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Guarda Sussidiarietà e diritti sociali. | Studi Urbinati, A - Scienze giuridiche, politiche ed economiche

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SUSSIDIARIETÀ E DIRITTI SOCIALI

La tutela dei diritti fondamentali viene assicurata da ordinamenti e sistemi di garanzia di natura e ambito territoriale diverso: internazionale, comunitario, nazionale, infra-statuale. Di questi livelli di tutela, quello statale resta ancora di gran lunga il più efficace, anche nel mondo globa-lizzato. Si può dire che il Leviatano, per quanto ferito, da questo punto di vista sia ancora il Dio mortale di Hobbes. Lo Stato dà, lo Stato toglie. È il maggior nemico, ma nello stesso tempo l’unico credibile difensore dei diritti. Questo dovrebbe essere vero soprattutto per quanto riguarda i diritti di seconda generazione (sanità, previdenza, istruzione, lavoro ecce-tera), che esigono dallo Stato “the obligations to respect, to protect and to fulfill”1, e quindi anche prestazioni positive, come adeguati investi-menti pubblici o la predisposizione di efficaci struinvesti-menti amministrativi. Ma proprio in questo campo, la versione democratica e sociale del Levia-tano mostra una crescente incapacità di fare fronte ai propri compiti, do-vendo piegarsi alla globalizzazione e alle regole del mercato e della con-correnza. In tutti i paesi dell’UE, il “modello sociale europeo” sta abban-donando lo schema classico del welfare State, per sistemi di protezione più esternalizzati e ridotti2

.

Una via di uscita dalla crisi dello Stato sociale sembra essere la risco-perta del principio di sussidiarietà, tipico della tradizione tomista, teorizza-to da Althusius e, in età contemporanea riproposteorizza-to dalla Rerum Novarum di Leone XIII, nel 1891, e dalla Quadragesimo anno di Pio XI, nel 1931. La comunità politica non deve assorbire le comunità minori, ma limitarsi a “subsidium afferre”. Lo Stato è sussidiario rispetto alle formazioni

interme-1 Così il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali riguardo al diritto

all’ali-mentazione. Cfr. Committee on Economic, Social and Cultural Rights, General Comment No. 12, para. 15, UN Doc. E/C.12/1999/5, in http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf.

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die, che sono sussidiarie rispetto alla persona. La ‘società sussidiaria’ è idealmente un sistema di gruppi sociali autonomi, reciprocamente funzio-nali e diretti alla salvaguardia della dignità umana. Lo scopo generale di questa società solidaristica e communitarian è, quindi, la realizzazione di un bene comune e nello stesso tempo particolare, che si suppone oggettivo e conoscibile. Si tratta della dignità dell’uomo, vista nei termini aristotelici della “fioritura”. La persona, che precede ontologicamente e moralmente la società, deve realizzare le proprie naturali potenzialità. A questo lo scopo, lo Stato deve rispettare sia le libertà dell’individuo che quelle dei gruppi intermedi, soprattutto quelli più vicini alla persona, sulla base di una preci-sa concezione della natura umana e dei suoi bisogni essenziali. A provvede-re alle necessità della persona dev’esseprovvede-re l’ente pubblico funzionalmente o territorialmente più vicino (“sussidiarietà verticale”). Ove possibile, l’inte-resse comune deve essere realizzato dagli enti intermedi, o dai privati, al limite dalla persona stessa, piuttosto che dallo Stato (“sussidiarietà orizzon-tale”). Ma lo Stato sussidiario è diverso dallo Stato minimo di Nozick, in quanto non lascia l’individuo solo di fronte alla forza impersonale del mer-cato. Sui gruppi “maggiori” e sulle pubbliche istituzioni, infatti, incombe l’obbligo di aiutare i gruppi “minori” e lo stesso individuo nella realizzazio-ne dei propri scopi, anche promuovendo forme di eguaglianza sostanziale tra i cittadini.

Come notavano già Dossetti e La Pira, il compromesso forgiato nella I Sottocomissione della Costituente dette vita a una carta costituzionale né liberale né statalista, ma personalista e pluralista (nel senso che rico-nosce valore e autonomia alle formazioni sociali). Si può quindi argomen-tare che un principio di sussidiarietà orizzontale fosse già implicito nel-l’art. 3 della Costituzione, che richiama un’idea sostanzialistica e teleolo-gica della persona. Il riconoscimento della libertà di esprimersi e realizzare propri fini, sia per l’individuo che per le formazioni sociali, ha lo scopo di assicurare le condizioni per una piena realizzazione della per-sonalità. Tale concezione della libertà degli individui e delle formazioni sociali non è più quella liberale classica, che era intesa come una sfera di autonomia o addirittura di anomia, creata dalla decisione dello Stato di auto-limitare il suo originario potere3

. Non è nemmeno una concezione

3 Cfr. W. CESARINISFORZA, Il diritto dei privati, Milano 1963, 15 ss. Sovente il

prin-cipio di sussidiarietà viene collegato a concezioni pluralistiche come quelle di S. ROMANO,

L’ordinamento giuridico (1918), Firenze 1951, in quanto lo Stato “riconosce” norme e or-dinamenti giuridici anteriori o esterni rispetto ad esso.

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organicistica, in quanto la libertà delle formazioni sociali è strumentale rispetto alla libertà e alla capacità di auto-realizzazione della persona. Lo Stato rinuncia al monopolio della costituzione o autorizzazione delle for-mazioni sociali, ne rispetta l’autonomia organizzativa e negoziale, assegna loro dei diritti distinti da quelli degli individui che le compongono (art. 2 e 18 della Costituzione). Pretende, però, che esse rispettino i principi dell’ordinamento, si aprano alla tutela giurisdizionale e salvaguardino i diritti fondamentali della persona. La Costituzione vale, quindi, anche al-l’interno delle formazioni sociali, tendendo a superare la contrapposizio-ne tra pubblico e privato che è tipica della conceziocontrapposizio-ne liberale dello Sta-to. I fini generali dello Stato e quelli dei gruppi particolari che compon-gono la società civile (partiti, sindacati, confessioni religiose, scuola, associazioni, famiglia e altre comunità a carattere volontario o naturale) tendenzialmente si compenetrano4

.

Concezioni analoghe le troviamo nel concetto di dignità che è alla base della Dichiarazione Universale e di tutti i principali strumenti inter-nazionali sui diritti umani, dai Patti, alla Convenzione di New York sui diritti del bambino, alla Carta Araba dei Diritti Umani, per finire con Carta di Nizza. Tutti questi strumenti internazionali sono ben lontani dal riferirsi a concezioni individualistiche astratte. In tutti ricorre il grande tema umanistico della dignità, e quindi del rispetto della persona così com’è, cioè situata all’interno di gruppi che ne assicurano il pieno svi-luppo. È una concezione antropologica, di carattere umanistico e solida-ristico, del tutto compatibile con teorie liberali di matrice laica. Si pensi al “capacity approach” di Amartya Sen, nel quale lo sviluppo umano è inteso come processo di soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’indivi-duo mediante l’ampliamento della libertà, la partecipazione dei cittadini, e uno sviluppo centrato sul territorio. Non a caso, Martha Nussbaum, come Sen teorica dello sviluppo umano, ricava dalla “teoria delle capaci-tà” la proposta di una “socialdemocrazia aristotelica”, che ha come pro-gramma il soddisfacimento di una lista di bisogni psico-fisici, sia materiali che relazionali o cognitivi. Sono bisogni oggettivi, naturali, che debbono essere soddisfatti perché la personalità possa fiorire5.

Il principio di sussidiarietà, caro a Jacques Delors, è stato introdotto

4 Cfr. G. ARENA, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. della

Co-stituzione, in www.astridonline.it (2003).

5 Cfr. M. NUSSBAUM, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone,

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nell’architettura istituzionale comunitaria dai Trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1997 e dalla Carta di Nizza del 20006

. In Ita-lia, dopo la legge Bassanini del 1997, la legge quadro 328/2000 sul si-stema integrato dei servizi sociali, e la legge costituzionale n. 3/2001, l’applicazione di questo principio ha portato ad una radicale modifica del rapporto tra pubblico e privato e ad un vero e proprio sovvertimento della gerarchia delle istituzioni. Infatti il principio di sussidiarietà costitu-zionalizzato comporta che l’assolvimento delle funzioni pubbliche venga di norma esercitato dagli enti territorialmente e funzionalmente più vicini alla persona, e di preferenza attraverso l’autonoma iniziativa delle forma-zioni sociali e dei privati. La Repubblica non è costituita da individui, ma da persone collocate in formazioni sociali un tempo definite ‘minori’, la cui azione autonoma costituisce in sé una manifestazione di sovranità po-polare7

. Per il nuovo testo costituzionale, lo Stato non è più sinonimo di Repubblica, ma è solo un elemento costitutivo di essa, insieme con altri soggetti. La legislazione statale non è automaticamente espressione della volontà generale. Il popolo non è più un elemento dello Stato, ma ne è letteralmente il sovrano.

Tutto questo andrebbe molto bene, se la sussidiarietà, oggi ripresa in numerosi statuti regionali, non funzionasse sempre più come un mantra liberal-conservatore, che utilizza federalismo e teorie sostantive della na-tura umana e del bene comune, per coprire un’effettiva riduzione delle tutele universalistiche e del controllo democratico. E non è nemmeno detto che la vicinanza al cittadino-utente sia di per sé indice di buon go-verno, come l’applicazione dell’autonomia scolastica dimostra ampiamen-te.

La riformulazione del Titolo V della Costituzione relativo alle Regioni e agli Enti Locali nel 2001 rischia di determinare un consistente

affievoli-6 Cfr. preambolo e art. 51. Cfr. G. ARRIGO, La Carta di Nizza: natura, valore

giuridi-co, efficacia, in Dir. Lav., 2001, 607 ss. A partire dalla fine degli anni Sessanta, le istituzio-ni comuistituzio-nitarie erano state chiamate ad assicurare la tutela dei diritti sociali dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Essa ritenne di dovere im-porre un bilanciamento tra mercato e valori sociali, in conformità con i principi generali del diritto e con le tradizioni costituzionali degli stati membri. Cfr. G. ARRIGO, Politica

sociale e sussidiarietà: “una sola moltitudine” di diritti?, in Riv. Giur.Lav., 1992, 629 ss. L’Atto Unico del 1986 riformulò a tal proposito il Trattato di Roma, attribuendo alla CEE la funzione essenziale di mantenere la “coesione economica e sociale” (art. 23), tra-mite l’imposizione di standard minimi di tutela.

7 Cfr. B. CARAVITA DI TORITTO, Autonomia e sovranità popolare nell’ordinamento

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mento dei diritti sociali e del principio di eguaglianza8

, a causa della stringente combinazione della sussidiarietà orizzontale e di quella vertica-le. Il nuovo art.117 distingue le materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, quelle la cui competenza legislativa esclusiva è ri-servata alle Regioni e quelle su cui si esercita la “legislazione concorren-te”, tra cui istruzione, sanità e tutela e sicurezza del lavoro. In questa categoria intermedia, la potestà legislativa spetta alle Regioni, nel “rispet-to della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamen“rispet-to co-munitario e dagli obblighi internazionali” (comma 1) e nel quadro dei “principi fondamentali” determinati dalla normazione statale. Quindi il principio di sussidiarietà verticale determina un trasferimento di funzioni verso le Regioni e gli Enti Locali, riservando alla competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni con-cernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il ter-ritorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m). In particolare, l’attuazione del diritto all’assistenza sociale previsto dall’art. 38 della Costituzione è sostanzialmente devoluto alle Regioni, anzi in origine avrebbe dovuto es-sere attribuito loro in via esclusiva.

Il meccanismo della sussidiarietà orizzontale assegna all’iniziativa pri-vata un ruolo determinante nella garanzia dei diritti e nel soddisfacimen-to dei bisogni essenziali: “Stasoddisfacimen-to, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118). Questo comporta il rischio che l’universalità dei servizi necessari ad assicurare i diritti fondamentali di cittadinanza venga messa in discussione, nonostante il fatto che tali prestazioni saran-no finanziate integralmente sulla base del fabbisogsaran-no; prevedibilmente, l’esternalizzazione dei servizi genera clientelismo e sfruttamento, partico-larmente odioso nelle organizzazioni del privato sociale, che negli ultimi anni si stanno di fatto sempre più allontanando dal modello del volonta-riato. Si innesca anche un meccanismo di sperequazione territoriale, che danneggia soprattutto i soggetti deboli, che rischiano di perdere diritti sociali effettivamente esigibili, a tutela della loro dignità umana, in cam-bio di semplici aspettative di beneficenza pubblica o privata. Al riguardo,

8 Cfr. L. ANTONINI, Federalismo e devoluzione tra modelli astratti e funzionamento

concreto, in www.federalismi.it (2003); S. GAMBINO, Stato, diritti sociali e devolution: verso

un nuovo modello di welfare, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/revisione/ gambino_20060202.h (2006).

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le prestazioni necessarie ad assicurare i diritti fondamentali di cittadinan-za saranno finanziate integralmente sulla base del fabbisogno.

La normativa sul federalismo fiscale stabilisce che, per quanto attiene a diritti fondamentali come la sanità o la scuola, i Lep ( Livelli essenziali delle prestazioni) saranno finanziati sulla base di “costi standard” (a quanto sembra, parametrati a quelli sostenuti dalle Regioni più virtuose) e di “obiettivi di servizio”. Quindi le sperequazioni territoriali dovrebbe essere controbilanciate dalle entrate derivanti dalla fiscalità sub-statuale (essenzialmente regionale), alla luce delle recenti normative sull’attuazio-ne del federalismo fiscale. In subordisull’attuazio-ne, interverrà il fondo perequativo previsto dall’art. 119 per interventi supplementari a favore delle Regioni svantaggiate. Ma, in linea di principio, le quote del fondo perequativo non serviranno a soddisfare pienamente i bisogni essenziali, e quindi a promuovere la dignità e piena realizzazione della personalità, ma sempli-cemente a mantenere dei livelli minimi di assistenza, compatibili con le risorse finanziarie disponibili.

Nonostante l’ottimismo dei teorici della “democrazia della cittadinan-za” (F. Pizzetti) o del “nuovo modo di amministrare” (G. Arena), il timo-re che la combinazione di entrambi gli aspetti del principio di sussidiarie-tà possa portare a ridurre il carattere universalistico di alcune fondamen-tali prestazioni sociali ai soli livelli essenziali, sembra ancora fondato. Non è detto che all’abbandono del sistema della finanza derivata si ac-compagnerà necessariamente l’abbandono dei criteri universalistici fin qui adottati dal sistema sanitario nazionale o dal sistema scolastico pubblico. In effetti, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 509/2000 in materia di livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, stabilì che la sussidiarietà dovesse essere collegata ad altri principi, generalmente riconosciuti come indisponibili alla revisione costituzionale: quello di eguaglianza (art. 3) e quello personalistico e solidaristico dell’art. 2. Coerentemente con que-st’impostazione, nel testo di legge sul federalismo fiscale in via di appro-vazione (marzo 2009) sono incluse, oltre alle misure destinate all’accesso, anche quelle rivolte al successo scolastico. Ma nella direzione opposta – di declassare da diritto giustiziabile a disposizione programmatica tutto quello che non rientra nei livelli essenziali delle prestazioni – premono fenomeni molto concreti, come la reale disomogeneità del territorio italia-no, il debito pubblico, l’aumento delle aspettative di vita, il dumping so-ciale creato dall’immigrazione e della globalizzazione.

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