• Non ci sono risultati.

L’ammissibilità della responsabilità individuale

I.I. 2 La fine del processo: la solennità dell’evento

I.2. Il dibattito sui crimini di guerra fra i giuristi italiani

I.2.2. L’ammissibilità della responsabilità individuale

Il dibattito in Italia sul dissidio fra responsabilità statale e responsabilità individuale nel diritto internazionale fu intenso e coinvolse diversi giuristi. Alcuni erano completamente contrari all’ammissione della responsabilità individuale e dunque rifiutarono il disegno promosso dagli Alleati per punire i criminali di guerra. La loro argomentazione si basava sul fatto che mancavano precise norme che qualificassero l’ordinamento internazionale come penale. Altri invece ammettevano la configurabilità della responsabilità individuale e ritenevano quindi legittima l’intenzione alleata di giudicare gli individui responsabili di crimini di guerra, ma andavano incontro a serie difficoltà argomentative per sostenere la loro tesi. Nuvolone infatti, per fare ciò, arrivava a teorizzare un nuovo diritto, quello umano.

La guerra appena conclusa, secondo Nuvolone, portava con sé l’urgenza di una valutazione più ampia dei crimini di guerra, che comprendesse anche quelli di lesa umanità. Nell’opinione pubblica e nelle classi dirigenti, infatti, era diventato più forte il bisogno di punire coloro che avevano compiuto azioni disumane. Ciò chiamava in causa appunto la questione della responsabilità individuale, che Nuvolone tentava di risolvere a favore della sua ammissibilità, facendo appello a un altro ordinamento. Le resistenze a questa tesi si spiegavano col fatto che il diritto internazionale era stato tradizionalmente legato al

52

principio della responsabilità statuale, che dunque non contemplava quella degli individui. Nuvolone, invece, intendeva screditare proprio l’assunto della responsabilità penale degli Stati, partendo dal presupposto che la caratteristica primaria di tale responsabilità era di essere prettamente individuale. L’illecito penale è infatti «per sua natura, personale e personali sono le relative sanzioni: il che esclude che le conseguenze possano ricadere sopra un numero indeterminato di soggetti»147. La responsabilità penale perciò «non p[oteva] far capo alle persone giuridiche in genere e agli stati in particolare, ma unicamente alle persone fisiche che per esse agiscono»148.

In merito alla questione si scontravano due opposte dottrine, quella inglese, la quale ammetteva la responsabilità individuale nel diritto internazionale, e quella tedesca, che la escludeva categoricamente. La dottrina italiana, invece, rappresentava una sorta di compromesso fra le due, «un punto di vista intermedio», sostenuto dalla tesi del Balladore Pallieri, secondo la quale «i singoli d[ovevano] essere chiamati, in via eccezionale, a rispondere non già, in genere, delle violazioni di norme internazionali, ma soltanto di quelle che potrebbero chiamarsi delitti di lesa umanità»149.

La posizione italiana, però, non convinceva del tutto Nuvolone, poiché essa non teneva in considerazione alcuni quesiti: «Come si determina il concetto di azione inumana? Quali sono le fonti formali o materiali cui si deve fare ricorso? E fino a che punto domina esclusiva la responsabilità degli stati, che poi viene ad innestarsi con la responsabilità individuale o ad essere da questa sostituita?»150. Il problema, per Nuvolone, derivava dall’incapacità dell’attuale diritto internazionale di punire i crimini di lesa umanità ed era per questo che «l’affacciarsi del problema della responsabilità penale […] porta[va] immediatamente sul piano di discussione lo stesso concetto del diritto internazionale nella sua essenza e nei suoi limiti»151. La soluzione individuata dal giurista era dunque fare ricorso ad un altro ordinamento, privo di una sistemazione giuridica e formalmente non ancora vigente, ovvero il diritto della comunità universale degli uomini o diritto umano. Secondo Nuvolone, sebbene i membri della società internazionale fossero unicamente gli Stati, i soggetti del diritto internazionale potevano essere anche gli individui, in quanto

147 Nuvolone, op. cit., p. 20. 148 Ivi, p. 21.

149 Ivi, p. 13. 150 Ibidem. 151 Ivi, p. 16.

53

questo diritto riconosceva a essi diritti e doveri. Un passaggio fondamentale del libro chiariva l’importanza del passaggio dal diritto internazionale a quello umano:

I rapporti giuridici internazionali dicui l’individuo è parte non sono, però, mai rapporti tra individui, ma tra gli individui e gli stati. I rapporti tra gli individui sono, invece, presi in considerazione o dal diritto interno o dal diritto umano […]. Una responsabilità individuale di diritto internazionale è, dunque, ammissibile. L’individuo è chiamato a rispondere della violazione di una norma internazionale non in quanto uomo, semplicemente, ma in quanto uomo qualificato dall’appartenenza a uno stato. Una responsabilità dell’individuo in quanto uomo, indipendentemente da ogni qualificazione politica, è concepibile soltanto in un ordine diverso da quello internazionale: cioè in una comunità di cui gli individui siano i soggetti primari con un corrispondente sistema di norme giuridiche.152

Per Nuvolone pertanto non vi erano dubbi circa la necessità e l’importanza di configurare la responsabilità individuale nel diritto internazionale. Quest’ultima sarebbe contemplata senza alcun dubbio nell’affermarsi del diritto umano e non potrebbe essere messa in discussione nella comunità umana. La volontà delle potenze alleate di punire i criminali di guerra costituendo un tribunale internazionale, veniva giudicata positivamente dal giurista, poiché essa rappresentava l’unica soluzione attuabile, mancando, per il momento, un organo giudiziario che esercitasse lo ius puniendi della comunità umana.

Secondo Giuliano Vassalli, invece, non c’era alcun bisogno di postulare un nuovo «diritto umano», poiché nel diritto internazionale già vigeva la responsabilità penale individuale. Se, secondo Nuvolone, il diritto internazionale considerava gli uomini non in quanto uomini, ma in quanto appartenenti a uno Stato, e dunque l’uomo politico che commetteva un illecito internazionale non ne rispondeva in prima persona ed era così esonerato dalla responsabilità individuale, per Vassalli valeva l’opposto:

Si ha oggi […] un duplice ordine di sanzioni per cui lo Stato viene costretto a sopportare, come conseguenza della violazione da esso commessa dei suoi obblighi internazionali, la punizione delle persone fisiche che furono i suoi organi nella violazione e di tutti quei soggetti che ebbero a collaborare con tali persone. In fondo la responsabilità penale delle persone giuridiche si risolve sempre, là dove è ammessa, in quella individuale dei loro dirigenti, amministratori e membri, nessuno dei quali può invocare indiscriminatamente d’aver agito in conformità d’un ordine superiore o per il bene della persona giuridica stessa. Si pensi inoltre, da un lato, che tutti gli atti dello Stato sono sempre attribuibili a una o più persone individuali e, dall’altro, che […] un

152Nuvolone, op. cit., p. 28.

54

soggetto può violare, p.es., per correità con un altro, una sfera giuridica che è del tutto estranea ai suoi diritti e doveri.153

La soluzione del problema della responsabilità individuale si trovava quindi nell’ambito del diritto internazionale. È interessante notare che sia Nuvolone sia Vassalli, seppur con metodi diversi, postulassero la possibilità che capi di Stato e personalità politiche rispondessero personalmente di violazioni internazionali. Il primo ricorreva al diritto umano, ritenendo quello internazionale inadeguato; il secondo, invece, proprio a quest’ultimo. Bisogna tener presente, comunque, che Vassalli, scrivendo nel 1946, vide realizzata la sua tesi nella direzione che avrebbe preso il processo di Norimberga, non ancora concluso.

La confutazione della posizione di Nuvolone, invece, proveniva da Giuseppe Vedovato (1912-2012), che nel terzo studio del suo volume Diritto internazionale bellico154, si atteneva alla lettera al diritto internazionale vigente. Quest’ultimo, a suo parere, non aveva carattere penale e, di conseguenza, non poteva ammettere la responsabilità individuale. Il diritto internazionale bellico non comprendeva infatti le figure giuridiche del reato e della pena, ovvero i caratteri distintivi del diritto penale. A prova di ciò, Vedovato citava l’articolo 3 della IV Convenzione dell’Aja, che prevedeva unicamente sanzioni civili e non penali, a carico dello Stato e non degli individui. In base alla mancanza di natura penale per il diritto internazionale, egli affermava che non era ammissibile la responsabilità individuale in quest’ambito. Gli unici responsabili di violazioni del diritto internazionale erano gli Stati, mentre i singoli individui erano responsabili solamente verso il diritto interno. I due ordinamenti, interno e internazionale, erano nettamente separati e nessuna interferenza fra essi era concessa. La stessa argomentazione si trovava nel volume di Carlo Miglioli155, che riteneva i soli Stati soggetti di diritto internazionale e utilizzava lo stesso tema della natura non penale di quest’ultimo per non ammettere la responsabilità individuale in questo ambito.

Vedovato comunque non escludeva la liceità della volontà di punire singoli individui che avevano commesso violazioni del diritto internazionale bellico, ritenendo però che gli organismi internazionali non erano adatti a farsi carico del giudizio. L’unica soluzione era

153 Vassalli, op. cit., pp. 52-53.

154Giuseppe Vedovato, Diritto internazionale bellico. Tre studi: La legislazione tedesca nei territori occupati

d’Occidente; La protezione internazionale dei monumenti storici contro le offese aeree; La punizione dei crimini di guerra, G.C. Sansoni, Firenze, 1946.

55

ricorrere al diritto interno dello Stato di appartenenza degli individui colpevoli, poiché solo l’ordinamento statale prevedeva la responsabilità individuale. Come si può immaginare, il giudizio di Vedovato, che scrivendo nel 1946 poteva seguire lo svolgimento del processo di Norimberga, sul disegno alleato di punire i criminali di guerra tedeschi non poteva che essere critico: «La soluzione adottata […] dalle quattro grandi Potenze con l’accordo di Londra, trova la sua critica in quanto abbiamo detto precedentemente: vale a dire la sua improponibilità nei termini in cui è stata assunta. L’opinione che il problema concerne la giustizia penale internazionale è l’equivoco che vizia tutta la costruzione»156. Miglioli invece non escludeva la possibilità che in futuro si potesse fare appello a organismi internazionali per giudicare la responsabilità individuale: «della punizione dei c.d. crimini

di guerra e dei delitti contro l’umanità (da chiunque commessi – evidentemente – e, cioè,

sia dai vincitori che dai vinti) dovrebbero essere investite Corti Internazionali, legittimamente competenti (e questo è il punctum saliens) a giudicare, altrettanto legittimamente, i comportamenti individuali»157. Il libro di Miglioli era comunque teso a

confutare completamente la liceità dei processi di Norimberga e di Tokyo.