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L’obbedienza all’ordine di un superiore e l’appartenenza alle SS

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

II.3. Quale giustizia? La riflessione giuridica

II.3.3. L’obbedienza all’ordine di un superiore e l’appartenenza alle SS

Un’altra questione centrale per l’analisi di queste sentenza è quella dell’obbedienza all’ordine di un superiore, poiché essa è legata direttamente alla valutazione della posizione degli imputati. Nel caso del processo a Kappler, la difesa sosteneva che Kappler avesse agito in adempimento di un ordine non sindacabile del suo superiore, ovvero il generale Maeltzer, che, a sua volta, avrebbe seguito un ordine dello stesso Führer. Le argomentazioni della Corte, la quale, in risposta alla tesi della difesa, doveva stabilire quale fosse la responsabilità individuale dell’imputato nella fucilazione delle Fosse Ardeatine,

409 De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., pp. 66-67. 410 Cit. in Ivi, p. 67.

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furono piuttosto contraddittorie. Pur ritenendo che un ordine del superiore non potesse essere una giustificazione per un inferiore per commettere un atto criminoso, il Collegio è arrivato a dubitare che Kappler avesse avuto coscienza e volontà di obbedire a un ordine illegittimo, poiché la sua libertà di giudizio era diminuita e limitata dal fatto di essere parte di un’organizzazione dalla disciplina molto rigida, come quella delle SS. L’ordine d fucilare dieci italiani per ogni tedesco morto, per quanto giudicato illegittimo dal Tribunale, non sarebbe apparso tale a Kappler.

Perciò Kappler fu condannato “solo” per la fucilazione di 10 ebrei, che egli dispose per la notizia appresa di un trentatreesimo soldato tedesco morto, senza che in merito avesse avuto alcun ordine, iniziativa che fu giudicata come arbitraria e illegale. Fu giudicato colpevole anche per le cinque persone che erano estranee alla lista compilata per l’esecuzione e furono giustiziate per caso, poiché tale errore fu riportato alle insufficienti direttive date da Kappler e dunque considerato come un’omissione da parte dell’imputato. La Corte ha dunque ammesso la responsabilità di Kappler per questi quindici omicidi, ma ha espresso dubbi sulla sua responsabilità per la fucilazione delle altre 320 persone. Nel caso di Kappler, dunque, venne fatta valere l’esimente dell’obbedienza a un ordine del superiore, e lo stesso accadde anche per gli altri cinque imputati al processo. Per lo stesso motivo dell’appartenenza all’organizzazione delle SS e inoltre per il fatto di non essere stati a conoscenza di tutti gli elementi noti al loro superiore, i cinque imputati furono assolti dal reato per avere agito in esecuzione di un ordine.

L’appartenenza di Kappler e degli altri cinque alle SS, invece che rappresentare un’aggravante, è stata dunque ritenuta dalla Corte un’attenuante. Come ha sottolineato Pezzino, «poca conta che a Kappler il tribunale abbia poi negato le attenuanti generiche, riconoscendo invece alcune aggravanti nel suo comportamento: secondo la logica della sentenza, infatti, la partecipazione stessa a un corpo della rigida disciplina come le SS poteva rappresentare un’attenuante, in quanto non avrebbe consentito di distinguere l’illegittimità di un ordine»411. Non si può non cogliere in questo ragionamento una

contraddizione:

Simili argomentazioni paradossalmente trasformano in giustificazione la partecipazione ad un’associazione come le SS, corpo d’élite della Germania nazista che, secondo l’art. 9 dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale, avrebbe potuto essere dichiarata organizzazione criminale […]: nel ragionamento del collegio giudicante, invece, il fatto

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che si trattasse di un corpo speciale, tenuto a una particolare disciplina, non apparve un’aggravante in quanto manifestava l’adesione convinta all’ideologia nazista degli imputati, ma si tradusse in una specie di impossibilità a valutare la legittimità degli ordini, data la fede assoluta dei membri delle SS nella disciplina e nell’ordine gerarchico.412

Tale logica inoltre potrebbe condurre a gravi conseguenze: si potrebbe pensare che lo stesso Kappler - se avesse eseguito alla lettera l’ordine ricevuto e avesse quindi predisposto la fucilazione di 320 persone - sarebbe stato verosimilmente assolto. Un grosso limite della sentenza consiste quindi nel fatto che «esce confermata la valutazione secondo la quale, qualora un militare si attenga agli ordini – anche se illegittimi – stante la sua particolare formazione che lo predispone all’obbedienza, esso va ritenuto materialmente irresponsabile dei gesti che compie: vestire la divisa di un esercito, secondo tale logica, rappresenta una garanzia quasi assoluta di impunità giudiziaria»413. Per questo il giudizio di Pezzino sulla sentenza a Kappler è stato, in conclusione, critico:

Se nella valutazione della fattispecie giuridica del fatto criminoso il tribunale mostrò una certa capacità di sapersi comunque muovere nei pur angusti spazi che venivano lasciati da un diritto internazionale non ancora proteso a garantire la vita dei civili (anche se i giudici presero in considerazione le interpretazioni di quel diritto più favorevoli alle forze armate), i limiti dell’impostazione adottata si colgono soprattutto nella valutazione della posizione degli imputati.414

Come era accaduto nel processo a Kappler, anche il Tribunale di Bologna affrontò la questione dell’obbedienza agli ordini. Anche in questo caso, il collegio si mostrò deciso: nonostante la difesa avesse presentato il tema dell’obbedienza come giustificazione delle azioni di Reder, la Corte escluse fermamente questa ipotesi. Se anche l’imputato avesse ricevuto degli ordini superiori, egli avrebbe dovuto sottrarsi a queste disposizioni poiché la loro esecuzione costituiva manifestamente reato. In tal caso – secondo la Corte – dovrebbe rispondere del reato commesso per ordine di un superiore sia colui che ha impartito quell’ordine, sia il militare che lo ha eseguito. La Corte ha affermato inoltre che Reder non poteva aver alcun dubbio sulla criminosità degli ordini ricevuti, poiché questi ultimi prevedevano il massacro ingiustificato di popolazioni intere. Anche questo passaggio dimostra come la Corte abbia compiuto un passo avanti rispetto alla sentenza del processo a Kappler: se per quest’ultimo era stata fatta valere l’esimente dell’obbedienza agli ordini,

412De Paolis e Pezzino, La difficile giustizia cit., p. 61. 413 Ivi, pp. 61-62.

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per Reder la Corte ha affermato piena coscienza e responsabilità per i fatti commessi. L’appartenenza a un’organizzazione dalla rigida disciplina come le SS non rappresentò alcuna attenuante nel caso di Reder. Anzi, il collegio ritenne di dover considerare come dolo dei reati la scelta ideologica di Reder, il quale «ancora diciannovenne, abbandonò la sua patria, l’Austria, già concretamente minacciata dalla Germania, per entrare a far parte delle SS. Tedesche e divenire spietato strumento di una delle più spietate dittature del tempo moderno»415. La Corte decise di concedergli le attenuanti generiche, ma confermò tutte le aggravanti: l’aver avuto un ruolo di comando, l’aver concorso nel reato con subordinati, la premeditazione, l’aver adoperato sevizie e l’aver agito con crudeltà verso le persone, l’aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la privata difesa. Considerò comunque queste ultime come prevalenti sulle attenuanti e stabilì che «non basta[sse] essere militari al comando di un reparto in tempo di guerra a far sì che un progetto criminoso si trasformi, giuridicamente, in un piano di battaglia»416. Il collegio ha stabilito infine come pena trenta anni di reclusione, in ordine al reato continuato di incendi e distruzioni in paese nemico, e l’ergastolo, in ordine al reato continuato di violenza con omicidio.