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Il dibattito in Italia sui criminali di guerra (1945-1951)

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DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

Corso di Laurea Magistrale in Storia e civiltà

TESI DI LAUREA

Il dibattito in Italia sui criminali di guerra (1945-1951)

RELATORE

CANDIDATA

Prof. Arturo MARZANO Claudia NIEDDU

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Indice

Introduzione ... 4

Cap. I. Il dibattito in Italia sul processo di Norimberga ... 8

I.1. La stampa italiana e il processo di Norimberga ... 8

I.1.1 Gli inizi del processo: la resa dei conti ... 9

I.I.2. La fine del processo: la solennità dell’evento ... 27

I.2. Il dibattito sui crimini di guerra fra i giuristi italiani ... 44

I.2.1. Le nuove esigenze giuridiche del dopoguerra ... 44

I.2.2. L’ammissibilità della responsabilità individuale ... 51

I.2.3. La questione dell’ordine superiore ... 55

I.2.4. La retroattività della legge di Norimberga ... 60

I.2.5. Verso una giustizia internazionale penale ... 66

Cap. II. I processi contro i criminali di guerra tedeschi in Italia ... 73

II.1. Il clima politico nell’Italia dell’immediato dopoguerra ... 73

II.1.1.La posizione degli Alleati ... 73

II.1.2. Il “doppio gioco”dell’Italia ... 78

II.2. I processi ai criminali di tedeschi in Italia: la lettura della stampa ... 80

II.2.1. Il processo a Maeltzer e von Mackensen ... 81

II.2.2. Il processo a Kesselring ... 87

II.2.3. Il processo a Kappler ... 101

II.2.4. Il processo a Reder ... 106

II.3. Quale giustizia? La riflessione giuridica ... 111

II.3.1. La competenza della giurisdizione italiana ... 114

II.3.2. La legittimità della rappresaglia ... 115

II.3.3. L’obbedienza all’ordine di un superiore e l’appartenenza alle SS ... 121

II.3.4. Il movimento partigiano nelle sentenze della Corte e nella tesi della difesa ... 124

II.3.5. Il meccanismo del terrore contro le popolazioni civili ... 127

Cap. III. La mancata punizione dei criminali di guerra italiani... 135

III.1. Quando i criminali di guerra sono connazionali: le strategie politiche e giuridiche ... 135

III.2. La stampa italiana e i criminali di guerra ... 155

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III.2.2. Le reazioni della stampa di fronte alle richieste jugoslave ... 160

III.2.3. Il mito del buon italiano e del cattivo tedesco ... 163

III.2.4. Fra volontà di epurazione e interessi nazionali ... 170

Conclusioni ... 176

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Introduzione

Con l’espressione «mancata Norimberga italiana»si intende la mancanza di una punizione nei confronti dei militari e civili italiani responsabili di crimini di guerra durante il secondo conflitto mondiale. In numerosi Stati stranieri (Etiopia, Albania, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica), l’Italia fascista si rese responsabile di un regime di occupazione contraddistinto da forme violente di repressione non dissimili da quelle messe in atto dalla Germania nazista. L'Italia fu perciò chiamata a rendere conto dei crimini commessi: in base all'articolo 29 del lungo armistizio, avrebbe dovuto consegnare i presunti responsabili alle autorità alleate. Gli Stati aggrediti richiesero infatti la consegna dei cittadini italiani accusati di crimini di guerra alla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra o direttamente al governo di Roma.

Tuttavia, l'Italia riuscì a eludere qualsiasi giudizio e a garantire l'impunità ai propri cittadini accusati. La rimozione dei crimini di guerra e l'impunità dei loro responsabili costituirono infatti una delle preoccupazioni principali degli organi dello Stato e, in particolare, dei ministeri della Guerra e degli Affari esteri, fra le cui fila figuravano alcuni degli accusati. La mancanza di una «Norimberga italiana» che accertasse i gravi crimini dell'occupazione fascista avrebbe avuto effetti profondi sull'opinione pubblica. Nei cinque anni compresi fra il 1943 e il 1948, la classe dirigente antifascista sviluppò infatti una narrazione parziale degli eventi bellici, non maturando alcuna consapevolezza del comportamento criminale assunto dalle truppe italiane nei territori occupati. Questa narrazione fu alimentata anche dagli organi di stampa, che cercarono di minimizzare le responsabilità italiane durante la guerra e mettere in luce la distinzione fra l’Italia e la Germania nazista, sottolineando la diversità della condotta bellica delle truppe italiane rispetto a quelle tedesche nei paesi occupati. Questa retorica, imperniata sulla autoraffigurazione degli italiani come vittime e come soldati umani e bonari, si diffuse tanto sulla stampa generalista quanto – con qualche differenza - sui giornali legati ai vari partiti politici.

L’oggetto di questa tesi è l’analisi del dibattito sviluppatosi sugli organi di stampa e all’interno del mondo giuridico in Italia sui criminali di guerra del secondo conflitto mondiale. Intendo prendere in esame tre periodi storici diversi che spinsero la stampa e i giuristi a confrontarsi con il tema dei criminali di guerra: il processo di Norimberga, i

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procedimenti giudiziari contro i militari tedeschi svolti in Italia dalle autorità alleate e italiane e la cosiddetta «Norimberga italiana».

Nello specifico, intendo indagare il modo in cui mutò l’atteggiamento della stampa e del mondo giuridico nei confronti dei criminali di guerra, dal momento in cui questi si confrontarono con la questione della punizione dei criminali nazisti, in occasione del processo di Norimberga e dei procedimenti che ebbero luogo in Italia, fino a quello in cui la stessa sorte sarebbe dovuta toccare ai cittadini italiani accusati di crimini di guerra. Come si orientò il dibattito in Italia sui criminali di guerra quando sotto processo si trovavano cittadini tedeschi, prima di giungere alle argomentazioni parziali e autoassolutorie relativamente ai propri cittadini accusati di crimini di guerra? Lo scopo di questo lavoro è, da un lato, mettere in luce come il dibattito in Italia sui criminali di guerra sulla stampa e all’interno del mondo giuridico sia stato caratterizzato da una svolta nel momento in cui furono cittadini italiani a trovarsi sotto accusa e, dall’altro, riflettere su quali fattori abbiano portato a questo cambiamento.

La storiografia ha delineato con molta chiarezza le caratteristiche, i meccanismi e le responsabilità della «mancata Norimberga italiana». Filippo Focardi ha messo in luce due aspetti fondamentali della questione, sottolineando da una parte come l’impegno degli organi dello Stato a difesa dei propri cittadini accusati di crimini di guerra abbia avuto successo, ottenendone la totale assoluzione, e dall’altra come tale impegno sia stato alimentato dagli organi di stampa, che contribuirono a originare una ricostruzione parziale e distorta degli eventi bellici.

Nonostante la già ricca produzione storiografica esistente sull’argomento, questo lavoro ambisce a fare luce su alcuni aspetti non ancora pienamente indagati. In primo luogo, vuole ricostruire il dibattito presente sulla stampa italiana relativo al processo di Norimberga e ai procedimenti giudiziari svolti in Italia. Tale tema, infatti, non è stato ancora trattato dalla storiografia, fatta eccezione per alcune considerazioni di Focardi sull’interesse dei giornali per i criminali di guerra tedeschi processati in Italia1. Il lavoro si propone di ampliare la prospettiva sul dibattito relativo ai cittadini italiani accusati di crimini di guerra, mettendolo in relazione con quello relativo ai criminali di guerra tedeschi. Il fine è sottolineare come la stampa avesse elaborato una discussione sui criminali di guerra, prima

1 Cfr. Filippo Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la fine del secondo

conflitto mondiale, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 80/2000, pp.

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di ridursi a una ricostruzione assolutoria e parziale delle responsabilità dei cittadini italiani accusati di crimini di guerra.

In secondo luogo, questa tesi vuole indagare la riflessione del mondo giuridico sul tema dei criminali di guerra, mettendo in luce, da una parte, la discussione fra i giuristi italiani sul processo di Norimberga e, dall’altra, la concreta pratica della giustizia nelle aule dei tribunali militari italiani incaricati di giudicare Kappler e Reder. Per dirla con le parole del giurista Ernesto De Cristofaro, «le analisi che i giuristi italiani hanno dedicato ai processi per crimini contro l’umanità sulle riviste o in saggi monografici, lungo il secondo dopoguerra, possono concorrere a fornire una rappresentazione dei livelli di attenzione pubblica di cui quelle vicende hanno goduto nel Paese, oltre che dell’elaborazione teorica delle stesso presso un particolare segmento del suo ceto intellettuale»2. Risulta inoltre

interessante mettere in relazione la riflessione maturata fra i giuristi a proposito dei criminali di guerra tedeschi con le argomentazioni o, per meglio dire, le «giustificazioni» giuridiche elaborate dalle autorità italiane a difesa dei propri criminali di guerra, al fine di sottolineare come da un dibattito giuridico ricco e costruttivo si sia passati a una mera propaganda tesa all’impunità dei propri concittadini.

Oltre a confrontarsi con la storiografia esistente sul tema, questo lavoro si basa sullo spoglio di numerosi quotidiani e riviste giuridiche. Lo studio dei tanti articoli pubblicati dai giornali italiani sul processo di Norimberga, sui procedimenti giudiziari svolti in Italia e sulla questione dei criminali di guerra italiani ha permesso una ricostruzione del dibattito sulla stampa relativo a questi temi. In particolare, sono stati analizzati i principali quotidiani politici («l’Unità», «Avanti!», «L’Italia Libera», «Il Popolo», «Italia Nuova», «La Voce Repubblicana») e alcuni quotidiani nazionali indipendenti quali il «Corriere d’Informazione» (poi «Nuovo Corriere della Sera»), «Il Tempo», «La Nuova Stampa». Come periodici politici e culturali sono stati esaminati «Società», «Ricostruzione» e «Il Meridiano d’Italia». Fra le riviste giuridiche è stata analizzata «La giustizia penale» e la «Rivista italiana di diritto penale». Di grande importanza è stato inoltre lo studio dei volumi dei giuristi italiani sulla questione della punizione dei criminali di guerra del secondo conflitto mondiale.

2 Ernesto De Cristofaro, Gradi di memoria. I giuristi italiani e i processi ai criminali nazisti, in Paola Bertilotti

e Beatrice Pomerano (a cura di), L’antisémitisme en Italie dans le second xxᵉ siècle, in «Laboratoire italien», ENS, Lione, 2011, pp. 159-179 (p.159).

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Per quanti riguarda la struttura della tesi, questa risulta divisa in tre capitoli. Nel primo,analizzo la discussione apparsa sui principali quotidiani italiani relativa al processo di Norimberga, prendendo in considerazione sia gli articoli sullo svolgimento del procedimento, sia gli approfondimenti proposti da alcuni editoriali. Successivamente, presento le riflessioni elaborate dai giuristi italiani sulla portata delle novità di Norimberga relativamente alla punizione dei criminali di guerra.

Nel secondo capitolo l’attenzione si rivolge ai quattro processi svolti in Italia da corti alleate e italiane contro militari tedeschi: Mältzer e von Mackensen, Kesselring, Kappler e Reder. Nella prima parte, prendo in esame il dibattito apparso sulla stampa italiana, mentre nella seconda parte analizzo gli svolgimenti e le sentenze di tre di questi processi, quelli a Kesselring, Kappler e Reder, al fine di sottolineare come alcuni importanti questioni giuridiche, emerse a Norimberga, fossero presenti anche in questi procedimenti giudiziari. Nel terzo capitolo, approfondisco l’argomento della mancata punizione dei criminali di guerra italiani, sulla base sia di quanto apparso sulla stampa sia di quanto sostenuto dai vari organi dello Stato. Nella prima parte, analizzo gli sviluppi della posizione italiana a difesa dei propri cittadini accusati di crimini di guerra, elaborata dai vertici militari e monarchici, mentre nella seconda parte sottolineo come tali sviluppi ebbero profonde ripercussioni sulla stampa italiana. Intendo, infine, mettere in luce le preoccupazioni politiche che spinsero le autorità italiane a impegnarsi nel garantire la totale impunità ai cittadini italiani accusati di crimini di guerra.

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Cap. I. Il dibattito in Italia sul processo di Norimberga

I.1. La stampa italiana e il processo di Norimberga

In questo capitolo, intendo analizzare il modo in cui la stampa italiana si occupò del processo di Norimberga, prendendo in esame gli articoli pubblicati su alcuni dei principali quotidiani italiani. Mi concentrerò in particolare sul periodo dell’inizio e della fine del processo, ma, dato che alcuni quotidiani seguirono con regolarità lo svolgimento del procedimento giudiziario nella sua interezza, analizzerò anche gli articoli sulle udienze tenutesi durante tutto il periodo del processo. Soprattutto durante il primo mese (fra metà novembre e metà dicembre del 1945) e alla fine del processo (da inizio a metà ottobre del 1946), vennero pubblicati giornalmente articoli sugli sviluppi del procedimento giudiziario contro i criminali di guerra tedeschi.

Il mio obiettivo è concentrarmi su quali scelte narrative abbiano portato avanti questi articoli nell’occuparsi del processo, su quali aspetti del procedimento penale abbiano posto l’attenzione e quali immagini o quali opinioni abbiano fornito riguardo ai criminali di guerra nazisti.

Nei prossimi paragrafi vedremo come la stampa italiana presenti sia l’inizio sia la fine del processo come eventi rilevanti e solenni per la loro importanza, tanto da meritare ampio spazio sui giornali. Distinguerò l’analisi secondo nuclei tematici sugli argomenti più frequenti presenti negli articoli. La prima parte concerne l’interesse emerso in molti degli articoli per l’aspetto fisico, le reazioni e i comportamenti tenuti in aula dagli imputati. Nella seconda parte invece mi concentrerò sull’attenzione posta dai giornalisti sullo svolgimento delle udienze e dunque sulle questioni più prettamente giuridiche del processo. La terza parte riguarda infine l’approfondimento, svolto sugli editoriali, delle problematiche più importanti del processo.

Notiamo come sulla stampa italiana la discussione sulla punizione dei criminali di guerra tedeschi sia spesso approfondita e comprenda le questioni più importanti inerenti al processo. È interessante sottolineare che sulla stampa si discuta di argomenti come la legittimità del Tribunale di Norimberga, la retroattività della sua legge, la questione dell’ordine superiore e della responsabilità individuale. Questi saranno importanti temi di

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discussione nel dibattito sui crimini di guerra fra i giuristi italiani. Alle questioni giuridiche si alterna inoltre l’interesse per la descrizione fisica e comportamentale degli imputati, che spesso si accompagna a una condanna morale di costoro più o meno esplicita.

I.1.1 Gli inizi del processo: la resa dei conti

La notizia dell’apertura del processo di Norimberga, il 20 novembre 1945, trovò spazio sulla prima pagina di tutti i principali quotidiani italiani. Il «Corriere d’Informazione» pubblicava un articolo nel quale si presentava l’inizio del procedimento penale come una «resa dei conti»3 con «i venti superstiti della più grande e potente cricca politico-militare della storia»4. Si definiva il processo «mastodontico»5: la sola lettura dell’atto d’accusa integrale avrebbe infatti richiesto due giorni, quindi si dovette optare per una versione ridotta. Su «La Nuova Stampa», fin dai primi paragrafi dell’articolo uscito il giorno dopo la prima udienza, si poneva molta enfasi sull’importanza del processo:

Se qualcuno guarda fuori dall’aula ed osserva le rovine di cui è seminata la città, può rendersi conto immediatamente del perché questo processo venga celebrato. Occorre che coloro che scientemente, a solo scopo di conquista, hanno causato questo immane flagello, abbiano a rispondere dei loro atti e paghino le conseguenze. L’umanità non vuole che un’altra guerra debba portare lutti e rovine sulla terra.6

Sul quotidiano «l’Unità» si sottolineava che i gerarchi nazisti imputati a Norimberga fossero «tra i maggiori responsabili dello scatenamento della più terribile delle guerre, e dei crimini più nefandi perpetrati nei paesi occupati»7. «Il Tempo» non dedicava alcun articolo all’apertura del processo, ma già dal giorno successivo iniziava a seguirne le udienze. Il 14 novembre 1945 il quotidiano pubblicò comunque un articolo, che riportava la dichiarazione del Papa a favore del processo: «non soltanto noi approviamo il principio di questo processo ma riteniamo che i colpevoli debbano venire puniti rapidamente e senza eccezioni. Essi non sono soltanto responsabili dei danni materiali causati ma anche delle

3 Lowell Bennett, I venti capi nazisti ascoltano l’atto di accusa, «Corriere d’Informazione», 21 novembre

1945.

4 Ibidem. 5 Ibidem.

6 Goering, Hess e 18 soci dinanzi ai giudici alleati, «La Nuova Stampa», 21 novembre 1945. 7 I grandi complici di Hitler rispondono dei loro delitti, «l’Unità», 21 novembre 1945.

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colpe spirituali, che hanno compiuto rifiutando l’assistenza religiosa alle loro vittime»8.

Notiamo già dai pochi paragrafi di questi primi articoli come i toni siano piuttosto accesi ed enfatici.

Tutti gli occhi sugli imputati

Un tema ricorrente negli articoli usciti sulla stampa italiana, che riguardano il processo di Norimberga, consiste nella descrizione dell’aspetto fisico degli imputati e dei comportamenti assunti da costoro in aula durante lo svolgimento delle udienze. Nell’articolo del «Corriere» sull’apertura del processo, ci si soffermava dettagliatamente sull’apparenza e sugli atteggiamenti dei gerarchi nazisti: «Sono nella maggioranza tranquilli: Hess ha lo sguardo assente, […] ma ad un certo punto lo si vede parlare con Goering e mettersi a sorridere. Il suo interlocutore è l’unico che abbia subito durante la prigionia un grande mutamento fisico; dimagrito e dimesso, […] è l’ombra del tronfio uomo di una volta»9. In un altro passaggio dell’articolo, il giornalista sottolineava che, mentre l’accusatore Sidney Alderman leggeva un estratto dell’atto di accusa, l’attenzione degli imputati, assorti nell’ascolto, si faceva «intensissima sin dalle prime battute»10.

Questi specificava inoltre: «Hess e Ribbentrop hanno […] scambiato a bassa voce delle frasi affrettate. Goering […] ha fatto curiosi cenni di assenso col capo mentre l’accusatore leggeva l’accusa, a lui riferentesi, di avere abusivamente ricostituito e organizzato l’arma aerea tedesca: una fra le tante accuse»11.

Anche nell’articolo sulla prima udienza de «La Nuova Stampa» il giornalista poneva l’attenzione sugli stessi atteggiamenti degli imputati, che aveva messo in luce anche il «Corriere d’Informazione»: «Hess diede uno dei suoi pochi segni di vita, dopo di essere stato per la maggior parte del tempo con lo sguardo vagante sulla folla o sperduto lontano. Lo smemorato iniziò infatti una lunga conversazione con Ribbentrop, mentre Goering, che sedeva vicino a loro, ascoltava con apparente disinteresse»12. Venivano descritte inoltre le

8 I criminali di guerra siano puniti rapidamente, «Il Tempo», 14 novembre 1945.

9 Lowell Bennett, I venti capi nazisti ascoltano l’atto di accusa, «Corriere d’Informazione», 21 novembre

1945.

10 Ibidem . 11 Ibidem.

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reazioni dei gerarchi nazisti durante la lettura delle imputazioni a loro nome, così come era avvenuto anche sul «Corriere»:

Von Ribbentrop, non più circondato dalla turba dei suoi maneggiatori, […] teneva le braccia pesanti sul petto e si è accontentato di socchiudere gli occhi quando è stato letto il suo nome. Hess […] si è leggermente morsicato le labbra […]. Rosenberg […] non ha mostrato segni visibili di emozione. Von Papen ha portato macchinalmente le mani alle orecchie ed ha alzato le sopracciglia grigie in atto imperativo […]. Mentre von Schirach manteneva un’espressione dura sul volto arcigno, SeyssInquart ha ascoltato con un’aria un po’ istupidita e Streicher […] in un primo tempo ha sorriso, ma poi ha inghiottito con sforzo quando gli sono state mosse le accuse di antisemitismo. Keitel in uniforme, Doenitz e Jodl hanno mantenuto un freddo contegno, mentre Reder era visibilmente inquieto.13

Notiamo come questo articolo si arricchisca di numerosissimi dettagli sugli atteggiamenti degli imputati. L’importanza di queste descrizioni sembra consistere nel fatto che queste possano suggerire qualcosa sui pensieri e sugli stati d’animo degli accusati. Da alcuni degli accusati traspare infatti un forte sentimento di nervosismo, altri invece mantengono una certa compostezza. Il giornalista notava inoltre che gli accusati avevano «un numero sul petto, che li contraddistingue[va] come un tempo usarono fare con i milioni di esseri che condannarono alla deportazione, alla prigionia e alla morte»14. Non passa inosservata

neanche la disposizione dei posti dove siedono gli imputati: «per un’ironia della sorte sono vicini coloro che durante il periodo aureo della loro vita si combatterono ferocemente in modo più o meno aperto»15. Il giornalista sembra suggerire che vi sia una sorte di giustizia nel fatto che gli imputati debbano vestire quei numeri o che la disposizione delle sedute possa essere loro spiacevole. L’attenzione insistente per gli imputati è legata dunque a una condanna morale di costoro la quale diventa sempre più aperta ed evidente.

I giornali italiani continuarono a seguire con regolarità lo svolgimento del processo e anche negli articoli successivi sulle varie udienze posero molto spesso l’attenzione sui comportamenti degli imputati. Il «Corriere» sottolineava, per esempio, gli atteggiamenti degli accusati durante la requisitoria di Jackson del secondo giorno del processo:

Frank, l’ex-governatore della Polonia, al sentir rilevare dall’accusatore la passione germanica per la Gruendlichkeit, radice di tanti mali totalitari, equivocando

13 Goering, Hess e 18 soci dinanzi ai giudici alleati, «La Nuova Stampa», 21 novembre 1945. 14 Ibidem.

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evidentemente sulla intenzione dell’accenno, ha sorriso di compiacimento. […] Goering e Schacht si affrettano a prendere appunti su appunti e non danno segni di emozione. […] Streicher, mastica tranquillamente della gomma americana, ma ad un certo punto si scuote dalla propria indifferenza, fa una smorfia di disprezzo e si chiana bisbigliare qualcosa nell’orecchio di Frik.16

Il 23 novembre 1945 sull’«Avanti!» il giornalista Noland Norgaard, trattando delle origini del nazismo, evidenziava altri dettagli: «quando il delegato americano ha dichiarato che Goering e non Hess […] si deve considerare “numero uno” del partito, ed il primo successore di Hitler, gli occhi dell’ex-maresciallo della Luftwaffe sono brillati di compiacimento ed egli ha assentito numerose volte col capo»17. L’articolo era corredato da

una foto di due degli accusati, descritti nella didascalia in questi termini: «Von Papen, l’astutissimo diplomatico, l’artefice di tante macchinazioni, andate però a vuoto, e Keitel, l’uomo di ferro, l’erede del prussianesimo, il militare per eccellenza. Hitler si sentiva sicuro con due compari come questi, testa e braccio della sua ambizione sfrenata. Ancora una volta, aveva sbagliato i suoi calcoli»18. Lo stesso giorno, «l’Unità» notava: «Goering assente sorridendo con aria compiaciuta: non ha abbandonato le arie di superuomo»19. Sull’«Avanti!» gli articoli relativi a Norimberga erano corredati talvolta da una foto degli imputati. Il 5 dicembre 1945 il quotidiano pubblicava la foto di Göring seduto in aula con una didascalia, che cito: «Cuffia in testa, Goering ascolta: non sembra così disinvolto come ci viene di solito descritto. Forse si starà accorgendo dell’irrimediabile baratro in cui è precipitato. Il processo sarà ancora lungo ma ogni giorno che passa lo avvicina alla forca che l’aspetta»20. I toni sono particolarmente duri e il giornalista non nasconde affatto la

condanna morale dell’accusato. È interessante notare che i giornali dei partiti di sinistra mostrarono, fin da subito, toni più risentiti ed enfatici rispetto a giornali moderati come il «Corriere». Il quotidiano l’«Avanti!» - come abbiamo visto nell’articolo sopra menzionato – si espresse, già dalle prime udienze, favorevole a una sentenza di morte per Göring. Anche in questo articolo ritroviamo la solita attenzione per le reazioni degli accusati, impegnati ad ascoltare l’arringa del procuratore generale del Regno Unito, Hartley Shawcross:

16 Lowell Bennett, Schiacciante atto di accusa di Jackson contro i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 22

novembre 1945.

17 Noland Norgaard, Rivelazioni sulle origini del nazismo, «Avanti!», 23 novembre 1945. 18 Ibidem.

19 Dal “putsch” di Monaco all’incendio del Reichstag, «l’Unità», 23 novembre 1945.

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Quando li ha chiamati “sciagurati”, parecchi hanno aggrottato le sopracciglia; Goering sembrava che avesse perso la sua aria sfrontata ed era diventato tetro e preoccupato. Von Ribbentrop continuava a scribacchiare nervosamente delle note […]. Tanto Goering quanto Ribbentrop hanno avuto un momento di sollievo […] quando l’accusato ha parlato delle voci che circolavano al tempo in cui i nazisti sostenevano che la Gran Bretagna e la Francia avevano intenzione di invadere la Norvegia […], ma hanno poi scosso il capo, delusi, quando l’accusatore britannico ha dichiarato che quelle voci dovevano essere considerate come “false e prive di fondamento”.21

Notiamo come questa narrazione sia funzionale a suggerire quali possano essere le opinioni degli imputati sull’arringa dell’accusatore. Spesso la descrizione degli stati d’animo e delle reazioni degli accusati ha evidentemente lo scopo di mostrare i pensieri dei criminali di guerra, ovviamente intelligibili, sulle accuse a loro rivolte. Talvolta, però, questo tipo di descrizione appare – a mio avviso - superflua e entra nella minuzia dei particolari senza apparente motivo.

Prendiamo ad esempio un articolo, pubblicato dall’«Avanti!» il 6 dicembre: persino nel titolo l’attenzione si concentra su alcuni atteggiamenti atipici tenuti in aula dagli imputati. Esso infatti titolava: “Keitel mangia i biscotti”22 e sottotitolava: «Mentre continua l’elenco dei soprusi nazisti gl’imputati dànno sfogo alle loro piccole manie – Soltanto Hess non può più leggere romanzi»23. L’articolo concerne l’invasione della Cecoslovacchia da parte della

Germania nazista, ma torna a descrivere i comportamenti dei gerarchi nazisti:

Quando Maxwell-Fyfe ha richiamato l’attenzione della Corte sul fatto che i tedeschi avevano violato – a partire dal 1933 – ben 69 accordi e trattati internazionali, Keitel è rimasto visibilmente urtato, e si è messo a sbriciolare dei biscotti che stava masticando […]. Anche Hess deve ora prestare maggiormente attenzione a quanto succede nell’aula, e questo costituisce uno degli inconvenienti che gli sono derivati dalla sua dichiarazione di non essere affatto pazzo. Prima, infatti, gli veniva permesso di leggere romanzi (si dedicava con passione alle opere di Goethe o ai romanzi ameni, indifferentemente)24.

Il giornalista specificava anche le tipologie delle letture di Hess, pur trattandosi - a mio avviso - di un dettaglio superfluo. Tuttavia, tali descrizioni fisiche e comportamentali non appaiono evidentemente superflue ai giornalisti; si tratta infatti di una costante piuttosto

21 Noland Norgaard, I nazisti accusati di “delitti contro la pace”, «Avanti!», 5 dicembre 1945. 22 Noland Norgaard, Keitel mangia i biscotti, «Avanti!», 6 dicembre 1945.

23 Ibidem. 24 Ibidem.

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significativa negli articoli. Interrogandomi sui motivi di tanto interesse nei confronti degli imputati, è possibile che questa attenzione per i comportamenti dei gerarchi nazisti sia mossa dalla volontà di cogliere nelle loro reazioni, dalle manie ai nervosismi, i pensieri e gli stati d’animo, come se il volto particolarmente teso di Hess o la tensione visibile nei suoi gesti potessero esprimere una nascosta consapevolezza delle proprie colpe; oppure come se la sfacciata disinvoltura di Göring rimandi alla convinzione di essere nel giusto. È dunque un modo ulteriore di condannare moralmente gli imputati, cercando di svelarne la presunta psicologia perversa, crudele e cinica oppure la capacità o meno di riconoscere le proprie colpe.

Dalla scelta di offrire una rappresentazione dettagliata degli imputati da parte dei giornali, possiamo dedurre inoltre quali opinioni e quali immagini dei gerarchi nazisti i quotidiani volessero trasmettere ai lettori e quali richieste di informazioni provenissero da questi ultimi, ovvero da una parte - seppure minoritaria - della società civile. Possiamo supporre quindi che i lettori volessero avere dalla stampa informazioni sull’aspetto, sull’atteggiamento e sulle reazioni degli imputati, al fine di averne una rappresentazione anche dal punto di vista “umano”. Sui giornali tali informazioni tendono a generare una caratterizzazione individuale dei criminali nazisti imputati, la quale è legata spesso a una condanna morale degli imputati. Attraverso toni enfatici e moraleggianti, i giornalisti tentano di intuire negli accusati un’ammissione delle loro colpe oppure una negazione di quest’ultime, ma in entrambi i casi affermano, dandola per scontata, la tesi della piena colpevolezza degli imputati.

L’emergere delle questioni di diritto

I giornali italiani non si limitavano alla descrizione dell’aspetto fisico e degli atteggiamenti dei gerarchi nazisti, ma dedicavano ampio spazio alle problematicità più prettamente giuridiche del processo di Norimberga. Uno dei temi discussi dal «Corriere» riguarda infatti la strategia messa in atto dalla difesa dei gerarchi nazisti:

Non si deve credere che i gerarchi nazisti, di fronte al cumolo di accuse che li sovrasta, si siano rassegnati a una difesa puramente passiva e vogliano affrontare il processo contentandosi di ribattere o giustificare con “gli ordini superiori” le singole imputazioni di aggressione, di atrocità, di spogliazioni che ad essi vengono elevate. Goering e

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compagni hanno invece trovato una formula audace da opporre all’accusa: essi hanno deciso di svolgere una azione comune per eccepire il diritto del tribunale internazionale a giudicarli individualmente. La loro tesi è in sostanza questa: noi facevamo parte di organizzazioni riconosciute dallo Stato […] e pertanto chiediamo che venga fatto il processo a queste organizzazioni nel suo complesso.25

L’articolo coglieva una delle criticità fondamentali, a livello giuridico, del processo di Norimberga: la questione dell’ammissibilità della responsabilità individuale degli imputati per i crimini commessi. Questo fu infatti uno degli argomenti principali del dibattito su Norimberga fra i giuristi italiani, come vedremo nel capitolo successivo. È interessante notare che tale questione emerga anche su un quotidiano poiché essa implica importanti conseguenze nel diritto internazionale, le quali saranno spiegate successivamente, e al contempo non è un argomento facile da trattare sulla stampa proprio per le sue difficoltà interpretative. È interessante inoltre che il giornalista tenda a connotare negativamente il tentativo di difesa da parte dei criminali nazisti, definendolo «audace» e suggerendo così che questo sia inopportuno «di fronte al cumolo di accuse che li sovrasta», poiché trova conferma il meccanismo – che noteremo anche in seguito - per cui la tesi della difesa, anche se viene presentata, viene connotata in termini piuttosto negativi.

Non in tutti i quotidiani le questioni giuridiche sono trattate approfonditamente. L’articolo sulla prima udienza de «La Nuova Stampa», per esempio, era particolarmente ricco di dettagli sugli imputati, ma scarseggiava di informazioni sullo svolgimento vero e proprio dell’udienza. Il giornalista ricordava brevemente solo gli atti d’accusa: «l’obbligo al lavoro imposto dalla Germania a tutti i paesi da lei occupati e la brutale germanizzazione a cui furono sottoposti; il massacro degli ostaggi e le atrocità commesse, la appropriazione dei beni appartenenti ai cittadini»26. In questo caso viene dato poco spazio alle questioni più giuridiche relative al processo, ma in seguito vi sarebbe stata dedicata maggiore attenzione. A conclusione dell’articolo, il giornalista faceva comunque un riferimento al tema della difesa degli imputati: «il Consiglio di difesa, composto esclusivamente di avvocati tedeschi, tra cui il figlio di von Papen, che difenderà il padre, tenterà certamente domani di dimostrare che il tribunale non ha giurisdizione sul territorio tedesco, o quanto meno cercherà di mettere i bastoni fra le ruote della giustizia»27. Notiamo che anche qui, come è

25 Lowell Bennett, I venti capi nazisti ascoltano l’atto di accusa, «Corriere d’Informazione», 21 novembre

1945.

26 Goering, Hess e 18 soci dinanzi ai giudici alleati, «La Nuova Stampa», 21 novembre 1945. 27 Ibidem.

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evidente soprattutto nell’ultima affermazione, la strategia della difesa viene considerata totalmente illegittima, un vero e proprio ostacolo alla giustizia.

La legalità del tribunale di Norimberga, che è stata appena menzionata e messa in dubbio dalla difesa, è un altro argomento importante che emerge sulla stampa ed è molto discusso fra i giuristi. L’«Avanti!» riportava infatti il discorso di Harry Sperberg, addetto al collegio di difesa, il quale, durante una prova per i microfoni il giorno prima dell’inizio del processo, avrebbe dichiarato:

Il Tribunale riunito qui è illegale e dovrebbe volontariamente ritirarsi in quanto nessun altro paese ha diritto di giudicare un Governo che fu legalmente eletto dal popolo tedesco. Il popolo tedesco aveva il diritto di scegliersi i governanti che desiderava: e poiché nessuno in Germania è insorto per rovesciare il Governo nazista, si può ritenere che i tedeschi fossero soddisfatti di esso. Durante la occupazione della Francia, della Olanda e del Belgio, l’esercito tedesco ha applicato solamente la usuale legge militare e ha fatto solamente quello che gli alleati stanno ora facendo in Germania.28

Il Tribunale di Norimberga era – secondo la difesa - illegale poiché formato dai giudici degli Stati vincitori, i quali, in quanto appartenenti a paesi stranieri, non sarebbero autorizzati a giudicare i cittadini tedeschi. Il consenso del popolo tedesco rappresentava la fonte di legittimità del governo nazista, che non poteva perciò essere giudicato da un Tribunale straniero. Sperberg sminuiva inoltre le colpe della Germania nazista, che avrebbe agito solamente come un qualsiasi Stato fa in tempo di guerra. Questo è uno dei temi più controversi del processo di Norimberga ed è interessante trovarli menzionati in un articolo di giornale.

Il «Corriere» affrontava una delle critiche più importanti che furono rivolte alla legittimità del processo di Norimberga, ovvero l’applicazione retroattiva della sua legge penale. Sul quotidiano il giornalista riportava infatti il contenuto della controffensiva della difesa portata avanti dal principale difensore di Göring attraverso una mozione per conto di quest’ultimo e degli altri diciotto imputati:

L’avvocato Otto Stahmer ha sostenuto nella sua istanza che il procedimento manca di base legale, perché non si vede in forza di quale principio il tribunale sia stato investito dell’autorità di giudicare e punire persone accusate di aver provocato una guerra ingiusta. Questo è reato, nota Stahmer, di recente creazione: è una nuova configurazione giuridica. Insomma, il difensore sostiene la tesi che il tribunale di Norimberga,

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ammesso anche che esso giudichi in base a un nuovo principio di diritto internazionale, si accinge a darvi un’applicazione retroattiva, e contraria quindi a ogni uso giuridico. Inoltre, l’istanza rileva che il tribunale, che giudica in base a una legge proclamata internazionale, intende invece applicare nelle sanzioni la comune legge penale.»29

L’illegittimità del tribunale di Norimberga consisterebbe dunque nell’applicazione di una legge ex post facto, che intende cioè punire atti che, nel momento in cui sono stati compiuti, non erano ritenuti reati. Il principio fondamentale della irretroattività della legge penale sarebbe così violato. Tuttavia, nell’articolo il giornalista specificava a favore dell’accusa di Norimberga:

L’onore e la responsabilità di far parte del tribunale di Norimberga non sono sinecure. Della propria missione di accusatore è apparso profondamente investito il rappresentante americano Jackson, incaricato della requisitoria sulla “cospirazione” nazista per lo scatenamento della guerra d’aggressione, il quale ha informato la propria arringa ad alti concetti morali. Robert Jackson, che ha parlato per più di tre ore, ha affermato che si applica ora una legge la quale d’ora innanzi condannerà l’aggressione da qualunque Nazione provenga. “I delitti che noi intendiamo punire – ha detto testualmente Jackson – sono stati così premeditati, efferati e devastatori nei loro effetti che la civiltà non può ignorarli, sotto pena di venire distrutta al loro eventuale ripetersi”.30

Notiamo che il giornalista presenta dunque sia le argomentazioni dell’accusa sia quelle della difesa, ma le motivazioni dell’una e dell’altra ricevono considerazioni ben diverse. Le parole di Robert Jackson sono infatti introdotte dalla lode dell’accusatore, il quale appare come l’incaricato di una missione portata avanti con grande zelo e con moralità. È interessante notare l’affermazione secondo la quale le argomentazioni dell’accusa farebbero appello ad «alti concetti morali». In un altro passaggio dell’articolo troviamo ulteriore conferma a ciò: «Goering si assume piena responsabilità per le sue azioni, ammantandosi dietro le ragion di Stato, cioè il benessere del popolo tedesco, e il giuramento di fedeltà a Hitler. Una tesi difficile da sostenere di fronte al cumolo di prove e di fatti specifici che l’americano Jackson […] ha accumulato nella sua requisitoria».31 Il

giornalista presenta nuovamente le ragioni della difesa, in questo caso quelle di Goering, ma si affretta a specificare che esse appaiono infondate di fronte alle atrocità compiute

29 Lowell Bennett, Schiacciante atto di accusa di Jackson contro i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 22

novembre 1945.

30Ibidem.

31 Lowell Bennett, Schiacciante atto di accusa di Jackson contro i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 22

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dagli accusati. Lo stesso titolo, Schiacciante atto di accusa di Jackson contro i capi nazisti, mostra come in questo articolo l’accusa sia considerata la sola ad avere la giustizia dalla propria parte.

Anche le successive udienze del processo furono seguite con regolarità dai quotidiani italiani. Il 23 novembre 1945 il «Corriere d’Informazione» pubblicava un articolo su un’altra importante questione: quella del «controllo antidemocratico e antilegale stabilito dai nazisti, mediante la intricata organizzazione del loro partito, su ogni aspetto della vita germanica. Accuse che riguardano non tutti, ma una buona parte degli alti gerarchi nazisti presenti nell’aula»32. Si passava dunque «alla illustrazione delle ramificazioni naziste,

attraverso i Ministeri, le varie organizzazioni parastatali e gli altri enti escogitati dal fertile spirito tedesco nella vita politica, morale ed economica del popolo intero»33. Notiamo l’uso

dell’espressione «fertile spirito tedesco»: questa sottintende che esista un determinato “spirito tedesco”, “fertile” nell’escogitare terribili macchine del terrore; come se i tedeschi fossero portati, per una specie di attitudine naturale, a creare un sistema di governo capace di enormi brutalità. Il «popolo intero» sarebbe stato investito in ogni aspetto della vita, compresa quella morale (una specificazione interessante), dagli effetti del governo nazista. Nel momento in cui si espongono le dichiarazioni degli imputati, il tema dell’organizzazione dell’apparato nazista si collega strettamente a quello della responsabilità, come dimostra il titolo stesso: Hitler è il vero responsabile dicono i suoi

complici. Ribbentrop, Keitel e Goering scaricarono infatti la maggiore responsabilità su

Hitler, nonostante essi avessero ricoperto le più alte cariche di governo. Ribbentrop, ministro degli Esteri del Terzo Reich, cercò di difendersi utilizzando la tesi dell’obbedienza dovuta al Führer: «Hitler aveva poteri sovrani nella condotta della politica estera tedesca: […] decideva sempre per suo conto e chiedeva a noi fede e obbedienza»34.

La stessa argomentazione era presente nella dichiarazione di Keitel, capo di Stato Maggiore di tutte le forze armate tedesche: «fedele al giuramento, ho servito il Capo del Reich tedesco in carica e il comandante supremo senza discutere e con fede cieca, e spero quindi che l’alto comando della Wehrmacht sia esonerato da qualsiasi responsabilità»35. La

tesi della difesa non trovò comunque alcun credito nell’articolo. Il giornalista la smentì

32 Lowell Bennett, Hitler è il vero responsabile dicono i suoi complici, «Corriere d’Informazione», 23

novembre 1945.

33 Ibidem. 34 Ibidem. 35 Ibidem.

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infatti con toni piuttosto accesi: «“perinde ac cadaver” nelle mani dei superiori, il feldmaresciallo Keitel non fa insomma distinzione fra Guglielmo II, i presidenti Ebert ed Hindenburg, e il dissennato ex-imbianchino di Braunau sull’Inn, diventato Führer del popolo tedesco, che trascinò nella più folle e sciagurata avventura della sua storia»36. Anche Goering fece ricorso all’argomento della cieca obbedienza agli ordini e dell’inviolabilità del giuramento prestato a Hitler, ma fu screditato completamente dal giornalista, il quale lo accusò di cadere in contraddizione: «lo stesso Goering ha affermato di aver più volte aiutato perseguitati ebrei a salvarsi e ad espatriare. Che cosa avrebbe detto Hitler di questi rilassamenti nella coscienza razziale del maresciallo? Forse Goering ci trovava il suo tornaconto»37. Anche questo articolo del «Corriere» non risparmia dunque aspre critiche alla strategia della difesa degli imputati.

Venne presa poi in considerazione la tesi dell’accusa, «quella della piena consapevolezza di tutti gli accusati del piano di Hitler, del quale furono complici fedeli»38. L’accusatore

americano Frank Wallace dimostrò infatti che l’instaurazione della dittatura nazista aveva avuto origine nella legge sui pieni poteri affidati a Hitler, varata al Reichstag grazie a violenze e soprusi, dei quali gli imputati erano perfettamente a conoscenza ed erano stati complici. Nei verbali inediti delle prime sedute del ministero presieduto da Hitler, letti all’udienza, alcuni frasi di Goering e di Frik suggerivano di impedire l’accesso ai deputati social-democratici e comunisti alla seduta, per assicurarsi l’approvazione della legge sui pieni poteri. Così accadde e ciò «segnò l’inizio dell’asservimento del popolo tedesco al sogno di un esaltato: […] un dispotismo organizzato, una piramide poliziesca al cui vertice era il Führer, che esigeva da ogni cittadino obbedienza cieca e assoluta»39. L’accusatore sostenne quindi la tesi della piena responsabilità degli accusati, dimostrando che la creazione del sistema dittatoriale aveva ottenuto «il contributo, sin dall’inizio, di tutti gli imputati, consci del piano nazista di sopprimere con la forza ogni traccia di opposizione e di passare poi alla effettuazione degli ambiziosi disegni nel campo della politica estera»40. Erano riportati dunque i passaggi più salienti del dibattito dell’udienza e veniva dedicato ampio spazio a una delle questioni principali del processo, ovvero quella della responsabilità degli imputati. I giuristi discussero approfonditamente sull’ammissibilità

36 Lowell Bennett, Hitler è il vero responsabile dicono i suoi complici, «Corriere d’Informazione», 23

novembre 1945.

37 Ibidem. 38 Ibidem. 39 Ibidem. 40 Ibidem.

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della responsabilità individuale dei gerarchi nazisti per i crimini commessi. È interessante notare che anche sui quotidiani fossero riportate le discussioni in aula sulla responsabilità degli imputati.

Anche l’articolo dell’«Avanti!» del 23 novembre poneva particolare attenzione sui documenti utilizzati dall’accusa nell’udienza del giorno precedente. Furono riportati alcuni passi delle relazioni sulle riunioni segrete fra Hitler e cinque dei venti imputati, Goering, Frick, von Papen, Funk e Neurath. Il giornale dava conto infatti delle proposte di Frick di inviare i comunisti in un campo di lavoro forzato, idea che sarà poi istituzionalizzata nei campi di concentramento, e di eliminare i comunisti dal Reichstag per ottenere la maggioranza nel voto sulle legge dei pieni poteri, e riportava la minaccia di Goering, il quale durante la seduta del Reichstag per l’approvazione della legge aveva detto: «chiunque alzi una mano contro un membro del partito deve sapere che la morte lo attende»41.

L’«Avanti!» fece un importante riferimento al patto Kellog-Briand, il quale, avendo dichiarato la guerra d’aggressione illegale, costituiva un’altra fonte di legittimità del tribunale di Norimberga: «il delegato britannico ha sostenuto la tesi che il Tribunale internazionale di Norimberga metta in pratica le clausole del patto Kellog-Briand, di quel patto cioè che era inteso a dichiarare la guerra fuori legge ed a comporre tutte le controversie che potessero sorgere fra i popoli con mezzi pacifici. Gli imputati […] vengono accusati di aver violato scientemente le clausole del patto»42. Durante l’udienza del 4 dicembre, l’accusa, dopo aver illustrato le prove della cospirazione nazista, presentò infatti quelle degli altri due capi d’imputazione: i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. Una di queste prove consisteva nella violazione dei trattati da parte della Germania nazista. Il giornalista specificava inoltre: «né gli imputati potranno asserire di aver ubbidito a ordini che venivano loro impartiti, perché questi ordini venivano da loro foggiati e messi in pratica ed essi non debbono quindi essere considerati come semplici strumenti nelle mani di Hitler. La loro responsabilità è chiara»43. Il quotidiano socialista affermava pertanto la piena responsabilità degli imputati per i crimini e negava validità all’argomento dell’ordine superiore. È interessante notare che la questione della responsabilità venga risolta con ferma decisione sia sui giornali dei partiti di sinistra, come

41 Noland Norgaard, Rivelazioni sulle origini del nazismo, «Avanti!», 23 novembre 1945. 42 Noland Norgaard, I nazisti accusati di “delitti contro la pace”, «Avanti!», 5 dicembre 1945. 43 Ibidem.

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l’«Avanti!» sia su giornali moderati, come il «Corriere». Sulle pagine di entrambi i quotidiani, fu affermata infatti la piena responsabilità degli imputati.

Anche le successive udienze del processo di Norimberga furono seguite dai quotidiani italiani con costanza: nei primi mesi del procedimento, soprattutto a novembre e a dicembre, i giornali pubblicarono quasi quotidianamente articoli su Norimberga. Se da una parte i giornalisti si concentravano sui comportamenti degli imputati, dall’altra analizzavano le questioni giuridiche con altrettanta regolarità e con un livello di approfondimento che talvolta appare notevole considerando che si tratta di stampa generalista e non di riviste specialistiche.

L’approfondimento degli editoriali sulla stampa

Durante i primi mesi del processo, il «Corriere» e «La nuova Stampa» pubblicarono due editoriali sulla stampa, particolarmente significativi per il loro contenuto. Questi contengono sia alcune delle caratteristiche retoriche degli articoli sul processo di Norimberga, come i toni enfatici oppure la descrizione degli imputati, sia un’analisi approfondita delle più importanti questioni giuridiche del procedimento penale.

Oltre agli articoli che seguivano le udienze del processo, i due editoriali approfondivano alcune problematicità del processo. Il 29 novembre 1945 il «Corriere» pubblicò il primo, scritto dal corrispondente a Norimberga Enrico Caprile44, che cominciava così: «è

veramente inesprimibile l’impressione che si prova nel metter piede in Germania. Dappertutto rovine, macerie ancora ammucchiate negli angoli delle città; una folla scontrosa, diffidente, lacera e con il volto scavato dalle sofferenze»45. Il giornalista

descriveva poi con toni molto enfatici la città di Norimberga e i suoi mutamenti, nel periodo in cui servì come sede dei convegni nazisti. Il giornalista si riferiva alla città come se fosse personificata:

La città di Dürer e di Hans Sachs restò imperfetta col volto sfigurato e con l’animo perplesso. Ora essa paga amaramente quelle colossali parate, quegli interminabili cortei

44 Enrico Caprile era corrispondente dall’estero al processo di Norimberga per il «Corriere d’Informazione».

Egli aveva sostituito il collega Indro Montanelli, che inizialmente era stato inviato a Norimberga. Cfr. Raffaele Liucci e Sandro Gerbi, Indro Montanelli : una biografia (1909-2001), Milano, Hoepli, 2014.

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di croci uncinate al vento, quell’ondata di follia e di presunzione. […] Desolazione e squallore regnano sovrani. È la vera città punita da Dio. […] Norimberga ha perduto il suo bel volto che aveva conservato da secoli per l’ubriacatura di grandezza di pochi anni. Ora non è che una portentosa visione di rovina materiale e spirituale. […] Il destino ha voluto che Norimberga bevesse sino in fondo l’amaro calice della disgrazia che l’ha colpita. Ora essa guarda muta, sgomenta a quella fila di uomini incatenati che ogni mattina vanno in furgone ben guardato dalle prigioni al tribunale e che un tempo circondavano, con i segni di un grande potere, Adolfo Hitler, quali dei dell’olimpo teutonico46.

I toni sono particolarmente enfatici e drammatici e si ha l’impressione che sulla città siano trasferite le colpe del nazismo. Termini come desolazione, squallore, rovina, disgrazia dipingono uno scenario particolarmente cupo, il quale appare come il segno di una punizione che «il destino ha voluto», dunque che Norimberga si sarebbe meritata. Sembra però – a mio avviso - che, facendo riferimento a Norimberga, il giornalista in realtà si riferisca non solo alla città, ma alla Germania nella sua totalità. È infatti la Germania nazista ad essere coinvolta nel procedimento penale, e non solamente Norimberga, perciò si ha l’impressione che sia il paese tedesco il vero punto di riferimento della critica del giornalista. In sostanza, il giornalista suggerisce che la punizione riservata alla Germania sia più che meritata e lo fa in termini piuttosto moralistici, facendo riferimento al volere del destino o a una presunta punizione divina («è la vera città punita da Dio»). A conferma di ciò, cito anche un altro passaggio: «la popolazione assiste silenziosa, cupa, con l’animo che non sa esprimere nulla, a quello spettacolo che la turba sino in fondo, ma sul quale ama tacere»47. Questo è un riferimento significativo a quel “popolo tedesco”, sul quale i

giornali hanno già espresso giudizi in modo piuttosto generalizzante e al quale qui si rimprovera il silenzio, come se tale silenzio corrispondesse a una mancata presa di posizione. Ciò conferma che l’obiettivo polemico dell’articolo non sia tanto la desolazione di una città un tempo affascinante, quanto le colpe della Germania nazista e della sua popolazione. La condanna morale, che già si avverte in questi primi paragrafi, si fa sempre più evidente, continuando a leggere. L’articolo proseguiva tratteggiando l’aspetto degli accusati, i quali sono stati già definiti criminali di guerra, considerando quindi come già appurata l’accusa a loro rivolta:

Guardandoli, si penserebbe che si tratti di furfanti da strada, tanto è infelice il loro aspetto e tanto è incisa nei loro volti la lunga detenzione. Questi semidei del Walhalla

46 Enrico Caprile, Come ho visto i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 29 novembre 1945. 47 Ibidem.

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non sanno più recitare la loro parte: e, chiusi in una opaca alterigia, che ha a volte l’espressione della pervicacia o dell’impudenza, i gerarchi nazisti, da Goering a von Papen, sembrano impari alla macchinazioni diaboliche che sono uscite dalle loro menti.48

I toni si fanno molto enfatici e accessi e, nel momento in cui si inizia a trattare del processo, la condanna morale degli accusati diventa evidente, così come lo diventa la lode morale dell’accusa:

L’accusa alleata li ha schiacciati. Non sono ora che ombre del passato, fantasmi repellenti di un gran brutto sogno dell’umanità. Essi hanno ascoltato assenti, con le cuffie bene incollate alle orecchie, la requisitoria del giudice Jackson e le accuse degli altri giudici. Si sono sentiti frugati, sulla scorta di documenti inoppugnabili, nel segreto delle loro opere e nei recessi delle loro anime. E a tutta prima ne hanno tremato, giacché hanno visto che la giustizia alleata agiva inflessibilmente e dimostrava di possedere tutti i numeri per raggiungere lo scopo.49

Alla difesa e agli imputati invece sono riservate parole sprezzanti:

Poi, con ripieghi piccini, si sono dati a sottilizzare sulla procedura, a muovere puerili obiezioni, a contestare, a mentire, a tirare – in una parola sola – a salvarsi. Hess ha fatto lo smemorato (…). Goering è apparso preso da un infantilismo incosciente e piagnucoloso. Schacht ha voluto farsi passare per un irreducibile nemico del Führer. “Siamo tutti innocenti”. Ecco quello che dicono e quello che la difesa sostiene. E con questa nota umoristica pare che tutto il dramma che si raccoglie in queste mura gotiche perda per un momento di serietà.50

La strategia della difesa è ritenuta totalmente illegittima: viene definita una “nota umoristica” che offende la serietà del processo. L’accusa invece porta avanti un altissimo compito a nome dell’Europa che ha subito le aggressioni naziste: «continua paziente e tenace nella sua opera di ricostruzione di tutte le macchinazioni, di tutti gli intrighi entro cui venne avviluppata l’Europa e di tutte le crisi di cui venne insanguinata»51. Di una di

queste crisi, ovvero l’aggressione all’Austria, era responsabile von Papen, sul quale l’articolo infatti si soffermava:

Su quel volto irrigidito dalla perfidia e dalla simulazione nessun muscolo aveva un movimento o un tremito. Vera sfinge del mondo teutonico, von Papen ha voluto sino

48 Enrico Caprile, Come ho visto i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 29 novembre 1945. 49 Ibidem.

50 Ibidem. 51 Ibidem.

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all’ultimo essere pari a se stesso. Ma una testimonianza agghiacciante lo inchioda alla responsabilità di quella aggressione alla inerme Austria che commosse il mondo. Egli fu il vero affossatore di uno Stato che per secoli brillò di civiltà e che per vario tempo rappresentò il più grande impero del mondo. Ma a von Papen ciò non interessava, e nulla diceva al suo cupo spirito.52

Nella conclusione dell’articolo, l’enfasi sulla moralità del Tribunale di Norimberga è ancora più evidente:

È singolare davvero il contrasto fra le rivelazioni della Corte suprema su quella aggressione ignobile e quello che sta avvenendo ora nell’Austria cui le armi alleate hanno restituito la libertà e l’indipendenza. Si compie la vera nemesi della storia per quell’assassinio di Dollfuss che ancora desta un senso di orrore. Oggi alla Corte se ne è parlato come di un tipico delitto nazista e pareva proprio che lo spirito del mite e spirituale cancelliere aleggiasse nell’aula e ispirasse la giustizia internazionale.53

Anche nell’editoriale de «La Nuova Stampa» pubblicato il 9 dicembre 1945 emersero importanti questioni sul processo di Norimberga. Il giornalista Filippo Burzio54, all’epoca direttore del giornale, evidenziava la novità rappresentata da questo procedimento penale, il quale, sebbene potesse apparire agli occhi della maggior parte dei contemporanei simile a tanti altri o solamente più emozionante di altri, in realtà era «un fatto nuovo, un grave fatto nuovo, di portata rivoluzionaria incalcolabile nei rapporti giuridici e nelle concezioni etico-politiche internazionali»55. Il giornalista faceva riferimento brevemente anche al primo dopoguerra, «quando Lloyd George intonò le sue elezioni “kaki” allo slogan: la Germania pagherà fino all’ultimo centesimo, e il Kaiser sarà impiccato; e poi non se ne fece niente»56. È questo il contesto storico dal quale prese avvio la questione dei criminali di guerra che «ha avuto durante questo secondo conflitto la sua maturazione: e il processo di Norimberga ne è ora lo sbocco e l’epilogo»57. Il che è senza alcun dubbio corretto storicamente. L’articolo continuava sottolineando la portata innovativa del processo:

Per la prima volta […] nella storia umana, il fatto “guerra” è considerato come un crimine di diritto comune, perseguibile nella responsabilità dei suoi mandanti e dei suoi esecutori: e, nell’immensità di questa innovazione, il punto nevralgico, delicato e

52 Enrico Caprile, Come ho visto i capi nazisti, «Corriere d’Informazione», 29 novembre 1945. 53 Ibidem.

54Filippo Burzio (1891-1948) era all’epoca direttore de «La Nuova Stampa». Cfr.

http://www.fondazioneburzio.it/biografia-e-opere/biografia.html.

55 Filippo Burzio, Il processo di Norimberga, «La Nuova Stampa», 9 dicembre 1945. 56 Ibidem.

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controverso (in sede giuridica e politica piuttosto che morale; perché, di fronte ai mai visti orrori della criminalità nazifascista, la coscienza morale è a posto), consiste in ciò, che i giudici non appartengono a un Tribunale imparziale, ma sono parte in causa: essi sono bensì gli aggrediti e le vittime, ma sono anche i vincitori. […] Il grande fatto nuovo, la rivoluzione giuridico-politica […] è dunque che, a partire da oggi, i responsabili, o presunti responsabili, di una guerra non sono rinviati al giudizio della storia, o di Dio […], ma chiamati a rispondere di fronte a tribunali umani, tribunali stranieri.58

In questo passaggio dell’articolo sono messi in evidenza due aspetti importanti. Il primo riguarda i temi della responsabilità individuale e della giustizia dei vincitori. Il giornalista ha notato infatti che la criminalizzazione delle responsabilità individuali, fatto già di per sé innovativo, era portata avanti da un tribunale illegittimo, in quanto costituito da giudici provenienti solo dai paesi vincitori. Il secondo aspetto riguarda invece la condanna morale dei crimini di guerra, presentata come scontata: essa infatti non può essere un punto controverso - suggerisce l’articolo - a differenza della questione politica e giuridica. L’affermazione che la coscienza morale sia a posto di fronte alle violenze nazifasciste può significare che il nostro giudizio morale su tali fatti non può che essere uno solo, quello della condanna. L’articolo evidenziava inoltre le conseguenze che la novità di Norimberga avrebbe comportato nel diritto internazionale:

Ora, questo fenomeno ha due facce, questa medaglia ha un diritto ed un rovescio. Il diritto della medaglia potrà consistere nell’introduzione, e nel progressivo perfezionamento, di un nuovo codice internazionale: a termini del quale – il fatto “guerra” essendo dichiarato fuori legge – dovrà stabilirsi una Società universale delle Nazioni veramente efficiente, capace cioè di dare norme giuridiche precise circa i rapporti fra i suoi membri […] e di esprimere un tribunale imparziale in grado di decidere se e quando tali norme siano state violate e di punire in conseguenza.59

Questo passaggio mette in luce le finalità intrinsecamente politiche del procedimento penale di Norimberga: il processo aveva infatti lo scopo di punire giuridicamente la guerra d’aggressione in quanto tale, il quale non è più solo un obbiettivo giuridico, ma anche politico. Norimberga rappresentava così un precedente per fondare un nuovo diritto internazionale capace di sanzionare la guerra, dotandosi di una Corte penale internazionale. Sebbene ciò avrebbe potuto favorire la realizzazione della giustizia - «la legge della giungla sarebbe allora cessata fra gli uomini; il mondo […] avrebbe la sua

58 Filippo Burzio, Il processo di Norimberga, «La Nuova Stampa», 9 dicembre 1945. 59 Ibidem.

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regolamentazione razionale»60 - il giornalista non si faceva illusioni riguardo alla fattibilità di questo scenario: «Il male è che la organizzazione delle Nazioni è tuttora di là da venire: sicché, a Norimberga, il fatto precede il diritto, la force prime le droit; si è dovuto mettere il carro avanti ai buoi, improvvisando, come tante volte bisogna fare nella storia: e, tutto sommato, a Norimberga la coscienza morale si trova più a posto della coscienza giuridica»61.

Quest’ultima affermazione riprende e mette insieme due temi interessanti: quello delle difficoltà che il diritto internazionale si trova ad affrontare nel legittimare la punizione dei crimini di guerra, a causa delle lacune sul tema, e quello della coscienza morale, che invece può, legittimamente, condannare tali atti senza difficoltà. La condanna morale è legittima, mentre la legittimità della punizione giuridica è più problematica da stabilire. Allo stesso tempo, è la coscienza morale che spinge, di fronte a tali atti, a una condanna giuridica: far precedere il fatto al diritto, come bisogna fare talvolta nella storia, è reso necessario anche dalle esigenze morali. Sembra questa la conclusione che l’articolo implica nell’accostare e mettere a confronto questi due temi, cercando di stabilire quale dei due è più a posto dell’altro.

Le contraddizioni fra le considerazioni politiche, storiche, giuridiche e morali sul processo sono al centro di questo articolo, che riesce ad analizzare in poco spazio alcuni aspetti fondamentali di Norimberga. Il giornalista prendeva in considerazione però la possibilità che le novità del processo avrebbero potuto avere anche risvolti negativi. Al riguardo, faceva un riferimento importante alle caratteristiche di conflitto totale della seconda guerra mondiale, che avevano causato una profonda crisi nella società occidentale:

Il rovescio della medaglia è dato cioè dal fatto che la crisi della civiltà occidentale (anzi, della intera civiltà bianca, o addirittura della civiltà umana tutta quanta) […] è così grave; che la frattura nel nostro mondo è così profonda, che le due parti in conflitto non si riconoscono più nulla di comune, non si parlano nemmeno più. Come la guerra è stata totale, ha distrutto le città, ha ucciso indiscriminatamente militari e civili, donne, vecchi e bambini, così anche la vittoria è diventata totale: […] le condizioni di pace, non solo non vengono discusse in regolari conferenze, ma nemmeno più comunicate (come avvenne ancora a Versailles) ai rappresentanti dei vinti; i cui capi – orrendi criminali, cui risale la prima responsabilità di tutto questo – vengono ora, per la prima volta nella storia, processati a Norimberga … Quello spirito che per 15 anni animò la Cristianità;

60 Ibidem. Filippo Burzio, Il processo di Norimberga, «La Nuova Stampa», 9 dicembre. 61 Ibidem.

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[…] cioè il riconoscimento di una comune origine, di una comune civiltà, […] al di là dei contrasti passeggeri, impedendoci di spingerli all’estremo, è disastrosamente estinto.62

L’imbarbarimento della guerra e la totalità della violenza hanno dunque reso necessario la punizione dei responsabili; ma quelle atrocità hanno reso evidente il fatto che la distanza fra vincitori e vinti era incolmabile e che questi ultimi non potevano più riconoscersi nella stessa civiltà occidentale. Nella conclusione dell’articolo, i toni diventavano molto accesi e si prospettava uno scenario quasi apocalittico:

Vincerà il diritto, o vincerà il rovescio della medaglia? La spaventosa condotta e conclusione della seconda guerra mondiale sarà stato un sanguinoso avviamento […] ad una seria regolamentazione dei rapporti fra le Nazioni, alla vera messa fuori legge della guerra; oppure dovrà considerarsi solo come l’ultimo episodio, il più recente segno apocalittico della progressiva e irrimediabile decadenza della civiltà cristiana, […] attraverso guerre e rivoluzione sempre più selvagge, fino alla notte più buia, al chiudersi finale di un ciclo di civiltà durato 1500 anni? Certo gli uomini faranno bene a non dimenticare che […] l’avventura cosmica della vita su questo pianeta potrà anche degenerare in fallimento, se le cose saranno più grandi di noi.63

La fine dell’articolo, che si concentra sulla crisi della civiltà occidentale, è molto enfatica, ma nel complesso il testo analizza importanti questioni sul processo di Norimberga. Questo editoriale, come quello che abbiamo trattato precedentemente, mostrano una particolare attenzione per il processo. Quest’ultima si esprime, talvolta, attraverso una retorica anche molto enfatica, che sottolinea una forte condanna morale dei criminali di guerra, ma ciò non esclude un’analisi piuttosto approfondita degli aspetti giuridici e politici legati alla giustizia di Norimberga.

I.I.2. La fine del processo: la solennità dell’evento

Il primo ottobre 1946 giunse a conclusione il processo di Norimberga e i giornali italiani seguirono questi giorni cruciali con molta attenzione. Gli articoli su Norimberga occuparono spesso molto spazio sulla prima pagina dei quotidiani ed erano corredati da

62 Filippo Burzio, Il processo di Norimberga, «La Nuova Stampa», 9 dicembre 1945. 63 Ibidem.

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