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Microparticelle di origine endoteliale: biomarcatori potenziali nella valutazione di gravita' di malattia in soggetti con BPCO. Osservazione preliminare.

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Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

C

ORSO DI

L

AUREA IN

M

EDICINA E

C

HIRURGIA

Microparticelle di origine endoteliale: biomarcatori potenziali

nella valutazione di gravità di malattia in soggetti con BPCO.

Osservazione preliminare.

Candidato:

Marta Maria Daniele

Relatore:

Prof. Pierluigi Paggiaro

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(3)

A mio nipote Edoardo, perché da grande possa apprezzare il piacere di realizzare i propri sogni.

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Riassunto 1 1 La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 11

1.1 Definizione, note di epidemiologia e di

patogenesi . . . 11

1.2 Diagnosi, quadro clinico e valutazione di gravità della patologia . . . 17

1.3 Comorbidità della BPCO . . . 20

1.4 BPCO, infiammazione sistemica e comorbidità cardiovascolari . 23 1.5 Disfunzione endoteliale e BPCO . . . 25

1.6 Le microparticelle di origine endoteliale . . . 26

1.7 Microparticelle di origine endoteliale e BPCO . . . 29

2 Scopo della tesi 32 2.1 Scopo della tesi . . . 32

3 Soggetti e metodi 33 3.1 Campione in studio . . . 33

3.2 Disegno dello studio . . . 34

3.2.1 Prove di funzionalità respiratoria . . . 35

3.2.2 Esami ematochimici . . . 35

3.2.3 Test cardiopolmonare incrementale . . . 36

3.2.4 Test del cammino in 6 minuti . . . 37

3.2.5 Tonometria arteriosa periferica . . . 37

3.2.6 Valutazione della rigidità arteriosa . . . 38

3.2.7 Valutazione della funzione miocardiaca con Tissue Doppler . . . 40

3.2.8 Dosaggio delle microparticelle di origine endoteliale e monocitaria . . . 41

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3.3 Analisi statistica . . . 43

4 Risultati 45

4.1 Caratteristiche basali del campione in studio . . . 45 4.2 Parametri relativi all’esercizio nel campione in studio . . . 50 4.3 Confronto dei biomarcatori tra gruppi . . . 52 4.4 Correlazioni tra microparticelle ed indici

funzionali, cardiovascolari o di infiammazione sistemica . . . . 54 4.5 Confronto tra gruppi GOLD per i dati

cardiovascolari . . . 56

5 Discussione 58

5.1 Cos’è venuto al pettine... . . 58 5.2 Uno sguardo alle microparticelle . . . 59 5.3 Come va il cuore? . . . 61 5.4 Nella BPCO grave le microparticelle e la

funzione cardiaca vanno a braccetto? . . . 63 5.5 Fibrinogeno, il cattivo che stupisce . . . 64 5.6 Limiti e punti di forza dello studio . . . 64

Conclusioni e prospettive future 66

Bibliografia 67

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La BPCO: malattia polmonare e sistemica

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è attualmente definita, se-condo il documento GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease) come "una patologia frequente, prevenibile e trattabile, caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazione al flusso, dovuta ad anormali-tà a livello delle vie aeree e/o degli alveoli, di solito causate da significative esposizioni a particelle o gas nocivi". Essa ha una prevalenza intorno all’8-10% negli adulti ultraquarantenni, nei Paesi industrializzati; per quanto riguarda la mortalità, invece, la BPCO rappresenterebbe ad oggi la terza causa di morte nel mondo.

Dal punto di vista fisiopatologico l’elemento della limitazione al flusso, ca-ratteristico della patologia, è il risultato di due processi fondamentali: la pa-tologia delle piccole vie aeree, che risultano rimodellate e ridotte di calibro, e l’enfisema (quindi la distruzione del parenchima), che provoca a sua vol-ta riduzione del ritorno elastico del polmone e rottura degli atvol-tacchi alveolari alle vie aeree stesse. Queste alterazioni sono dovute a processi infiammatori complessi, coinvolgenti cellule sia dell’immunità innata sia di quella acquisita, oltre ad elementi epiteliali e, ovviamente, varie citochine con i loro rispettivi recettori e bersagli. In questo senso, i macrofagi sarebbero i veri coordinatori della risposta infiammatoria nel polmone insieme ai linfociti T, i quali sareb-bero responsabili di processi "disimmunitari" (o addirittura autoimmunitari), contribuendo in modo determinante al danno tissutale tipico della BPCO. Nel momento in cui un agente esterno tossico (fumo di sigaretta) raggiunge l’e-pitelio bronchiale, si innesca una prima risposta di tipo non specifico, incen-trata su macrofagi e neutrofili, con liberazione di enzimi proteolitici e danno parenchimale, accompagnato dal rilascio di antigeni, che sarebbero captati e processati dalle cellule dendritiche. In coloro che sviluppano la BPCO, a causa della carenza dei meccanismi di immunoregolazione e di tolleranza, si avreb-be la maturazione delle cellule dendritiche e la loro migrazione nei linfonodi loco-regionali, con stimolazione dei linfociti T e conseguente sviluppo di una

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risposta immunitaria specifica, in gran parte CD8+ mediata.

Negli ultimi anni, la letteratura scientifica si è concentrata sempre di più sulla BPCO come patologia caratterizzata da una cosiddetta "infiammazione siste-mica", alla luce della presenza in circolo, nei pazienti affetti da BPCO, di eleva-te concentrazioni di molecole pro-infiammatorie (TNF-α, IL-1, IL-6, IL-8, PCR, fibrinogeno), i cui livelli correlano inversamente con la funzione polmonare. L’ipotesi attualmente più accreditata sulla genesi dell’infiammazione sistemica nella BPCO è quella del cosiddetto "spill-over", cioè un riversarsi di mediatori della flogosi dal parenchima polmonare nel circolo sistemico, che supportereb-be a sua volta un’altra ipotesi, quella di una "sindrome infiammatoria sistemica cronica", secondo cui la flogosi sistemica sarebbe il comune denominatore di varie condizioni che si presentano assieme alla BPCO, nello specifico le sue molteplici comorbidità: malattie cardiovascolari, diabete, neoplasie (del pol-mone, ma non solo), osteoporosi, alterazioni dell’umore e della quota ansiosa. Nell’insieme tali patologie hanno condotto all’introduzione del concetto di "co-morbidoma".

Le comorbidità più importanti, anche per il loro impatto prognostico in termini di mortalità, sono verosimilmente quelle cardiovascolari. Gli studi epidemio-logici indicano, infatti, come il rischio di mortalità per patologie cardiovasco-lari sia circa raddoppiato nei pazienti affetti da BPCO; di contro è noto come la riduzione della funzione polmonare (valutata con il volume espiratorio massi-mo nel primassi-mo secondo-FEV1) sia un potente predittore di massi-mortalità da tutte le cause, non solo cardiorespiratorie. D’altra parte è chiaro come BPCO e patolo-gie cardiovascolari condividano diversi fattori di rischio, alcuni non modifica-bili (l’età), altri modificamodifica-bili, in primis il fumo di sigaretta, tanto che si potrebbe pensare ad una semplice associazione tra le due condizioni, piuttosto che a un rapporto fisiopatologico stretto. Tuttavia, è stata individuata una relazione tra FEV1 e mortalità per patologia coronarica ed ictus anche nei soggetti che non hanno mai fumato, quindi, l’effetto tossico diretto del fumo di sigaretta non spiegherebbe da solo l’eccesso di patologia cardiovascolare in questa categoria di pazienti pneumopatici, ma proprio la BPCO stessa contribuirebbe ad innal-zare il rischio, probabilmente mediante la già citata infiammazione sistemica. Sono stati disegnati molti studi per indagare al meglio i rapporti tra malattia polmonare e cardiovascolare, con particolare attenzione verso la funzione va-scolare endoteliale, che potrebbe rappresentare il vero e proprio ponte fra le

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due patologie. Tra le metodiche proposte, alcune sono più prettamente morfo-logiche (ecocardiografia, quantificazione del calcio coronarico con TC specifi-ca, misurazione dello spessore medio intimale carotideo), altre si sono focaliz-zate sugli aspetti funzionali (misurazione della rigidità arteriosa con metodica della Pulse Wave Velocity, valutazione della funzione endoteliale con metodi-che di vasodilatazione flusso-mediata - FMD: Flow-Mediated Dilation - o con tonometria arteriosa periferica mediante tecnologia PAT - Peripheral Arterial Tonometry). Molti di questi studi hanno mostrato come, nei pazienti affetti da BPCO, vi sia effettivamente un aumento del danno vascolare e della di-sfunzione endoteliale. Lo studio della funzione endoteliale nella BPCO è stato infatti oggetto, negli ultimi anni, di ulteriore ricerca; una pubblicazione di Cla-renbach e collaboratori ha infatti sottolineato come la disfunzione endoteliale potrebbe rappresentare un ponte fondamentale fra BPCO e patologie cardio-vascolari: in particolare è stato osservato come la funzione endoteliale valutata con FMD correlasse in maniera diretta con il FEV1, con maggiore evidenza di disfunzione dell’endotelio nei pazienti con maggiore ostruzione (FEV1 <50% del predetto).

Un altro metodo potenziale per lo studio della funzione endoteliale e vascolare che sta ricevendo attenzione negli ultimi anni è costituito dalle microparticelle di origine endoteliale. Esse sono delle vescicole di dimensioni inferiori al mi-cron (0,1-1,0 µm), che si originano dalla membrana citoplasmatica virtualmen-te di tutvirtualmen-te le cellule eucariovirtualmen-te in risposta a numerosi stimoli. I principali tipi cellulari finora individuati come origine delle MP sono le cellule endoteliali, i leucociti e le piastrine; per distinguere il tipo cellulare di origine delle ve-scicole viene condotto uno studio degli antigeni di superficie, alcuni dei quali sono infatti caratteristici di specifiche popolazioni cellulari. Le MP contengono varie molecole di interesse: in superficie è presente, tra le tante, la fosfatidilse-rina, substrato essenziale nel processo di coagulazione in vivo e che conferisce alle MP, un ruolo nei fenomeni tromboembolici; al loro interno sono presenti proteine, enzimi e materiale genetico (RNA messaggero e anche microRNA) provenienti dalla cellula parentale e utili nella comunicazione intercellulare. In effetti, si ritiene che le MP svolgano anche un ruolo paracrino nella comuni-cazione cellulare implicato nella regolazione delle funzioni immunitarie, nel-lo sviluppo cellulare, nella neoangiogenesi (compresa quella caratteristica dei processi neoplastici) e nella funzione vascolare, tanto che si pensa che tali

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ve-scicole possano essere rilasciate da ogni tipo di cellula, in alcuni momenti della propria esistenza, per regolare alcuni passaggi fondamentali del proprio ciclo. Per quanto concerne i rapporti tra MP di origine endoteliale (EMP), funzione vascolare e malattie cardiovascolari diversi studi hanno cercato di indagarli, mostrando come ormai siano presenti varie prove dell’associazione tra elevati livelli di EMP e patologie cardiovascolari quali aterosclerosi, cardiopatia ische-mica, ipertensione arteriosa sistemica e polmonare, ictus.

A fronte delle molte evidenze del ruolo delle EMP nelle malattie cardiovascola-ri, negli ultimi anni sono emersi anche interessanti lavori indaganti le EMP nel contesto della BPCO. Nel campo delle patologie respiratorie fumo-correlate, un primo importante lavoro di Gordon e collaboratori suggeriva che nei fuma-tori con DLCO ridotta l’enfisema potesse essere associato, almeno nelle sue fasi iniziali, ad una significava apoptosi dell’endotelio capillare polmonare (espres-sa da un aumentato livello di EMP polmonari apoptotiche). Successivamente, negli studi condotti da Takahashi e collaboratori, il livello di EMP era significa-tivamente più alto in pazienti con diagnosi di BPCO rispetto a volontari sani di controllo, ma soprattutto era più elevato nei pazienti con BPCO durante una riacutizzazione rispetto ai pazienti con malattia stabile, sostenendo l’ipotesi che, durante una riacutizzazione, il danno endoteliale dei capillari polmonari diventava ancora più spiccato, causa verosimilmente una quota "supplemen-tare" di infiammazione, caratteristica del processo di riacutizzazione stesso. Inoltre lo stesso gruppo di Autori ha osservato come alti livelli di EMP si as-sociassero ad un maggior declino funzionale nel tempo in termini di FEV1. In questo contesto, le EMP potevano rappresentare anche dei marcatori di gravi-tà di malattia, relativamente semplici da dosare e potenzialmente utilizzabili anche nella pratica clinica.

In definitiva, nella BPCO il ruolo delle EMP è quindi ancora in via di defini-zione, rispetto a quanto emerso nelle patologie cardiovascolari, e necessita di ulteriori approfondimenti e chiarimenti. Tuttavia, gli studi condotti finora han-no comunque evidenziato l’importanza delle EMP come possibili marcatori di declino funzionale (e quindi di gravità di malattia) e di danno parenchimale polmonare legato al fumo, oltre che di insulto vascolare acuto durante le ria-cutizzazioni.

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Scopo della tesi

Lo scopo della tesi è indagare la possibile esistenza di correlazioni tra marcato-ri bioumorali di infiammazione sistemica marcato-ricercati nel sangue (microparticelle di origine endoteliale, IL-6, TNF-α, PCR, fibrinogeno) e nell’espettorato (conta cellulare di neutrofili ed eosinofili) e gravità della BPCO, definita secondo il grado di ostruzione al flusso (FEV1 ≥50% del predetto verso FEV1 <50% del predetto) e secondo la suddivisione in classi di rischio GOLD 2011 (A+B+C verso D). Inoltre ci siamo posti l’obiettivo di ricercare eventuali relazioni biou-morali anche con le comorbidità tipiche della patologia, andando ad esaminare diversi ambiti tra cui la funzione cardiovascolare, la tolleranza allo sforzo e la composizione corporea. Questa tesi fa riferimento ai dati ottenuti nei primi pazienti esaminati con il protocollo di studio e, quindi, riporta una osserva-zione del tutto preliminare, allo scopo di comprendere eventuali tendenze che dovranno essere confermate da numeri maggiori di pazienti esaminati. Infatti, il fine ultimo di questo progetto sarà quello di rafforzare le connessioni biolo-giche esistenti tra la BPCO e le sue comorbidità, andando a delineare specifici cluster clinici di pazienti, che possano avvalersi di un inquadramento precoce e di una gestione patient-tailored.

Protocollo di studio

È stato, quindi, condotto uno studio osservazionale arruolando 24 pazienti af-fetti da BPCO, con FEV1 58(29; 83)% (mediana e valori minimo e massimo osservati nel campione), in fase stabile di malattia e senza gravi patologie car-diovascolari, immunologiche o neoplastiche. Il protocollo prevedeva una pri-ma valutazione clinica (V1) con esecuzione di prove di funzionalità respira-toria, una seconda giornata (V2) in cui si svolgevano un prelievo di sangue venoso per gli esami ematochimici, il test da sforzo cardiopolmonare incre-mentale, una valutazione cardiovascolare (ecocardiogramma, Wave Intensity, EndoPAT) e una terza giornata conclusiva (V3) con esecuzione di bioimpeden-zometria, valutazione della forza e della fatica muscolare mediante test con dinamometro isometrico, raccolta dell’espettorato e test del cammino in 6 mi-nuti.

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Risultati

Il campione in studio è costituito da una popolazione compresa tra 50 e 78 anni (mediana 70 anni) ed è caratterizzato da un rapporto maschi/femmine di 3:1. La storia di esposizione al fumo è di 46(15; 110) anni-pacchetto (me-diana e valori min e max). Un terzo dei soggetti ha una storia di frequenti riacutizzazioni nell’anno precedente (≥2 riacutizzazioni/anno). Le principali comorbidità osservate sono l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il so-vrappeso e l’obesità, il diabete mellito tipo II.

Una prima analisi è stata condotta mettendo a confronto il gruppo costitui-to dai pazienti appartenenti alle classi GOLD 1+2 con il gruppo dei pazienti GOLD 3+4, rispetto a una serie di biomarcatori di infiammazione sistemica, sia circolanti che nell’espettorato. Non si evincono differenze statisticamente significative in termini di MP di qualsiasi origine, mentre è risultata fortemente significativa (p=0,007) la differenza nei livelli di fibrinogeno tra i due gruppi, mostrando valori più elevati nei soggetti con funzione respiratoria meno com-promessa (GOLD 1-2: FEV1 ≥50%). La conta granulocitaria nell’espettorato, differenziata in neutrofili ed eosinofili, non ha mostrato differenze significa-tive. È stata, inoltre, condotta una seconda analisi per gli stessi biomarcato-ri, ma mettendo a confronto i soggetti raggruppati secondo la classificazione GOLD 2011, paragonando soggetti nel gruppo D verso tutti gli altri soggetti (A+B+C). Le microparticelle endoteliali (EMP) totali e ad origine dal circolo si-stemico, ma non quelle di origine polmonare, sono risultate significativamente più alte nei pazienti di grado D (p=0,049 in entrambi i casi) rispetto al grup-po A-C. Le microparticelle di derivazione monocitaria mostrano, invece, solo una modestissima tendenza (p=0,085) ad avere livelli più alti nel gruppo D. Non si evidenziano, infine, differenze significative per gli altri parametri di in-fiammazione indagati. Inoltre, le EMP totali correlano in modo diretto con i sintomi espressi dal punteggio CAT (p=0,042), mentre le EMP di origine siste-mica correlano sia con il punteggio CAT (p=0,042) sia con il grado di dispnea secondo la scala mMRC (p=0,033). Per quanto riguarda la funzione respirato-ria, c’è solo una certa tendenza ad una relazione inversa tra EMP totali e FEV1, così come tra EMP ad origine dal circolo polmonare e FEV1 (in entrambi i casi p=0,07). Si osservano, inoltre, una tendenza ad una relazione inversa tra EMP di origine polmonare e consumo di ossigeno al picco del test cardiopolmonare (p=0,07), così come tra MP di origine monocitaria e consumo di ossigeno al

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pic-co del test cardiopolmonare (p=0,053). Non sono presenti, invece, pic-correlazioni significative tra microparticelle (sia di origine endoteliale che monocitaria) ed i principali parametri cardiovascolari, metabolici, di infiammazione sistemica o altri parametri di funzione respiratoria. Dal confronto tra gruppi GOLD per i dati cardiovascolari sono emerse due relazioni: i pazienti in classe GOLD D presentano una frequenza cardiaca basale, registrata in occasione della valuta-zione della rigidità arteriosa, significativamente maggiore rispetto al gruppo A-C (76 bpm contro 65 bpm, p=0,042). Vi è poi una forte tendenza (p=0,06) ad una differenza nella valutazione dell’eiezione ventricolare sinistra con Wave Intensity (1st-2nd): i soggetti in classe D GOLD, infatti, mostrano un tempo di eiezione tendenzialmente ridotto rispetto agli altri (240 ms contro 264 ms). Lo studio della disfunzione endoteliale con metodica EndoPAT non ha mostrato differenze degne di nota tra i due gruppi, né sono emerse significative differen-ze confrontando i livelli di NT-proBNP e troponina circolanti tra i due gruppi in questione.

Commento ai risultati

Coerentemente con questi dati, la nostra osservazione, pur su un campione di soggetti limitato, ha permesso di individuare una significativa correlazione tra EMP totali e sistemiche e la gravità della BPCO valutata secondo il documento GOLD 2011. I soggetti appartenenti al gruppo D (più sintomatici, con una più grave limitazione al flusso, con una storia di riacutizzazioni maggiore) hanno mostrato livelli circolanti di EMP più elevati rispetto all’insieme dei soggetti appartenenti a ciascuno dei restanti gruppi (A+B+C). In letteratura non esi-stono, ad oggi e secondo le nostre conoscenze, lavori pubblicati riguardanti i livelli di EMP nei pazienti BPCO, classificati secondo il sistema proposto dalle linee guida GOLD 2011, includente funzione respiratoria, sintomi e storia di riacutizzazioni. Nella stessa direzione dei dati precedenti va anche il riscontro di una tendenza, benché molto modesta, ad avere livelli di MP monocitarie più elevati nei soggetti con BPCO grave. Se si considerano i soggetti anche dal punto di vista dei sintomi, si evince che i più sintomatici in termini di punteg-gio CAT e di dispnea secondo la scala mMRC, sono ancora una volta, quelli con EMP totali e sistemiche più elevate. Infine, anche il confronto tra funzione respiratoria, valutata con spirometria (FEV1), ed EMP fornisce risultati concor-di con i precedenti, sebbene si tratti solo concor-di una tendenza: le EMP, sia totali sia

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di origine polmonare, sono più numerose nel circolo sanguigno dei soggetti con una limitazione al flusso più grave. Nella nostra casistica non abbiamo trovato, invece, una relazione tra EMP e tasso di riacutizzazioni. Nell’insie-me, quindi, queste evidenze sembrano convergere verso un possibile ruolo per le EMP di marcatori di maggiore gravità di malattia, potenzialmente utili al completamento della valutazione clinica e all’inquadramento globale del ri-schio nel soggetto affetto da BPCO, in fase stabile di malattia.

Nella nostra casistica, le EMP di origine polmonare e le MP monocitarie hanno mostrato un trend in aumento nei soggetti che registravano un minor consu-mo di ossigeno al picco dello sforzo. Questo dato potrebbe essere interpretato come un segnale di attivazione endoteliale e monocitaria condizionante la ca-pacità del paziente di compiere esercizio fisico. In quest’ottica, le EMP potreb-bero rappresentare anche un marcatore di tolleranza all’esercizio nei pazienti affetti da BPCO.

L’insieme delle modificazioni cardiovascolari osservate nel gruppo D rispetto al gruppo A-C sembrano suggerire la presenza di una disfunzione ventricolare sistolica sinistra subclinica nei pazienti con malattia più avanzata.

Ovviamente, vista l’esiguità della nostra casistica in confronto a quelle di altri studi citati nella tesi, non è possibile per noi esprimere una valutazione at-tendibile sull’andamento delle comorbidità cardiovascolari nel nostro campio-ne. A sostegno dell’originalità del nostro disegno e dei dati trovati, tuttavia, dobbiamo citare il metodo usato per la valutazione cardiovascolare: infatti, mentre generalmente in letteratura viene riportata una misurazione della ri-gidità arteriosa mediante la cosiddetta Pulse-Wave Velocity carotido-femorale, nel presente studio è stato utilizzato il metodo della Wave Intensity, per cui i nostri risultati sono difficilmente confrontabili con la letteratura citata. Di con-seguenza, ci si è domandati se può sussistere una relazione biologica tra livelli di MP circolanti e comorbidità cardiovascolare nella BPCO grave. In effetti, questi due riscontri potrebbero avere un nesso, se si considera che gli indici di disfunzione ventricolare sinistra possano essere più alterati nei pazienti con BPCO più grave, nei quali è presente anche un numero più elevato di EMP. Le EMP potrebbero quindi caratterizzare uno stadio più avanzato di malattia pol-monare in relazione a più gravi comorbidità cardiovascolari (e rappresentare pertanto un semplice marcatore), oppure costituire un vero e proprio elemen-to paelemen-togenetico causante un incremenelemen-to del danno cardiovascolare nella BPCO

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grave. Naturalmente, date la natura osservazionale del nostro lavoro e l’esi-guità del campione in studio, non siamo assolutamente in grado di stabilire un eventuale nesso di causa tra i livelli di EMP ed i riscontri ottenuti dalla valuta-zione cardiovascolare, e quindi di rispondere a questi interrogativi. La ricerca della relazione tra gravità/tipologia della BPCO e biomarcatori circolanti di origine endoteliale potrebbe fornire il nesso di causalità che lega la BPCO alle altre manifestazioni patologiche di organi ed apparati (inclusi il sistema car-diovascolare, il sistema muscolo-scheletrico, il SNC in termini di componente depressiva, la sindrome metabolica in termini di attivazione del tessuto adipo-so, del pancreas e del fegato. In questi termini, la cosiddetta "infiammazione sistemica" della BPCO potrebbe quindi assumere una connotazione più defini-ta.

Sempre a proposito di infiammazione sistemica, è emersa una differenza forte-mente significativa nei livelli di fibrinogeno: nel nostro campione in particola-re, esso si presenta più elevato nei soggetti con migliore funzione respiratoria (FEV1 ≥50%). Ciò potrebbe anche suggerire come i soggetti con limitazione al flusso aereo meno compromessa abbiano una flogosi sistemica più spiccata. Tuttavia, gli altri indici di flogosi comunemente utilizzati (PCR, conta leucoci-taria totale, IL-6, TNF-α) non hanno mostrato significative differenze nei due gruppi. Inoltre, nei principali lavori pubblicati sull’argomento (Agusti e col-laboratori), non era stata evidenziata una chiara relazione tra elevazione ne-gli indici di flogosi sistemica e la funzione respiratoria espressa in termini di FEV1. Il significato di questo nostro riscontro, pertanto, rimane al momento ancora da chiarire.

Ovviamente il nostro studio presenta alcuni limiti, tra i quali l’esiguità del cam-pione in studio, la mancanza di standard di riferimento sui valori normali di MP nei soggetti sani (rendendo pertanto impossibile formulare un giudizio sui livelli assoluti di MP circolanti misurate), l’assenza di un gruppo di soggetti di controllo, con i quali poter confrontare i maggiori parametri indagati. Per i motivi appena esposti, quindi, ci promettiamo di acquisire un numero mag-giore di rilevazioni, vista l’assoluta preliminarietà di questa osservazione. Questo studio ha anche dei punti di forza: in primo luogo, è stata effettua-ta una valueffettua-tazione complessiva dal punto di viseffettua-ta della funzione respiratoria, cardiovascolare e di diversi indici circolanti di infiammazione sistemica, ol-tre alle MP di diversa origine cellulare, un marcatore emergente nella BPCO,

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il cui esatto ruolo è ancora in via di definizione. Inoltre, abbiamo caratteriz-zato il letto vascolare di origine delle EMP (circolo sistemico o polmonare), nell’ottica di mettere meglio in relazione patologia polmonare e sito specifi-co di danno vasspecifi-colare. Infine, la scelta di mettere in relazione i livelli di vari marcatori (EMP in primis) con il livello di malattia valutato secondo una scala multidimensionale come quella delle linee guida GOLD 2011 (includente fun-zione respiratoria, sintomi e storia di riacutizzazioni), può permettere una più completa valutazione del ruolo di tali marcatori nell’ambito di una malattia eterogenea quale la BPCO.

Conclusioni

In conclusione, questo studio ha messo in evidenza la presenza di livelli signi-ficativamente più elevati di microparticelle di origine endoteliale (sia totali che di origine sistemica) nei pazienti con BPCO di grado più avanzato (secondo la classificazione GOLD 2011); gli stessi pazienti mostravano anche una compro-missione in alcuni indici cardiovascolari: una maggiore frequenza cardiaca ba-sale e un tempo di eiezione ventricolare tendenzialmente ridotto. Questi dati suggeriscono che le EMP possano rappresentare almeno un marcatore di mag-giore gravità di malattia, probabilmente in relazione ad un più significativo danno dell’endotelio del circolo sistemico. Inoltre, il fatto che i livelli di EMP totali e di origine sistemica correlino significativamente con i sintomi, fa pen-sare, insieme a quanto detto in precedenza, che le EMP possano essere un uti-le strumento nell’interpretazione e nell’approccio ad una patologia computi-lessa ed eterogenea quale la BPCO. Ovviamente, vista la natura osservazionale del nostro studio, non possiamo che ritenere questi risultati come assolutamente preliminari, ma comunque utili come punto di partenza per proseguire la ri-cerca in questo senso, con lo scopo ultimo di valutare i rapporti patogenetici (ed identificarne i mediatori) tra BPCO e le sue comorbidità cardiovascolari.

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La Broncopneumopatia

Cronica Ostruttiva (BPCO)

1.1

Definizione, note di epidemiologia e di

patogenesi

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è attualmente definita, se-condo il documento GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease), come "una patologia frequente, prevenibile e trattabile, caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazione al flusso, dovuta ad anormali-tà a livello delle vie aeree e/o degli alveoli, di solito causate da significative esposizioni a particelle o gas nocivi" [1].

Il primo elemento che emerge dalla definizione della patologia è quindi la sua rilevante frequenza: in effetti, valutando gli studi epidemiologici più recenti, è possibile concludere che la BPCO ha una prevalenza intorno all’8-10% negli adulti ultraquarantenni, nei Paesi industrializzati, un dato tendenzialmente stabile negli ultimi anni [2]; peraltro, le stime di prevalenza rinvenibili in Let-teratura possono variare, a seconda del metodo utilizzato per porre diagnosi di malattia (in particolare, la principale differenza tra gli studi riguarda l’utilizzo di una definizione "clinica", eseguita nel setting della medicina di base, ripetto ad una diagnosi che si avvale del dato funzionale misurato con spirometria, in ambito specialistico) [1]. La BPCO ha comunque anche un significativo impat-to per quanimpat-to riguarda la mortalità, visimpat-to che tale paimpat-tologia rappresenterebbe ad oggi la terza causa di morte nel mondo, con una tendenza, almeno nei Paesi industrializzati, ad una lieve riduzione, soprattutto nel sesso maschile [3]. In questo senso, è interessante notare come nei Paesi in via di sviluppo l’inciden-za e le morti attribuibili alla patologia siano in crescita; in una certa quota dei casi, peraltro, specie nel sesso femminile, può essere implicata anche un’espo-sizione ambientale legata all’utilizzo di carbone e biomasse per la cucina ed il

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riscaldamento degli ambienti domestici [4, 5].

Il secondo punto caratterizzante la patologia è quello relativo alla costante limitazione al flusso: essa viene definita unicamente da un test funzionale, quale la spirometria, che quindi diventa esame essenziale per porre una cor-retta diagnosi di BPCO. La definizione spirometrica di ostruzione al flusso è stato oggetto di discussione nel tempo. Le già citate linee guida GOLD [1], di impostazione prevalentemente statunitense, utilizzano un parametro fisso per definire la presenza di ostruzione, cioè un rapporto fra volume massimo espirato nel primo secondo (FEV1: forced expiratory volume in 1 second) e capacità vitale forzata (FVC: forced vital capacity), misurato dopo la sommini-strazione di broncodilatatore, inferiore a 0,7. La Letteratura Europea, invece, ritiene più adeguata la valutazione del rapporto tra FEV1 e capacità vitale len-ta (SVC: slow vilen-tal capacity), calcolato in percentuale del valore predetto: in questo caso, si parla di ostruzione quando il rapporto FEV1/SVC è inferiore al 5◦ percentile del valore predetto; questo tipo di approccio dovrebbe evitare

la sovrastima di casi di ostruzione in pazienti anziani che si ha con il metodo statunitense [6].

Dal punto di vista fisiopatologico l’ostruzione al flusso è stata correlata, negli studi classici di Hogg e collaboratori [7, 8] a due principali aspetti: la patologia delle piccole vie aeree, che risultano rimodellate e ridotte di calibro, e l’enfise-ma (quindi la distruzione del parenchil’enfise-ma), che provoca a sua volta riduzione del ritorno elastico del polmone e rottura degli attacchi alveolari alle vie aeree stesse. Queste alterazioni anatomo-patologiche sarebbero causate da proces-si infiammatori complesproces-si, coinvolgenti cellule proces-sia dell’immunità innata proces-sia di quella acquisita, oltre ad elementi epiteliali e, ovviamente, varie citochine con i loro rispettivi recettori e bersagli [Figura1.1].

In questo senso, in un lavoro di Fabbri e collaboratori [9], il pattern infiam-matorio valutato su espettorato, liquido di lavaggio broncoalveolare (BAL) e biopsie transbronchiali nei pazienti con BPCO era caratteristico (e diverso da un gruppo di confronto di pazienti asmatici con ostruzione persistente al flus-so), con prevalenza di neutrofili e linfociti CD8+. Come detto in precedenza, nei processi infiammatori tipici della BPCO sono coinvolte non solo le cellu-le immunitarie, ma anche cellucellu-le dell’epitelio bronchiacellu-le e alveolare, cellu-le quali, ad esempio, vengono attivate dal contatto con tossici, come il fumo di sigaret-ta, ed hanno anche un ruolo diretto nella formazione del danno tissutale, dal

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Figura 1.1: Hogg et al. 2004. Immunità innata e acquisita in pazienti con BPCO in ciascun grado GOLD.Il grafico mostra l’entità della risposta infiammatoria nelle vie aeree nei di-versi stadi GOLD, espressa in percentuale di cellule immunitarie (polimorfonucleati neutrofili -PMNs-, macrofagi, eosinofili, linfociti T CD4+, CD8+e linfociti B).

momento che, una volta stimolate da agenti tossici, possono produrre, spe-cialmente a livello delle piccole vie aeree, il fattore di crescita trasformante β (Transforming Growth Factor β: TGF-β), con conseguente formazione di fibro-si peribronchiolare, determinante nella patogenefibro-si della malattia delle piccole vie aeree stesse [10].

In questo contesto, pare che i macrofagi agiscano da veri e propri coordinatori della risposta infiammatoria nella BPCO [11]: in effetti, essi risultano marcata-mente aumentati nei pazienti affetti da BPCO, sia nelle vie aeree sia nel BAL o nell’espettorato, ed una volta attivati, sia da fattori esogeni come il fumo sia da citochine (anche di produzione epiteliale), producono a loro volta - tramite l’azione principalmente del fattore di trascrizione nucleare NF-kB - molecole chemiotattiche (ad esempio il ligando della chemochina 2, Chemokine Ligand 2: CCL2), mediatori dell’infiammazione (fattore di necrosi tumorale α - TNF-α, iterleuchina-8 - IL-8, ligando della chemochina CXC 1 - CXCL1 - o il leucotrie-ne B4, LTB4) o anche molecole effettrici come le specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxigen Species: ROS) o enzimi proteolitici come le metalloproteinasi di matrice (Matrix Metalloproteinase: MMP-2, MMP-9, MMP-12), le catepsine K, L e S e l’elastasi neutrofila. Alcune di queste molecole possono esercitare direttamente un’azione lesiva sul parenchima polmonare.

Un’altra popolazione cellulare fondamentale nei processi infiammatori carat-teristici della BPCO è quella dei linfociti T. Secondo un’interessante ipotesi pro-posta alcuni anni fa da Cosio e collaboratori [12], tali cellule sarebbero

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prota-goniste di processi "disimmunitari" (o addirittura autoimmunitari), che con-tribuirebbero in modo determinante a creare il danno tissutale caratteristico della malattia. Infatti, nell’ipotesi degli Autori, un agente esterno tossico (ad es. il fumo di sigaretta) che raggiunga l’epitelio bronchiale innescherebbe una prima risposta di tipo non specifico, incentrata su macrofagi e neutrofili, con liberazione anche di enzimi proteolitici e, quindi, danno parenchimale.

Il danno cellulare porterebbe alla liberazione di peptidi che, in qualità di poten-ziali antigeni, sarebbero captati e processati dalle cellule dendritiche. Questo processo, che si verificherebbe sostanzialmente in tutti i fumatori, rappresen-terebbe un primo punto di snodo fisiopatologico: infatti, in coloro che svi-luppano la BPCO (specialmente nelle sue forme più avanzate), esso non re-sterebbe controllato dai meccanismi di tolleranza immunitaria, ma porterebbe alla maturazione delle cellule dendritiche e alla loro migrazione nei linfonodi loco-regionali, dove presenterebbero gli antigeni ai linfociti T, con conseguente sviluppo di una risposta immunitaria specifica, mediata principalmente dalle cellule CD8+ [Figura1.2]. Anche qui si presenta un nuovo punto di svolta: qualora il sistema immunitario del soggetto non avesse un efficiente meccani-smo regolatore della risposta immune, i linfociti T attivati raggiungerebbero il parenchima polmonare e le vie aeree, producendo a tale livello il danno ana-tomopatologico caratteristico della malattia in fase avanzata. L’infiammazione rappresenta quindi il substrato fisiopatologico fondamentale dello sviluppo della BPCO, rendendosi alla fine verosimilmente responsabile anche di molte manifestazioni cliniche della patologia, non solo respiratorie.

In questa ottica, negli ultimi dieci anni circa, la letteratura scientifica si è con-centrata sempre di più sulla BPCO come patologia caratterizzata da una cosid-detta "infiammazione sistemica". In effetti, più studi hanno mostrato come sia-no presenti, nel circolo sistemico dei pazienti affetti da BPCO, elevate concen-trazioni di molecole pro-infiammatorie in senso lato (TNF-α, IL-1, IL-6, IL-8, proteina C reattiva - PCR, fibrinogeno) [13, 14], i cui livelli correlano inversa-mente con la funzione polmonare. L’ipotesi attualinversa-mente più accreditata sulla genesi dell’infiammazione sistemica nella BPCO è quella del cosiddetto "spill-over", cioè un riversarsi dei mediatori della flogosi dal parenchima polmonare (luogo in cui sarebbero prodotti) nel torrente ematico, fino a raggiungere ov-viamente il circolo sistemico [10]. In quest’ottica è stata addirittura ipotizzata la presenza di una "sindrome infiammatoria sistemica cronica" [15], secondo

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Figura 1.2: Cosio et al. 2009. Immunità innata e acquisita in pazienti con BPCO in ciascun grado GOLD.STEP 1: Risposta innata al fumo di sigaretta. Il fumo danneggia le cel-lule dell’epitelio bronchiale, le quali rilasciano segnali di pericolo (ligandi dei toll-like receptors-TLRs) innescando una catena di eventi che dalla produzione di citochine e chemochine da parte dei mediatori dell’immunità innata arriva all’attivazione e migrazione delle cellule dendritiche nei linfonodi, organi in cui viene stimolata la proliferazione dei linfociti T. Quando questi processi vengono controllati, ar-restandosi prima dello sviluppo dell’immunità adattativa, il soggetto fumatore si colloca in uno stadio precedente rispetto al GOLD 1, non avendo ancora la BPCO. STEP 2: Proliferazione dei linfociti T. Le cellule dendritiche giunte nei linfonodi stimolano le cellule T, le quali proliferano e si differenziano in linfociti T helper CD4+e citotossici CD8+. In queste fasi l’immunoregolazione o i meccanismi di tolleranza determineranno il grado di proliferazione dei linfociti T, l’homing e infine la gravità della malattia. STEP 3: Immunità acquisita. Il fallimento della tolleranza o dell’immunoregolazione conduce all’allestimento di una immunnità adattativa, o addirittura autoimmunità, nel parenchima polmonare, in termini di linfociti T helper CD4+, T citotossici CD8+e B secernenti IgG. Il processo infiammatorio che ne risulta, coadiuvato dallo stress ossidativo e dal rilascio di proteinasi da parte delle cellule del-l’immunità innata, conduce a necrosi cellulare e apoptosi, danno tissutale, rimodellamento bronchiale, enfisema e ulteriore liberazione di materiale antigenico con perpetuazione del processo.

(21)

cui la flogosi sistemica sarebbe il comune denominatore di varie condizioni che si presentano assieme alla BPCO, la quale non andrebbe più considerata come una semplice malattia polmonare, ma sostanzialmente come una patolo-gia sistemica, anche se ad oggi non è ancora presente una solida dimostrazione di questa teoria [Figura1.3].

Figura 1.3: Fabbri et al. 2008. Ruolo centrale dell’infiammazione sistemica nelle comorbidità della BPCO.L’infiammazione sembra giocare un ruolo centrale nella patogenesi della BPCO e di altre malattie infiammatorie croniche sistemiche. In quanto parte dei processi infiammatori cronici, alcuni polimorfismi del recettore del TNF-α sono associati ad una maggiore gravità di malattia, probabilmente dovuta all’amplificazione degli effetti del TNF-α. Inoltre, i livelli di PCR potrebbero essere aumentati per effetto diretto del TNF-α o di altre citochine. Elevati livelli di PCR e fibrinogeno potrebbero essere cruciali nella patogenesi delle malattie cardiovascolari. Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) rilasciate in circolo a causa della BPCO potrebbero aumentare la probabilità per un paziente di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi. IL: interleuchina; ?: ignoto; +ve: positive.

(22)

1.2

Diagnosi, quadro clinico e valutazione di

gravità della patologia

Come accennato in precedenza, per porre diagnosi di BPCO è indispensabile la dimostrazione, tramite spirometria, di un’ostruzione permanente al flusso espiratorio [1]. Il dato funzionale, pur necessario, non è però sufficiente per porre diagnosi, in quanto esso è presente anche in condizioni patologiche di-verse dalla BPCO (certi casi di asma o di bronchiectasie oppure addirittura alcuni casi di sarcoidosi): è quindi indispensabile avere anche un quadro clini-co clini-coerente.

Tipicamente il paziente affetto da BPCO ha una storia di fumo più o meno rilevante, può avere un’esposizione ambientale o professionale a rischio (più infrequente nella realtà italiana rispetto ai Paesi in via di sviluppo), in genere ha sintomi respiratori cronici, quali dispnea progressiva nel corso di anni, as-sociata o meno a tosse e/o produzione di espettorato. Inoltre, con una buona raccolta anamnestica è possibile individuare la presenza di pregressi episodi di infezioni delle vie aeree inferiori, a volte ricorrenti e anche gravi, compatibili con riacutizzazioni di malattia, definite come peggioramenti acuti dei sintomi respiratori che necessitano di una terapia addizionale [1]. Le riacutizzazioni, in effetti, rappresentano un evento di grande importanza nella valutazione di gravità del singolo paziente e nella sua gestione nel tempo. Infatti, la presenza di riacutizzazioni gravi (cioè che abbiano condotto all’ospedalizzazione del pa-ziente) o frequenti (almeno 2 all’anno), rappresenta un potente fattore progno-stico negativo in questi soggetti [16], associandosi ad una bassa sopravvivenza nell’arco dei 5 anni [Figura1.4].

Per tale ragione, nel documento GOLD [1], la storia di frequenti e/o gravi riacutizzazioni rappresenta un indice di maggiore gravità del paziente. Vista l’importanza di questi eventi, si è cercato di identificarne possibili predittori: in questo senso, un’analisi significativa è quella condotta sui pazienti arruolati nello studio osservazionale ECLIPSE (Evaluation of COPD Longitudinally to Identify Predictive Surrogate Endpoints) [17], nei quali è stato visto come il miglior predittore di future riacutizzazioni sia una storia pregressa di frequen-ti riacufrequen-tizzazioni.

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Figura 1.4: Soler-Cataluna et al. 2005. Impatto delle riacutizzazioni della BPCO sulla sopravvivenza a 5 anni. A sinistra: curve di sopravvivenza in relazione alla frequenza di riacutizzazioni in pazienti con BPCO: gruppo A, pazienti senza riacutizzazioni; gruppo B, pazienti con 1-2 riacutizzazioni con ospedalizzazione; gruppo C, pazienti con più di 3 riacutizzazioni. A destra: curve di sopravvivenza in relazione alla gravità delle riacutizzazioni in pazienti con BPCO: (1) pazienti senza riacutizzazioni; (2) pazienti con riacutizzazioni che richiedevano accesso in pronto soccorso ma non ricovero; (3) pazienti con riacutizzazioni che hanno richiesto un ricovero in ospedale; (4) pazienti con più ospedalizzazioni.

elementi. Il primo è quello clinico, legato ai sintomi, che possono essere va-lutati o con la classica scala della dispnea del Medical Research Council (scala mMRC) oppure con un questionario in 8 punti come il CAT (COPD Assess-ment Test) [1]: pazienti che abbiano un punteggio della dispnea pari almeno a 2 oppure uno score nel CAT di almeno 10 vengono considerati fortemente sin-tomatici. Il secondo elemento, invece, è quello spirometrico, legato alla gravità dell’ostruzione valutata in termini di riduzione del FEV1, come segue [1]:

• ostruzione lieve (GOLD 1): FEV1 ≥ 80% predetto;

• ostruzione moderata (GOLD 2): 50% ≤ FEV1 < 80% predetto; • ostruzione grave (GOLD 3): 30% ≤ FEV1 < 50% predetto; • ostruzione molto grave (GOLD 4): FEV1 < 30% predetto.

La scelta di questo indice è motivata dal suo significato prognostico, mentre ha solo una modesta relazione con l’entità dei sintomi, motivo per il quale viene consigliata la valutazione di entrambi gli aspetti [1].

In questo modo la nuova classificazione di gravità GOLD 2011 divide i pa-zienti nei quattro gruppi ABCD illustrati in [Figura1.5]. Alla parte sinistra del

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riquadro appartengono i pazienti con sintomi lievi (CAT <10) o minore dis-pnea (mMRC 0-1), il cui rischio può essere basso (GRUPPO A) in presenza di limitazione del flusso aereo lieve o moderata oppure di 0-1 riacutizzazioni nei 12 mesi precedenti e nessuna ospedalizzazione per riacutizzazioni; viceversa, il rischio è elevato (GRUPPO C) nei soggetti con FEV1 <50% del predetto e/o ≥2 riacutizzazioni nei 12 mesi precedenti o almeno una ospedalizzazione per riacutizzazione. Nella parte destra del riquadro si collocano, invece, i pazienti fortemente sintomatici (CAT ≥10 o mMRC ≥2), suddivisi in GRUPPO B e D in base al rischio basso o elevato, rispettivamente.

Figura 1.5:Documento GOLD 2015.Valutazione combinata di gravità della BPCO.

La valutazione di gravità del paziente, peraltro, può essere eseguita anche con altri strumenti. Nel tentativo di superare la dimensione legata solo alla mi-surazione della funzione polmonare, alcuni anni fa è stato proposto un indice multidimensionale, chiamato indice BODE, che considerava, oltre alla funzio-ne polmonare, anche l’indice di massa corporea, la dispfunzio-nea valutata con la scala mMRC e la capacità d’esercizio misurata con il test del cammino in 6

(25)

minuti [18]. In effetti, l’indice BODE mostrava una buona correlazione con la sopravvivenza nei pazienti affetti da BPCO. Variazioni di questo indice sono state successivamente proposte [19] e, pur non trovando una larga applica-zione nella pratica clinica, confermano comunque la capacità di inquadrare prognosticamente questi pazienti.

1.3

Comorbidità della BPCO

Nella valutazione complessiva di un paziente affetto da BPCO non possono essere ignorate le comorbidità, cioè quelle patologie che si presentano assieme alla BPCO e con maggior frequenza in questi soggetti rispetto a quelli non af-fetti, tanto da far ipotizzare un nesso causale tra le varie condizioni. Esse sono molteplici: malattie cardiovascolari, diabete, neoplasie (del polmone, ma non solo), osteoporosi, alterazioni dell’umore e della quota ansiosa.

Nel tentativo di rappresentare l’insieme di tali patologie, la loro frequenza ed importanza relativa, anche dal punto di vista prognostico, è stato introdotto il concetto di "comorbidoma" da Divo e collaboratori [20].

Un altro lavoro su un’ampia casistica [21], ricavata da due studi condotti su patologie cardiovascolari (Atherosclerosis Risk in Communities Study - ARIC - e Cardiovascular Health Study - CHS) ha mostrato come la prevalenza delle patologie cardiovascolari (cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, cere-bropatia vascolare), dell’ipertensione arteriosa e del diabete fosse maggiore nei pazienti con BPCO avanzata rispetto ai soggetti non affetti (dopo corre-zione per età, sesso, razza, storia di fumo, indice di massa corporea, livello di educazione). Nello stesso lavoro si mostrava come anche il rischio di ospeda-lizzazione e di morte crescesse nei pazienti con BPCO al crescere del numero di comorbidità [Figura1.6].

Un segnale analogo si ricava da un altro studio del 2010 [22], condotto in una popolazione di pazienti con diagnosi di BPCO effettuata dal medico di fami-glia, i quali mostravano un aumentato rischio di essere affetti da patologie cardio- o cerebrovascolari o da diabete. Anche le riacutizzazioni sembrano giocare un ruolo critico nello sviluppo di comorbidità, in particolare Portegies e colleghi hanno registrato un rischio di ictus sei volte maggiore nelle 7 set-timane successive all’esordio della fase acuta [23]. Quindi, l’infiammazione sistemica associata alla riacutizzazione, l’ipossia e la conseguente disfunzione

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Figura 1.6:Mannino et al. 2008.A sinistra: mortalità a 5 anni in base alla categoria GOLD e alla presenza e al numero di comorbidità (diabete, ipertensione, malattia cardiovascolare). A destra: rischio di ospedalizzazione a 5 anni per categoria GOLD e per presenza e numero di comorbidità (diabete, iper-tensione, malattia cardiovascolare). Grigio chiaro: nessuna comorbidità, bianco: 1 comorbidità, grigio scuro: 2 comorbidità, nero: 3 comorbidità. (R): quadro funzionale restrittivo, FEV1/FVC ≥0.70 e FVC <80% pred. GOLD 0: sintomi respiratori in assenza di anomalie funzionali o di malattia polmonare.

endoteliale potrebbero contribuire alla reattività vascolare, alla rottura di plac-che aterosclerotiplac-che e allo sviluppo di stroke [24].

L’importanza del trattamento delle comorbidità della BPCO è sottolineata an-che in un articolo di revisione di Luppi e collaboratori del 2008 [25], an-che racco-gliendo diversi lavori sul tema, mostra come farmaci quali β-bloccanti o ACE-inibitori siano sicuri ed abbiano dato risultati positivi nella gestione dei pa-zienti affetti da BPCO. Inoltre, dalla casistica dello studio SUMMIT (Study to Understand Mortality and Morbidity) condotto su pazienti con BPCO mode-rata sintomatica e storia di malattia cardiovascolare [26], Stone e collaboratori hanno rilevato un miglioramento della funzione cardiaca (valutata con Riso-nanza Magnetica) a seguito del trattamento dei pazienti con terapia inalatoria combinata (Fluticasone furoato e Vilanterolo) [27].

Verosimilmente, almeno secondo un criterio epidemiologico (in particolare re-lativamente alla mortalità), le comorbidità più rilevanti della BPCO sono quel-le cardiovascolari. Gli studi epidemiologici indicano, infatti, come il rischio di mortalità per patologie cardiovascolari sia circa raddoppiato nei pazienti af-fetti da BPCO [28]. In efaf-fetti anche i dati derivati da analisi dei grandi studi condotti nel decennio scorso hanno confermato questo andamento. In una sot-toanalisi del già citato studio ECLIPSE, ad esempio, [29] è stata osservata una significativa maggiore prevalenza di patologia cardiovascolare nei pazienti af-fetti da BPCO rispetto ai controlli sani, peraltro in maniera scarsamente

(27)

corre-lata al grado di severità dell’ostruzione bronchiale. Anche nello studio TORCH (Towards a Revolution in COPD Health), che ha arruolato oltre 6000 pazienti affetti da BPCO, è stato rilevato come il 27% dei soggetti sia deceduto per ma-lattie cardiovascolari [30].

Una relazione è stata individuata tra funzione respiratoria (valutata in termini di FEV1) e comorbidità cardiovascolari. Ad esempio, in un lavoro di Schüne-mann e collaboratori [31], nel quale sono stati valutati in un lungo follow-up oltre 1000 soggetti residenti a Buffalo, negli Stati Uniti, è stato evidenziato co-me i valori di FEV1 (espressi coco-me percentuale del massimo predetto), una volta corretta l’analisi per età, sesso, indice di massa corporea, abitudine al fumo, pressione arteriosa sistolica e livello di educazione scolastica, fossero in-versamente correlati alla mortalità da ogni causa, in maniera statisticamente significativa; da notare che la riduzione dei valori di FEV1 era correlato anche con la mortalità per cardiopatia ischemica, con un rischio circa raddoppiato nei soggetti appartenenti al quintile con FEV1 minore. A conferma di ciò an-che i risultati ottenuti da Sin e collaboratori nel 2005 [32] [Figura1.7], an-che su un’ampia casistica (oltre 1800 pazienti), hanno riscontrato come i pazienti con più basso FEV1 mostrassero un aumentato rischio (circa triplicato) di mortalità cardiovascolare, indipendentemente dall’età, dal sesso e dalla storia di fumo. È chiaro come BPCO e patologie cardiovascolari condividano diversi fattori di rischio, alcuni non modificabili (l’età), altri modificabili, in primis il fumo di sigaretta, tanto che si potrebbe pensare ad una semplice associazione tra le due condizioni, piuttosto che a un rapporto fisiopatologico stretto. Tuttavia, in uno studio di popolazione condotto in Scozia [33], è stata individuata una relazione tra FEV1 e mortalità per patologia coronarica ed ictus anche nei sog-getti che non hanno mai fumato, sostenendo l’ipotesi quindi di una relazione tra funzione polmonare e patologia cardiovascolare che vada oltre l’esposizo-ne ad un tossico quale il fumo di sigaretta. Peraltro, in un lavoro di Iwamoto e collaboratori [34] i pazienti affetti da BPCO mostravano un significativo au-mento dello spessore medio intimale carotideo (che rappresenta un indice di danno vascolare su base aterosclerotica) rispetto ai controlli appaiati con so-vrapponibile storia di fumo.

In definitiva, esisterebbe un meccanismo fisiopatologico che legherebbe BPCO e comorbidità, specie quelle cardiovascolari: esso potrebbe essere rappresen-tato dalla già citata infiammazione sistemica.

(28)

Figura 1.7: Sin et al. 2005. Rischio Relativo di mortalità cardiovascolare in base ai quintili di FEV1.

1.4

BPCO, infiammazione sistemica e comorbidità

cardiovascolari

In effetti, secondo alcuni Autori [35] sarebbe proprio l’infiammazione sistemi-ca a collegare BPCO e comorbidità (o almeno alcune di esse) [Figura1.8]. In una delle sottoanalisi dello studio osservazionale ECLIPSE [36], per esem-pio, la presenza di infiammazione sistemica (definita dalla conta leucocitaria totale e dai valori plasmatici di PCR, IL-8, IL-6, TNF-α e fibrinogeno) e la sua persistenza nel tempo (definita come stabile aumento di almeno 2 dei parame-tri suddetti) si associava ad una significativa maggiore prevalenza di malattie cardiovascolari e ad un’aumentata mortalità per tutte le cause. In direzione analoga va un contemporaneo studio danese, condotto su oltre 8600 pazienti affetti da BPCO con un follow-up di 5 anni [37], in cui la presenza di 3 markers infiammatori "sistemici" (elevati valori di PCR, conta leucocitaria e fibrinoge-no) si associava ad un rischio più che raddoppiato di patologia cardiovascolare (infarto del miocardio o scompenso cardiaco), oltre che ad un rischio significa-tivamente più elevato di presentare altre comorbidità, quali diabete mellito di tipo 2 o cancro del polmone.

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Figura 1.8: Agusti et al. 2013. Illustrazione del modello proposto. La BPCO è una condizione caratterizzata dall’interazione tra fattori genetici ed esposizione ambientale mediata da due sensori (polmoni ed endotelio, che sono anche potenziali targets di danno), da due effettori (midollo osseo e tessuto adiposo) e da molti segnali biologici (frecce) che collegano sensori ed effettori.

Alla luce di queste ipotesi sono stati ricercati segni precoci di patologia car-diovascolare in pazienti affetti da BPCO, ma senza cardiopatia clinicamente manifesta. Una sottoanalisi del Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA) [38] ha rilevato come una maggiore estensione del danno parenchimale polmo-nare, valutato alla tomografia computerizzata (TC) del torace, correlasse con una ridotta funzione cardiaca (valutata in termini di volume sistolico e diame-tri cardiaci telediasistolici). Anche la presenza di ostruzione al flusso (misurata con la spirometria) si associava ad una ridotta funzione cardiaca, anche se in termini assoluti le differenze, pur statisticamente significative, risultavano re-lativamente modeste.

Una rivalutazione più approfondita di questa casistica [39], nella quale sono stati posti in relazione fra loro l’ostruzione al flusso e la presenza percentuale di enfisema alla TC con parametri di danno cardiovascolare subclinico, quali lo spessore medio intimale carotideo (carotid intima-media thickness - IMT), l’indice pressorio caviglia-braccio (ankle-brachial index - ABI) e la presenza di calcio coronarico (coronary artery calcium - CAC), ha evidenziato come la pre-senza e la gravità dell’ostruzione al flusso sia correlata ad un maggiore IMT, mentre la percentuale di enfisema alla TC si associ ad un ridotto ABI. Gli Au-tori concludevano quindi che la presenza di aterosclerosi subclinica in pazienti

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con danno polmonare (funzionale e/o anatomico) fosse dovuta alla presenza di disfunzione endoteliale e di patologia microvascolare. In effetti, già un lavo-ro del 2001 [40] mostrava come un danno dell’endotelio vascolare polmonare potesse avere un ruolo nella patogenesi dell’enfisema, aspetto poi riconferma-to in uno studio successivo di Kanazawa e collaborariconferma-tori del 2003 [41].

Ad ulteriore conferma di quanto detto finora, lo studio della funzione endo-teliale nella BPCO è stato infatti oggetto, negli ultimi anni, di ulteriore ricer-ca; una pubblicazione di Clarenbach e collaboratori [42] ha infatti sottolinea-to come, nonostante i meccanismi molecolari sottesi alla relazione fra BPCO e patologie cardiovascolari non siano ancora compresi appieno, la disfunzio-ne endoteliale potrebbe rappresentare un ponte fondamentale fra queste due condizioni.

1.5

Disfunzione endoteliale e BPCO

Proprio per chiarire i potenziali determinanti della funzione endoteliale nei pazienti affetti da BPCO, gli autori del succitato lavoro [42] hanno arruolato 106 pazienti affetti da BPCO, sottoponendoli alla misurazione della vasodila-tazione flusso-mediata (Flow-Mediated Dilation - FMD), metodo non invasivo per la valutazione della funzione endoteliale vascolare [43], valutazione del-la sensibilità barocettiva, ricerca dei marcatori dell’infiammazione sistemica (PCR ad alta sensibilità, IL-6, malonildialdeide), score di rischio cardiovasco-lare (score di Pocock), valutazione dell’attività fisica (numero di passi nelle 24 ore valutati con armband e test del cammino in sei minuti), prove di funzio-nalità respiratoria. In questa popolazione, le comorbidità cardiologiche erano frequenti (53%), ed è stato osservato come la funzione endoteliale valutata con FMD correlasse in maniera diretta con il FEV1, con maggiore evidenza di di-sfunzione dell’endotelio nei pazienti con maggiore ostruzione (FEV1 < 50% predetto). Nell’analisi multivariata le uniche variabili indipendentemente as-sociate con la funzione endoteliale erano il FEV1, l’attività fisica valutata con l’armband e la combinazione di questi ultimi due parametri (ottenuta arbitra-riamente moltiplicando il numero di passi nelle 24 ore per il FEV1). Poiché il FEV1 mostrava un maggior peso statistico nel sottogruppo di pazienti "po-co attivi" (individuati "po-come quelli che stavano sotto la mediana del numero di passi in 24 ore), gli Autori suggerivano che l’attività fisica potrebbe attenuare la

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progressione della disfunzione vascolare nella BPCO, incoraggiando pertanto a disegnare studi per valutare l’azione dell’allenamento sulla funzione vasco-lare.

Anche un altro lavoro è stato condotto nei pazienti BPCO per valutare qua-li fossero i determinanti della disfunzione endotequa-liale [44]; in tale studio gqua-li Autori hanno misurato la disfunzione endoteliale con la tonometria arteriosa periferica (tecnologia PAT, Peripheral Arterial Tonometry) [45], evidenziando come uno dei maggiori responsabili della disfunzione endoteliale fosse rappre-sentato da una ridotta tolleranza all’esercizio, valutata con il test del cammino in 6 minuti, confermando in qualche modo i dati emersi nel lavoro preceden-temente citato.

Un altro metodo potenziale per lo studio della funzione endoteliale e vascolare è costituito dalla misurazione delle microparticelle di origine endoteliale, co-me riportato anche in un docuco-mento europeo sull’argoco-mento [46]; è comunque utile esporre brevemente le principali caratteristiche inerenti le microparticelle.

1.6

Le microparticelle di origine endoteliale

Le microparticelle (MP) sono delle vescicole di dimensioni inferiori al micron (0,1-1,0 µm), che si originano dalla membrana citoplasmatica virtualmente di tutte le cellule eucariote in risposta a numerosi stimoli [47] [Figura1.9].

I principali tipi cellulari finora individuati come origine delle MP sono le cel-lule endoteliali, i leucociti e le piastrine; per distinguere il tipo cellulare di origine delle vescicole viene condotto uno studio degli antigeni di superficie, alcuni dei quali sono infatti caratteristici di specifiche popolazioni cellulari. È noto come il doppio strato fosfolipidico delle membrane cellulari sia asimme-trico nella composizione (con predominanza di fosfatidilserina e fosfatidile-tanolamina sul versante intracellulare e di sfingomielina e fosfatidilcolina al-l’esterno), riflettendo in questo modo le diverse funzioni che ognuno dei due strati svolge nella vita della cellula stessa; tale composizione è regolata dall’a-zione di tre enzimi: la "flippasi", che funge da pompa diretta verso l’interno, specifica per fosfatidilserina e fosfatidiletanolamina, la "floppasi", che invece è una pompa diretta verso l’esterno, e la "scramblasi" lipidica, che promuove in modo aspecifico lo scambio di fosfolipidi tra i due strati [Figura1.10].

(32)

veri-Figura 1.9: Hugel et al. 2005. Microparticelle cellulari: un disseminato pool di effettori bioattivi viene rilasciato dalla membrana plasmatica di cellule attivate. Le MPs albergano in superficie una porzione di membrana cellulare e contengono proteine citoplasmatiche e lipidi bioattivi implicati in una varietà di processi fondamentali. Questa non è, tuttavia, una rappresentazione esaustiva di tutte le componenti di una MP.

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fica in risposta a vari stimoli cellulari), si verifica una modifica dell’equilibrio di membrana, tramite diverse azioni su "floppasi", "scramblasi" e "flippasi". Il risultato netto di ciò è un trasferimento di fosfatidilserina verso lo strato ester-no e un rimaneggiamento del citoscheletro, che produce un’estroflessione di una parte del plasmalemma, che alla fine viene espulsa come vescicola, ap-punto la microparticella.

Le MP, in conseguenza del meccanismo di produzione appena descritto, con-tengono varie molecole di interesse: sulla superficie, ad esempio, è presente la fosfatidilserina, substrato essenziale per lo svolgimento di molti dei passaggi del processo di coagulazione in vivo. In effetti, la presenza di MP è stata asso-ciata a fenomeni tromboembolici, anche con una possibile azione patogenetica, dal momento che le MP possono contenere, nella loro membrana, anche il fat-tore tissutale, essenziale per iniziare il processo coagulativo nel vivente [48]. Le MP contengono al loro interno anche proteine, enzimi e materiale geneti-co (RNA messaggero e anche microRNA) provenienti dalla cellula parentale e che quindi potrebbero essere utilizzati nella comunicazione e nell’interazione intercellulare. In effetti, si ritiene che le MP svolgano anche un ruolo para-crino nella comunicazione cellulare implicato nella regolazione delle funzioni immunitarie, nello sviluppo cellulare, nella neoangiogenesi (compresa quella caratteristica dei processi neoplastici) e nella funzione vascolare, tanto che si pensa che tali vescicole possano essere rilasciate da ogni tipo di cellula, in alcu-ni momenti della propria esistenza, per regolare alcualcu-ni passaggi fondamentali del proprio ciclo [47].

Per quanto concerne i rapporti tra MP di origine endoteliale (EMP), funzio-ne vascolare e malattie cardiovascolari diversi studi hanno cercato di indagarli [49, 50], mostrando come ormai siano presenti varie prove dell’associazione tra elevati livelli di EMP e patologie cardiovascolari quali aterosclerosi, cardiopa-tia ischemica, ipertensione arteriosa sistemica e polmonare, ictus. È significati-vo notare che le EMP sono risultate associate anche ai classici fattori di rischio cardiovascolari, in particolare la dislipidemia, in un’ampia casistica di soggetti clinicamente sani [51]. Le EMP, peraltro, non sarebbero solo dei marcatori di danno cardiovascolare, ma avrebbero anche un ruolo patogentico nello svilup-po ad esempio della placca aterosclerotica [52].

A fronte delle molte evidenze del ruolo delle EMP nelle malattie cardiovasco-lari, negli ultimi anni sono emersi anche interessanti lavori indaganti le EMP

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nel contesto della BPCO.

1.7

Microparticelle di origine endoteliale e BPCO

Nel campo delle patologie respiratorie fumo-correlate, un primo importante lavoro di Gordon e collaboratori [53] ha confrontato tre gruppi di soggetti: non fumatori con prove di funzionalità respiratorie - PFR - normali, fumatori con PFR normali, fumatori con capacità di diffusione del monossido di carbonio - DLCO, un indice di distruzione tissutale legato principalmente alla presen-za di enfisema polmonare - ridotta. Gli Autori hanno rilevato come nel terzo gruppo il livello di EMP fosse significativamente più elevato rispetto agli altri due; tali EMP, peraltro, una volta tipizzate per varie molecole di superficie so-no risultate prevalentemente di derivazione da cellule apoptiche dei capillari polmonari: la conclusione dello studio quindi suggeriva che l’enfisema potes-se espotes-sere associato, almeno nelle sue fasi iniziali, ad una significava apoptosi dell’endotelio capillare polmonare.

Successivamente, sono stati condotti altri studi, stavolta su pazienti con dia-gnosi di BPCO, come quelli di Takahashi e collaboratori. Nel primo di questi lavori [54], il livello di EMP era significativamente più alto in pazienti con BP-CO rispetto a volontari sani di controllo, ma soprattutto era più elevato nei pa-zienti con BPCO durante una riacutizzazione rispetto ai papa-zienti con malattia stabile (per tornare poi a livelli comparabili dopo circa 4 settimane dal termi-ne della riacutizzaziotermi-ne stessa). Tra l’altro, anche in questo caso, come termi-nello studio precedentemente citato, la maggior parte delle EMP tipizzate erano di derivazione dai capillari polmonari, sostenendo l’ipotesi che, durante una ria-cutizzazione, il danno endoteliale dei capillari polmonari diventava ancora più spiccato, causa verosimilmente una quota "supplementare" di infiammazione, caratteristica del processo di riacutizzazione stesso.

In uno studio successivo [55] lo stesso gruppo di Autori ha individuato una correlazione tra i livelli di EMP ed i cambiamenti annuali del FEV1: in parti-colare alti livelli di EMP si associavano ad un maggior declino funzionale nel tempo. Nelle conclusioni dello studio si ipotizzava come questi dati potessero rappresentare la spia di una maggior infiammazione endoteliale nella BPCO, anche in fase stabile, in particolare nei pazienti con rapido declino funzionale; in questo contesto, le EMP potevano rappresentare anche dei marcatori di

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gra-vità di malattia, relativamente semplici da dosare e potenzialmente utilizzabili anche nella pratica clinica.

Nello stesso periodo di tempo un altro studio [56] ha ricercato una relazione fra EMP, funzione polmonare ed entità dell’enfisema valutata con TC del to-race. Le EMP con marcatore di superficie CD31 (derivanti quindi da cellule endoteliali apoptotiche) sono risultate più elevate nei pazienti affetti da BPCO (soprattutto lieve) rispetto ai controlli sani, con un’associazione significativa con la percentuale di enfisema e, in maniera inversa, con la DLCO, mentre le EMP CD62E+ (marcatore di attivazione endoteliale) sono risultate elevate nei pazienti con BPCO di grado grave e con maggiore insufflazione polmona-re (valutata con le prove di funzionalità polmona-respiratoria). Nella conclusione del lavoro, quindi, si ipotizzava che nelle fasi iniziali della BPCO potrebbe preva-lere un danno vascolare polmonare su base apoptotica, mentre negli stadi più avanzati e con maggiore evidenza di insufflazione potrebbe essere più rilevan-te l’attivazione dell’endorilevan-telio.

In definitiva, nella BPCO il ruolo delle EMP è quindi ancora in via di defini-zione, rispetto a quanto emerso nelle patologie cardiovascolari, e necessita di ulteriori approfondimenti e chiarimenti. Tuttavia gli studi condotti finora han-no comunque evidenziato l’importanza delle EMP come possibili marcatori di declino funzionale (potendo quindi rappresentare un marcatore di gravità di malattia) e di danno parenchimale polmonare legato al fumo (in particolare la distruzione caratteristica dell’enfisema), oltre che di insulto vascolare acuto durante le riacutizzazioni [Figura1.11].

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Takahashi,Kobayashi, et al.– 2012 Takahashi,Kobayashi, et al.– 2014

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Gordon,Gudi,

et al.– 2011 Markers di enfisema:-aumentatilivellidiEMP apoptotiche (CD31+) nel plasma disoggettifumatoricon enfisema in fase precoce (DLCO ridotta).

Thomashow,Shimbo,

et al.– 2013 Markers di enfisema:- aumentatilivellidiEMP apoptotiche (CD31+) nella BPCO digrado lieve;

- livellidiEMP attivate (CD62E+) più elevatinella BPCO digrado grave;

- le EMP apoptotiche correlano in maniera diretta con la percentuale dienfisema (misurata con TC torace) e percentuale dienfisema (misurata con TC torace) e inversamente con la perfusione delmicrocircolo polmonare (valutata con RM).

Markers prognostici di suscettibilità alle riacutizzazioni:

- aumento significativo diEMP durante le

riacutizzazionirispetto alla fase stabile dimalattia; - elevatilivellibasalidiEMP attivate (CD62E+) in fase

stabile dimalattia potrebbero predire ilrischio di riacutizzazioni.

Markers prognostici di declino funzionale nel tempo:

-livellibasalidiEMP attivate (CD62E+) più elevati correlano con un declino annuale delFEV1 più consistente.

Figura 1.11: Microparticelle in letteratura: principali ipotesi proposte sui ruoli potenziali delle EMPs nella BPCO.

(37)

2

Scopo della tesi

2.1

Scopo della tesi

Lo scopo della tesi è indagare la possibile esistenza di correlazioni tra marcato-ri bioumorali di infiammazione sistemica marcato-ricercati nel sangue (microparticelle di origine endoteliale, IL-6, TNF-α, PCR, fibrinogeno) e nell’espettorato (conta cellulare di neutrofili ed eosinofili) e gravità della BPCO, definita secondo il grado di ostruzione al flusso (FEV1 ≥50% del predetto verso FEV1 <50% del predetto) e poi secondo la suddivisione in classi di rischio GOLD 2011 (A+B+C verso D). Inoltre ci siamo posti l’obiettivo di ricercare eventuali relazioni biou-morali anche con le comorbidità tipiche della patologia, andando ad esaminare diversi ambiti tra cui la funzione cardiovascolare, la tolleranza allo sforzo e la composizione corporea.

Questa tesi fa riferimento ai dati ottenuti nei primi 24 pazienti esaminati con il protocollo di studio, quindi riporta una osservazione del tutto preliminare, allo scopo di comprendere eventuali tendenze che dovranno essere conferma-te da numeri maggiori di pazienti esaminati. Infatti, il fine ultimo di questo progetto sarà quello di rafforzare le connessioni biologiche esistenti tra la BP-CO e le sue comorbidità, andando a delineare specifici cluster clinici di pa-zienti, che possano avvalersi di un inquadramento precoce e di una gestione patient-tailored.

(38)

3

Soggetti e metodi

3.1

Campione in studio

Nel presente studio sono stati arruolati 24 pazienti affetti da BPCO, selezio-nati tra quelli afferenti agli ambulatori della Sezione a Valenza Dipartimentale Fisiopatologia Respiratoria e Riabilitazione Respiratoria Universitaria dell’A-zienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP), da novembre 2016 a luglio 2017. Per la partecipazione allo studio sono stati seguiti i seguenti criteri di inclusione:

• pazienti affetti da BPCO, in fase stabile di malattia; • FEV1 post-broncodilatatore 30-70% del valore predetto;

• pazienti capaci di portare a termine un test cardiopolmonare su cicloer-gometro ed un test del cammino.

Sono stati invece scelti i seguenti criteri di esclusione:

• riacutizzazione di BPCO nelle 6 settimane precedenti lo studio;

• esecuzione di un ciclo di riabilitazione respiratoria nei 6 mesi precedenti lo studio;

• insufficienza respiratoria (acuta o cronica); • storia di asma bronchiale;

• scompenso cardiaco negli stadi più avanzati (classi NYHA - New York Heart Association - III e IV);

• ipertensione arteriosa sistemica non controllata dalla terapia in atto; • ipertensione arteriosa polmonare in trattamento specifico;

• recente (ultimi 3 mesi) sindrome coronarica acuta, embolia polmonare, ictus cerebrale;

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