compresa tra il 15 ed il 37% della lunghezza radiale è concretamente più affetta. Lo stesso autore ha messo in evidenza una diversa propensione verso differenti patologie, in seguito a salti o cadute, a seconda della taglia dei soggetti: nei cani toy sembra essere più comune la frattura del terzo distale dell’avambraccio, mentre in cani di taglia superiore sembrano essere più comuni lesioni da iperestensione del carpo. Attualmente, i meccanismi responsabili di tale propensione non sono ancora stati chiariti, anche se lo stesso Muir ha sospettato, come possibili fattori eziologici, alterazioni nella geometria e/o nella densità minerale ossea connesse alla razza (Muir e Markel, 1996).

In uno studio multifattoriale condotto da Brianza et al. nel 2006, sono stati considerati i principali fattori eziologici potenzialmente responsabili della suscettibilità alle fratture in razze toy. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare le caratteristiche geometriche delle ossa in cani di diversa taglia, per definire il loro ruolo nella suscettibilità alle fratture distali antibrachiali. Le scansioni in TAC eseguite su 28 cani di differenti taglie, hanno così dato la possibilità di valutare più parametri geometrici, su sezioni trasversali eseguite lungo l’ asse maggiore dei segmenti ossei radio-ulnari.

Fratture radio-ulnari in razze toy comportano spesso una combinazione di forze compressive e sollecitazioni flessorie. Dal punto di vista geometrico, degli studi sulle caratteristiche densitometriche e meccaniche dell’avambraccio canino, è stato visto che le ossa di cani di razze toy sono adeguatamente conformate a sopportare carichi compressivi grazie ad un’area della sezione non significativamente differente da quella di cani di taglia superiore, ma sono anche meno competenti nel contrastare momenti torcenti e flettenti. Significative le differenze, sia del coefficiente angolare della porzione elastica della curva

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31 forza-spostamento, sia del limite di “deformazione a rottura” tra i gruppi di studio di taglia differente.

Lo studio di Brianza dimostra così che la sezione ossea antibrachiale di cani di razza toy è più suscettibile alle fratture, rispetto a quella di cani di taglia grande, a causa delle differenze morfologiche. Gli autori hanno ipotizzato che queste differenze morfologiche erano dovute a informazioni genetiche ereditate e all'adattamento biologico allo stress; i loro risultati mostrano che in funzione delle condizioni di carico, il differente assetto geometrico e densitometrico può essere ipotizzato come il responsabile della propensione verso diverse patologie ortopediche.

2.3 APPORTO EMATICO AL RADIO: IMPLICAZIONI PER LA

GUARIGIONE DELLE FRATTURE DISTALI NEI CANI DI PICCOLA

TAGLIA

Lo studio effettuato da Janet Welch et al. nel 1997 ha valutato l’apporto intraosseo di sangue, nel radio di 12 cadaveri di specie canina, per determinare se esiste una differenza del supporto vascolare in cani di differenti taglie.

Il principale apporto di sangue midollare al radio è dato dall'arteria nutritizia, con i suoi rami collaterali, e dalle arterie metafisarie. Negli esemplari esaminati, è stato visto che l'arteria nutritizia arriva al radio attraverso il foro nutritizio situato alla giunzione tra terzo medio e il terzo prossimale della diafisi radiale, entra nel canale midollare e si divide in un ramo ascendente e uno discendente. Questi vasi si dividono poi ulteriormente per arrivare all’endostio, dove forniscono il principale apporto di sangue alla corticale diafisaria.

Le regioni prossimale e distale del radio, sono irrorate dai rami terminali dell'arteria nutritizia e dai vasi metafisari, questi ultimi provengono da un plesso periarticolare e, penetrata la corticale, diffondono nel tessuto limitrofo.

I rami delle arterie metafisarie anastomizzano con i rami terminali dell'arteria nutritizia a livello della giunzione metafisi-diafisaria.

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Fig. 17: la sezione sagittale del radio di un cane di grossa taglia mostra l’ arteria nutritizia e le arterie

metafisarie. La freccia bianca indica il forame nutritizio, la nera la giunzione metafisi-diafisaria dove le branche dell’ arteria principale si anastomizzano con le metafisarie. (Welch J.A.1997 by The American

College of Veterinary Surgeons)

L'esame dei campioni di tessuto appartenenti a cani di differente taglia rivela che:  la distribuzione dell’ apporto ematico alla diafisi radiale è simile

 in tutti i gruppi la densità delle arterie metafisarie è maggiore nella regione fisaria  c’è una visibile differenza qualitativa nell’apporto di sangue metafisario al radio

distale

Nelle sezioni di tessuto appartenenti a cani di piccola taglia, Welch evidenzia una diminuita densità vascolare e arborizzazione dei vasi nella metafisi distale rispetto ai campioni appartenenti a cani di grossa taglia. Questa scarsità di vasi porta ad avere una zona di ridotta vascolarizzazione in corrispondenza della metafisi distale radiale.

Al contrario, in tutte le sezioni di tessuto appertenenti a cani di grossa taglia è stata osservata un'aumentata densità dei vasi midollari nella regione metafisaria rispetto ai campioni ottenuti dai cani di razza toy.

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Fig. 18: due sezioni sagittali del secondo e terzo distale radiale, in alto, radio appartenente ad un Jack Russell

Terrier ed in basso radio appartenente ad un cane di grossa taglia. L’ henné iniettato all’interno dei vasi mette in luce la ridotta densità vascolare nella regione metafisaria del Jack Russell (freccia nera), rispetto a quella della metafisi distale del cane di grossa taglia (freccia bianca). (Welch J.A.1997 by The American College of

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34 Questo studio ha mostrato una differenza nell’ apporto di sangue intraosseo del radio distale tra cani di taglia piccola rispetto a cani di taglia grande. La ridotta densità vascolare osservata nel radio distale di cani di piccola taglia, a livello della giunzione metafisi-diafisaria può contribuire a determinare delle complicanze nella guarigione di fratture che si verificano a questo livello.

Normalmente, le arterie metafisarie, forniscono un minimo contributo alla circolazione midollare, ma quando l'arteria nutritizia viene danneggiata, le metafisarie sono in grado di dominare l'apporto di sangue in questa regione con la formazione di nuovi canali vascolari (Wilson JW,1991).

La risposta rigenerativa delle arterie metafisarie per migliorare apporto di sangue alla regione del terzo distale del radio in seguito a un trauma, può essere scarsa in cani di razze nana e toy, a causa della minor densità vascolare. Pertanto, le fratture distali del radio in questi soggetti possono fare affidamento sulla arteria nutritizia come principale fonte di rivascolarizzazione e successiva guarigione.

La capacità rigenerativa del sistema vascolare è oltretutto direttamente influenzato dai movimenti sul sito di frattura (Bray R et al.1993). Unione ritardata o mancato consolidamento del radio distale si osserva spesso in cani di piccola taglia quando le fratture sono trattate per mezzo di fissatore esterno (Denny HR, 1985; Lappin MR et al.1983).

In uno studio, gravi complicanze sono state riportate nel 75% di cani di piccola taglia, le cui fratture sono state trattate mediante immobilizzazione con gesso, mentre le complicanze si sono verificate solo nel 12,5% dei cani di piccola taglia le cui fratture sono state ridotte con placche da osteosintesi (Lappin MR et al.1983).

Un mezzo di fissazione interna stabile, nella riduzione delle fratture del radio distale, può essere particolarmente importante per cani di piccola taglia, per promuovere la rivascolarizzazione. Fornendo una maggiore stabilità, placche da osteosintesi e ESFS favoriscono un più rapido ritorno del flusso di sangue arterioso e la successiva guarigione ossea.

Sulla base della instabilità biomeccanica inerente a fratture radiali distali, nonché dell'esistenza di limitati tessuti molli, per la fornitura di una circolazione extraossea,

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35 qualsiasi compromissione dell’ apporto ematico intraosseo può probabilmente impedire la guarigione delle fratture .

La differenza dell’ anatomia vascolare individuata da Welch et al. tra cani di piccole e grandi taglie, suggerisce fortemente che, una diminuzione dell’apporto vascolare al radio distale, contribuisce ad una maggiore frequenza delle pseudoartrosi nei cani di piccola taglia.

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CAPITOLO 3 : LA PSEUDOARTROSI

3.1 RITARDO DI CONSOLIDAMENTO E PSEUDOARTROSI

Il ritardo di consolidamento e la pseudoartrosi rappresentano essenzialmente fasi e livelli di gravità differenti dello stesso evento patologico. Il ritardo di consolidamento rappresenta un processo riparativo che impiega più tempo rispetto a quello richiesto per una data localizzazione e per un dato tipo di frattura. Il processo di guarigione, in questo caso, non è completamente fermo. La pseudoartrosi (dal greco ψευδος -pseudos-, falso, e αρθρον – arthron-, articolazione: "falsa articolazione") rappresenta lo stadio in cui tutti i processi riparativi attivati in seguito ad una frattura hanno compiuto la loro evoluzione, senza che si sia raggiunto il consolidamento della frattura stessa.

La pseudoartrosi rappresenta, quindi, una condizione in cui il processo di riparazione si è esaurito e con esso si è persa la possibilità della guarigione. Una diagnosi di pseudoartrosi non è giustificata se non in presenza di elementi clinici e radiologici inconfutabili a dimostrare che il processo riparativo si è arrestato e che il consolidamento è quanto mai improbabile.

L’età del paziente, come già detto, ci permette di stabilire approssimativamente il tempo di guarigione della frattura (i giovani hanno tempi di guarigione rapidi, in genere sono sufficienti 30 giorni, mentre negli adulti, i tempi di guarigione si raddoppiano); la specie può essere rilevante nel senso che nel cane, l’incidenza della pseudoartrosi è maggiore rispetto al gatto; non esiste invece una predisposizione di razza, anche se quelle di piccola e media taglia sono più colpite.

3.2 DIAGNOSI E SEGNI CLINICI

La diagnosi di pseudoartrosi viene formulata sulla base dell’anamnesi, dei segni clinici e dello studio radiografico. L’anamnesi generalmente riferisce di un paziente che è stato sottoposto a uno o più interventi di osteosintesi che non hanno determinato la guarigione della frattura. Talvolta è necessario ripetere l’esame clinico e radiografico nell’arco di alcune settimane prima di emettere la diagnosi definitiva e procedere con la revisione

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37 chirurgica. Esiste una criticità oggettiva nel comprendere quando la frattura o l’osteotomia sono esitate in pseudoartrosi o quando hanno semplicemente un ritardo di consolidazione, e possiedono ancora un potenziale residuo di guarigione.(Peirone B. et al, 2007)

Clinicamente entrambi i processi appaiono simili: vi è mobilità residua in corrispondenza del focolaio di frattura; in caso di ritardo, il movimento è generalmente doloroso, mentre nella pseudoartrosi a volte è presente una mobilità che non porta dolore. In entrambe le condizioni comunque è raro che l’ animale mostri un carico funzionale dell’ arto sede della lesione, così che possono rendersi spesso evidenti anche atrofia muscolare da disuso e rigidità legamentosa. Possono inoltre essere presenti: deformità angolari dell’ arto e cattivo allineamento dei monconi di frattura.

Fig. 19: classico atteggiamento del cane

con zoppia di IV grado e assenza di carico sull’ arto affetto da pseudoartrosi (foto concessa da “Studio vet. Associato Bonati Chiocca”)

La palpazione del focolaio di pseudoartrosi permette di rilevare la presenza di instabilità, tale da simulare la presenza di una nuova articolazione. Il paziente può avere ancora in sede dei mezzi di sintesi che, generalmente, non assicurano più un’adeguata stabilizzazione; nelle forme settiche spesso sono evidenti uno o più tragitti fistolosi.

La maggior parte delle pseudoartrosi, nel cane, si verifica in seguito a fratture del radio e dell’ulna, specialmente delle razze più piccole. Possono verificarsi anche per fratture a carico della tibia, del femore e dell’ omero, raramente in altre ossa.

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Fig. 20: aspetto clinico (a sinistra la visione dorsale, a destra la palmare) dell’avambraccio di uno Yorkshire terrier, affetto da pseudoartrosi settica radio-ulnare. Si evidenzia tumefazione dei tessuti molli e presenza di una fistola.(Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino)

3.3 ASPETTI RADIOLOGICI

La determinazione diagnostica di una pseudoartrosi si basa essenzialmente sulla mancata progressione di callo di guarigione e quindi presenza di spazio tra i capi ossei, sul fatto che il rimodellamento del callo sulla frattura si conclude senza la formazione di un ponte osseo e con la chiusura delle cavità midollari, sull’ assenza di un aumento di radiopacità della linea di frattura, bensì sclerosi delle estremità dei frammenti, e sulla durata del processo di guarigione.

Fig. 21: pseudoartrosi della diafisi mediale femorale in un cane (Fracture Healing and Complications da D.

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39 In alcuni casi, fratture che sembrano essersi concluse come “non unioni”, nonostante i tempi trascorsi siano maggiori di quelli fisiologici e i risultati siano dubbi, possono nel tempo guarire. Intervenendo con una migliore stabilizzazione e con l’ utilizzo di innesti ossei possiamo infatti indubbiamente aumentare le probabilità di successo.

In altri casi, invece, alcune fratture a lungo termine possono degenerare in una vera e propria pseudoartrosi a causa del movimento cronico che insiste sul sito di frattura. Un tessuto cartilagineo denso e fibroso riempie il gap osseo stabilizzando la frattura e formando una fitta unione fibrosa. Radiograficamente rimane comunque un gap o una linea radiotrasparente nel sito di frattura che possono o non opacizzare nel tempo .

Le pseudoartrosi possono essere distinte in due grandi categorie: vitali e non vitali. Le vitali sono caratterizzate dalla presenza di un gap a livello del focolaio di pseudoartrosi. Il callo, presente in quantità abbondante o scarsa, non riesce comunque a formare un ponte fra i due monconi.Le pseudoartrosi vitali si dividono a loro volta in:

- ipertrofiche (dette anche a zampa di elefante per la presenza di un abbondante callo ad ognuna delle estremità dei capi di frattura; di solito sono il risultato di un eccessivo movimento nella zona di frattura, attività eccessiva dal paziente o allentamento prematuro/rimozione del fissatore);

- moderatamente ipertrofiche (caratterizzate da moderata formazione di callo);

- oligotrofiche (hanno poco o nessun callo, con un ponte provvisorio di tessuto fibroso tra i frammenti della frattura. Questa tipologia può essere difficile da differenziare da una pseudoartrosi non vitale)

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