UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Sociologia e Politiche Sociali
MIGRAZIONI SILENZIONE.
DONNE RICHIEDENTI ASILO: UNA VULNERABILITÀ
INASCOLTATA
CANDIDATA:
RELATRICE:
Beatrice Ulivieri
Prof.ssa Sonia Paone
“We may have all come on different ships, but we're in the same boat now” Martin Luther King Jr.
“Viandante, sono le tue orme Il cammino e nulla più; Viandante, non esiste sentiero: si fa la strada nell’andare. Nell’andare si segna il sentiero E, voltando lo sguardo indietro, si scorge il cammino che mai si tornerà a percorrere. Viandante, non esiste sentiero, solo scie nel mare.” Antonio Machado
Indice
Introduzione ... 1
CAPITOLO I LE MIGRAZIONI INTERNAZIONALI: I NUMERI E LE MISURE DI POLICY ... 5
1.1 Quanti sono e da dove vengono i migranti: un quadro Europeo ed italiano ... 7
1.1.1 Richiedenti asilo in Italia: un sistema incapace di gestire “grandi” numeri ... 12
1.2 Le politiche europee, tra muri e integrazione ... 16
1.2.1 La normativa per i richiedenti asilo: una legislazione “di emergenza” ... 17
1.2.2 Le procedure italiane per il riconoscimento della protezione internazionale ... 22
CAPITOLO II L’ACCOGLIENZA IN ITALIA: TRA BUONE PRATICHE E DIRITTI VIOLATI ... 26
2.1 La promessa non mantenuta: gli esclusi dall’accoglienza ... 30
2.2 Un’accoglienza ancora a metà ... 32
2.2.1 Prima accoglienza: tra strutture fatiscenti e violazione dei diritti umani ... 33
2.2.2 Seconda accoglienza: posti ancora limitati e integrazione economica critica ... 39
CAPITOLO III LA FEMMINILIZZAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI: EVOLUZIONE, CARATTERISTICHE E CRITICITÀ ... 42
3.1 Il segmento femminile dei flussi migratori: da “donne al seguito” a “donne protagoniste” ... 42
3.1.1 Ruoli di genere e donne migranti: il lavoro di cura come principale sbocco occupazionale ... 48
3.2 L’approccio di genere nello studio delle migrazioni femminili ... 49
3.3 Essere straniere in Italia ... 51
3.3.1 Le fasi migratorie: dagli anni ’60 ad oggi ... 51
3.2.2 Invecchiamento della popolazione e bisogni di caring: la necessità italiana di donne immigrate ... 53
3.4 Le donne rifugiate e richiedenti asilo ... 57
3.4.1 In viaggio verso l’Europa: tra violenze e speranze ... 60
3.4.2 Un’Italia che non protegge ... 61
CAPITOLO IV
ESSERE SCHIAVE IN EUROPA: LA TRATTA DELLE DONNE AFRICANE ... 65
4.1 La tutela delle vittime di tratta e di grave sfruttamento ... 67
4.1.1 La normativa Europea ... 67
4.1.2 La normativa italiana e le sue problematiche ... 70
4.2 Corpi in vendita: lo sfruttamento sessuale delle ragazze nigeriane ... 74
CAPITOLO V TEMPI DELL’ATTESA E TEMPI DELLA BUROCRAZIA: NOTE DALL’ESPERIENZA SUL CAMPO ... Errore. Il segnalibro non è definito. 5.1 I numeri dell’accoglienza in Toscana ... Errore. Il segnalibro non è definito. 5.2 Il CAS di Oxfam Italia Intercultura: promuovere l’autonomia ed evitare l’istituzionalizzazione ... Errore. Il segnalibro non è definito. 5.2.1 L’arrivo e l’attesa per la formalizzazione della domanda di asilo ... Errore. Il segnalibro non è definito. 5.2.2 L’attesa dell’audizione e dell’esito: tra ricordi, paure e perdita dell’autonomia Errore. Il segnalibro non è definito. 5.2.3 Come si aiutano le vittime di tratta? ... Errore. Il segnalibro non è definito. 5.2.4 Cosa vuol dire integrazione? Una buona pratica ... Errore. Il segnalibro non è definito. Conclusioni ... 84
Bibliografia ... 86
1
Introduzione
Il fenomeno migratorio sta assumendo con il passare degli anni una rilevanza sempre maggiore all’interno dell’Unione Europea a causa dei numeri crescenti di richiedenti asilo confluiti nel nostro continente a seguito, soprattutto, dell’acutizzarsi di nuovi e vecchi conflitti in Medio Oriente e in Nord Africa.
Quando parliamo del fenomeno delle migrazioni è tipico riferirsi principalmente a protagonisti maschili. Le migrazioni femminili sono state un processo silenzioso, generalmente ignorato dalle ricerche, dalle statistiche e dalla legislazione degli Stati. Gli studi di genere sul tema degli spostamenti delle donne, iniziati soltanto alla fine del secolo scorso, hanno però svelato che questo fenomeno si caratterizza per alcune specificità: motivazioni, modalità e sviluppi che sono spesso differenti da quelle maschili.
In questo elaborato andremo a prendere in considerazione il tema delle migrazioni femminili e delle richiedenti asilo collocandolo all’interno del più ampio tema dei flussi migratori avvenuti negli ultimi anni e, in particolar modo, della cosiddetta “crisi europea dei rifugiati”.
I cittadini dell’Unione Europea considerano l’immigrazione e il terrorismo le problematiche più grandi che l’Europa si trova a dover fronteggiare: è ciò che emerge da una ricerca condotta dall’Eurobarometro1. Il 59% dei cittadini europei, il 60% di
quelli italiani, ritiene, inoltre, che la presenza di rifugiati all’interno del proprio Paese comporti un maggior rischio di attentati terroristici2.
Il dibattito pubblico in molti Paesi, tra cui in primis l’Italia, è ormai monopolizzato dal tema dei migranti, dell’aumento della criminalità, dei costi, dell’uso delle risorse di welfare a discapito degli autoctoni.
1 Eurobarometro, europa.eu/rapid/press-release_IP-16-4493_en.pdf (consultato il 30/12/2017) 2 PEW Research Center,
2
“Assedio”, “invasione” sono parole che ormai sentiamo quotidianamente in televisione o alla radio o leggiamo sfogliando il giornale. Ma ci sono veramente i presupposti per sentirsi minacciati?
Ci è sembrato, quindi, importante prima di affrontare il tema delle migrazioni femminili odierne fare una premessa e cercare di dare risposta ad alcune domande: chi e quanti sono coloro che intraprendono il viaggio verso l’Europa? Come funziona la procedura di richiesta di asilo? In che modo accolgono l’Europa e l’Italia in particolare? Quali sono i risultati dell’accoglienza e come potrebbe essere migliorata? Il primo capitolo è, così, dedicato all’analisi dei dati statistici attraverso i quali cercheremo di quantificare il fenomeno migratorio e di analizzare i flussi migratori che, attraverso la central mediterranean route, arrivano quasi quotidianamente sulle coste italiane. Alla luce dei crescenti timori da parte della popolazione europea verso gli immigrati illustreremo il difficile tentativo, da parte dell’Unione Europea, di trovare una soluzione capace di coinvolgere tutti gli Stati Membri. Tentativo ostacolato dalla maggior parte dei governi, come testimoniano i fatti di cronaca che parlano di chiusura delle frontiere, di costruzione di muri e di rifiuto delle quote di relocation. Il Presidente della Commissione Europea Claude Junker durante il discorso sullo “State of the Union” avevo affrontato proprio questo argomento mettendo in luce come l’Italia abbia salvato e continui a salvare la faccia dell’Europa. Nella stessa occasione Junker ha aggiunto, rivolgendosi ad altri Paesi: “non si può dire, ‹noi non facciamo entrare nel nostro territorio uomini e donne di colore, e che non sono cattolici›: ebbene, questo non è ciò che appartiene alla natura vera dell'Europa3”. Il capitolo si chiuderà con un’analisi dell’evoluzione della legislazione italiana in tema di migranti e di richiedenti asilo negli anni per poi esaminarne le problematiche attuali.
Il secondo capitolo sarà dedicato all’analisi del sistema di accoglienza italiano, andandone ad approfondire il funzionamento, le principali caratteristiche e problematiche. Partendo dall’evidenza che la maggior parte dei richiedenti asilo è attualmente ospitato in Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) andremo a vedere nel dettaglio quali sono le condizioni di vita all’interno di queste strutture che avrebbero dovuto far fronte soltanto a una prima situazione emergenziale e che sono
3
3
diventate, invece, sempre più veri e propri sostituti del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) a causa di una cospicua carenza di posti all’interno di quest’ultimo.
Dopo questa premessa, nella seconda parte dell’elaborato ci dedicheremo a indagare le migrazioni femminili.
Nel terzo capitolo analizzeremo, attraverso una digressione storica, l’evoluzione dei flussi migratori per soffermarci sulla femminilizzazione degli stessi. Riporteremo le peculiarità di questo fenomeno che, fin dagli albori, lo hanno reso diverso da quello maschile anche a causa della doppia discriminazione di cui le donne sono vittime: in quanto donne e in quanto immigrate. Ci soffermeremo così su alcune problematiche tipiche appartenenti alle migranti quali l’isolamento sociale, il difficile apprendimento della lingua, la forte segregazione lavorativa, una partecipazione quasi assente alla vita pubblica. Sposteremo poi la nostra attenzione sulle donne richiedenti asilo e rifugiate. In queste pagine ci concentreremo sulla vulnerabilità di migliaia di ragazze, derivante dalla situazione del Paese di origine, dall’esperienza di abbandono della casa e della famiglia e dal lungo e difficile viaggio. Una vulnerabilità che rimane inascoltata vista la scarsità di centri di accoglienza dedicati esclusivamente alle donne e in cui vi sia la possibilità di offrire un concreto supporto a chi ha vissuto episodi traumatizzanti. Il tema della vulnerabilità ci porterà nel quarto capitolo ad affrontare la problematica della tratta e, in particolare, del fenomeno della prostituzione delle ragazze nigeriane. Un numero sempre più alto di ragazze che sbarcano sulle nostre coste sono già destinate, fin dal loro Paese di origine a lavorare lungo le strade europee. Cosa succede alle ragazze una volta arrivate a destinazione? Perché pochissime di loro decidono di parlare e di chiedere aiuto? Quali soprusi devono sopportare quotidianamente? Cosa fa la legislazione italiana per tutelarle? Queste sono alcune delle domande a cui cercheremo di dare una risposta nelle pagine che seguiranno.
Il quinto e ultimo capitolo riporta invece la mia personale esperienza di operatrice in un CAS femminile gestito da Oxfam Italia Intercultura. Aiutandoci dividendo il periodo di soggiorno delle ragazze all’interno della struttura in tre fasi (arrivo e attesa della formalizzazione della domanda di asilo, attesa dell’audizione presso la Commissione Territoriale e attesa dell’esito) riporteremo le problematiche che ho personalmente riscontrato: una dipendenza che si rafforza nel tempo, una totale apatia
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che aumenta nei mesi quando la vita non è nient’altro che attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai, un rapporto di amore e odio con gli operatori, la tratta e l’incapacità di avere risposte concrete da parte dei servizi e delle istituzioni, un’integrazione sociale che risulta impossibile.
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CAPITOLO I
LE MIGRAZIONI INTERNAZIONALI: I NUMERI E LE MISURE DI
POLICY
L’immigrazione è uno dei temi di attualità più discussi degli ultimi anni, in Italia come negli altri Paesi dell’Unione Europea. La paura dello straniero, della sua cultura e della sua identità ha fatto sì che su tutto il territorio europeo si siano diffusi, sempre più, atteggiamenti razzisti e xenofobi. Molti politici e governi nazionali hanno iniziato, così, a cavalcare l’onda del dissenso, ergendosi a veri e propri difensori dell’identità europea, messa a rischio dai tanti ingressi di stranieri che si sono verificati in questi anni. Qualcuno parla, addirittura, di “invasione”. Alcune ricerche ci mostrano come le lacune conoscitive su questo tema siano molte. Un articolo del Corriere della Sera del Gennaio 20164 metteva in luce come solo il
20% delle persone interrogate in proposito in un sondaggio rispondesse correttamente alla domanda “quanti sono gli stranieri in Italia?”.
Ci sembra così doveroso iniziare questo elaborato cercando, prima di tutto, di quantificare il fenomeno migratorio. Andremo a vedere nel dettaglio quante sono le persone che sono sbarcate sulle nostre coste, da dove vengono e perché decidono di intraprendere questo viaggio complesso.
Dopo questa premessa andremo ad analizzare più nello specifico la legislazione europea vedendo come sia caratterizzata sempre di più da una dicotomia: c’è chia accoglie e chi erge muri.
Ci dedicheremo, infine, all’analisi del funzionamento della procedura per la richiesta di asilo, in modo tale da rendere più chiari i capitoli che seguiranno.
6
Secondo l’“Atlante dei conflitti e delle guerre nel mondo5” le guerre in atto nel 2014
sono state 33, con un totale di morti che ha raggiunto, nello stesso anno, 180.000 persone6: un numero di gran lunga superiore rispetto alle 56.000 vittime del 2008. Questi scenari di guerra, oltre a provocare morti e distruzione, portano moltissimi civili a mettersi in fuga dai loro Paesi di origine. Lo stesso Atlante riporta che i conflitti rimangono la prima causa delle migrazioni. Accanto ad essi, possiamo rintracciare anche altre motivazioni: le disuguaglianze economiche, le disuguaglianze nell’accesso al cibo e all’acqua, nonché il sempre più vasto fenomeno del “Land Grabbing7” e
l’instabilità creata dagli attacchi terroristici8. Il numero di migranti internazionali,
secondo le stime dello UN-Desa (United Nations- Departement of Economic and Social Affairs), ha continuato a crescere rapidamente negli ultimi 50 anni raggiungendo nel 2015, a livello globale, 244 milioni di individui: il 41% in più rispetto al 20009. La maggior parte degli sfollati internazionali vive in Europa (76 milioni), in Asia (75 milioni) e in Nord America (54 milioni)10. I dati riportati nell’ultimo rapporto di UNHCR11 (United Nations High Commissioner for Refugees)
ci mostrano, inoltre, che nel 2016 le persone sradicate dal proprio luogo di origine sono state 65.6 milioni. A partire dal 2008 il numero di richiedenti asilo presenti negli Stati europei è aumentato di anno in anno. Si calcola, difatti, che nel 2016 siano arrivati in Europa più di 1 milione di rifugiati, la maggior parte dei quali provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dal Pakistan e dalla Nigeria12. Per far fronte a questa
5 AA.VV, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Sesta edizione, Terra Nuova, 2015, pp. 12-13. 6 http://www.globalsecurity.org/military/world/war/ (consultato il 03/09/2017).
7 Letteralmente “accaparramento delle terre”, consiste nell’acquisizione su larga scala di terreni in Paesi
in via di sviluppo da parte di multinazionali senza tenere in considerazioni i diritti umani e le possibili conseguenze sulla popolazione indigena. (Actionaid https://www.actionaid.it/informati/notizie/land-grabbing-vero_significato)
8 Anci, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar, UNHCR, Rapporto sulla protezione
internazionale in Italia 2016, 2016, pp. 16-17.
9 United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division, Trends in
International Migration Stock: The 2015 revision, 2015.
10 Ibidem.
11 UNHCR, Global Trends Force Displacement in 2016, 2017, p. 2.
12 Eurostat, Statistiche in materia di asilo.
7
emergenza i governi dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea hanno assunto posizioni e attuato politiche diverse tra di loro. Basti pensare, da una parte, all’apertura tedesca nei confronti dei profughi siriani e al tentativo italiano, dopo anni in cui è prevalsa una politica di respingimenti, di dare accoglienza ai richiedenti asilo e, dall’altra parte, alla chiusura delle frontiere e alla costruzione di muri da parte dell’Ungheria, della Bulgaria e della Grecia. La Commissione europea ha cercato di trovare un approccio condiviso puntando sulla ripartizione tra i vari Stati membri di richiedenti asilo arrivati in Europa, ma i numeri molto bassi del processo di relocation mettono in luce come sia difficile l’attuazione di questo indirizzo e come ci sia ancora molta strada da fare per iniziare a gestire congiuntamente il fenomeno delle migrazioni.
1.1 Quanti sono e da dove vengono i migranti: un quadro Europeo ed
italiano
Nel 2015 il numero di immigrati da Paesi non membri dell’Unione Europea e ad oggi residenti in uno Stato Membro era di 34,3 milioni. Gli Stati con maggiore presenza di stranieri sono Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Francia (Figura 1).
Figura 1: Stranieri Residenti
Fonte: Eurostat, in http://appsso.eurostat.ec.europa.eu (consultato il 20/08/17)
0 1000000 2000000 3000000 4000000 5000000 6000000 7000000 8000000
Germania Regno Unito Italia Spagna Francia
Stranieri Residenti
8
Secondo i dati registrati da Frontex per raggiungere lo spazio Schengen i migranti usano principalmente sei rotte13:
• Central Mediterranean Route (Italia e Malta): è stata la rotta più utilizzata nel 2014, ma il picco massimo di ingressi è stato raggiunto nel 2016, quando hanno attraversato il confine 181.126 persone. I Paesi di partenza sono quelli dell’Africa Settentrionale e, in particolare, la Libia. I numeri, che sono diminuiti nel 2015 per poi tornare a crescere nel 2016, sono aumentati anche per l’alto numero di siriani che vi sono confluiti. Questa rotta viene usata principalmente da Nigeriani, Eritrei, Somali e Gambiani;
• Eastern Mediterranean Route (Turchia, Grecia, Cipro e Bulgaria): la rotta maggiormente percorsa in assoluto a partire dal 2009 e che ha registrato un record di accessi nel 2015 (885.386). La maggior parte dei migranti è transitata dalla Turchia verso la Grecia e le sue isole. Si registra che questa rotta venga usata principalmente da Siriani, Iraqueni e Pakistani;
• Western Balkans Route (Serbia, Macedonia, Ungheria, Croazia): i numeri di questa rotta sono cresciuti notevolmente con l’aggravarsi della crisi siriana e hanno fatto registrare un sostanziale aumento nel 2015, anno in cui vi sono transitati 764.000 migranti. Il maggior numero di persone che intraprende questo percorso proviene dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq. La rotta è stata interrotta nel 2016 con la firma dell’accordo tra Unione Europea e Turchia;
• Western Mediterranean Route (Marocco e Spagna): per questa rotta i numeri sono ridotti anche se in crescita negli anni: nel 2016 si sono raggiunti 10.231 ingressi. Transitano da questi Paesi, in particolar modo, Marocchini, Guineani, Algerini, Ivoriani e Senegalesi;
• Eastern Border Routes (Coste del Mar Nero, Romania e Bulgaria): una rotta che ha raggiunto picchi di ingressi nel 2015 (1.920). I migranti provengono prevalentemente dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq;
9
• Circoular Route from Albania to Greece: rotta che viene usata principalmente da migranti albanesi. Si stima che dal 2009 gli ingressi siano stati circa 113.000;
Concentrandoci sulla Central Mediterranean Route vediamo come negli ultimi anni il numero di arrivi sulle coste italiane sia oscillato nel tempo (Figura 2), riflettendo le condizioni socio economiche dei Paesi di origine dei migranti. Cospicui flussi si sono, infatti, registrati nel 2008, anno della prima emergenza Nord Africa, nel 2011, con l’inizio della cosiddetta Primavera Araba, e dal 2013 fino ad oggi con il riacutizzarsi di vecchi e nuovi conflitti in Nord Africa e in Medio Oriente.
Figura 2: Migranti sbarcati sulle coste italiane, Anni 2005-2016
Fonte: Rielaborazione dati UNHCR
Nel 2016, secondo le stime di UNHCR, hanno raggiunto le coste italiane 181.436 migranti, un numero che fa registrare un incremento del 18% rispetto al 2015 quando le persone sbarcate si erano fermate a 153.842. I nuovi arrivati sono in prevalenza uomini (71%), seguiti dai minori non accompagnati (14%), dalle donne (13%) e da una minima quota di minori accompagnati (1,3%) (Figura 3). Nel primo semestre del 2017 i numeri sono cresciuti ulteriormente raggiungendo gli 83.752 arrivi (nel 2016
0 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 120.000 140.000 160.000 180.000 200.000 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
Migranti sbarcati sulle coste italiane. Anni 2005-2016
10
erano stati 70.222) per poi arrestarsi nei mesi di Luglio e Agosto, in cui si è registrato un calo dell’81,6% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente14.
Figura 3: Percentuale di migranti suddivisi per genere ed età (2016)
Fonte: UNHCR, Italy Country Update-December 2016
Le Nazioni da cui provengono il maggior numero di migranti sono la Nigeria (37,55%), l’Eritrea (20,71%), la Guinea (13,34), la Costa D’Avorio (12,39), e il Gambia (11,92%)15.
14 Questo calo viene attribuito agli accordi del Governo italiano con la Libia: la Guardia Costiera Libica,
prima considerata complice dei trafficanti, ha iniziato a fermare numerosi barconi diretti verso le coste europee.
15 UNHCR, Italy Country Update-December 2016, pag. 2.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%
Uomini Donne Minori non
accompagnati
Minori accompagnati
Percentuale di migranti suddivisi per
genere ed età
11
Una ricerca condotta da OIM16 (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) su un campione di più di mille intervistati arrivati in Italia nel 2016 ha messo in evidenza le motivazioni per cui i migranti decidono di lasciare il proprio Paese di origine (Tabella 1).
Tabella 1: Motivazione che ha spinto i migranti a lasciare il proprio Paese di origine
Motivazione Percentuale17
Conflitti e mancanza di sicurezza 59,1%
Discriminazione 42,8%
Ragioni economiche/lavorative 23,6%
Famiaglia e amici 21,1%
Rispetto dei diritti umani nel Paese di Destinazione 4,1%
Motivi educativi 3%
Fonte: OIM,
http://www.italy.iom.int/sites/default/files/news-documents/Migrants%20Study%20-%20FINAL%20ENG%20VERSION%20-%20ELEC.pdf
La maggioranza parla di conflitti e mancanza di sicurezza (59,1%), seguiti da discriminazione (42,8%), mentre solo il 23,6%, afferma di essere partito per motivi economici e il 21,1% per problemi familiari (ad esempio conflitti e rifiuto di un matrimonio forzato). Nella stessa ricerca si va ad indagare la percentuale di persone che hanno lasciato il Paese di origine compiendo una scelta personale: è interessante notare che in media una decisione autonoma viene presa in media nel 78% dei casi. Il dato, tuttavia, è molto variabile tra uomini (82%) e donne (59%)18. (Figura 4)
16 OIM, Study on Migrants’ Profiles Drivers of Migration and Migratory Trends. A Research on
Socioeconomic Profile of Migrants Arriving in Italy, 2016, p. 29.
17 La somma supera 100% perché i rispondenti potevano scegliere 2 opzioni. 18 OIM, Op. Cit, p. 31.
12 Figura 4: Chi ha scelto di lasciare il Paese di origine?
Fonte: OIM, Study on Migrants’ Profiles Drivers of Migration and Migratory Trends. A
Research on Socioeconomic Profile of Migrants Arriving in Italy, 2016, p. 31
1.1.1 Richiedenti asilo in Italia: un sistema incapace di gestire “grandi”
numeri
Tracciato lo scenario internazionale, focalizziamoci adesso sulla situazione italiana. Secondo i dati del ministero dell’interno, nel 2016 i richiedenti asilo, arrivati via mare o via terra in Italia, sono stati 123.600: il 47% in più rispetto al 2015. Analizzando poi il comportamento in base alle varie nazionalità si notano distinzioni nette: la maggior parte di Gambiani, Senegalesi, Malesi e Nigeriani sbarcati abbia presentato istanza di protezione internazionale nel nostro Paese, mentre l’esatto contrario è avvenuto per Eritrei, Somali, Siriani, Palestinesi e Sudanesi che hanno proseguito il loro viaggio verso il Nord Europa senza formalizzare una domanda di protezione. Gli Stati da cui sono è arrivato il maggior numero di richiedenti asilo sono stati la Nigeria, il Pakistan, il Gambia, il Senegal, l’Eritrea e la Costa D’Avorio.
Il tempo medio di attesa, nel 2016, prima della formalizzazione della richiesta di asilo, dopo l’ingresso in Italia, è stato di 85,9 giorni: il 60,6% delle domande è stata fatta dopo i 30 giorni, il 32,3% prima dei 30 giorni e solo il 7,1% immediatamente dopo l’arrivo. A seguito della domanda, l’audizione è avvenuta, in media, dopo 252,7 giorni: si è tenuta solo nel 2,6% dei casi entro i 30 giorni (come previsto dal D.Lgs 25/2008)
56% 34%
2%8%
DONNE
Tu Famiglia Amici Altri
74% 13%
10%3%
UOMINI
13
e nel 49,2% dei casi tra i 181 e i 365 giorni19. L’esito della commissione, che dovrebbe essere notificato entro i tre giorni successivi alla convocazione, viene comunicato, mediamente, 64 giorni dopo l’audizione.
Le domande di asilo analizzate dalle Commissioni territoriali nel 2016 sono state 105.00620, nella maggior parte dei casi si registra come esito un diniego (60%). Meno
di frequente, il risultato è stato l’accordo di una protezione umanitaria (21%) o sussidiaria (14%) o dallo status di rifugiato (5%) (Figura 5). Il tipo di protezione maggiormente riconosciuto, fino al 2009, era quella sussidiaria, mentre dal 2010 si è invertita la tendenza a favore del permesso umanitario. Da evidenziare anche come il numero dei dinieghi sia cresciuto cospicuamente negli anni (Figura 6).
L’alto numero di richiedenti asilo ha messo alla prova il sistema di accoglienza italiano e ha sollecitato numerosi cambiamenti e innovazioni che hanno coinvolto, in particolar modo, le strutture di accoglienza. Andremo ad osservare in modo più approfondito questa evoluzione e le sue conseguenze nel capitolo seguente.
Figura 5: Percentuale esiti 2016
Fonte: Ministero degli interni-Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Riepilogo anno
2015-2016
19 Ministero degli interni-Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. 20 Ministero degli Interni-Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione.
5% 14%
21% 60%
Percentuali esiti 2016
14
Figura 6: Percentuali di dinieghi su domande esaminate
Fonte: Ministero degli interni-Dipartimento per le libertà civili
In base ai dati raccolti dal Ministero degli Interni, alla fine di Dicembre 2016 risultavano ospitati in centri di accoglienza 176.554 richiedenti asilo: il 70% in più un rispetto ai 103.792 del 2015 e il 167% in più rispetto agli appena 66.066 del 2014. I richiedenti sono così suddivisi tra le varie strutture: 15.514 persone sono accolte in centri governativi di prima accoglienza (CDA, CPSA, CARA e Hotspot), 137.218 in CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e soltanto 23.822 all’interno di SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati)21. (Figura 7)
Troviamo la maggiore concentrazione di migranti presenti in strutture di accoglienza in Lombardia (13%), Campania (9%), Lazio, Emilia Romagna e Piemonte (8%)22.
21 Ministero dell’Interno-Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione. 22 Ministero dell’Interno-Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione.
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
Dinieghi su domande esaminate per anno
15
Figura 7: Percentuale di richiedenti asilo per struttura di accoglienza
Fonte: Ministero degli interni-dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione
Prendendo, infine, in considerazione i dati di OIM sulla cosiddetta relocation23 notiamo che i beneficiari di trasferimenti, da Settembre 2015 a inizio Settembre 2017, sono stati appena 28.198 contro i 160.000 previsti dalla Commissione europea. Dall’Italia sono stati dislocati in altri Paesi soltanto 8.521 richiedenti asilo a fronte dei 39.600 eleggibili. Gli Stati che hanno accolto il maggior numero di persone sono la Germania, la Francia, l’Olanda, la Svezia e la Norvegia (Figura 8).
23 Il Consiglio europeo, a seguito delle proposte della Commissione, ha previsto con le Decisioni
2015/1523 e 2015/1601 che dal Settembre del 2015 sarebbe stato possibile trasferire i richiedenti asilo che hanno chiaramente bisogno di protezione internazionale (ossia provenienti da Eritrea, Siria, Yemen, Bahrain, Bahamas, Bhutan, Qatar ed Emirati Arabi Uniti) da Italia e Grecia verso altri Stati europei.
13,50%
77,70% 8,80%
Percentuale di richiedenti per struttura di
accoglienza
16
Figura 8: Beneficiari Relocation per Paese (2015-2017)
Fonte: OIM, http://migration.iom.int/europe/
1.2 Le politiche europee, tra muri e integrazione
Negli ultimi anni i Paesi dell’Unione Europea hanno cercato invano di raggiungere un accordo sulle politiche migratorie. Da un lato, infatti, l’Agenda europea sulle migrazioni promuove regole e procedure comuni a tutti gli Stati membri prevedendo programmi di relocation e di resettlement, potenziando e destinando maggiori risorse alle operazioni Triton e Poseidon e sostenendo programmi di sviluppo nell’Africa settentrionale, nel Corno d’Africa e nel Medio Oriente. La Commissione europea ha, inoltre, presentato un piano d’azione sull’integrazione24 per fornire un sostegno
strutturale e finanziario agli Stati membri affinché possano essere sviluppate politiche nazionali di integrazione (istruzione, formazione professionale, occupazione, accesso ai servizi di base, partecipazione attiva e inclusione sociale). Garantire a tutti coloro che risiedono legittimamente e regolarmente nell'UE di poter “partecipare e apportare il loro contributo è essenziale per il benessere, la prosperità e la coesione futura delle
24 COMMISSIONE. EUROPEA. Strasburgo, 7.6.2016. COM(2016) 377 final.
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000
Germania Francia Olanda Svezia Finalndia Norvegia Spagna Svzzera
Beneficiari Relocation per Paese (2015-2017)
17
società europee25”. Dall’altro lato, invece, sono sorte numerose tensioni e resistenze verso le politiche di accoglienza e si sono registrati atteggiamenti di chiusura (costruzione di muri, controlli alle frontiere) sempre più sollecitati da movimenti populisti e nazionalisti.
Trovandosi di fronte a questa sfida l’Unione Europea ha promosso una riforma del sistema comune di asilo. Le riforme proposte dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione europea26 durante il 2016 sono volte a introdurre una distribuzione delle
richieste di protezione internazionale per scongiurare che un singolo Paese debba esaminare un numero sproporzionato di domande, a far sì che i trasferimenti tra i vari Stati siano più veloci e a fornire obblighi giuridici più chiari per i richiedenti asilo che potranno beneficiare dell’accoglienza solo nel Paese competente a esaminare la loro richiesta d’asilo. Gli scopi di questi provvedimenti sono principalmente quattro:
• Rendere le procedure di asilo più semplici e brevi; • Fornire maggiori garanzie ai richiedenti asilo;
• Garantire una protezione solo per il tempo strettamente necessario;
• Rendere più severe le norme che regolano i movimenti secondari tra gli Stati Membri.
1.2.1 La normativa per i richiedenti asilo: una legislazione “di
emergenza”
Lo status di rifugiato viene così definito dalla Convenzione di Ginevra:
“Colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore,
25 Commissione Europea, Piano d'azione sull'integrazione dei cittadini di paesi terzi, p.2.
http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/IT/1-2016-377-IT-F1-1.PDF
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avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori dello Stato in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole ritornarvi per il timore di cui sopra27.”
Seguendo l’Handbook28 di UNHCR possiamo individuare i criteri fondamentali per la determinazione dello status di rifugiato:
• Timore fondato: devono essere presenti sia una componente soggettiva (timore) sia una oggettiva (fondatezza). Il richiedente asilo non deve obbligatoriamente aver già subito atti di persecuzione, ma ci deve essere il timore di poterne essere vittima in futuro;
• Persecuzione: minacce alla vita o alla libertà (violenza fisica o psichica, azioni giudiziarie e sanzioni penali non eque) e violazione dei diritti umani;
• Agente di persecuzione: deve essere lo Stato di origine della persona o organi/privati da esso controllati (esercito, partiti, gruppi privati);
• Motivi di persecuzione: devono essere quelli elencati nella definizione all’art. 1-A n. 2 della Convenzione di Ginevra:
o Razza: discriminazione dovuta alla razza, al colore della pelle, all’etnia o alla discendenza;
o Religione: discriminazione dovute alla religione o divieto di praticare il proprio culto;
o Nazionalità: discriminazione verso una parte della cittadinanza, verso un gruppo etnico, linguistico o culturale;
o Appartenenza a un particolare gruppo sociale: discriminazione per fede, caratteristiche irrinunciabili di un gruppo etnico e orientamento sessuale;
27 Convenzione di Ginevra, Art. 1-A, n.2 par.1.
28 UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugees Status under the 1951
Convention and the 1967 Protocol the Status of Refugees, 2011. Consultabile all’indirizzo:
19
o Opinioni politiche: discriminazione per orientamento politico e pensiero su qualsiasi questione di rilevanza pubblica.
Il diritto di asilo è uno dei diritti fondamentali dell’uomo riconosciuto dalla Costituzione italiana all’articolo 10:
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”
È grazie all’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 che il riconoscimento dello status di rifugiato29 è entrato nell’ordinamento italiano. Dopo circa 70 anni, però, possiamo osservare come questo dettato costituzionale non sia stato recepito nella legislazione ordinaria in quanto è ancora assente una legge organica che statuisca le condizioni di esercizio del diritto di asilo. La giurisprudenza ha, tuttavia, decretato la possibilità di riconoscere questo diritto nonostante l’assenza di un’apposita disciplina.
Svariate normative si sono susseguite nel nostro Paese, negli ultimi venti anni, con lo scopo di disciplinare la materia del diritto di asilo e i flussi migratori in generale. Le più importanti sono state la Legge Martelli30 del 1990 che rappresenta il primo tentativo di regolamentare il riconoscimento dello status di rifugiato; la Legge Turco-Napolitano31 confluita nel Testo Unico sull’immigrazione32, la Legge Bossi-Fini33 e, infine, la Legge Minniti-Orlando34.
Analizziamole in ordine,
29 Lo status di rifugiato non corrisponde esattamente con il diritto di asilo: non è sufficiente che nel
Paese del richiedente non vengano rispettate le libertà fondamentali, ma quest’ultimo deve aver subito, o avere il timore di subire, atti di persecuzione.
30 L. 39/1990 31 Dl. 40/1998 32 L. 286/1998 33 L. 189/2002 34 L. 13/2017
20
La Legge Martelli, oltre a ridefinire lo status di rifugiato e il conseguente diritto di asilo, cercò di disciplinare il fenomeno migratorio principalmente sotto un punto di vista economico. Basti pensare che la legge stabilisce che il permesso di soggiorno può essere rilasciato solamente a chi dimostra di dimostrare di avere sufficienti beni personali o di avere un’occupazione tale da garantire il suo sostentamento. Si delinea, così, “quella che diventerà una costante della legislazione: la gestione dell’immigrazione da un punto di vista economico35”. La stessa L. 39/1990 promuove
una lotta all’immigrazione clandestina che si traduce nell’istituzione di pene detentive e pecuniarie e nella fissazione di parametri per il meccanismo dell’espulsione. È necessario sottolineare che la Legge Martelli ha anche promosso i primi interventi per l’integrazione sociale dei migranti e per la loro partecipazione attiva alla vita pubblica. Il cospicuo incremento del fenomeno migratorio e la sua diversificazione, dovuti anche e soprattutto al mutamento degli assetti internazionali, aveva messo in luce la necessità di emanare una normativa più completa ed esaustiva. Nel 1998 viene così varata la cosiddetta Legge Turco-Napolitano che si caratterizza per uno spiccato tentativo di superamento della visione emergenziale. Lo scopo della legge 40/1998 è così quello di regolamentare l’immigrazione permettendo al migrante di intraprendere un percorso di acquisizione della cittadinanza, fare richiesta di ricongiungimento familiare, aver accesso al Servizio Sanitario Nazionale e all’istruzione. Il testo prevede però anche l’istituzione dei Centri di Permanenza Temporanei (CPT) volti all’esecuzione di provvedimenti di espulsione e respingimento.
Appena quattro anni dopo l’entrata in vigore della Legge Turco-Napolitano viene approvata la Legge Bossi-Fini. Limitazioni all’ingresso, mancanza di valutazione dei bisogni e delle problematiche dei singoli richiedenti asilo, stipulazione di accordi bilaterali con Paesi stranieri per il controllo dei flussi migratori, durissima lotta all’immigrazione clandestina attraverso una riforma delle procedure di espulsione sono le caratteristiche principali di questa normativa36. La mancanza più evidente e
grave di questa normativa è legata alla materia dell’asilo: persone fuggite da conflitti, guerre, violenze e persecuzioni vengono costrette a una lunga detenzioni dopo lo sbarco. Perché? Sono clandestini.
35 http://www.rivistapaginauno.it/la_schizofrenia_dell%27accoglienza.php (consultato il 29/12/2017). 36 Ibidem
21
Va, infine, citata la Legge Minniti-Orlando approvata con un’ampia maggioranza nell’Aprile del 2017. La normativa, promossa a causa di una sempre più diffusa ma infondata37 percezione di un nesso tra immigrazione e sicurezza, si basa su 3 pilastri:
1. L’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso a seguito di un diniego e l’abolizione dell’udienza. Il lavoro del giudice si limita alla visione di una videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo. Non vi è contraddittorio, né la possibilità di ascoltare personalmente l’appellante;
2. Un aggiornamento e un incremento dei centri di detenzione per gli immigrati irregolari. Gli attuali CIE (centri di identificazione e di espulsione) verranno sostituiti dai CPR (Centri permanenti per il rimpatrio) che saranno distribuiti in ogni regione per un totale di 16.000 posti.
3. L’introduzione del lavoro volontario
Secondo l’analisi del sociologo Giuseppe Campesi, nonostante la diversa appartenenza politica dei promotori delle varie leggi sull’immigrazione, gli interventi normativi sono tutti accomunati dalla forte presenza di un fattore emergenziale:
“Over the last ten years, border control and the landing of illegal immigrants on Italian shores has been managed under what can be described as a state of permanent emergency, so much so that a phrase “emergenza sbarchi” has become a clichè in legal parlance and is now widely invoked to justify the ongoing use of emergency decrees38”
37 Ci basti prendere in considerazione i dati Eurostat sulla criminalità e sulla giustizia penale. Nonostante
il sostanziale aumento di immigrati arrivati nel nostro Paese negli ultimi anni il livello di criminalità non è aumentato e resta in linea o, addirittura, al di sotto della media UE. (http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Crime_and_criminal_justice_statistics/it consultato il 29/12/2017)
38 Giuseppe Campesi, The Arab Spring and the Crisis of the European Border Regime: Manufacturing
22
Il criterio che ha guidato le normative che si sono sviluppate nel nostro Paese in tema di immigrazione, in sintesi, è stato secondo lo studioso quello dell’emergenza permanente. Questo ha impedito di sviluppare un sistema in grado di dare risposte chiare ai richiedenti asilo, di offrire loro trattamenti equi lungo tutta la penisola, di creare un’accoglienza capace di garantire il rispetto della dignità di ogni persona e, soprattutto, dei diritti umani.
Andiamo ora ad analizzare più nello specifico e concretamente come si articola la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale nell’ordinamento italiano.
1.2.2 Le procedure italiane per il riconoscimento della protezione
internazionale
Il D.Lgs 25/2008, emanato in attuazione della Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, contiene la disciplina delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. La domanda di protezione internazionale, che permette al richiedente di acquisire il diritto a rimanere nel territorio dello Stato “fino alla decisione della commissione territoriale in ordine alla domanda39” può essere presentata dallo
straniero (anche se ha fatto ingresso in modo irregolare in Italia) che scappa da persecuzioni o danni gravi nel suo Paese di origine perpetrati da parte dello Stato, da partiti o organizzazioni che controllano lo Stato (o una parte del suo territorio). La domanda deve essere presentata alla Polizia di frontiera o alla Questura ed è formalizzata attraverso il fotosegnalamento (fotografie e impronte digitali) e la compilazione di un modello, chiamato C3, che contiene informazioni di carattere anagrafico (nome, cognome, data di nascita, stato civile), le motivazioni che hanno
all’indirizzo:
http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/19375/RSCAS_2011_59.pdf?sequence=1&isAllowed=y
23
spinto il migrante a fuggire dal suo Paese e la descrizione dettagliata del viaggio che ha affrontato per arrivare in Italia. Il D.Lgs 142/2015 definisce una tempistica ben precisa per questo passaggio: la compilazione del modello C3 deve essere effettuata entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di fare domanda di protezione (sei giorni se la volontà è manifestata alla polizia di frontiera), il termine può essere prolungato fino a 10 giorni se vi è un alto numero di domane. Nei giorni successivi alla richiesta, la Questura rilascia un primo certificato nominativo (valido per sei mesi) che sostituisce momentaneamente il permesso di soggiorno, che dà la possibilità di usufruire dei servizi sanitari e che, trascorsi 60 giorni, dà alla persona la possibilità di lavorare. Dopo questo primo passaggio avviene, entro 30 giorni, la convocazione da parte della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale40: durante il colloquio il richiedente ha l’opportunità di raccontare la sua storia e di approfondire le ragioni che lo hanno spinto a fuggire dalla sua Terra di origine. La commissione territoriale può riconoscere, entro un termine di sei mesi prorogabili fino a nove, se il caso è particolarmente complesso o se vi sono numerose domande, una forma di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria o protezione umanitaria) o l’esito può essere negativo.
L’esame della domanda di asilo, in Italia, può dar luogo a quattro esiti:
• Conferimento dello status di rifugiato: in tutti i casi in cui vengono identificati atti (ad esempio: violenza fisica o psichica, provvedimenti legislativi attuati in modo discriminatorio, azioni giudiziarie ingiuste/discriminatorie) o motivi di persecuzione (ad esempio: sesso, razza, religione, nazionalità e opinione politica);
• Conferimento di una protezione sussidiaria: in tutti i casi in cui il cittadino straniero non ha i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma in cui si ha il timore che un ritorno nel Paese di origine possa comportare un danno grave alla persona (ad esempio: pericolo di condanna a morte, pericolo di tortura o violenza, minaccia alla vita derivante da situazioni di conflitto armato interno o internazionale);
24
• Conferimento di una protezione umanitaria41: quando, pur non essendoci gli
estremi per il riconoscimento della protezione internazionale, la Commissione ritiene “che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario42”;
• Diniego della protezione internazionale: quando non vi sono i presupposti per riconoscere alcun tipo di protezione.
Nel caso vengano riconosciuti lo status di rifugiato o una protezione sussidiaria viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni e il titolo di viaggio per potersi recare all’estero; viene inoltre concesso al richiedente di ricongiungere la propria famiglia con particolari agevolazioni43, di avere accesso all’istruzione, all’occupazione e viene assicurata assistenza sanitaria e sociale al pari dei cittadini italiani. Nel caso di conferimento di una protezione umanitaria il permesso di soggiorno rilasciato ha valenza di due anni rinnovabili.
Ove non sussistano i presupposti per il riconoscimento di protezione internazionale (in particolare quando non sono individuabili atti o motivi di persecuzione), siano presenti delle cause di esclusione o fondati motivi per reputare lo straniero come un pericolo per la sicurezza nazionale la Commissione territoriale può riconoscere il diniego. In caso di esito negativo è però possibile presentare istanza di riesame. Il ricorso, che deve essere presentato presso il Tribunale ordinario entro 30 giorni dal diniego, sospende l’espulsione e permette il rilascio di un nuovo permesso di soggiorno per richiesta di asilo.
In caso di esito positivo, invece, i richiedenti asilo ospitati all’interno dei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) o dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) vengono trasferiti in centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). All’interno di quest’ultimi i rifugiati possono restare per sei mesi prorogabili fino a un anno, frequentare corsi formativi e di lingua italiana.
41 Prevista dal Testo unico immigrazione (D.Lgs 286/98) ed attuata dal decreto procedure (D.Lgs 25/08) 42 D.Lgs 25/08, art.32, co. 3.
25
Nel prossimo capitolo andremo ad analizzare più dettagliatamente i tipi di centri previsti nel nostro ordinamento, studiandone le caratteristiche e le problematiche più rilevanti.
26
CAPITOLO II
L’ACCOGLIENZA IN ITALIA: TRA BUONE PRATICHE E DIRITTI
VIOLATI
La contradditorietà e la cattiva qualità della normativa che, come abbiamo visto nel capitolo precedente, ha spesso un’impostazione emergenziale, ha conseguenze dirette sulla vita dei migranti dopo il loro arrivo in Italia.
Il quadro dell’accoglienza è infatti fatto di alcune luci, ma anche di molte ombre: accanto a esperienze positive e a un sistema Sprar che ha mostrato, in molti casi, la propria efficacia (anche se, anche qui, non mancano casi critici e problemi), rimangono insediamenti informali per via di falle nell’accoglienza e poi centri di prima accoglienza incapaci di garantire persino gli standard minimi.
Come abbiamo già visto nel Capitolo I, l’instabilità economica, politica e sociale che ha caratterizzato i Paesi del Nord Africa e quelli del vicino Medio Oriente a partire dal 2011 ha portato a cospicue migrazioni verso i Paesi europei e, in particolare, verso l’Italia. Per fronteggiare il bisogno crescente da parte degli stranieri di accoglienza e di assistenza, sono state previste nel nostro Paese strutture specifiche allineate anche alle disposizioni europee. I cambiamenti introdotti sono stati numerosi così come i successi conseguiti, ma si sono registrati e continuano a registrarsi insuccessi ed episodi troppo diffusi di cattiva accoglienza.
Fin dalla sua nascita nel 2002, questo sistema non si è mai consolidato in un assetto tale da garantire un’accoglienza dignitosa ai richiedenti asilo. Piuttosto, ha assunto un andamento a due velocità: da una parte i grandi centri governativi e dall’altra i progetti territoriali SPRAR. A questo si aggiunge il fatto che a partire dal 2011, a seguito della crisi in Nord Africa, l’Italia ha iniziato ad adottare soluzioni prettamente emergenziali. Misure che non solo non hanno dato una risposta alle tante problematiche e alle esigenze dei richiedenti asilo, ma hanno anche impedito lo sviluppo di un sistema di accoglienza equo e rispettoso dei diritti.
Cerchiamo attraverso un breve prospetto di analizzare le principali tappe di evoluzione del sistema italiano di accoglienza:
27
• 1945-1989: le domande di asilo complessive in questi anni sono 238.000. Nel 1989 risiedono sul territorio italiano solamente 11.500 rifugiati, di cui meno di 5.000 extracomunitari. Vi sono solamente tre grandi Centri di Assistenza Profughi e Stranieri (CAPS) in tutto il territorio nazionale: Padriciano, Capua e Latina44;
• 1999-2001: il progetto Azione Comune, finanziato dal Ministero degli interni e dalla Commissione europea a seguito dei conflitti nei Balcani, arriva ad accogliere 1600 richiedenti asilo;
• 2001: nasce il PNA (Programma Nazionale Accoglienza). Vengono istituiti 58 centri ed accogli circa 2970 persone;
• 2002: nasce lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). I posti iniziali sono circa 2500;
• 2005-2006: l’aumento dei flussi porta all’istituzione di centri governativi CDA, CARA, CPSA, CIE;
• 2007-2008: l’aumento ulteriore dei flussi comporta un incremento di posti in CARA, CDA e CPSA. Vengono creati centri polifunzionali in alcune città metropolitane e aperte strutture private finanziate dalle convenzioni con le prefetture. I posti SPRAR raggiungono quota 4.500;
• 2010-2012: l’Emergenza Nord Africa porta all’apertura di quasi 1.000 nuove strutture per un totale di 25.000 posti;
• 2014: vengono istituiti i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria).
Se si passa adesso ad analizzare il sistema di accoglienza italiano per come è composto oggi, si notano la frammentarietà e la diversità dei centri in cui si articola. I centri si differenziano, infatti, per45:
• La natura dell’ente gestore (istituzionale o privato);
• Gli obiettivi che vengono perseguiti (prima o seconda accoglienza);
44 Christopher Hein (a cura di), Rifugiati. Vent’anni di storia del diritto d’asilo in Italia, Donzelli
editore, Roma, 2010, p. 34.
45 Angela Suprano, Il sistema di accoglienza in Italia. Un cammino verso l’integrazione?, 2016.
Consultabile all’indirizzo: http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap5.htm (consultato il 4/09/2017)
28
• L’approccio che viene adottato (assistenzialista o progettuale); • La natura dell’inserimento (più o meno coercitiva);
• La rete entro la quale il sistema di accoglienza è inserito (nazionale o locale); • Le caratteristiche strutturali (grandi centri collettivi o singoli appartamenti); • La tipologia dei servizi erogati;
• La capacità ricettiva.
La Road map italiana46 (2015) regola l’attuale sistema di accoglienza del nostro Paese suddividendo i centri tra Prima e Seconda accoglienza e stabilendone le diverse funzioni.
La prima accoglienza comprende gli Hotspot, i Regional Hub e i CAS:
• Hotspot: centri destinati alle prime operazioni di soccorso, di identificazione e di accoglienza (screening sanitario e foto-segnalamento). Ad oggi sono presenti soltanto a Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto;
• Regional Hub (Centri Regionali): previsti dal D.Lgs. n. 142/15, consistono in Centri Accoglienza Richiedenti Asilo (CARA) e Centri Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA). Sono strutture di prima accoglienza regionale o interregionale in cui il cittadino straniero può procedere con la richiesta di protezione internazionale in attesa di essere trasferito in centri di seconda accoglienza;
• Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS): il D.Lgs n. 142/15 stabilisce che, nel caso in cui i posti disponibili negli Hub e negli Sprar siano esauriti, l’accoglienza può essere assicurata da questi centri straordinari e temporanei. La grande maggioranza di richiedenti asilo, ad oggi, è ospitata nei CAS (circa il 77%).
La Seconda accoglienza ha, invece, l’obiettivo di garantire un’ospitalità a lungo termine dei richiedenti asilo promuovendo, un’integrazione sociale ed economica. Essa avviene attraverso il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar): istituito dalla legge 189/2002 come successore de programma Azione Comune e Programma Nazionale d’Asilo, è un sistema di seconda accoglienza che ha come
29
scopo un’accoglienza l’integrazione intesa come una “(ri)conquista dell’autonomia da parte di persone che hanno fatto l’esperienza della perdita: del Paese di origine, della casa, del lavoro, degli affetti, della storia personale47”. L’integrazione viene quindi vista come un percorso che si costituisce di diversi passaggi: l’accesso ai servizi di base (istruzione, salute, ecc.), la partecipazione sociale (relazione con il territorio, vita associativa, ecc.) e, infine, l’accesso al mondo del lavoro e alla casa. La gestione di questi progetti è delegata agli Enti Locali in collaborazione con enti del privato sociale (del terzo settore) che possono usufruire del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA). In questi casi il coinvolgimento dei territori è un punto di forza per questo tipo di accoglienza in quanto “a livello locale si possono trovare risorse specifiche, si può valutare l’impatto dell’accoglienza e si possono prendere decisioni più in sintonia con un contesto economico, sociale e culturale48”.
Si individuano, infine, i centri riservati a coloro che sono in attesa di essere espulsi dal territorio italiano. I Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono strutture che ospitano i migranti che sono giunti irregolarmente in Italia e che non richiedono la protezione internazionale o non hanno i requisiti per procedere con la richiesta. Qui essi attendono l’espulsione e il rimpatrio per un periodo che può essere di massimo 18 mesi.
Se il sistema di accoglienza e rimpatrio risulta molto articolato, esso presenta allo stesso tempo numerose criticità nella gestione reale dei centri di accoglienza. Le cause sono da ricercarsi nelle “carenze organizzative, gestioni non trasparenti, scarsità di fondi e mancanza di collaborazione sia da parte dell’Unione europea che delle
47 SPRAR, I percorsi di inserimento socio-economico nello Sprar, 2016, p. 9.
48 Gruppo di studio sul sistema di accoglienza costituito presso il Ministero dell’Interno, Rapporto
sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi, Roma, 2015, p.32.
Consultabile all’indirizzo:
http://www.libertaciviliimmigrazione.interno.it/dipim/export/sites/default/it/assets/pubblicazioni/Rapp orto_accoglienza_ps.pdf
30
amministrazioni locali contrarie ad ospitare migranti sul proprio territorio49”. Criticità che analizzeremo più nello specifico nei prossimi paragrafi.
2.1 La promessa non mantenuta: gli esclusi dall’accoglienza
Analizzando i vari contesti regionali risulta diffusa lungo tutta la penisola una discrepanza tra quanto stabilito dalle leggi nazionali e dalle direttive europee e la realtà dei fatti. In primo luogo rispetto ai tempi di attesa tra il momento in cui il richiedente fa domanda di asilo, il foto-segnalamento, il rilascio delle impronte digitali e la verbalizzazione della domanda di asilo50. Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
i dati del Ministero degli Interni mostrano, difatti, come i tempi di formalizzazione della domanda di asilo siano, in media, di 85,9 giorni. L’ordinamento italiano fissa, come limite massimo, 10 giorni. Nella realtà osserviamo che le tempistiche variano molto da caso a caso: si va da alcuni giorni ad addirittura alcuni mesi. Durante questo periodo di attesa il migrante non ha a disposizione un documento che certifichi la sua presenza regolare sul territorio e che gli permetta di accedere regolarmente ai servizi usufruibili dai richiedenti asilo come, ad esempio, l’assistenza sanitaria e l’accesso al sistema di accoglienza. Questo nonostante la Direttiva Accoglienza51 laddove stabilisca che:
“Gli Stati membri provvedono affinché, entro tre giorni dalla presentazione della domanda di asilo all’autorità competente, ai richiedenti asilo sia rilasciato un documento nominativo che certifichi lo status di richiedente asilo o che attesti che il
49 Andrea Vento, Il sistema italiano d’accoglienza: politiche emergenziali, inefficienza e malaffare sulla
pelle dei migranti, in “Scienza e Pace”, vol. 3, 2016, p. 3.
50 Asgi, Cespi, Caritas Italiana, Communitas La protezione internazionale in Italia, quale futuro?
Analisi di alcuni principali dati, Roma, 2011, p. 14. Consultabile all’indirizzo:
http://www.libertaciviliimmigrazione.interno.it/dipim/export/sites/default/it/assets/pubblicazioni/Rapp orto_accoglienza_ps.pdf
31
richiedente asilo è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato membro nel periodo in cui la domanda è pendente o è in esame”
Le misure di accoglienza, secondo quanto previsto dalla normativa, dovrebbero essere assicurate subito dopo la manifestazione della volontà di chiedere protezione. La realtà, però, ci testimonia che i richiedenti devono aspettare settimane o, addirittura, mesi prima di poter formalizzare la richiesta di asilo e usufruire del sistema di accoglienza52. Una situazione che non solo testimonia le chiare difficoltà da parte
dell’Italia nella piena attuazione di questo provvedimento europeo, ma è anche causa della nascita, sempre più spesso dei cosiddetti insediamenti informali: ossia situazioni abitative, in cui dimorano stranieri richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria e non inclusi nel sistema di accoglienza, “caratterizzate da forme più o meno accentuate di autogestione da parte della popolazione presente e da nessun pagamento di un canone di locazione53”. Le indagini condotte da Medici Senza Frontiere hanno rilevato come, sul territorio italiano, esistano due tipologie di insediamenti informali:
• Da un lato abbiamo insediamenti all’aperto in cui dimorano principalmente migranti entrati in Italia da poco e in attesa di accedere al sistema di accoglienza. In questi insediamenti troviamo prevalentemente uomini, soprattutto di nazionalità Afghana o Pakistana, ma anche donne di diversa provenienza (Eritrea, Ghana, Nigeria e Somalia) e minori stranieri non accompagnati (anche bambini). I migranti passano in questi centri un periodo di tempo che varia da un mese a tre mesi. Tra questi insediamenti troviamo la cosiddetta “Jungle” di Gorizia (formatasi nel novembre del 2013 e a cui sono sempre state trovate soluzioni emergenziali, senza risolvere mai il problema) e gli insediamenti nel parco archeologico di Porta Palatina e nei pressi di Palazzo Reale a Torino;
52 Medici Senza Frontiere, Fuori Campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali
e marginalità sociale, 2016, p. 5. Consultabile all’indirizzo:
http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/resources/fuoricampomsf.pdf
32
• Dall’altro lato troviamo insediamenti presso edifici in disuso, container, baraccopoli in cui vivono prevalentemente rifugiati presenti in Italia da diversi anni (in media da circa 6 anni). Persone che non sono mai riuscite ad entrare nel sistema di accoglienza o che ne sono uscite senza aver potuto portare a termine un percorso di inserimento sociale e, attualmente, sono escluse dal mondo del lavoro. Questi insediamenti sono presenti lungo tutta la penisola e consistono, nella maggior parte delle grandi città, nell’occupazione di vecchi immobili. Le condizioni igieniche sono spesso precarie, vi è un’assenza di una rete idrica e/o di acqua potabile e la mancanza di una rete elettrica. Alcuni esempi sono l’Ex Moi di Torino, l’Ex Set di Bari, l’Ex Daunialat di Foggia, San Severo (FG) e Borgo Mazzanone (FG). Quest’ultimo rappresenta una situazione particolarmente critica, presente da più 10 anni, essendo composto da una serie di container abbandonati sulla pista di un aeroporto militare in disuso e a pochi metri dal centro governativo (CARA) attualmente in uso.
2.2 Un’accoglienza ancora a metà
Come abbiamo osservato nei paragrafi precedenti, il numero di centri di prima e seconda accoglienza è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni. A partire dal 2014 sono emersi due aspetti rilevanti legati alla gestione dei migranti. Il primo elemento a cui vale la pena dedicare attenzione riguarda la dislocazione dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. Se nel 2013, infatti, le domande venivano esaminate principalmente nel Mezzogiorno, ad oggi i dati testimoniano un’equa ripartizione lungo la penisola. Il secondo aspetto, e il più complesso, è connesso alla diversità delle strutture che vanno a formare il sistema di accoglienza italiano e alla loro insufficienza. I dati che abbiamo riportato nel capitolo precedente evidenziano come, nel 77,7% dei casi, si sia fatto ricorso a un inserimento in strutture temporanee (CAS) e come solo il 13,5% di richiedenti sia ospitato nella rete degli SPRAR. Questa differenza mette in luce che, nonostante l’ampliamento di posti messi a disposizione avvenuto a partire dal 2012 (basti pensare che si è passati dai 1.365 posti del 2013 ai 31.313 posti
33
disponibili oggi54), i numeri non sono ancora sufficienti a garantire un’accoglienza diffusa attraverso i progetti sul territorio.
Nonostante a partire dal 2014 il governo abbia cercato di superare la logica emergenziale data da un flusso di persone sempre più ampio, favorendo un sistema più flessibile, caratterizzato da standard minimi di qualità e dal monitoraggio dell’offerta55, alla luce degli ultimi dati richiamati nel paragrafo precedente risulta
evidente che questi provvedimenti non sono stati sufficienti ad apportare i cambiamenti auspicati e a superare una logica emergenziale.
2.2.1 Prima accoglienza: tra strutture fatiscenti e violazione dei diritti
umani
Facendo riferimento ad alcuni report, tra cui quelli della campagna LasciateCientrare56, dell’ONG Oxfam Italia57, di Medici per i Diritti Umani58 e di NAGA59, oltre che ad alcune pubblicazioni di Amnesty International60 e ad
54 Banca Dati Servizio Centrale SPRAR, i numeri dell’accoglienza. 55 Piano Operativo Nazionale, approvato il 17 luglio 2015.
56 LasciateCientrare, Accogliere: la vera emergenza, 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://www.lasciatecientrare.it/j25/attachments/article/193/lasciateCIEntrare%20rapporto%202016-2.pdf
57 Oxfam Italia, Hotspot: il diritto negato, 2016. Consulabile all’indirizzo:
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/05/Rapporto_Hotspots_Il-diritto-negato_Oxfam_DEF.pdf
58 Medici per i Diritti Umani, Asilo Precario. I Centri di Accoglienza Straordinaria e l’esperienza di
Ragusa, 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/MEDU_Rapporto_CAS_26_aprile_FINALE.pdf
59 NAGA, (Ben)venuti! Indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia,
2016. Consultabile all’indirizzo: https://www.naga.it/tl_files/naga/(Ben)venuti_Naga.pdf
60 Amnesty International, The State Of International Human Rights, Report 2016/2017, 2017.
Consultabile all’indirizzo: https://www.amnesty.org/en/documents/pol10/4800/2017/en/;
Amnesty International, Hotspot Italia: come le politiche dell’unione europea portano a violazioni dei
diritti di rifugiati e migranti, 2016. Consultabile all’indirizzo:
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un’inchiesta giornalistica61 andremo ad analizzare la situazione presente nei centri di
prima accoglienza (governativi e non).
I Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) sono spesso gestiti da chi offre una sistemazione (appartamenti, ma anche hotel, ex edifici scolastici e vecchi casolari, molto spesso isolati) nel più breve tempo possibile e, in prevalenza, da “soggetti privi di esperienza in programmi di tutela e accoglienza integrata per richiedenti asilo e rifugiati62”. Un quadro che mette in luce come, spesso, uno dei problemi più rilevanti
riguardi proprio il personale dei centri di accoglienza: non sono previsti un numero minimo di operatori, né una preparazione specifica (molti sono impreparati a gestire un fenomeno complesso come l’immigrazione non parlando l’inglese o il francese, ma soprattutto non hanno conoscenze appropriate del diritto umanitario e non hanno le capacità per relazionarsi con persone vulnerabili63). Piuttosto frequente, inoltre, è un’assistenza ridotta al minimo, che non riserva l’attenzione dovuta ai migranti e, in particolar modo, ai casi vulnerabili (donne incinta, persone depresse o con problemi psichici, malati) neanche sotto l’importante profilo sanitario64 e psicologico. Si registra, inoltre, che in alcuni casi non viene neanche fornita un’assistenza legale che possa informare il migrante sulla procedura di richiesta di asilo, sui suoi diritti e doveri e che supporti la persona attraverso un incontro preparativo prima della convocazione da parte della Commissione territoriale. Dalle diverse indagini si evince, inoltre, che non sono rari i casi in cui le strutture sono fatiscenti, inospitali e prive di sufficienti servizi essenziali (ambienti freddi, acqua calda non funzionante, servizi igienici non adatti) oltre ad essere collocate in aree periferiche o già caratterizzate da problematiche sociali. Molto frequente è, inoltre, il fenomeno del sovraffollamento: i posti disponibili
61 Fabrizio Gatti, “Sette giorni all’inferno: diario di un finto rifugiato nel ghetto di Stato”, L’Espresso,
Settembre 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/09/12/news/sette-giorni-all-inferno-diario-di-un-finto-rifugiato-nel-ghetto-di-stato-1.282517
62 Medici Senza Frontiere, Op. Cit, 2016, p. 5 63 LasciateCientrare, Op. Cit, 2016 p. 87.
64 Alcuni migranti non sono iscritti al Sistema Sanitario Nazionale, altri non usufruiscono del medico e