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Fra volontà di epurazione e interessi nazionali

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

III.2. La stampa italiana e i criminali di guerra

III.2.4. Fra volontà di epurazione e interessi nazionali

L’atteggiamento delle sinistre venne condizionato dalle preoccupazione per il destino internazionale del paese. Ciò nonostante, la stampa comunista continuò a sollecitare le altre forze della sinistra a fare fronte comune perché i criminali di guerra italiani fossero puniti. L’8 settembre 1945, l’«Unità» si lamentava proprio della mancanza di questo intento comune e sottolineava con amarezza come dopo due anni il popolo italiano non avesse ancora punito i responsabili dei crimini di guerra:

Tutto l’antifascismo militante ha rigettato la responsabilità dell’8 settembre; quasi tutto l’antifascismo militante ha rigettato qualsiasi corresponsabilità con il re e con la sua cricca. Ma pochi antifascisti hanno avuto il coraggio di rigettare tutta l’eredità del fascismo, di riconoscere giusta l’esigenza che i criminali di guerra italiani siano puniti da coloro stessi contro i quali hanno esercitato i loro crimini, che siano riparate le ingiustizie commesse dal fascismo e, prima del fascismo, dalla politica nazionalistica che lo aveva preceduto.561

Il messaggio non fu però recepito dal partito d’azione e dal partito socialista preoccupati per la minaccia di un trattamento punitivo del paese, che avrebbe potuto comprendeva modifiche territoriali, riparazioni di guerra e l’estradizione dei criminali di guerra italiani. La sinistra antifascista si vide così stretta fra la volontà di epurazione delle forze armate e dei responsabili di crimini di guerra e l’urgenza della difesa degli interessi nazionali. Come ha sottolineato Focardi, «lo scollamento di socialisti, azionisti e repubblicani dal partito comunista che, legato da vincoli internazionali con l’Unione Sovietica e la Jugoslavia, assunse un atteggiamento diverso sulla questione della punizione dei crimini di guerra, compromise la capacità complessiva delle sinistre di chiedere ed attuare un’efficace epurazione»562. Prevalse quindi la posizione del fronte dell’antifascismo moderato e della destra, che sosteneva la difesa dell’«onore» dell’esercito italiano. Questa fu la linea portata avanti sia da forze politiche come la Democrazia cristiana oil Partito liberale,sia da istituzioni direttamente coinvolte come il mistero degli Esteri e l’esercito, che difesero la

561Attualità dell’8 settembre, «L’Unità», 8 settembre 1945. 562Focardi, L'Italia fascista come potenza occupante cit., p. 170.

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condotta dei militari italiani nei paesi occupati e rifiutarono ogni richiesta da parte di Stati stranieri di processarli.

Gli ambienti militari si impegnarono, tramite una campagna editoriale e giornalistica, a respingere le accuse di crimini di guerra loro rivolte. Alcuni ufficiali, come Mario Roatta, Giacomo Zanussi e Giuseppe Angelini, rispettivamente comandante della Seconda Armata, capo di Stato maggiore della stessa, comandante di reggimento ed eroe di guerra decorate per le sue azioni in Croazia, pubblicarono fra l’ottobre del 1945 e il novembre 1946 volumi ti tipo memorialistico563, nei quali non solo contestavano ma ribaltavano le accuse da parte jugoslava. Essi sostenevano che le truppe italiane non avessero compiuto alcuna atrocità; avevano anzi difeso le popolazioni civili nei Balcani proteggendole sia dai commilitoni tedeschi che dalle bande partigiane di Tito. Queste ultime avrebbero trascinato i reparti italiani nella guerra civile, proprio per essere intervenuti in difesa delle popolazioni. I partigiani di Tito sarebbero stati gli unici ad aver compiuto crimini di guerra, mentre le truppe italiane non sarebbero state che vittime della crudeltà di costoro. In tali volumi, si sosteneva inoltre che i reparti del regio esercito si fossero sempre attenuti alle leggi di guerra;anche quando si ammetteva che i soldati italiani si fossero macchiati di qualche crimine, si sottolineava la distanza che separava gli italiani dai partigiani jugoslavi, crudeli e sanguinari.

Questa retorica fu diffusa non solamente dalla memorialistica militare ma anche dai giornali, come il settimanale romano «Domenica» o il quotidiano «Il Tempo». Il settimanale pubblicò nel febbraio 1946 un articolo del maresciallo Tito, il quale chiedeva all’Italia di riconoscere di aver compiuto una guerra d’aggressione contro la Jugoslavia e di avervi compiuto atroci crimini, fra i quali incendi di villaggi, massacri e deportazioni. Il giornale replicò con due articoli, nei quali si ricorreva alla stessa argomentazione presente nei libri dei militari. Gli articoli difendevano a spada tratta le truppe italiane, che avevano difeso eroicamente le popolazioni ed erano state coinvolte contro la loro volontà in una cruenta guerra civile: «molti e molti dei nostri soldati hanno sacrificato la vita per impedire spargimenti di sangue motivati unicamente da odi intestini di razza, di religione, di partito»564. Si ribaltava la accuse di crimini di guerra, sottolineando la colpevolezza delle forze jugoslave nell’aver commesso atrocità contro i prigionieri italiani. Anche su «Il

563 Mario Roatta, Otto milioni di baionette, Mondadori, Milano-Verona, 1946; Giacomo Zanussi, Guerra e

catastrofe d’Italia, vol. I, Corso, Roma, 1945; Giuseppe Angelini, Fuochi di bivacco in Croazia, Tipografia

regionale, Roma, 1946.

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Meridiano d'Italia» si ricorreva a tale rappresentazione dell’esperienza dell’occupazione italiana. Nel novembre 1946, il giornale neofascista pubblicò alcuni articoli in cui l'accusa dal governo jugoslavo era definita un vilipendio del popolo italiano e il soldato del regio esercito veniva descritto come un buon Samaritano e un benefattore amato da tutti565. Questo fronte a difesa dei criminali di guerra italiani non fu contrastato con vigore. Nel settembre 1946 ci fu un cambiamento nell’atteggiamento dei giornali delle sinistre, quando il tribunale militare di Roma assolse il generale Federico Baistrocchi, sottosegretario alla Guerra dal 1933 al 1936, ritenuto il maggior responsabile della fascistizzazione dell’esercito. L’assoluzione scatenò le critiche dei giornali delle sinistre, in particolare del quotidiano azionista, l’«Italia Libera». Dalle pagine di questo giornale, Vittorio Foa chiese che fosse condotta un’inchiesta sulla guerra, portando di nuovo in discussione l’epurazione dell’esercito. Secondo il giornalista, non potevano essere taciute le colpe dei dirigenti, bensì doveva essere fatta luce su «tutte le responsabilità connesse alla condotta militare della guerra»566. In quest’occasione, Foa chiese che fosse fatta chiarezza anche sulla

questione del comportamento delle truppe italiane in Jugoslavia. In polemica con il generale Roberto Bencivenga, contrario all’epurazione, scrisse: «Pensa l’on. Bencivenga che i combattenti italiani, ufficiali e soldati, esposti senza loro colpa e contro i loro profondi sentimenti di umanità ad una guerriglia atroce, possano non solo sentirsi soddisfatti, ma anche concretamente difesi da un’ottusa e globale difesa dei comandi, piuttosto che da una chiara inchiesta la quale cerchi le responsabilità della nostra politica militare in Jugoslavia?»567. Anche in questo caso, comunque, il giornale rifiutò le richieste jugoslave di estradizione e rivendicò il diritto dell’Italia di giudicare. È interessante notare come anche questo articolo abbia riproposto la distinzione fra i vertici militari, chiamati a rispondere dei crimini di guerra, e la massa dei soldati, costretti a una guerra cruenta contro il loro volere e contro la loro indole solidale. L’argomento dell’umanità del soldato italiano era diffuso dunque tanto sulla stampa di matrice conservatrice quanto su quella delle sinistre.

Le prime prese di posizione congiunte della sinistra contro i criminali di guerra italiani e a sostegno delle richieste jugoslave si ebbero solamente nel gennaio 1948, dopo la fine dei

565L'accusa di “criminali di guerra” nuovo vilipendio per il popolo italiano, «Il Meridiano d'Italia», 3

novembre 1946; La pretesa “criminalità” degli italiani in Jugoslavia, «Il Meridiano d'Italia», 10 novembre 1946; Aiutarono anche i compagni di Tito massacrati nell'inferno di Pago, «Il Meridiano d'Italia», 26 gennaio 1947.

566 Vittorio Foa, Il prestigio dell’esercito non è il prestigio dei capi, «Italia Libera», 22 gennaio 1947. 567 Ibidem.

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lavori della Costituente. L'atteggiamento delle sinistre sulla questione dei crimini di guerra fu condizionato infatti dall'assunzione di responsabilità di governo fino al maggio del 1947 e la partecipazione in sede di Costituente all'elaborazione della Carta costituzionale fino al dicembre dello stesso anno. L'8 gennaio 1948, l’«Avanti!» pubblicava una serie di documenti che attestavano come le truppe italiane sotto il comando del generale Taddeo Orlando, da poco promosso dal governo democristiano a Segretario Generale del Ministero della Difesa, avessero compiuto gravi crimini contro i civili, come uccisioni e distruzioni, durante le azioni antiguerriglia in Jugoslavia. L’articolo riguardo a Taddeo Orlando affermava: «le notizie pubblicate da vari giornali circa la richiesta da parte jugoslava per la di lui estradizione come criminale di guerra sembrano più giustificate che mai»568. Il 12 gennaio, infatti, l'ambasciata jugoslava a Roma comunicò alla stampa di avere chiesto ufficialmente al governo De Gasperi la consegna di alcuni criminali di guerra fra cui lo stesso Orlando, che era stato comandante in Croazia della divisione “Granatieri di Sardegna”. Le accuse rivolte a Orlando e agli altri imputati, fra cui l’on. Achille Marazza, allora sottosegretario agli Interni, che durante la guerra aveva prestato servizio come Maggiore di fanteria in un reggimento in Slovenia, risultavano essere molto gravi: uccisione di ostaggi e di prigionieri di guerra, deportazioni in massa di popolazione civile, rastrellamenti e massacri di popolazione non combattente. Perciò la stampa reagì prontamente alla notizia. Mentre i giornali di matrice moderata e conservatrice, ma anche la stampa nazionale, come il «Corriere della Sera» e la «Stampa»569, contestarono la posizione del governo jugoslavo, la stampa comunista dette credito alle prove di colpevolezza portate avanti da Belgrado570.

Il 16 gennaio, sull’«Avanti!» si ammetteva esplicitamente che l’azione delle sinistre per l’epurazione era stata frenata dalla tutela degli interessi nazionali e si esprimeva l’intenzione di riaprire la questione delle responsabilità della guerra. Secondo il giornale, i «generali della disfatta», come il maresciallo Messe o il generale Orlando, che avevano avuto l’«impudenza»571 di rivendicare le loro ragioni, avrebbero dovuto rimanere appartati

e in silenzio, coscienti delle proprie colpe e delle proprie responsabilità. È interessante notare che il giornale azionista attribuisse la mancata proposta alla Costituente da parte delle sinistre dell’istituzione di un'inchiesta sulla campagna di Russia e su quella della

568Sanno i soldati chi è Taddeo Orlando?, «Avanti!», 8 gennaio 1948.

569 II Gen. Orlando e Marazza respingono le accuse del Governo jugoslavo, «Corriere della Sera», 15 gennaio

1948; Documenti che non convincono sui presunti criminali di guerra, «La Nuova Stampa», 13 gennaio 1948.

570 La Jugoslavia documenta i crimini del generale Orlando e di Marazza, «L’Unità»,, 13 gennaio 1948. 571I generali sanno perdere ma non tacere, «Avanti!», 16 gennaio 1948.

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Jugoslavia a due motivi, ovvero «carità di patria e amore di oblio»572. L’articolo ammetteva così che le reticenze delle sinistre erano motivate sia dalle preoccupazioni per gli interessi del paese sia dalle riserve nel far emergere argomenti del passato fascista difficili da affrontare. Il giornale auspicava comunque che il Parlamento si impegnasse a fare ciò che la Costituente non aveva fatto. Le proposte dell’«Avanti!», tuttavia, non ebbero un seguito in Parlamento, dove nessuno di fatto avrebbe mai richiesto un’inchiesta sull’occupazione italiana in Jugoslavia.

Del resto, anche per le sinistre, che proclamavano di voler riaprire il capitolo delle responsabilità della guerra fascista, risultava difficile affrontare un’indagine sui crimini commessi dalle truppe italiane durante l’occupazione. Un’indagine di questo tipo avrebbe rivelato infatti che non soltanto i vertici militari, con in prima fila Messe, Roatta e Orlando avevano commesso crimini, ma anche molti gregari, ovvero quei «bravi italiani» la cui condotta di guerra era stata difesa da tutte le forze politiche. Il rischio era «mettere in questione quella narrazione di comodo dell’esperienza bellica elaborata da tutto l’antifascismo che, per motivi pur comprensibili di politica internazionale e di legittimazione politica interna, aveva teso a minimizzare le responsabilità del popolo italiano e dei soldati italiani nella guerra dell’Asse e ad esaltarne lo sforzo antitedesco e antifascista dopo l’8 settembre»573. La possibilità di portare in giudizio i responsabili di

crimini di guerra fu ostacolata dalla difficile situazione internazionale in cui si trovava il paese. I limiti dell’azione delle sinistre sono da ricondurre sia alle resistenze del blocco moderato e conservatore sia alle esigenze di difesa degli interessi nazionali.

In conclusione, la posizione italiana sulla questione dei presunti criminali di guerra italiani, elaborata dal ministero degli Esteri e dal ministero della Difesa e alimentata dagli organi di stampa, contribuì a formare una memoria lacunosa degli eventi della seconda guerra mondiale. Come ha messo in luce Focardi,

la mancanza di una “Norimberga italiana” ha contribuito a fissare una rappresentazione parziale e distorta della guerra, imperniata sulla autoraffigurazione degli italiani come vittime e come soldati umani e bonari. Accanto all’aspetto degli “italiani brava gente” è tuttavia esistito, come ormai dimostrato dalla storiografia, anche l’aspetto degli italiani

572 Ibidem.

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invasori e oppressori, responsabili di atti di violenza e brutalità su migliaia di persone, migliaia di vittime che non hanno mai avuto giustizia.574

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Conclusioni

Il processo di Norimberga fu seguito con molto interesse da parte dei giornali italiani. Sulla stampa nazionale trovarono ampio spazio le problematicità più prettamente giuridiche, come l’ammissibilità della responsabilità individuale, la legalità del tribunale formato solo da giudici degli Stati vincitori, l’applicazione retroattiva della legge, l’obbedienza agli ordini di un superiore, la politicità della scelta di mettere al bando la guerra d’aggressione e la giustizia dei vincitori. È interessante notare come il tema della responsabilità fosse approfondito sulla stampa sia sui giornali dei partiti di sinistra, come l’«Avanti!», sia su giornali moderati, come il «Corriere». Sulle pagine di entrambi i quotidiani veniva affermata senza esitazione la piena responsabilità degli imputati. Molto spesso la strategia della difesa veniva presentata come totalmente illegittima, un vero e proprio ostacolo alla giustizia, oppure come inopportuna di fronte alle atrocità compiute dagli imputati. La rappresentazione dei criminali di guerra tedeschi presenti in aula veniva spesso esaltata da una dettagliata descrizione dell’aspetto fisico e dei comportamenti degli imputati: questi erano descritti come mostri, cinici, perversi e crudeli, che sono stati capaci di architettare un piano diabolico. Mi sono concentrata su queste descrizioni fisiche poiché esemplificative dello stereotipo del «cattivo tedesco», utilizzato come antitetico rispetto al «buon soldato italiano». Le rappresentazioni degli imputati sono inoltre legate a una forte condanna morale dei criminali nazisti. È interessante notare come i giornali dei partiti di sinistra mostrassero, fin da subito, toni più enfatici rispetto a giornali moderati come il «Corriere»: l’«Avanti!», per esempio, si espresse già dalle prime udienze a favore di una sentenza di morte.

Per quanto riguarda il dibattito sulla stampa nazionale relativo ai processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia, notiamo, per prima cosa, la scarsa attenzione prestata all’argomento da parte dei giornali, fatta eccezione per i procedimenti giudiziari che ho preso in esame. Questo si può spiegare col fatto che probabilmente le autorità di governo, preoccupate per la questione dei criminali di guerra italiani, agirono sui mezzi di comunicazione affinché non venisse dato risalto ai processi contro i militari tedeschi o che comunque gli stessi giornali scelsero di tenere un basso profilo per evitare un forte coinvolgimento dell’opinione pubblica sull’argomento. Potremmo dire che anche sugli organi di stampa agì dunque la stessa paura dell’«effetto boomerang» che incise sulle

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autorità di governo: ovvero, si considerò probabilmente che l’eventuale attenzione data ai criminali di guerra tedeschi avrebbe potuto ritorcersi sui presunti criminali di guerra italiani, portando l’opinione pubblica a chiedere che anche questi venissero processati. Possiamo dunque notare che si verificò un primo momento di cambiamento dell’atteggiamento della stampa nazionale verso la questione dei criminali di guerra: se questa aveva mostrato attenzione per il processo di Norimberga, lo stesso non si può dire per i processi ai criminali tedeschi, poiché questi ultimi avrebbe potuto intrecciarsi con quelli ai criminali italiani. Rivendicare con forza il giudizio dei militari tedeschi sulla stampa avrebbe potuto rappresentare infatti una giustificazione alle richieste di estradizione dei cittadini italiani accusati di crimini di guerra da parte dei paesi stranieri.

Per i processi a Mältzer e von Mackensen, Kesselring, Kappler e Reder, invece, la stampa italiana mostrò interesse. I giornali formarono un comune fronte colpevolista contro i criminali di guerra nazisti: di nuovo, fu ribadita con decisione la responsabilità individuale degli imputati e fu screditata la tesi della difesa relativa alla legittimità della rappresaglia. Quest’ultimo tema ed altre importanti questioni giuridiche, come il riconoscimento della guerra partigiana e la giustizia dei vincitori, furono discusse sulla stampa italiana. Questi erano fondamentali temi di dibattito per i tribunali ed emersero anche sulle pagine dei giornali perché offrirono all’opinione pubblica italiana una lettura piuttosto approfondita anche a livello giuridico dei procedimenti. Gli imputati furono presentati – come era già successo per il processo di Norimberga - secondo lo stereotipo dell’ufficiale nazista sadico e insensibile, capace di fredda crudeltà. I giornalisti ricordarono, molto frequentemente, le numerose atrocità compiute dagli imputati contro la popolazione civile italiana. Le sentenza di morte furono accolte con favore dalla maggior parte dei giornali. È interessante notare come i quotidiani dei partiti di sinistra (l’«Unità» e l’«Avanti!») si fossero mostrati solitamente più radicali nel condannare gli imputati e nel richiedere per gli accusati la pena di morte, rispetto ai giornali moderati o conservatori (la «Stampa» e il «Corriere»).

Il fronte colpevolista formato dai giornali verso i criminali di guerra tedeschi non fu però replicato nei confronti dei cittadini italiani. Si ebbe dunque una vera e propria svolta nell’atteggiamento della stampa nazionale verso la questione dei criminali di guerra, nel momento in cui furono chiamati in causa cittadini italiani.

È interessante notare come i giornali dei partiti delle sinistre, che si erano già mostrati, in occasione del processo di Norimberga e dei processi in Italia, come i più decisi nel

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condannare i criminali di guerra tedeschi, siano stati gli unici a mantenere un atteggiamento colpevolista anche verso i cittadini italiani accusati di crimini di guerra. Dal luglio fino al novembre 1944, giornali come «l’Unità» e l’«Italia Libera», mossi da una sincera volontà di epurazione, intervennero per sostenere il tentativo di condurre a processo i presunti criminali di guerra italiani. Tuttavia, quando nel febbraio 1945 la Jugoslavia fece richiesta di estradizione per quaranta militari italiani alle Nazioni Unite, questa trovò sostegno solamente nel quotidiano «l’Unità», mentre la maggior parte dei giornali si dichiarò contraria. Il quotidiano «Il Tempo» avanzò molti dubbi sulle garanzie di imparzialità offerte da un tribunale jugoslavo e rivendicò la competenza italiana a giudicare i propri cittadini accusati di crimini di guerra. L’«Italia Nuova», sostenendo il supposto carattere umanitario della condotta di guerra delle truppe italiane e la netta distinzione tra soldati italiani e tedeschi, affermò che il mancato riconoscimento della competenza italiana a giudicare sarebbe entrato in conflitto con il riconoscimento della cobelligeranza. Queste argomentazioni appartenevano – come abbiamo visto nel terzo capitolo – alla strategia difensiva elaborata dal ministero degli Esteri sulla questione dei criminali di guerra italiani ed è interessante notare come fossero state riprodotte, quasi alla lettera, sulle pagine dei giornali italiani. Questo episodio fu ancor più significativo perché la richiesta di estradizione jugoslava spaccò il fronte delle sinistre: da allora in poi solamente il partito comunista continuò ad appoggiare le rivendicazioni dei paesi stranieri nei confronti dei presunti criminali italiani. Le altre forze della sinistra continuarono a sostenere la necessità di giudicare i responsabili, ma rivendicarono la competenza italiana in tale giudizio. Si formò quindi un vasto fronte, che univa i giornali di tutti gli orientamenti politici, ad eccezione di quello comunista, schierato contro le richieste di estradizione straniere. Le preoccupazioni per il destino del paese, sottoposto a resa incondizionata, finì per unire la stampa antifascista, la quale si allineò sulla posizione difensiva del governo italiano elaborata dai ministeri degli Esteri e della Difesa.

Gli organi di stampa alimentarono così la narrazione dell’esperienza bellica costruita dal governo italiano, addebitando ogni responsabilità alla Germania e a Mussolini e dipingendo il popolo italiano e i soldati italiani come vittime innocenti. I giornali tesero ad esaltare la distinzione fra l’Italia e la Germania nazista, sottolineando la diversità della