Per moltissimi anni l’uomo è stato considerato come l’esclusivo protagonista dei processi migratori: partiva per primo alla ricerca di lavoro e veniva raggiunto dalla moglie e dai figli solo in un momento successivo. Il fenomeno migratorio, negli ultimi trent’anni, ha subito però numerose trasformazioni. Le donne, infatti, hanno iniziato a emigrare sempre più frequentemente arrivando a rappresentare, in molti casi, la componente maggioritaria dei processi migratori. I dati riportati all’interno del
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documento “The International Migrants Report 201587” hanno evidenziato, infatti, che gli spostamenti riguardanti il sesso femminile si stanno diffondendo sempre di più col passare degli anni. Nel 2015 le donne hanno rappresentato il 48,2% del totale dei migranti internazionali in tutto il mondo, il 53,4% in Europa. Un dato particolarmente interessante riguarda l’età delle migranti: nonostante si sia registrato un aumento di giovani che si spostano nel mondo, il 15% ha un’età superiore ai 50 anni. Queste evidenze ci portano, così, a poter affermare che stiamo assistendo ad una vera e propria femminilizzazione dei flussi migratori.
I fattori che danno origine alle migrazioni sono molteplici e sono da ricercare nell’articolato intreccio tra fattori soggettivi (sociali, demografici, motivazionali, condizionamenti personali e familiari), contestuali (economici, politici, culturali e lavorativi) e relazionali (network istituzionali, network tra migranti e potenziali migranti)88. Alcune ricerche hanno però messo in evidenza che le motivazioni migratorie si differenziano in base al genere: se gli uomini sono principalmente spinti dalla perdita del lavoro o da un salario troppo basso, le donne sono guidate dall’esigenza di migliorare le proprie condizioni di vita, di fuggire da violenze e discriminazioni e dalla volontà di arricchire la loro educazione e quella dei loro figli89. La maggior parte delle donne partono con un progetto migratorio, maturato autonomamente o con il contributo della famiglia o del gruppo culturale e influenzato da fattori quali l’età, la classe sociale e lo stato civile. I modelli migratori individuabili sono molteplici90:
• Donne migrate individualmente, spesso spinte dalla rete familiare o amicale, avvalendosi dei reticoli sociali (ad esempio: le chiese);
• Donne autonome, partite per sfuggire a una famiglia in cui non si riconoscono o a situazioni di guerre e/o conflitto;
87 UN, The International Migrant Report 2015, 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/publications/migrationreport/docs/Migr ationReport2015_Highlights.pdf
88 Maurizio Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2011, pp.35-40
89 Mara Tognetti Bordogna, Donne e Percorsi Migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Franco
Angeli, 2012, p.98.
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• Donne migranti con l’uomo di famiglia (marito o fratello); • Donne migranti per ricongiungimento familiare;
• Donne che richiamano a sé la famiglia una volta migrate;
• Donne forzate alla migrazione per sfruttamento o tratta (provengono principalmente dalla Nigeria, dal Ghana e dai Paesi dell’Est);
• Profughe e rifugiate;
• Donne migranti perché spose per corrispondenza o in seguito a turismo sessuale;
• Donne migranti volontariamente per inserirsi all’interno del sex business (prostitute, ballerine, cantanti, accompagnatrici, ecc.);
• Donne circolari: migrano per un periodo limitato di tempo in relazione alle esigenze familiari ed economiche;
• Donne transnazionali: modello migratorio che descrive la capacità di tenere unita la famiglia nonostante la distanza. Questo può avvenire soprattutto grazie alle nuove tecnologie e ai doni materiali;
• Donne sospese, ossia coloro che migrano per un ricongiungimento familiare, ma che non riescono ad integrarsi a pieno nel nuovo Paese. Si spostano frequentemente dallo Stato ospitante a quello di origine, senza però sentirsi mai soddisfatte;
• “Così fan tutte”: si decide di migrare perché in un determinato contesto migrano tutti.
Analizzando i Paesi di provenienza e quelli di destinazione si possono individuare quattro principali flussi migratori femminili91:
• Dall’Asia sud-orientale (Bangladesh, Filippine, Indonesia e Sri Lanka) verso il Medio o l’Estremo Oriente (Arabia Saudita, Bahrein, Hong Kong, Malaysia, Kuwait, Oman e Singapore);
91 Maria Letizia Zanier, Migrazioni al femminile: lineamenti e dimensionei di un fenomeno in
transizione, in Maria Immacolata Macioti, Gioia Vitantonio, Paola Persano (a cura di), Migrazioni al femminile: identità culturale e prospettiva di genere, EUM, Macerata, 2006, p.23.
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• Dall’ex-blocco sovietico (Albania, Bulgaria, Polonia, Romania e Russia) verso l’Europa occidentale (Danimarca, Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Norvegia, Spagna, Svezia e Portogallo);
• Dall’America centrale e meridionale verso gli Stati Uniti; • Dall’Africa verso l’Europa occidentale.
Ad oggi possono essere individuate due categorie di donne migranti: coloro che si sono ricongiunte alla famiglia a seguito dell’ottenimento da parte del marito o del genitore dello status di rifugiato e, in misura sempre maggiore, coloro che sono partite per sfuggire a guerre, regimi e povertà92. In molti casi sono, infatti, ancora gli uomini a
separarsi per primi dalla famiglia per ricercare una vita migliore in un altro Paese e, solo una volta che la situazione lavorativa ed abitativa si è stabilizzata, viene dato avvio alle pratiche di ricongiungimento famigliare dando luogo ad una vera e propria trasformazione del progetto migratorio che si consolida diventando, così, a lungo termine. L’arrivo delle donne avviene frequentemente in condizioni molto difficoltose: alloggi spesso precari, fatiscenti e ubicati nelle periferie scarsamente servite dai trasporti pubblici, accesso ai servizi sociosanitari e ai diritti limitato sia per la mancata conoscenza della lingua del Paese di accoglienza sia per la scarsa scolarizzazione e la diversa cultura93. Nonostante le molteplici difficoltà, le migrazioni di questo genere, anche a causa del più o meno lungo periodo di distacco, producono, in molti casi, “mutamenti nei ruoli tra i coniugi e tra genitori e figli94”: l’incontro in uno Stato
straniero “comporta la necessità di fare i conti con la nuova realtà e con le reciproche immagini mutate95”. Le donne, difatti, una volta arrivate nel Paese di destinazione modificano, non di rado, la loro condizione di casalinghe, imparando la lingua,
92 Anna Sambo, “Donne migranti: il soggetto e il cambiamento sociale”, Equilibri, Vol. 61, n. 1, 2017,
pp. 5-6.
93 Catherine Wihtol de Wenden, “Storie di donne migranti del ventunesimo secolo”, in InGenere. Dati,
politiche, questioni di genere, Febbraio 2016. Consultabile all’indirizzo:
http://www.ingenere.it/articoli/storie-di-donne-migranti-nel-ventunesimo-secolo
94 Gabriella Favaro, Avere un figlio altrove, in Giovanna Vicarelli (a cura di), Le mani invisibili, Ediesse,
Roma, 1994, p. 144.
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cercando lavoro e diventando anch’esse breadwinner (procurano risorse economiche per provvedere al sostentamento della famiglia).
Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrato un cospicuo incremento di donne che migrano da sole inseguendo un desiderio di emancipazione e di autonomia (ad esempio: ricerca di un lavoro, ma anche per sfuggire a discriminazioni, matrimoni imposti, pratiche di mutilazione genitale, ecc.) o costrette a farlo da altri e, in particolare, da membri del nucleo familiare. Come abbiamo già osservato nel primo capitolo, infatti, per le donne la decisione di partire non è sempre presa in autonomia. Nella ricerca realizzata da OIM che abbiamo riportato, nello specifico, le donne che partono volontariamente sono il 56% contro il 74% di uomini.
Tutt’oggi una caratteristica particolarmente radicata in molte società e, di conseguenza, all’interno delle famiglie è proprio la disuguaglianza e la discriminazione di genere. Questo comporta una minore possibilità per il sesso femminile di accedere all’istruzione, alle risorse economiche e alla vita pubblica. È interessante notare che se le donne decidono di migrare autonomamente è molto probabile che scelgano come destinazione uno Stato in cui, oltre a condizioni economiche e lavorative favorevoli, è presente anche una minore discriminazione di genere e sociale rispetto al Paese di origine96. In questi casi, inoltre, l’atto di migrare oltre a favorire e migliorare l’autonomia e la posizione sociale, può cambiare le norme sociali non solo per le migranti e le loro famiglie, ma anche all’interno delle comunità di origine che possono iniziare ad adottare norme più egualitarie in materia di educazione, matrimoni, fertilità e ruoli di genere97.
Le donne costrette a migrare o che migrano per propria decisione sono particolarmente esposte a rischi di violenze e sfruttamento a causa di diversi fattori concomitanti: quando decidono di partire non sono a conoscenza delle molteplici difficoltà a cui andranno incontro e delle effettive opportunità di impiego, non hanno una vera e propria consapevolezza dei loro diritti, sono straniere in Paesi sempre meno accoglienti e sempre più intolleranti verso gli altri, oltre ad essere donne in società in cui la parità
96 Tom O’Neil, Anjali Fleury, Marta Foresti, Women on the Move. Migration, Gender Equality and the
Agenda for Sustainable Development, Overseas Development Institute (ODI), 2016, p. 5
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di genere è ancora ben lontana dall’essere realizzata e in cui persistono numerose discriminazioni98. Durante il tragitto moltissime sono vittime di violenza e di abusi che spesso non si arrestano neanche nel Paese di destinazione: emarginate dalla società, discriminate e costrette a svolgere lavori poco qualificati anche se sono in possesso di un titolo di studio.
In questo difficile contesto la risorsa che ha garantito e che continua a garantire alle donne di migrare e di insediarsi nei Paesi di destinazione in modo autonomo sono i network99. Queste reti di solidarietà sono spesso essenziali per molte donne “per apprendere le competenze necessarie a lavorare nell’ambiente domestico italiano, per trovare un impiego, per contrastare i rischi di abuso e per attutire le conseguenze della disoccupazione100”. I network sono composti da donne che hanno rapporti di parentela, di amicizia, di interesse, di presenza in un determinato territorio o provengono dalla stessa nazione, se non addirittura dallo stesso villaggio. Esse si associano per supportare, anche attraverso l’organizzazione di servizi informali, altre donne e per favorirne l’insediamento e l’inserimento lavorativo. Spesso chi è intenzionato a partire reperisce informazioni proprio da questi network per scegliere la destinazione, per ottenere un visto di ingresso e per raccogliere il denaro necessario per intraprendere il viaggio. Le funzioni delle reti comprendono così l’accoglienza delle nuove arrivate (ricerca di un alloggio, aiuto per la sopravvivenza, ecc.), la ricerca di un lavoro, il supporto per le questioni riguardanti la vita quotidiana e per quelle burocratiche, un sostegno sociale ed emotivo (si combatte la solitudine, si ricostruisce un’identità culturale, si affrontano situazioni difficili come la malattia e la disoccupazione)101. Gli spazi sociali che si creano da questi legami risultano così protettivi, solidali e coesivi.
98 Mary Kawar, Gender and migration: why are women more vulnerable, in Reysoo Fenneke, Christine
Verschuur, Femmes en mouvement: genre, migrations et nouvelle division internationale du travail, Graduate Institute Publications, Ginevra, 2004, pp. 73-75.
99 Francesca Decimo, Quando Emigrano le Donne: percorsi e reti femminili della mobilità
trasnazionale, Il Mulino, 2005, p.131.
100 Ibidem.
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3.1.1 Ruoli di genere e donne migranti: il lavoro di cura come principale
sbocco occupazionale
Le donne immigrate sono storicamente impiegate in attività domestiche e di caring. In Europa questi settori rappresentano ormai “il più importante serbatoio occupazionale per le nuove arrivate, in condizione giuridica regolare o irregolare102”. La tradizionale
divisione dei ruoli tra uomini e donne è, infatti, presente su scala globale: il genere rimane un fattore chiave per quanto riguarda le opportunità di lavoro dei migranti. Gli uomini continuano ad essere percepiti come più adatti a lavorare nell’industria, nell’agricoltura, nei trasporti, nell’edilizia e nel commercio. Le donne, dall’altro lato, sono più concentrate nei lavori di cura quali l’educazione, la sanità, le pulizie e i servizi alla persona (baby sitter, collaboratrice domestica, badante, ecc.).
Il cospicuo aumento delle migrazioni femminili è principalmente imputabile ai mutamenti nell’organizzazione del lavoro e nei sistemi di produzione dei Paesi di destinazione (terziarizzazione, crescita dell’economia informale e de- industrializzazione) che hanno comportato una sempre maggiore richiesta di manodopera femminile in particolar modo nel settore terziario.
All’interno del mercato del lavoro le migranti sono generalmente più isolate e meno consapevoli dei loro diritti rispetto agli uomini. L’intersezione delle norme di genere col mercato del lavoro ha tre principali ripercussioni sulle donne migranti103:
1. Sono più concentrate nei settori non qualificati (nella maggior parte dei casi svolgono lavori domestici), sono sottopagate, sfruttate (basti pensare che frequentemente si registra un’inosservanza dei limiti di orario e delle giornate di riposo), lavorano per brevi periodi e frequentemente non hanno un contratto che le tuteli. Questo inibisce le aspirazioni di miglioramento sociale di molte donne, relegandole in classi sociali basse;
2. Sono spesso vittime di discriminazioni di genere e razziali, ma anche di stereotipi etnici. Si pensa, ad esempio, che le donne provenienti da determinate
102 M. Ambrosini, Op. Cit, 2011, p.140.
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aree, come ad esempio dalle Filippine, siano più portate a svolgere determinati lavori domestici o subalterni. Le donne sono, inoltre, costrette a prendersi cura della propria famiglia e della propria casa dopo aver svolto il lavoro remunerato senza che vi sia l’aiuto di un uomo;
3. Non hanno nessun potere di decision-making all’interno della casa e non sono coinvolte nella società.