4.1 La tutela delle vittime di tratta e di grave sfruttamento
4.1.2 La normativa italiana e le sue problematiche
In Italia, prima della Convenzione delle Nazioni Unite, il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (D.Lgs 286/98) all’articolo 18 prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (rinnovabile anche dopo la conclusione del programma di protezione) volto a difendere le vittime di tratta o di grave sfruttamento che risultavano esposte a un pericolo per la loro incolumità a seguito delle dichiarazioni rese nel procedimento penale o dopo essersi sottratte alla situazione di sfruttamento. Lo scopo della normativa era quello di consentire allo straniero di sfuggire alle violenze e all’influenza dell’organizzazione criminale oltre ad assicurare un programma di assistenza e integrazione.
A partire dal 1999 sono stati attivati, lungo tutta la penisola, i cosiddetti “programmi di assistenza e integrazione sociale” per le vittime di tratta. Il sistema di protezione è
162UNHCR, Linee guida di protezione internazionale. L’applicazione dell’articolo 1A(2) della
convenzione del 1951 e/o del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta, 2006.
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stato poi integrato con l’attuazione della legge 228/2003 che non solo fornisce strumenti di contrasto al fenomeno, ma assegna alla prevenzione un ruolo fondamentale. Si prevede, difatti, la costituzione di un Fondo per le misure anti-tratta (con lo scopo di finanziare i programmi di assistenza e di integrazione sociale delle vittime) e un programma di primo intervento per l’assistenza e il supporto comprendente vitto, alloggio e cure mediche.
Nonostante i progressi registrati successivamente all’attuazione del D.Lgs 24/14 (recepimento della direttiva 2011/36/UE) si identificano ancora delle mancanze all’interno del nostro ordinamento: non sono state introdotte disposizioni per la tutela effettiva delle vittime di tratta (ad esempio: la norma relativa al diritto di indennizzo non è coerente con la direttiva ed appare totalmente inefficiente) e per il miglioramento della stessa rete anti-tratta.
Sembra quindi evidente che il nostro Paese debba fare numerosi passi avanti in questo ambito. Nel rapporto di ASGI164 si legge, infatti, che tutt’oggi in Italia è presente un’errata applicazione delle norme esistenti in materia di tutela delle vittime di tratta a livello europeo. In particolare l’art. 18 del D.Lgs 286/98, riguardante il rilascio del permesso di soggiorno, viene applicato in modo molto diversificato tra le varie Questure: il contributo apportato dalla vittima nel procedimento penale a carico degli sfruttatori è spesso la principale variabile che viene preso in considerazione. La normativa parla però chiaro: i criteri da prendere in considerazione dovrebbero essere esclusivamente la situazione di sfruttamento e il pericolo per l’incolumità della persona stessa o dei suoi familiari. Si evidenzia, inoltre, che i meccanismi di identificazione delle vittime non sono ancora totalmente inefficienti all’interno dei porti e delle strutture di accoglienza, che l’assistenza procede lentamente e che non si assicura ancora la possibilità di avere una protezione adeguata.
Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, invece, il Testo Unico sull’Immigrazione prevedeva già che l’impiego di cittadini stranieri in condizioni di irregolarità costituisse un reato punibile con la reclusione (dai sei mesi ai tre anni) e una multa pari a 5.000 euro per ciascun lavoratore irregolare impiegato. La direttiva 2009/52/UE in materia è stata recepita in Italia solo in parte e in ritardo (la
164 ASGI, La tutela delle vittime della tratta e del grave sfruttamento: il punto della situazione oggi in
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Commissione Europea aveva aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata trasposizione della Direttiva nei tempi richiesti) con il D.Lgs 109/2012, conosciuto come Legge Rosarno. Questo decreto prevede che possa essere rilasciato uno specifico permesso di soggiorno per motivi umanitari allo straniero sottoposto a “condizioni lavorative di particolare sfruttamento” o “che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro165”. La Legge Rosarno prevede che vi sia una “condizione lavorativa di particolare sfruttamento” ove sussista una tra le seguenti condizioni:
a) I lavoratori reclutati sono più di tre;
b) I lavoratori reclutati sono minori in età non lavorativa;
c) I lavoratori reclutati sono sottoposti alle condizioni lavorative di particolare sfruttamento riportate all’articolo 603-bis del Codice Penale (reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro).
La definizione di “condizione di particolare sfruttamento” è evidentemente più ristrettiva rispetto a quella presente nella Direttiva europea, non prendendo in considerazione l’ipotesi in cui sussista “una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego di lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana”. Le circostanze nelle quali è previsto il rilascio dello specifico permesso di soggiorno “non corrispondono alle situazioni che realmente assumono le caratteristiche dello sfruttamento lavorativo, con ciò vanificando la finalità della normativa166”.
Possono essere individuate, inoltre, altre mancanze rilevanti:
• Non sono state introdotte misure volte a favorire (anche tramite di enti e associazioni) la denuncia nei confronti dei datori di lavoro;
• Non sono stati messi in atto meccanismi in grado di assicurare ai lavoratori irregolari il pagamento degli arretrati da parte dei datori di lavoro;
• Non sono stare introdotte ulteriori sanzioni amministrative nei confronti dei datori di lavoro che impiegano migranti irregolari quali l’esclusione dal
165 D.Lgs 286/98, art. 5, co.6.
166 ASGI, Questioni maggiormente rilevanti in ordine alla legislazione italiana a tutela delle vittime di
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beneficio di sovvenzioni e aiuti pubblici, il rimborso delle sovvenzioni, l’esclusione da appalti pubblici, il ritiro temporaneo o permanente della licenza d’esercizio dell’attività commerciale e la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione;
• Non è stato messo a punto un sistema in grado di informare i lavoratori sui loro diritti riguardanti la retribuzione, i contributi e, soprattutto, la possibilità di denunciare il datore di lavoro e di ricevere assistenza dalle associazioni di tutela dei lavoratori;
• Ha affidato la responsabilità di svolgere attività di vigilanza agli ispettori del lavoro andando contro agli standard internazionali in materia. Vi è, difatti, una “scarsa propensione dei soggetti coinvolti nell’ambito della tutela dei lavoratori a identificare le vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo167 ” a causa di “scarsa conoscenza del fenomeno, lo scarso approfondimento nei luoghi di lavoro dei servizi ispettivi168” e alla complessità del fenomeno (negli ultimi anni si sono registrate nuove forme di sfruttamento e gruppi di vittime più diversificati per età, provenienza e sesso).
È, quindi, evidente che la Legge Rosarno ha limitato la portata della Direttiva europea. La tutela delle vittime dello sfruttamento lavorativo risultata così parziale e scarsamente rispondente alla realtà del fenomeno, fallendo nell’intento di “fornire una protezione effettiva ai lavoratori agricoli migranti che siano vittime di sfruttamento lavorativo in Italia169”.
167ASGI, Op. Cit, 2015, p.30. 168 Ibidem
169 Amnesty International, Lavoro sfruttato due anni dopo. Il fallimento della “Legge Rosarno” nella
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