3.4 Le donne rifugiate e richiedenti asilo
3.4.3 Il lungo cammino verso l’integrazione: interventi auspicabili
Le donne rifugiate continuano a essere rappresentate economicamente, socialmente e politicamente in modo emarginato, indipendentemente dai loro percorsi di vita individuali. Nella fase successiva all’accoglienza, infatti, le criticità che le donne si trovano ad affrontare sono molte e di vario genere. Le politiche per l’integrazione dovrebbero basarsi su un metodo partecipativo che riesca a coinvolgere le donne nella fase di elaborazione e di implementazione in quanto pienamente consapevoli di ciò che hanno vissuto e di ciò che stanno vivendo. Ciò permetterebbe loro di diventare agenti attivi di cambiamento e di empowerment146.
Una delle problematiche su cui le policy dovrebbero svilupparsi è quella abitativa. Non di rado, infatti, i migranti si trovano a far fronte a una reticenza, da parte dei proprietari, ad affittare gli immobili a persone straniere anche a causa dei loro insufficienti mezzi economici. Ciò porta allo svilupparsi di situazioni di sovraffollamento in case spesso fatiscenti, in cui le donne e gli uomini convivono, pur non essendo familiari, aumentando così il rischio di ricadere in situazioni di violenze e sfruttamento. Sarebbero così necessarie politiche di housing dedicate a tutte le donne che prevedano facilitazioni per l’accesso alla casa. Questo permetterebbe loro di essere più
144 Oxfam Italia, La lotteria Italia dell’Accoglienza, 2017. Consultabile all’indirizzo:
https://www.oxfamitalia.org/documento/lotteria-italia-accoglienza/
145 B. Pinelli, “Se a chiedere asilo sono le donne”…cit. 146 S. Sansonetti, Op. CIt, 2016, p. 9
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indipendenti, di avere accesso ai servizi sanitari, sociali e dedicati all’infanzia, ai trasporti e alle opportunità di lavoro147.
Un altro passaggio fondamentale per l’integrazione delle donne è l’erogazione di corsi di lingua e di formazione: solo in questo modo le migranti potrebbero raggiungere l’autonomia e sentirsi parte del tessuto sociale del Paese di accoglienza. Spesso, infatti, le donne non hanno le stesse possibilità di accesso a questi corsi rispetto agli uomini in quanto le loro responsabilità di cura glielo impediscono. Quando, inoltre, tentano di inserirsi nel mercato del lavoro devono fronteggiare numerosi ostacoli: i titoli di studio non vengono soventemente riconosciuti, vi sono numerose discriminazioni e pregiudizi nei confronti delle donne rifugiate da parte dei datori di lavoro, insufficienti conoscenze linguistiche e/o professionali, culture e tradizioni che non permettono alla donna di lavorare148.
L’ambito in cui vi è una maggiore necessità di implementare policy incisive è quello della tutela della salute. Come abbiamo già sottolineato più volte, le donne richiedenti asilo hanno subito nella maggior parte dei casi discriminazioni e forme di violenza inimmaginabili. Questo fa sì che vi sia un’esigenza di sviluppare servizi integrati (sanitari e psicologici) che tengano conto dei loro percorsi di vita, dei loro traumi e delle difficoltà che incontrano nel raccontare questi aspetti a persone estranee149. In questa direzione uno dei servizi imprescindibili è quello della mediazione linguistica all’interno delle strutture ospedaliere.
147 S. Sansonetti, Op. Cit, 2016, p.22-23. 148 S. Sansonetti, Op. Cit, 2016, p. 34-35. 149 S. Sansonetti, Op. cit, p. 38.
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CAPITOLO IV
ESSERE SCHIAVE IN EUROPA: LA TRATTA DELLE DONNE
AFRICANE
Abbiamo visto nel capitolo precedente, dedicato alle migrazioni femminili, come le donne immigrate vadano spesso incontro a marginalità sociale, povertà e a un senso di estraneità rispetto alla comunità ospitante.
Analizzando in particolare le problematiche relative alle donne rifugiate e richiedenti asilo, è emerso, inoltre, che i nostri centri di accoglienza non sono in grado di identificare le loro vulnerabilità legate, sempre più spesso, alle violenze inimmaginabili subite durante il viaggio e al difficile percorso di integrazione che si trovano a dover affrontare.
Una problematica che si sta diffondendo sempre di più tra le richiedenti asilo è il coinvolgimento nella tratta che non significa soltanto prostituzione, ma anche spaccio, accattonaggio, matrimoni forzati e piccoli furti. Partendo dal dato rilasciato da OIM, che mette in luce come addirittura l’80% delle ragazze nigeriane arrivate sulle nostre coste sia vittima di trafficking, in questo capitolo andremo ad analizzare nello specifico la tratta. Cercheremo in queste pagine di dare una risposta ad alcune domande. In che modo la legislazione europea e quella italiana tutelano le vittime di tratta e di sfruttamento? Cosa spinge queste ragazze a venire in Europa? Perché non denunciano i loro trafficanti? Come si aiutano le vittime di tratta?
Il fenomeno della tratta di esseri umani sta assumendo una sempre maggiore rilevanza non solo in Italia, ma anche in tutti i Paesi Europei. Lo sfruttamento, che fino a pochi anni fa riguardava principalmente la prostituzione e il lavoro forzato, sta diventando sempre più esteso e diversificato ed è arrivato a includere numerose attività illegali (furto, borseggio, accattonaggio, coltivazione e spaccio di droga, vendita di prodotti contraffatti, ma anche rimozione e commercio di organi, vendita di bambini e
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matrimoni forzati150). I dati di UNODC151 (United Nations Office on Drugs and Crime) riportano che nel biennio 2012-2014 le vittime di tratta registrate152 negli Stati Membri sono state 22.070: nel 74,5% dei casi si tratta di donne o bambine e nel 25,5% dei casi di uomini o bambini. I dati Eurostat153 ci mostrano come il maggior numero di vittime si registri in Italia (6.572), Regno Unito (4.474), Olanda (3.926), Romania (3.243) e Francia (2.131). La maggioranza delle vittime è di origine comunitaria (Romania, Bulgaria, Polonia, Olanda e Ungheria), ma che quota crescente proviene da Paesi non comunitari, in primis dalla Nigeria.
Facendo riferimento a una ricerca condotta nel settembre 2016 da OIM154 in Sicilia su
2.783 migranti notiamo che nel 71% dei casi è stato individuato almeno un indicatore di tratta. Viene evidenziato, inoltre, che nella metà dei casi, gli intervistati, sono stati trattenuti contro la loro volontà (spesso rapiti o detenuti in spazi chiusi) da gruppi armati e/o hanno lavorato senza essere pagati in cambio della libertà. Il 10% dei migranti ha riportato di essere stato contattato per un’offerta di lavoro in Europa quando si trovava in Libia, Algeria, Nigeria o Niger; mentre il 5% di aver visto durante il viaggio persone che offrono soldi in cambio di sangue, organi o parti del corpo. Nell’1,5% dei casi i rispondenti dichiarano di essere stati contattati per un’offerta di un matrimonio combinato (per le donne la percentuale sale al 4,5%).
150 UNODC, Global Report on Traficking in persons 2016, 2016, p. 8. Consultabile all’indirizzo:
https://www.unodc.org/documents/data-and-
analysis/glotip/2016_Global_Report_on_Trafficking_in_Persons.pdf
151 UNODC, Op. CIt., pp. 71-83.
152 La natura illegale della tratta di esseri umani e l’adozione di definizioni giuridiche spesso non
convergenti nei vari Paesi impedisce, tuttavia, una quantificazione precisa del fenomeno.
153 Eurostat, Trafficking in human beings, Luxembourg, 2016. . Consultabile all’indirizzo:
https://ec.europa.eu/anti-
trafficking/sites/antitrafficking/files/eurostat_report_on_trafficking_in_human_beings_- _2015_edition.pdf
154 OIM, Analysis: Flow Monitoring Surveys – Human trafficking and Other Exploitative Practices
Prevalence Indication Survey, 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://migration.iom.int/docs/Analysis_Flow_Monitoring_and_Human_Trafficking_Surveys_in_the_ Mediterranean_and_Beyond_26_April_2017.pdf
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Andiamo ad analizzare nello specifico un fenomeno che riguarda un numero sempre più alto di donne, soprattutto di origine nigeriana: il cosiddetto sex trafficking.