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Tecniche alternative alla somministrazione sottocutanea di insulina nel diabete mellito di tipo 1

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Academic year: 2021

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(1)

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

TECNICHE ALTERNATIVE ALLA

SOMMINISTRAZIONE SOTTOCUTANEA DI

INSULINA NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 1

ANNO 2017

Relatore:

Prof.ssa BURGALASSI SUSI

Candidata:

(2)

INDICE

1 INTRODUZIONE 1.1 La patologia 1.2 Scopo della tesi

2 FORME DI DIABETE

2.1 Diabete tipo 1

2.2 Complicanze diabete tipo 1 2.3 Diabete tipo 2

3 METODI DI TRATTAMENTO DEL DIABETE

3.1 Evoluzione storica della terapia insulinica nel DMT1 3.2 Terapie insuliniche praticate

4 INSULINA INALATA: UNA PRIMA ALTERNATIVA ALL’INIEZIONE

4.1 Exubera

4.1a. Farmacocinetica e Farmacodinamica 4.1b. Sicurezza

4.1c. Motivi del fallimento applicativo

4.2 Afrezza, la rinascita dell’insulina inalatoria

4.2a. Technosphere Insulin e FDKP 4.2b. Studi clinici

4.2c. Effetti avversi e sicurezza 4.2d. Exubera ed Afrezza a confronto 4.2e. Risposta del mercato

4.3 Adagio

5. LA SOMMINISTRAZIONE ORALE, UN’IPOTESI

REALIZZABILE O UN TRAGUARDO IRRAGGIUNGIBILE

5.1 Le possibilità del mercato 5.2 Oral-lyn

5.3 ORMD-0801

5.3a. Tecnologia POD 5.3b. Studi clilnici

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6. LE NUOVE PROPOSTE: MICRONEEDLE PATCHES

6.1 Il cerotto che controlla la glicemia

6.2 Microaghi: una somministrazione insulinica alternativa

7. MICROINFUSORI

8. LA CLOSED-LOOP TERAPY, UN PASSO VERSO IL PANCREAS ARTIFICIALE

8.1. Studi clinici

8.2 Un investimento nella ricerca 8.3 Una concreta possibilità per il futuro

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1.INTRODUZIONE

1.1 La patologia

Il diabete è una delle malattie del metabolismo tra le più diffuse tra la popolazione, la cui consistenza va ad accrescersi di anno in anno e le cui complicanze a lungo termine risultano estremamente invalidanti per i soggetti colpiti.

I dati dell’Annuario Statistico ISTAT mostrano che è diabetica ben il 5,5% della popolazione italiana, pari a oltre 3 milioni di persone, con una differenza di genere che rileva una incidenza maggiore nel sesso femminile (5,3% degli uomini e 5,6 % delle donne).

In Figura 1 sono riportati sia i valori grezzi della prevalenza del diabete in Italia (linea blu), sia quelli standardizzati (linea tratteggiata verde): tali dati tengono conto del cambiamento nella composizione per età e sesso della popolazione diabetica italiana nel corso degli anni.

La prevalenza standardizzata dell’incidenza della patologia è aumentata dal 3,9% nel 2001 al 4,8% nel 2014.

È da ricordare che per prevalenza, in epidemiologia, si intende il numero di soggetti colpiti da un evento, in questo caso la patologia diabetica, in un momento istantaneo; per incidenza si intende invece il numero di nuovi eventi che si verificano in un arco temporale anche molto lungo.

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Se analizziamo quanto varia l’incidenza della patologia in relazione all’età dei soggetti, possiamo notare che c’è un significativo aumento di eventi con l’età fino a raggiungere il 20,3% nelle persone con età uguale o superiore ai 75 anni (Figura 2). (1)

Per un’analisi più completa e per inquadrare globalmente la patologia diabetica, è possibile anche riferirsi ai dati raccolti dall' OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità. È evidente un aumento sia dell'incidenza che della prevalenza della patologia diabetica sulla popolazione con il passare degli anni, tale da indurre a parlare di vera e propria "epidemia" diabetica. Il termine epidemia risulta oltre modo appropriato se si comprende quanto è significativa la consistenza numerica di decessi nel mondo, ben 1,5 milioni, correlati all'aumento dei livelli del glucosio nel sangue. (Tabella 1 e Figura 3). (2)

FIGURA 2: prevalenza nell’incidenza della patologia in relazione al sesso ed all’età.

TABELLA 1: aumento percentuale ed in numero di milioni di casi della prevalenza del diabete dal 1980 al 2014 suddiviso per aree geografiche.

FIGURA 3: andamento percentuale della prevalenza del diabete dal 1980 al 2014 in aree geografiche diverse. La linea tratteggiata in nero rappresenta la prevalenza media calcolata.

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1.2 Scopo della tesi

Nella cura del diabete mellito di tipo 1 ormai dagli anni '80 la norma è rappresentata dalla somministrazione di insulina esogena tramite iniezioni.

Il trattamento, sicuramente efficace dal punto di vista terapeutico, impone ai pazienti che sono affetti da tale patologia, un grande sacrificio e un personale impegno nel sostenere una cura sicuramente più invasiva di molte altre.

Peraltro, la somministrazione di insulina consente con difficoltà il raggiungimento di un efficace e puntuale controllo dei livelli di glucosio nel sangue, cosa che comporta anche effetti collaterali gravi, di difficile gestione, come episodi ipoglicemici.

Inoltre la somministrazione di insulina non risulta essere sempre in grado di proteggere i pazienti dalle conseguenze a lungo termine della malattia.

Per questi motivi la ricerca si è adoperata negli anni per trovare forme alternative di cura che consentano al paziente sia una migliore qualità della vita che minori complicanze.

Scopo di questo elaborato di tesi è quello di rappresentare il cammino negli anni della ricerca di cure alternative e valutarne aspetti positivi e negativi, al fine di fornire un quadro delle potenziali possibilità di trattamenti terapeutici alternativi.

(7)

2. FORME DI DIABETE

Si distinguono essenzialmente due differenti tipologie di diabete:  il diabete mellito di Tipo 1 (DMT1)

 il diabete mellito di tipo 2 (DMT2).

Inizialmente la differenza fondamentale tra i due tipi di diabete dal punto di vista della scelta terapeutica consisteva nell’essere il primo tipo insulino dipendente ed il secondo no.

Col tempo tale distinzione è stata rettificata poiché, in alcuni casi, anche la terapia del DMT2 può necessitare di una somministrazione insulinica.

Dal 2010 quindi anche la SID, Società Italiana di Diabetologia distingue le diverse forme di diabete in:

 DMT1  DMT2

 Altri tipi di diabete: tutte quelle forme di diabete dette secondarie perché conseguenziali ad una patologia primaria diversa, la quale comporta alterazioni nel metabolismo glucidico tipiche del diabete e risolvibili subordinatamente alla risoluzione della patologia primaria.

 Diabete gestazionale: ridotta tolleranza glucidica in gravidanza che tende a risolversi dopo il parto ma che comporta un aumento del rischio di incorrere in DMT2 dal 30 al 60% dei casi.

2.1 Diabete mellito di tipo 1

Il DMT1 è uno stato di deficit assoluto di insulina che determina un aumento della glicemia e che obbliga il paziente ad integrare insulina dall'esterno. Tale carenza insulinica deriva dal fatto che le cellule β dell'Isolotto pancreatico di Langherans non sono in grado di secernere l'ormone.

Questo tipo di diabete è un diabete definito giovanile dal momento che insorge solitamente nell'infanzia o nell'adolescenza e solo in rari casi si manifesta nell'adulto.

Eziologicamente parlando pare esserci una confluenza di fattori genetici, ambientali ed immunologici che vanno a determinarlo. Il gene principalmente correlato al rischio di sviluppare diabete è localizzato nel braccio corto del cromosoma 6 nella regione dell'HLA (Human Leucocyte Antigen). Come è noto l'HLA è fondamentale per la risposta immunitaria poiché garantisce che il nostro sistema

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immunitario riconosca determinate glicoproteine espresse sulla superficie cellulare come self così da non dirigere verso di esse una risposta immunitaria offensiva. Alterazioni genetiche a questo livello sono per l'appunto frequentemente associate a malattie autoimmuni. La componente genetica non è chiaramente sufficiente, seppur preponderante, nel determinare la patologia diabetica; pare infatti che fattori ambientali come abitudini alimentari, stile di vita e agenti infettivi siano capaci di modulare in positivo o in negativo l’espressione di fattori genetici predisponenti.

Rientrano potenzialmente tra questi ultimi fattori ad esempio virus come Enterovirus ed Herpesvirus; batteri, quali i micobatteri; oltre a patologie quali la Rosolia, associata al diabete nel 20% dei casi o diete a base di cereali e latte vaccino che se assunto precocemente pare agire da diabetogeno.

La patogenesi vede una massa normale di cellule β alla nascita che vanno incontro a necrosi per un processo autoimmune innescato da uno stimolo infettivo o ambientale, a seguito del quale vengono prodotti anticorpi diretti contro le cellule pancreatiche.

La massa di cellule β incomincia a ridursi e la secrezione di insulina si altera. La velocità di distruzione delle cellule β varia ampiamente tra gli individui, la forma a progressione rapida si osserva comunemente nei bambini, mentre la forma a lenta progressione è tipica dell’adulto. Le manifestazioni cliniche non si evidenziano fino a che l’80% delle cellule β non viene distrutto ed il deficit insulinico diventa evidente proprio quando, nella pubertà o nel corso di infezioni, le richieste di insulina da parte dell’organismo aumentano. Dopo la prima evidenza clinica del DMT1 può instaurarsi una fase di “luna di miele” durante la quale il controllo glicemico viene raggiunto con dosi modeste di insulina.

Tale fase è comunque una fase dalla durata relativamente breve uno/due anni, forse dovuta ad una produzione compensatoria di insulina ad opera delle cellule β residue e che si esaurisce quando tutte le cellule sono definitivamente distrutte dal processo autoimmune.

A questo punto l’individuo dipende completamente dalla somministrazione esterna di insulina, in assenza della quale si verificherà il decesso nell’arco di 15 anni dalla prima manifestazione clinica della patologia.

A livello istologico si parla di insulite dal momento che le isole pancreatiche vengono infiltrate da linfociti T e macrofagi.

Gli studi della patogenesi della malattia su modelli animali hanno evidenziato che tale insulite principia con un’invasione linfocitaria delle isole pancreatiche, infiammazione che comunque rimane

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localizzata a livello delle cellule β e non si espande ad altri gruppi cellulari, con conseguente sviluppo di una peri-insulite primaria nella quale le cellule mononucleate circondano le isole per poi passare, in una seconda fase, alla vera e propria infiltrazione linfocitaria nella parte più interna dell’isola pancreatica.

Al termine di tale fase, dopo che tutte le cellule β sono state distrutte, il processo infiammatorio si ferma ma le isole pancreatiche sono oramai atrofiche e non svolgono più la loro originaria funzione.

2.2 Complicanze del DMT1

Oltre alle complicanze più immediate della patologia, quali la diminuzione-assenza insulinica e la conseguente aumentata glicemia si hanno danni diretti ad organi diversi come:

 Retinopatia, che causa una diminuzione di flusso sanguigno ai vasi retinici che a lungo termine può determinare la perdita delle facoltà visive;

 Nefropatia e poliuria, determinata dalla necessità di eliminare il glucosio con le urine che, per l’appunto, sono dolci nel diabetico;  Malattie cardiovascolari, dalle 2 alle 4 volte più frequenti nell’

individuo con diabete;

 Neuropatia diabetica, danno al sistema nervoso periferico (SNP) tale da comportare apnee notturne, perdita di sensibilità alla periferia, formicolio, difficoltà nel camminare e nel mantenere una corretta posizione eretta;

 Piede diabetico, una diretta complicanza del danno al SNP poiché la perdita di sensibilità alle estremità implica una modalità scorretta di deambulazione, un posizionamento erroneo del piede il quale, a lungo termine, tende a lesionarsi. La tendenza ad una difficoltà nel rimarginarsi delle ferite, tipica del soggetto diabetico, induce poi la formazione di ulcere al piede che, se non guarite in tempo, portano alla necessità di amputazione. La condizione diabetica è infatti una delle principali cause di amputazione non traumatica del piede.

Quando parliamo di complicanze non è comunque da escludere la componente psicologica.

La patologia insorge in un’età emotivamente complessa e non è semplice spiegare ad un bambino o ad un adolescente la necessità della terapia né tanto meno è semplice per il genitore fare in modo che questa non venga disattesa.

Purtroppo, infatti, quando parliamo di terapia intendiamo procedure invasive consistenti in frequenti somministrazioni sottocutanee di insuline diverse, in base allo schema terapeutico seguito. A tali

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percorsi terapeutici spesso si accompagna l’ansia del genitore nei confronti dei gravi rischi derivanti dal protocollo o non attento rispetto della terapia che possono consistere in episodi di ipoglicemia, soprattutto notturna, e nel coma che ne consegue.

Questa è infatti la faccia oscura della medaglia propria della terapia insulinica sostitutiva: un’eccessiva concentrazione di insulina nell’organismo comporta un collasso della concentrazione del glucosio il quale è la fonte energetica primaria dell’organismo. La totale assenza di glucosio darà luogo al così detto coma ipoglicemico. Per tali motivi una cura più modulata rispetto alle esigenze dell’organismo continua ad essere un forte sprone per il settore della ricerca. (3)

2.3 Diabete mellito di tipo 2

(4)

Il DMT2 è una condizione non di deficit insulinico ma di

insulino-resistenza oltre che produzione insulinica insufficiente a soddisfare le

reali necessità dell’organismo.

Nell’insulino-resistenza non esiste un difetto nelle cellule β pancreatiche, che sono comunque in grado di produrre insulina, ma un difetto da parte dei recettori insulinici posti sulla membrana apicale cellulare i quali non riconoscono l’ormone. Questo fa’ in modo che l’azione dell’insulina nei tessuti periferici sia meno efficiente e che quindi per mantenere normali livelli di glucosio nel sangue siano necessarie elevate concentrazioni di insulina; concentrazioni così alte che le cellule β pancreatiche non riescono a produrre.

A volte poi si verifica una risposta compensatoria dell’organismo a questa particolare forma di deficit insulinico ovvero una risposta di iperinsulinemia la quale però non fa che peggiorare il quadro generale determinando una down regulation recettoriale ovvero una diminuzione dei recettori insulinici espressi sulle cellule attraverso un blocco della loro sintesi, una internalizzazione ed una demolizione.

Il risultato finale richiama il quadro clinico descritto in precedenza: aumento della glicemia, aumento dell’emoglobina glicata, polifagia, polidipsia, poliuria. Quello che cambia è chiaramente lo schema terapeutico da utilizzare dato che non sarà necessario somministrare insulina al paziente ma sarà sufficiente aumentare la sensibilità dei suoi recettori insulinici verso l’ormone.

Eziologicamente il DMT2 pare fortemente correlato con fattori genetici ereditari oltre che con condizioni ambientali e con stili di vita errati i quali comportano nel soggetto predisposto lo sviluppo della patologia.Tra questi sono annoverati la sedentarietà, la dieta

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scorretta, lo stress. Il tutto è inoltre strettamente correlato con l’invecchiamento dell’organismo che vede una progressiva diminuzione di funzionalità di alcuni organi tra i quali appunto il pancreas.

Sono da inserire nel fitto numero dei fattori di rischio per il DMT2 anche l’obesità, l’ipertensione, l’aumento del colesterolo LDL, le dislipidemie.

L’insorgenza tardiva e la possibilità di una terapia più affine alla

compliance del paziente portano a ritenere il DMT2 meno invalidante

rispetto al suo analogo sopra descritto sebbene le complicanze e la possibile evoluzione a DMT1, oltre ad un’incidenza maggiorata rispetto al DMT1, rendano questa patologia complessa e non facilmente trattabile. Sicuramente non ancora curabile.

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3.SCHEMI TERAPEUTICI

TRADIZIONALI NEL TRATTAMENTO

DEL DMT1

L’approccio primario nella terapia del DMT1 è la somministrazione di insulina dall’esterno.

Sappiamo che le caratteristiche dell’ormone rendono difficili e complesse le somministrazioni diverse da quella sottocutanea, poiché la forma orale tende a venir rapidamente inattivata: l’emivita è infatti 4-5 minuti rispetto alle 4 ore della forma sottocute.

È comunque evidente una rapidità d’azione maggiore della forma orale e studi recenti si stanno concentrando su formulazioni orali più stabili nel tempo delle quali si tratterà in seguito.

In ogni caso la via di somministrazione unicamente utilizzata, almeno in Italia, è quella sottocutanea.

La scelta della somministrazione sottocutanea implica che si verifichi deposito di farmaco che, lentamente nel tempo, tenderà a distribuirsi al circolo sanguigno attraversando il tessuto adiposo per diffusione passiva.

Le iniezioni possono venir praticate in ogni zona di tessuto sottocutaneo ma si preferiscono le zone dell’addome attorno all’ombelico, le natiche, la parte esterna di braccia e gambe.

Si deve porre attenzione nel non praticare l’insulina sempre nel solito punto poiché oltre allo sviluppo di arrossamento e dolore della zona si può verificare un eccessivo deposito di grasso in loco, una lipoipertrofia che è in grado di alterare l’assorbimento dell’insulina stessa.

Solitamente il diabetico, nel praticare le iniezioni, applica uno schema di rotazione attorno ad una zona ad esempio una rotazione attorno alla zona addominale o ombelicale. Inoltre a seconda della zona scelta per l’iniezione si avrà un più veloce o più lento assorbimento: ad esempio la scelta di zone vicino allo stomaco è fatta affinché questo sia più veloce mentre si tende ad optare per zone quali la parte esterna del braccio o della coscia quando è desiderato un assorbimento più lento.

3.1 Evoluzione storica della terapia insulinica

nel DMT1

Storicamente parlando, la prima insulina introdotta in commercio è quella estratta dal pancreas bovino nel 1922 da parte dei ricercatori

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Macleod e Banting per la cui scoperta sono stati insigniti del premio Nobel.

Successivamente, nel 1926, viene prodotta l'insulina detta solubile, o rapida, o regolare, cristallina per purificazione della forma amorfa tramite cristallizzazione con lo zinco. Questo tipo di insulina venne ad essere definita regolare poiché mostrava insorgenza d’azione in 30 minuti e doveva essere assunta necessariamente prima del pasto. In ogni caso il Toronto Insulin Committee valuta questa preparazione secondo l'Unità (U), cioè "un terzo della quantità che riduce la

glicemia di un coniglio del peso di 2 kg, a digiuno da 24 ore, dal valore normale di 118 mg/100 ml a 45 mg/100 ml, con crisi convulsiva (unità fisiologica) ". La formulazione aveva una durata di 6-8 ore ed era

formulata a pH acido per proteggerla dalla degradazione da parte degli enzimi pancreatici che la contaminavano, oltre che per solubilizzare le proteine costituenti l’estratto insulinico. Inoltre l’acidità della formulazione rendeva la puntura abbastanza dolorosa comportando forte bruciore.

La cura con insulina è comunque considerata per tutti gli anni venti, una cura eroica per il coma, ma di utilità temporanea. Addirittura "Le Monde Médical" del dicembre 1923 ammonisce che "Questo

medicamento nuovo può diventare pericoloso". (5)

Negli anni ’40 fu introdotta in commercio la NPH una insulina-protamina formulata a pH neutro che è ben presto diventata il punto di partenza per la sintesi di insuline dette intermedie relativamente alla loro media durata d’azione (12-14 ore). La svolta c’è stata però negli anni ’80 quando, grazie alle tecnologie DNA ricombinanti è stato possibile inserire il gene della proinsulina umana in ceppi di E.Coli non patogeni, riuscendo a sintetizzare in laboratorio un’insulina umana priva dell’immunogenicità che invece caratterizzava quelle di origine animale.

Fino a quando sono state utilizzate in terapia le insuline tradizionali ossia che presentano la stessa sequenza amminoacidica dell’insulina presente nel nostro organismo, c’è stata la necessità di somministrazioni giornaliere multiple. Purtroppo però il regime di somministrazione non porta ad una adesione del paziente alla terapia e spesso il consiglio di assumerle 20-30 minuti prima del pasto viene disatteso, con iniezioni ad intervalli di tempo dal pasto molto più ravvicinati. Inoltre queste insuline non sono sempre in grado di controllare l’ipoglicemia che si verifica a distanza di 4 ore dal pasto. Quindi il quadro d’azione delle insuline regolari non è sempre facilmente prevedibile.

Nel 1996 negli Stati Uniti venne immessa in commercio un’insulina modificata definita analogo a breve durata e chiamata Lispro, prodotta sulla base della dimostrazione clinica che la modifica di alcuni aminoacidi della catena insulinica permetteva di ottenere una

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molecola più affine biologicamente all’insulina umana ma con una velocità di assorbimento sottocutaneo maggiore. Da qui si iniziarono a produrre analoghi sia a breve che a lunga durata.

Gli analoghi a breve durata sono assorbiti più rapidamente poiché presenti come monomeri o dimeri ed hanno una durata d’azione più breve delle insuline tradizionali circa 4 ore. Inoltre hanno uno spettro d’azione più prevedibile, dato che mostrano meno variabilità farmacologica. Ovviamente, avendo una durata d’azione breve non riescono a garantire il controllo dell’iperglicemia postprandiale tardiva anche se a questo inconveniente è possibile riparare somministrando piccole dosi di insulina NPH prima del pasto così da aumentare l’insulina basale e quindi coprire con essa un arco temporale più lungo. Oltre all’insulina Lispro, altro analogo rapido molto utilizzato è l’insulina Aspart, introdotta in commercio subito dopo la suddetta e con insorgenza di azione leggermente più lenta. Dalla Lispro differisce per la sequenza amminoacidica e per il batterio a partire dal quale viene sintetizzata.

Gli analoghi a lunga durata d’azione come le insuline Glargine o quelle Deteminer, hanno una durata d’azione di ben 24 ore la prima e 12 la seconda.

Gli studi clinici che le comparano alla terapia con insulina NPH mostrano un controllo glicemico uguale se non maggiore da parte degli analoghi ed un rischio minore di ipoglicemia notturna. La loro caratteristica fondamentale è il non mostrare picchi d’azione, il profilo d’azione infatti mostra un effetto di controllo glicemico che cresce e decresce lentamente e progressivamente nel tempo. Anch’esse chiaramente mostrano lati negativi tra i quali il fatto di non riuscire sempre a garantire una copertura di effetto per tutte le 24 ore così da obbligare i pazienti ad una doppia somministrazione giornaliera. Una innovazione in questo campo, che permette di controllare meglio le problematiche della terapia del DMT1, è l’insulina Degludec. Questo tipo di insulina ha una emivita più lunga degli analoghi a lunga durata d’azione perché a differenza dell’insulina umana impiega più tempo a raggiungere il suo bersaglio d’azione. È un’insulina di nuova generazione ottenuta con l’aggiunta di acido esadecandiolo alla lisina in posizione B29 oltre che con soppressione dell’amminoacido tirosina in posizione B30. Essa solubilizza dal monomero unitario di partenza perdendo il fenolo di struttura e formando multi esameri solubili che fanno da deposito insulinico sottocutaneo attraverso un legame reversibile con le albumine di membrana; dai multi esameri dissociano lentamente nel tempo i monomeri di insulina Degludec che entreranno nel circolo sanguigno.

L’insulina Degludec mostra un profilo tempo-azione costante: con una singola somministrazione giornaliera l’esposizione dell’insulina Degludec rimane costante sia per le prime che per le seconde 12 ore;

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questo particolare profilo d’azione fa in modo che il tempo di infusione del glucosio rimanga costante nel tempo e che la variabilità glicemica sia minore rispetto agli analoghi a lunga durata. Infine la Degludec è senza dubbio l’insulina esogena con maggiore capacità di controllare ed evitare i crolli ipoglicemici a cui è suscettibile il paziente diabetico di tipo 1.

Oggi in commercio si hanno comunque varie e diverse tipologie di analoghi insulinici sia a breve che a lunga durata d’azione ma questo purtroppo ancora non permette un controllo totale della glicemia di tutti i pazienti affetti da DMT1 e questo essenzialmente perché la terapia deve rispecchiare le caratteristiche del singolo individuo, sempre diverso dagli altri sia per quanto concerne la sua fisiologia (insulino resistenza, fabbisogni insulinici, sensibilità all’insulina) che per quanto riguarda le sue scelte di vita e la presenza di altre patologie.

Inoltre la terapia deve sempre essere seguita con accortezza ed attenzione, impegni che difficilmente il paziente tende a seguire. Nella Figura 4 sono illustrati i profili di azione delle diverse insuline in commercio attualmente. (6)

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3.2 Terapie insuliniche praticate

Esistono essenzialmente due possibilità di scelta nella terapia insulinica, una terapia convenzionale ed una basal bolus.

La terapia insulinica detta convenzionale prevede 2 o 3 iniezioni il giorno.

Se si fanno 2 somministrazioni al giorno queste sono ripartite al mattino prima della colazione e la sera prima di cenare e sono costituite da insulina ad azione rapida, ovvero con una durata d’azione di 5-8 ore, miscelata con insulina intermedia, ovvero con durata d’azione di 10-16 ore.

Nella terapia da 3 iniezioni giornaliere si ha invece la somministrazione di insulina rapida con insulina intermedia prima di colazione, insulina rapida prima di cena e di nuovo intermedia prima di coricarsi.

Dopo l’avvento dell’insulina umana, dagli anni ’80 ad oggi quindi, la terapia convenzionale ha sempre più lasciato spazio a quella detta

basal bolus.

Lo schema terapeutico è suddiviso in una somministrazione basale di insulina lenta, ovvero che può raggiungere una durata d’azione fino a 48 ore nel caso di quella Degludec e fino a 24 ore nel caso dell’insulina Glargina, ed in una somministrazione, detta bolo, di insulina rapida.

La prima serve per controllare la glicemia notturna ed infatti si assume solitamente prima di coricarsi o dopo la colazione nel bambino molto piccolo. La seconda serve per controllare i picchi glicemici dopo i pasti ed infatti la si assume prima dei tre pasti principali. Questo schema terapeutico è giustificato dal fatto che l’analogo insulinico lento copre il 40-60% del fabbisogno giornaliero mentre quello rapido copre il 60-40% che rimane.

In generale comunque la scelta dello schema terapeutico da seguire deve tenere conto dell’età del paziente dato che il fabbisogno insulinico del bambino è minore rispetto a quello dell’adolescente che è ancora differente da quello dell’adulto. Deve basarsi sull’analisi dei picchi iperglicemici postprandiali; deve garantire l’assenza di ipoglicemie e deve evitare l’eccessivo aumento di peso corporeo, conseguenza dell’azione anabolizzante dell’ormone secondaria ad un dosaggio superiore alle esigenze del paziente. (7)

Analizzando le reali necessità terapeutiche del paziente diabetico di tipo 1, risulta evidente che sarebbe ottimale l’assunzione di una dose insulinica singola con profilo d’azione lento, costante e garantito durante tutte le 24 ore così come sembra essere in grado di fare l’insulina Degludec.

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In realtà una terapia che prevede un costante rilascio nel tempo di insulina per quanto ipoteticamente efficiente, comporta malessere e paura da parte del paziente per il rischio di incorrere in ipoglicemia. È noto che quando la concentrazione di glucosio nel sangue scende al di sotto di 70 mg/dl si attivano ormoni controregolatori i quali inducono la classica sintomatologia ipoglicemica: tremori con palpitazioni e sudorazione, indotti dall’attivazione del sistema nervoso parasimpatico, passando per irritabilità, alterazioni della vista arrivando poi, se l’ipoglicemia si protrae troppo lungamente nel tempo al coma ipoglicemico.

Nel paziente diabetico di tipo 1 capita spesso che questi ormoni non si attivino neanche a concentrazioni più basse di glucosio per il semplice motivo che il diabetico è un individuo la cui glicemia è fortemente controllata nel tempo e mantenuta a livelli costantemente bassi, di circa 50 mg/dl. In questa condizione patologica quindi lo stato ipoglicemico non è riscontrato dal paziente in quanto è mancante l’attivazione degli ormoni controregolatori. Si verifica uno stato ipoglicemico caratteristico denominato hypoglycemia unawareness, ovvero un’ipoglicemia asintomatica, incosciente, che

(18)

4.

INSULINA

INALATORIA,

UNA

PRIMA ALTERNATIVA ALL’INIEZIONE

Nel tentativo di proporre qualcosa di diverso rispetto alla frequente somministrazione sottocutanea di insulina in modo da rendere così più agevole l’assunzione del farmaco da parte del paziente, dopo dieci anni di sperimentazione, nel 2003, vede la luce negli Stati Uniti la prima formulazione di insulina somministrabile per via inalatoria. Dall’introduzione in terapia dell’insulina, nel 1923, si devono aspettare ben ottant’anni prima che venga ricercata, tentata ed approvata una via di somministrazione diversa da quella della iniezione sottocutanea.

L’assenza della ricerca di una via alternativa è senza dubbio giustificata dal fatto che, come sappiamo, la molecola insulinica malgrado le sue piccole dimensioni (peso molecolare pari a 5700 Da), non è in grado di superare la barriera della mucosa orale o nasale e, d’altro canto, l’aggiunta di composti capaci di aumentare la permeabilità delle mucose ne danneggia l’integrità. Inoltre, se somministrata per via orale è soggetta all’azione degli enzimi digestivi con conseguente perdita della sua attività biologica.

Nonostante queste caratteristiche chimico-fisiche della molecola, la scelta della via polmonare ha comunque mostrato profili farmacocinetici e farmacodinamici più che positivi ed ottimistici. Infatti, la superficie alveolare a livello della quale avviene l’assorbimento è assai vasta, da 75 a 100 m2, ed è dotata di una

permeabilità relativamente elevata anche nei confronti di proteine di basso peso molecolare. Inoltre, il tessuto alveolare, proprio perché fisiologicamente deputato alla funzione respiratoria e agli scambi gassosi che questa comporta, è dotato di una ricchissima vascolarizzazione che consente un facile ingresso nel circolo sanguigno, oltre ad essere estremamente sottile. I primi tentativi di utilizzazione della via inalatoria risalgono addirittura al 1925 ad opera di un ricercatore tedesco (Gausslen) che, con un nebulizzatore, riuscì a ottenere una riduzione della glicemia in cinque pazienti diabetici, senza però poter estendere questa esperienza per la non riproducibilità dei risultati e la difficoltà di impiego del nebulizzatore.

È poi dagli anni ’70 che si è recuperato interesse per questa via di somministrazione, anche se soltanto recentemente sono state superate le difficoltà tecniche che finora ne hanno impedito una

(19)

utilizzazione su vasta scala. In particolare, è stato necessario mettere a punto nuove formulazioni di insulina e perfezionare la tecnologia dell’inalatore. Affinché qualsiasi sostanza somministrata per aerosol sia convogliata in profondità nelle vie respiratorie, fino agli alveoli, è necessario che le dimensioni delle particelle siano comprese fra 1 e 5µm ed il diametro aerodinamico (rapporto tra diametro e radice quadrata della densità di una particella) sia minore di 10µm. Particelle di diametro superiore a 5µm e con diametro aerodinamico di circa 200µm, rimangono confinate a livello delle vie aeree superiori o nell’orofaringe senza raggiungere gli alveoli. Le particelle troppo piccole possono essere perdute durante l’espirazione e possono distribuirsi in maniera indipendente dal flusso del respiro così da non riuscire a raggiungere, allo stesso modo di quelle più grandi, la parte più profonda dell’apparato respiratorio. (8-9)

L’insulina può essere somministrata in forma liquida o in polvere. La maggior parte dei sistemi attualmente in fase di sviluppo utilizza insulina in polvere, questo perché le formulazioni solide hanno il vantaggio di essere più stabili, non danno adito a crescita microbica anche senza aggiunta di antimicrobici, come invece è d’obbligo per le preparazioni liquide le quali, tra l’altro, permettono l’erogazione di

una dose minore di prodotto.

4.1 EXUBERA

Primo medicinale con queste caratteristiche che è stato introdotto in commercio negli USA, prodotto dalla multinazionale Pfizer, è Exubera.

Già dal nome che deriva dal termine “exuberant”, si evince quanto le aspettative riposte dall’azienda nel prodotto fossero elevate e quanto non fosse da loro concepita la possibilità di un flop. Gli eventi successivi all’introduzione in commercio ci hanno raccontato però

una storia ben diversa.

L’insulina contenuta in Exubera si presenta come polvere bianca per inalazione in blister monodose da 1mg o da 3mg. Tale insulina è ottenuta con le tecniche del DNA ricombinante dalla specie non patogena di Escherichia Coli K12 ed è un’insulina definita “mealtime”, ovvero a rapida azione, da assumere prima del pasto. È quindi un’insulina che può essere assunta sia dagli affetti da DMT2, che dai diabetici di tipo 1 in aggiunta alla dose singola assunta giornalmente

di insulina ad azione prolungata od intermedia. I blister da 1 e 3 mg corrispondono rispettivamente, sul piano

dell’attività biologica, a 3 e 8 UI di insulina somministrate per via sottocutanea. Nel blister, oltre all’insulina, sono presenti una quantità di eccipienti, tra cui agenti di sostegno come il mannitolo, agenti che

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aumentano la stabilità della preparazione durante le fasi di stoccaggio come il sodio citrato o il sodio idrossido, lubrificanti idrosolubili come la glicina.

La dose giornaliera raccomandata è calcolata in base al peso corporeo e deve essere distribuita in tre assunzioni 10 minuti prima dei pasti e non 30 come usuale. Infatti la somministrazione per via inalatoria produce un’insorgenza d’azione più rapida di quella ottenuta con la somministrazione sottocutanea, anche quando sono impiegate insuline rapide. C’è inoltre da porre particolare attenzione al modo con cui si deve assumere il prodotto: è necessario infatti inalare la polvere dal boccaglio mediante una lenta e costante inspirazione seguita da 5 secondi in cui viene trattenuto il respiro per terminare con una normale espirazione. Questo per garantire un

deposito del farmaco ottimale e costante.

Chiaramente al fine di garantire il massimo assorbimento e la massima distribuzione del prodotto a livello alveolare, la ricerca tecnologica si è concentrata nel tentare di produrre un inalatore perfetto ovvero in grado di ridurre al massimo la perdita di insulina nel dispositivo come nell’ambiente, di ottimizzare la riproducibilità della dose somministrata e di facilitare l’uso del dispositivo di somministrazione. Il principio essenziale su cui si fonda il funzionamento dell’inalatore è quello della separazione del momento della erogazione della dose di insulina da quello della sua inspirazione. A differenza dei comuni spray inalatori (come gli antiasmatici) la dose di insulina è prima liberata in un compartimento chiuso (camera) che è parte integrante dell’inalatore e solo successivamente inspirata profondamente dal paziente. L’inalatore impiegato è non elettronico e privo di batteria, per liberare l’insulina in forma nebulizzata è necessario premere una leva che genera aria compressa. La nube di insulina che viene liberata entro la camera è visibile, poiché essa è trasparente. Dal momento in cui il paziente vede l’insulina nebulizzata può procedere all’inspirazione. La diffusione dell’insulina in forma di aerosol nella camera prima dell’inspirazione non agevola solo il paziente ma ha anche lo scopo di evitare che le particelle di insulina procedano ad alta velocità scontrandosi con le pareti della gola e delle vie aeree superiori; la riduzione della velocità permette quindi alle particelle di procedere insieme al flusso dell’aria per raggiungere gli alveoli.

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4.1a. Farmacocinetica e farmacodinamica

Le particelle di insulina intrappolate negli alveoli, vengono captate con un meccanismo di transcitosi, dalle cellule epiteliali alveolari all’interno di vescicole che poi trapassano nelle cellule endoteliali dei vasi capillari. Da qui le molecole di insulina vengono liberate nella

corrente sanguigna.

Grazie alla ricca vascolarizzazione del polmone, l’insulina inalata è

quindi rapidamente assorbita in circolo. L’assorbimento dell’insulina inalata è paragonabile a quello degli

analoghi rapidi, insulina Lispro o Aspart, ma è nettamente maggiore rispetto ad un’insulina rapida regolare. Come evidenziato nella Figura 5, il tempo necessario per raggiungere la massima attività ipoglicemizzante dopo una inalazione è simile a quello di una iniezione sottocutanea di un analogo rapido ma è esattamente la metà di quello rilevato con l’insulina umana ad azione rapida somministrata sottocute. La biodisponibilità (AUC) relativa di Exubera è circa il 10% di quella dell’insulina rapida regolare somministrata sottocute, intendendo per biodisponibilità relativa il rapporto tra AUC della formulazione inalatoria e quello della somministrazione sottocutanea moltiplicato per 100. Inoltre la biodisponibilità di Exubera non è influenzata dall’ Indice di Massa Corporea dell’individuo. Per quanto concerne la distribuzione, dopo l’inalazione, ben il 40% di insulina raggiunge i polmoni mentre un 30% rimane entro al blister ed un altro 30% rimane confinato a livello delle vie aeree superiori.

FIGURA 5: profilo dell’attività ipoglicemizzante di EXUBERA a confronto con la somministrazione sottocutanea dell’analogo rapido Lispro e dell’insulina regolare umana sempre assunta sottocute. Con la sigla GIR nelle ordinate si intende il valore medio del tasso di infusione del glucosio per ogni soggetto in trattamento rispetto al tempo rilevato nei volontari sani.

Poiché il blister da 3mg di Exubera corrisponde ad 8 U di insulina, i 6mg riportati nel grafico corrispondono a 16 U di insulina.

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Analizzando le proprietà farmacodinamiche, l’insulina umana assunta

per inalazione, così come gli analoghi rapidi, possiede un’insorgenza d’azione più veloce: l’attività ipoglicemizzante si riscontra dopo 10-20 minuti, il picco massimo si ha dopo circa 2 ore e la durata d’azione dell’insulina inalata è tuttavia più lunga di quella degli analoghi rapidi somministrati sottocute (4-6 ore contro 3-5 ore), ma più breve di quella dell’insulina umana regolare iniettata sottocute (circa 8 ore).

(Figura 6)

La breve durata di azione dell’insulina inalata la rende quindi particolarmente appropriata per il controllo della glicemia postprandiale ma, in soggetti totalmente insulino-privi come i diabetici di tipo 1 o i diabetici di tipo 2 in fase avanzata, è necessario associare alla terapia insulinica inalatoria dei pasti, la somministrazione di una iniezione di insulina ad azione ritardata per coprire il periodo notturno

e le fasi interprandiali.

Nel diabete di tipo 2 l’insulina inalata è stata usata con successo anche in associazione con gli ipoglicemizzanti orali per il controllo della iperglicemia postprandiale. In questi pazienti la riduzione di emoglobina glicata era maggiore se la terapia includeva l’uso di Exubera.

Alcuni studi sono stati dedicati a rilevare il livello di accettabilità e di soddisfazione registrato nei diabetici sia di tipo 1 sia di tipo 2 con l’insulina polmonare rispetto a quella sottocutanea e i risultati depongono concordemente a favore della prima. (10)

FIGURA 6: confronto tra la concentrazione insulinica dopo somministrazione di Exubera e dopo somministrazione sottocutanea di insulina umana a rapida azione.

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4.1b Sicurezza

Accanto ai vantaggi dell’uso del farmaco, non possono certo mancare gli aspetti negativi di una terapia di questo livello. Primo tra tutti il fatto che vari studi clinici hanno dimostrato come non sia possibile l’uso di Exubera da parte di fumatori o ex fumatori. Il fumo modifica il meccanismo di assorbimento dell’insulina dall’albero respiratorio, perché induce un sensibile aumento della permeabilità della barriera alveolo-capillare. Ne deriva che l’esposizione dei fumatori all’insulina inalata è da 2 a 3 volte superiore rispetto ai non fumatori. Inoltre, l’interruzione del fumo anche per sole 24-48 ore riduce sensibilmente la velocità di assorbimento con le conseguenze che ne possono derivare. Inoltre l’uso di Exubera è sconsigliato a soggetti asmatici o pazienti affetti da broncopnuemopatia cronica-ostruttiva (BPCO), dato che in questi pazienti la permeabilità alveolare risulta essere significativamente diminuita; oltre che ad anziani e ragazzi con meno di 18 anni.

Diventa quindi abbastanza palese una possibilità di utilizzo fin troppo

selettiva ed un mercato di vendita un po’ troppo ristretto. Oltre a questo aspetto, altro punto a sfavore di Exubera sta nel fatto

che la dose di polvere da somministrare, per avere una pari efficacia, è da 8 a 10 volte superiore a quella somministrata per via sottocutanea, essendo la biodisponibilità del prodotto pari al 10% dell’insulina iniettata sottocute. La domanda che ci si pone è quindi se una quantità così elevata di polvere non risulti a lungo andare dannosa per i polmoni. La risposta è in parte data dal fatto che, dal momento che solo il 40% del totale di polvere raggiunge le vie aeree inferiori, tale dose rimane comunque inferiore al limite di tolleranza dei polmoni per l’inalazione di polveri insolubili (30 mg al giorno). Studi a breve termine non hanno dimostrato modificazioni sostanziali della funzione polmonare e solo in alcuni studi sono state osservate modeste modificazioni della funzione polmonare, peraltro non progressive e reversibili con la sospensione del trattamento. Un effetto collaterale, osservato in una esigua percentuale di casi, è la tosse, lieve o moderata, ma con una tendenza alla progressiva diminuzione.

Una preoccupazione suscitata dalla somministrazione polmonare riguarda la sicurezza sul piano immunologico. Si è temuto che l’esposizione ripetuta di un’ampia superficie broncoalveolare a dosi elevate di insulina potesse stimolare le difese polmonari e indurre una reazione immunologica che a lungo andare avrebbe potuto dare adito ad un danno polmonare con conseguente iperproliferazione cellulare e neoplasia. (11)

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4.1c. I motivi del fallimento applicativo

Di fatto Exubera, nonostante l’enorme fiducia riposta nel prodotto da parte della Pfizer, è risultato uno dei più grandi fallimenti dell’azienda: la perdita ammonta a ben 2,8 milioni di dollari. La domanda che ci poniamo è il motivo per il quale il flop è stato così ingente. Stando a quanto affermato in una cha,t poi pubblicata dalla rivista DiabetesMine, dal milionario fondatore del Centro Biomedico dell’Università della California del Sud, Alfred Mann, sono stati diversi gli sbagli commessi nella produzione di Exubera. “L’errore più grosso

della Pfizer è senza dubbio il non essersi messa dalla parte del paziente” o meglio, si è cercato di rendere più facile ed immediata

l’assunzione di insulina agevolando il soggetto ma fornendo uno strumento “difficile da utilizzare, scomodo da trasportare, grande e

esteticamente simile al bang con cui si fuma la marijuana”, cosa che

ne escludeva il possibile utilizzo in pubblico per vergogna, certo, più che per una mancanza di efficacia. Affermazioni sempre riportate sulla rivista Diabetes Mine in un articolo pubblicato dalla giornalista Amy Tenderich.

Altra difficoltà incontrata dall’utilizzatore era nel comparare la dose da assumere sotto forma di polvere con quella fino a prima utilizzata per la somministrazione sottocutanea di insulina. Inoltre, una volta superata tale difficoltà, c’era sempre il rischio di sbagliare la dose assunta poiché i due blister forniti, da 1mg e da 3 mg, erano molto simili tra loro: unica differenza il colore della stampa che era verde per il blister da 1mg e blu per quello da 3mg e la presenza di un pallino in rilievo sull’estremità del primo e di tre pallini nel secondo. Infine Exubera era economicamente meno conveniente per i pazienti dal momento che i blister dovevano essere cambiati ogni due settimane, l’inalatore una volta l’anno, per una spesa complessiva stimata di 5 dollari al giorno rispetto ai 2,3 dollari che veniva a costare giornalmente la terapia con insulina iniettata sottocute. (12)

Tutti questi aspetti sono quelli che hanno portato i medici a non prescrivere il farmaco, i pazienti a non utilizzarlo e la Pfizer ad essere obbligata a togliere il prodotto dal commercio dopo solo 21 mesi dalla sua introduzione.

In realtà una questione molto più importante aveva comportato un netto declino nella dispensazione del prodotto: la prima volte che era stato presentato il prodotto all’ FDA, in etichetta non era stata riportata la possibile correlazione tra l’uso del farmaco e l’insorgenza di tumore polmonare e questo perché negli studi clinici effettuati l’aumento dell’incidenza di neoplasia polmonare si era attestata allo 0,13% nei pazienti trattati con Exubera rispetto ad un aumento di incidenza dello

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0,03% nei pazienti del gruppo di controllo. I dati ed i valori raccolti non erano quindi stati definiti come rilevanti e si era esclusa la possibile correlazione causale cancro/Exubera.

Nel 2008 però l’FDA richiese una modifica nell’etichettatura del prodotto, laddove doveva essere quanto meno citato lo studio con i suoi risultati.

La Pfizer quindi propose nel 2008 un secondo trial clinico della durata di tre anni con lo scopo di determinare se effettivamente potesse esistere correlazione tra sviluppo tumorale ed uso del farmaco e se l’utilizzo di Exubera potesse in qualche modo favorire lo sviluppo di neoplasia nei pazienti che erano stati fumatori prima di usare il farmaco. La conclusione dello studio vide 8 casi di morte per tumore al polmone di cui 6 utilizzatori di Exubera e tutti e 8 definiti come a rischio anche elevato di sviluppare tumore ai polmoni. Inoltre 19 partecipanti (compresi i casi di morte) svilupparono a lungo termine tumore polmonare, di questi 15 avevano utilizzato Exubera e 12 erano stati definiti come a rischio medio o alto di sviluppare neoplasia, 2 non erano a rischio e di 1 non era stato possibile definire l'entità del rischio. Inoltre i casi di sviluppo di neoplasia al polmone erano risultati maggiori nei soggetti ex fumatori che avevano utilizzato il farmaco secondo un rapporto di 5 a 2. Nella Tabella 2 sono riportati schematicamente i risultati dello studio appena descritto. (13)

Nonostante i risultati ottenuti non permettessero di attestare una reale correlazione tra tumore ed utilizzo del farmaco, il quadro finale ottenuto non cadeva di certo a favore del prodotto della Pfizer e forse anche questo rientra tra i motivi dell’avversione e della reticenza di

TABELLA 2: Riassunto dei dati finali dello studio per evidenziale l’associazione tra cancro polmonare ed utilizzo di Exubera.

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medici e pazienti nell’utilizzare Exubera. Il prodotto venne così velocemente eliminato dal commercio attestando una perdita di milioni di dollari da parte di una delle più facoltose aziende farmaceutiche del ventunesimo secolo.

4.2 AFREZZA: la rinascita

dell’insulina inalatoria

Dopo il fallimento di Exubera, dal momento che la somministrazione polmonare di insulina continuava a mostrarsi una delle alternative più valide alle tradizionali iniezioni, gli studi su tale forma alternativa di somministrazione sono continuati.

La MannKind, azienda farmaceutica di notevole fama, convinta di non poter abbandonare la via della somministrazione polmonare di insulina, presenta un nuovo progetto ed un nuovo farmaco: Afrezza. Il prodotto purtroppo viene rifiutato ben due volte dall’FDA: nel 2011 ritenendo insufficiente la documentazione presentata e nel 2013 con la motivazione che le analisi cliniche presentate erano manchevoli di dati e gli studi effettuati per troppo breve tempo. Finalmente il 27 Giugno 2014, l’FDA approva definitivamente Afrezza.

Afrezza è il frutto dell’associazione tra una nuova forma di insulina chiamata TI, Technosphere Insuline, ed un nuovo device (dispositivo) piccolo, comodo e semplice da usare. Il dispositivo è risultato estremamente innovativo anche perché realizzato dalla maggiore azienda per la produzione di medical device retinici e pacemakers. L’azienda ha realizzato un inalatore, Gen2, dalle dimensioni di un piccolo fischietto, con cartucce di colori differenti a seconda delle unità di insulina contenute: la cartuccia da 4 unità è colorata di blu, quella da 8 unità è verde e quella da 12 unità è gialla. In questo modo il paziente è meno indotto in errore e tra l’altro i dosaggi ricalcano quelli dell’insulina somministrata sottocute.

L’inalatore è illustrato nella Figura 7, mostra una parte superiore apribile nella quale caricare la cartuccia disponendola con la parte bianca contenente la dose rivolta verso il basso. Quando l’inalatore viene aperto il boccaglio si posiziona verticalmente, una volta caricata la cartuccia e chiuso l’inalatore, esso viene disposto orizzontalmente prima ed in obliquo poi, dopo aver serrato le labbra attorno al boccaglio che sarà stato precedentemente privato del tappo che lo copre. È necessario fare una prima esalazione per poi inserire in bocca l’inalatore. Successivamente, con l’inalatore tra le labbra in posizione obliqua, si inizia a respirare profondamente mantenendo il respiro per il maggior tempo possibile. Alla fine si procede con un’ultima espirazione, tornando poi a respirare normalmente. Per non confondere una cartuccia usata con una nuova, la parte circolare

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bianca contente la polvere nella cartuccia si sposta in posizione centrale una volta che la cartuccia è stata utilizzata. Infine le cartucce vanno conservate in frigo trai 2 e gli 8 gradi, cosa che invece non è necessario fare con l’inalatore. Prima di utilizzare il dispositivo, la cartuccia deve essere mantenuta 10 minuti a temperatura ambiente. È necessario sostituire l’inalatore con uno nuovo dopo 15 giorni di utilizzo per garantirne sempre la massima funzionalità ma nel pacchetto che viene acquistato dal paziente c’è già una dotazione di inalatori di scorta così da non vincolare il soggetto al costante acquisto di materiale. (14)

L’insulina somministrata è sempre un’insulina rapida, da assumere prima del pasto ed ottenuta con l’ingegneria del DNA ricombinante utilizzando ceppi non patogeni di Escherichia Coli. La polvere da somministrare è poi ottenuta attraverso processo di liofilizzazione.

4.2a. Technosphere Insuline e FDKP

L’innovazione sta tutta nella tecnologia Technosphere utilizzata che permette di trasportare l’insulina a livello polmonare attraverso l’impiego di un nuovo, innovativo eccipiente, la fumaril dichetopiperazina

(bis-3,6-(4-fumarilaminobutil)-2,5-dichetopiperaziona) o FDKP. Tale eccipiente è costituito da particelle

con diametro dai 2 ai 2,5 micron, misura che rientra pienamente nel diametro delle particelle normalmente inalate. Entro le sue particelle è fatta aderire e microincapsulata l’insulina a rapida azione che si adsorbe facilmente alle particelle di eccipiente in merito alla loro elevata porosità ed area superficiale. La Technosphere Insuline, ottenuta in questo modo, si dissolve al pH neutro del polmone ed attraversa la mucosa della membrana alveolare così da raggiungere rapidamente il circolo sanguigno. Vari studi hanno dimostrato che

FIGURA 7: schema rappresentativo le caratteristiche del dispositivo Gen2 per inalare insulina con Afrezza.

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l’insulina contenuta in Afrezza mostra un picco d’azione nell’arco di 53 minuti ed una durata d’azione di 160-180 minuti. Più del 39% della dose inalata raggiunge i polmoni mentre più del 7% è ingerita per poi essere escreta immodificata nelle feci, con una biodisponibilità che va dal 21% al 30%. L’emivita è di circa 12-15 minuti ed il tempo necessario per raggiungere la concentrazione massima di farmaco

nella circolazione sistemica è di massimo 39 minuti. Dal momento che l’innovazione di Afrezza, al di là del design

innovativo dell’inalatore, sta soprattutto nell’eccipiente scelto è lecito domandarsi se questo non sia dannoso per l’organismo e con quale metodiche esso riesca a rendere così biodisponibile la polvere di insulina inalata. La MannKind ha condotto diversi studi per dimostrare ed analizzare quale fosse il profilo farmacodinamico e farmacocinetico della fumaril dichetopiperazina per concludere che il veloce assorbimento dell’insulina è frutto di una dissoluzione estremamente rapida delle microparticelle di FDKP inglobanti insulina, piuttosto che di un’ipotetica attività farmacologica dell’eccipiente.

L’indagine sulla farmacocinetica dell’eccipiente è stata fatta essenzialmente in tre studi: i) uno condotto su soggetti sani, non diabetici ai quali è stato somministrato solo FDKP per via orale ed endovenosa; ii) uno condotto su soggetti diabetici sia nefropatici che non, ed un terzo iii) condotto su soggetti diabetici sia mostranti insufficienza epatica che con normali funzionalità del fegato.

In tutti e tre gli studi è stata somministrata della fumaril dichetopiperazina marcata con 14 C. Sono state poi analizzate le feci,

le urine, il sangue ed il respiro esalato seguendo tempistiche predefinite ed uguali per tutti e tre i gruppi. Inoltre è stato posto il divieto di assumere altri farmaci, paracetamolo escluso, o erbe medicinali e non, durante il corso dello studio e a partire da 14 giorni

prima dell’inizio di quest’ ultimo. Nello studio i) i soggetti sani arruolati avevano tra i 18 ed i 60 anni.

Sono state eseguite quattro visite cliniche, la prima per valutare i parametri basali, nella seconda veniva somministrato FDKP per via venosa (4mg/min) per 5 min e nella terza, a distanza di due settimane dalla seconda visita, venivano somministrati 100 ml di FDKP per via orale (0,2 mg/ml). Il quantitativo finale di eccipiente somministrato corrispondeva quindi a 20 mg, la dose presente in 60 unità di Insulina Technosphere, dose di TI da assumere per ottenere gli effetti clinici desiderati. Le stesse dosi sono state somministrate negli altri due studi con circa le stesse metodiche. L’analisi di feci, urine sangue e respiro hanno permesso di definire che l’FDKP non subisce nessun tipo di metabolismo e che dopo la dose venosa viene escreto per un 90% immodificato nelle urine mentre dopo la somministrazione orale

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la radioattività è concentrata nelle feci. Gli studi condotti su persone nefropatiche hanno portato a concludere che chi mostra insufficienza renale cronica di moderata entità impiega più tempo per eliminare il prodotto e più tempo per raggiungere la concentrazione massima nel sangue (Figura 8). Questo fa ipotizzare un rischio di accumulo di fenilpiperazina a fronte di lunghe esposizioni a quest’ultima. Infine gli studi condotti su coloro che mostravano insufficienza epatica hanno portato risultati similari a quelli ottenuti con lo studio ii) poiché si è valutata una maggiore esposizione all’FDKP. Tale risultato, molto probabilmente, è il risultato della classica associazione che si verifica frequentemente di danno epatico e insufficienza renale coesistenti: il danno epatico dà luogo ad una minore escrezione renale di qualunque prodotto endogeno o esogeno che sia. In ogni caso tutti gli studi condotti hanno permesso alla MannKind di affermare che i valori non positivi erano fin troppo bassi per poterli considerare come clinicamente rilevanti e che quindi la fumaril piperazina è ben tollerata dai pazienti. (15-16)

4.2b. Studi clinici

Dal 2010 la MannKInd si è concentrata nel fornire studi clinici che definissero l’efficacia del prodotto proposto, prima utilizzando come inalatore il primo prototipo MadTonee successivamente con il più innovativo Gen2, conosciuto anche come Dreamboat Device. Dopo che l’FDA aveva richiesto studi ulteriori sull’efficacia e sulla sicurezza del secondo modello di inalatore, la MannKind ha portato avanti ben due studi clinici dal nome di Affinity1 e Affinity2. Nel primo studio, durato 24 settimane sono state comparate l’efficacia della terapia con Technosphere Insuline assunta attraverso l’inalatore Gen2 e quella della terapia con un analogo rapido dell’insulina umana somministrato sottucute. I soggetti selezionati erano diabetici di tipo 1 con valori di emoglobina glicata tra 7,5% e 10% e non fumatori. Il primo valore analizzato ovvero la riduzione di HbA1c però si dimostra

FIGURA 8: concentrazione FDKP escreto con le urine in pazienti diabetici (linea blu); in pazienti diabetici con moderata INR (linea rossa), diabetici con grave INR (linea gialla).

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maggiore nei soggetti trattati con l’analogo rapido piuttosto che con la TI con punti percentuali di differenza troppo basi per essere intesi come valori significativi. Nello studio Affinity 2 furono arruolati pazienti diabetici di tipo 2 con gli stessi valori di HbA1c suddetti per poi suddividerli random in due gruppi: uno a cui somministrare Insulina Technosphere ed uno a cui veniva somministrato del placebo Technosphere. Entrambi i gruppi utilizzavano l’inalatore Gen 2. Alla fine della ventiquattresima settimana di trattamento il gruppo che aveva assunto insulina per via inalatoria aveva mostrato una riduzione significativamente maggiore di HbA1c raggiungendo il livello desiderato del 7% e meno, rispetto al gruppo trattato con placebo.

Successivamente, con lo studio 102, è stata confrontata l’efficacia di Afrezza associata ad un’insulina basale a lunga durata d’azione con quella di una doppia assunzione giornaliera di insulina mista (analogo a breve durata combinato con insulina regolare a durata intermedia): alla fine delle 52 settimane di studio sono stati rilevati valori simili se non uguali per riduzione di emoglobina glicata e concentrazione di glucosio nel sangue tra i due gruppi in analisi. (17)

La sola efficacia nel controllare i profili glicemici non è sufficiente per garantire l’immediata immissione in commercio di Afrezza, poiché il profilo di sicurezza del prodotto non è tuttora garantito dato che gli effetti di una qualsiasi assunzione farmacologica a lungo termine attraverso la via polmonare sono ignoti. La domanda fondamentale è se non ci sia un aumento del rischio di ipertrofia polmonare se non di sviluppare neoplasie a livello polmonare.

Studi clinici proposti dal gruppo gestito da Alfred Mann hanno dimostrato che a distanza di due anni dall’inizio della terapia con Afrezza, pazienti diabetici sia di tipo 1 che di tipo 2 non hanno mostrato nessun peggioramento nella funzionalità polmonare. (18-19)

Lo studio è stato condotto su soggetti tra i 18 e gli 80 anni, non fumatori da almeno 6 mesi e con capacità polmonare maggiore o uguale all’80%. È stata anche arruolata una coorte di pazienti non diabetici con la quale paragonare i cambiamenti nella funzione polmonare. La TI è stata somministrata prima dei pasti principali con dosaggio dipendente dalla glicemia o con dosi che ricalcavano quelle assunte fino ad allora attraverso l’iniezione di insulina. L’obiettivo primario dello studio era valutare possibili alterazioni nella FEV, volume espirato forzato in 1 secondo, a 24 mesi. Alla fine dello studio sono state evidenziate delle diminuzioni lievi della FEV, più basse per i soggetti non diabetici ma con punti percentuali di differenza tali da non considerare rilevante la differenza: i livelli di riduzione erano attorno a 0,034 litri. Inoltre, alla fine dei 24 mesi, l’emoglobina glicata

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ha mostrato una riduzione dal valore basale paragonabile tra i gruppi di trattamento e similare a quanto si verifica con il trattamento sottocutaneo. La conclusione dello studio è quindi che non solo la funzione polmonare mostra variazioni che non possono essere considerate rilevanti, dal momento che non vanno incontro a progressione e non comportano alterazioni strutturali permanenti dei polmoni, ma anche che a distanza di 2 anni il controllo glicemico attuato con la TI è mantenuto comparabile a quello ottenuto con altre metodiche terapeutiche.

4.2c. Effetti avversi e sicurezza

Un affetto avverso che ricorre molto frequentemente con l’impiego del

farmaco è la tosse, una tosse non produttiva, di lieve intensità che si associa all’atto dell’inalazione del prodotto, dopo circa 10 minuti e con un singolo evento o con eventi intermittenti. È comunque una condizione che tende a risolversi spontaneamente e che per questo è intesa come un inconveniente, un effetto collaterale e non come un vero e proprio effetto avverso.

Rimane ancora aperto il quesito se l’utilizzo continuativo di un farmaco per via inalatoria possa dare, a lungo termine, cancro ai polmoni: l’FDA afferma che per poter valutare tale possibilità sarebbe necessario uno studio randomizzato con almeno 60.000 soggetti seguiti per un lungo periodo di tempo, studio che al momento la MannKInd Corp. non è in grado di portare a termine. È comunque la stessa FDA ad affermare nel report inerente al prodotto che a paragone con il precedente Exubera, la sicurezza polmonare può definirsi garantita data la totale mancanza di effetti avversi polmonari a lungo termine. Lo sviluppo di cancro polmonare è riscontrato in soli

2 pazienti, rispetto ai 18 casi evidenziati con l’utilizzo di Exubera. (20)

Comunque la mancata possibilità di concludere studi ancor più a lungo termine impedisce di affermare la totale sicurezza del prodotto da questo punto di vista.

4.2d. Exubera e Afrezza a confronto

In un’intervista ad Alfred Mann riportata sul Journal of Diabets (21), egli

parlando di Afrezza lo definisce come un prodotto completamente differente dal precedente Exubera: Afrezza è il risultato di studi approfonditi ottenuti raccogliendo dati non solo su efficacia e sicurezza ma anche analizzando feedback ed input mandati dai pazienti, pazienti sui quali la Pfizer a detta del Signor Mann, non si era affatto preoccupata di investigare. Frutto di queste indagini è un dispositivo più semplice da usare, facile da portare con sé, immediato

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nell’uso. Inoltre l’azienda produttrice ha pensato di aggiungere alla confezione del prodotto un DVD con istruzioni audio visive oltre che di fornire tutti i medici di un test device che dà la possibilità ai pazienti di capire come usare il nuovo inalatore e come dosare l’insulina già nello studio del proprio medico, così da facilitare e semplificare l’approccio paziente-farmaco.

Importanti sono anche tutti i risultati clinici descritti oltre che la riscontrata maggiore sicurezza polmonare del prodotto e la meno

frequente probabilità di incorrere in crisi ipoglicemiche. Ultimo e non meno importante vantaggio di Afrezza sta’ nel prezzo

della terapia: strisce e lancette non sono più necessarie, l’inalatore va cambiato ogni due settimane ma ne sono forniti di più dentro una sola confezione di prodotto. Utilizzando Exubera i pazienti andavano a spendere circa 5$ al giorno, con Afrezza la spesa giornaliera è di 2-3$ al giorno, paragonabile alla spesa della terapia iniettiva.

4.2e. Risposta del mercato

La domanda che è naturale porsi adesso è il motivo per cui anche Afrezza non ha avuto grande seguito dopo l’immissione in commercio. Intanto l’FDA ha tardato molto nell’autorizzare il prodotto affermando più volte che i dati presentati dalla MannKind non erano sufficienti per affermare l’efficacia e la sicurezza del prodotto in sé prima e del nuovo inalatore Gen2 dopo; da non sottovalutare poi neanche il conflitto di interessi dal momento che la MannKind aveva scelto di affiancarsi alla Sanofi per l’immissione e la commercializzazione del suo nuovo prodotto ma anche la stessa Sanofi aveva appena brevettato nuove forme di insulina a rapida azione cosa che, chiaramente, aveva comportato il loro privilegio nell’introduzione sul mercato.

Non è neppure da sottovalutare quanto ancora pesasse a livello di mercato e credibilità del prodotto la precedente bocciatura di Exubera che non costituiva certo un incentivo affinché i medici potessero essere indotti con serenità a prescrivere Afrezza al posto delle insuline sottocutanee tradizionali.

Inoltre i pazienti dovevano essere continuamente monitorati per accertare la completa assenza di patologie polmonari cosa che li obbligava a fare accertamenti medici con costi e tempi aggiuntivi rispetto alla fase prescrittiva.

Un ultimo ulteriore fattore da prendere in considerazione è la forte reticenza da parte delle compagnie assicurative quali Medicare o Payers a rimborsare con assicurazione Afrezza; queste compagnie avevano infatti già molti prodotti a base di insulina a rapida azione che preferivano rimborsare proprio per la sicurezza ormai accertata

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da anni di distribuzione. Viste tali situazioni la MannKind ha nel 2016 riacquisito tutti i diritti sul

suo prodotto e ha deciso di proseguire nella ricerca di una strategia per rendere più appetibile, e quindi comunemente accettato, il medicinale e per garantirne una immissione in commercio scevra di dubbi. (22)

4.3 Adagio

Ad oggi una delle più grandi compagnie farmaceutiche, la Dance Biopharm, sta lavorando per dare nuova luce all’insulina inalatoria: il progetto in corso di svolgimento, prende il nome di Adagio.

Tale progetto ha prodotto un medicinale con una formulazione liquida ottenuta da insulina umana DNA ricombinante. La formulazione rende possibile somministrare l’ormone usando un nebulizzatore dalle dimensioni ridottissime tale che lo si può tenere nel palmo di una mano. L’insulina di Adagio è a più lenta azione rispetto a quella di Afrezza, ma tale azione ricalcherebbe completamente il rilascio insulinico fisiologico. È stata scelta la formulazione liquida poiché permette di eliminare il problema della tosse come effetto collaterale all’uso; è meno costosa dal punto di vista della produzione e più semplice da utilizzare.

L’inalatore utilizzato prende il nome di Dance-501 e l’insulina da inserire nell’apposito reparto contenitore sulla cima del device, è confezionata separatamente, come si vede in Figura 9. Poche gocce del preparato liquido sono accuratamente dispensate entro il contenitore riserva così da dosare successivamente la quantità da assumere al momento del pranzo.

L’inalatore funziona attraverso la vibrazione di un reticolo di micropompe, tecnologia sviluppata e commercializzata dalla Aerogen. Si tratta di un nebulizzatore mesh, a maglia, che crea un aerosol forzando il preparato liquido a passare attraverso le multiple

FIGURA 9: immagine del device di Adagio.

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