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Sviluppo e validazione di un sensore elettrochimico per l'analisi di ocratossina A in mangimi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE,

ALIMENTARI E AGROAMBIENTALI

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti

TITOLO TESI:

Sviluppo e validazione di un sensore elettrochimico

per l’analisi di ocratossina A in mangimi

Candidata:

Relatrice:

Valentina Morale

Prof.ssa Valentina Meucci

Correlatrice:

Prof.ssa Roberta Nuvoloni

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1

Indice

Indice ... 1 1 INTRODUZIONE ... 3 1.1 MICOTOSSINE ... 3 Micotossicosi e tossicità ... 6 Contaminazione ... 7

Fattori che influenzano lo sviluppo fungino e la produzione di micotossine ... 9

Gestione del rischio ... 10

Legislazione ... 13

1.2 OCRATOSSINA A ... 15

Struttura chimica e proprietà fisico-chimiche ... 15

Contaminazione ... 17

Tossicocinetica ... 17

Tossicità ... 19

Legislazione ... 21

1.3 MICOTOSSINE NEI CEREALI E DERIVATI ... 24

1.4 METODI ANALITICI ... 27

Metodi di screening e di conferma ... 27

1.5 METODI ANALITICI CONVENZIONALI PER LE MICOTOSSINE ... 29

Tecniche cromatografiche ... 29

Metodi immunochimici ... 30

1.6 METODI ANALITICI CONVENZIONALI PER L’OTA ... 31

1.7 METODI ANALITICI INNOVATIVI PER LE MICOTOSSINE ... 33

Biosensori ... 33

1.7.1.1 Biosensori elettrochimici ... 36

1.7.1.2 Biosensori per il rilevamento dell’OTA ... 38

Voltammetria ... 39

1.7.2.1 La corrente e il potenziale in voltammetria ... 40

1.7.2.2 Strumentazione per la voltammetria ... 41

1.7.2.3 Voltammogramma ... 42

1.7.2.4 Voltammetria a scansione lineare (Rapid scan Voltammetry, LSV) ... 43

1.7.2.5 Voltammetria ciclica (Cyclic Voltammetry, CV) ... 44 1.7.2.6 Voltammetria differenziale ad impulsi (Differential Pulse Voltammetry, DPV)

(3)

2

1.7.2.7 Voltammetria ad onda quadra (Square Wave Voltammetry, SWV) ... 46

1.7.2.8 Elettrodi stampati (Screen-Printed Electrodes, SPE) ... 47

1.7.2.9 Elettrodi stampati in grafite ... 49

MIPs ... 50

1.7.3.1 Vantaggi e svantaggi dei MIPs ... 52

1.7.3.2 Applicazioni dei MIPs ... 53

1.7.3.3 MIPs ed OTA ... 53

1.8 COMPORTAMENTO ELETTROCHIMICO DELL’OTA ... 54

2 SCOPO ... 65 3 MATERIALI E METODI ... 66 3.1 MATERIALI ... 66 Elettrodi stampati ... 66 MIPs ... 67 3.2 STRUMENTAZIONE ELETTROCHIMICA ... 68 3.3 PREPARAZIONE SOLUZIONI ... 69 3.4 PROCEDURA ELETTROCHIMICA ... 70 Selettività ... 71 Analisi quantitativa ... 71

3.5 ESTRAZIONE IN FASE SOLIDA CON MIPs ... 73

3.6 ALTRA STRUMENTAZIONE ... 74

Strumentazione HPLC ... 74

3.7 RISULTATI ATTESI ... 75

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3

1 INTRODUZIONE

1.1 MICOTOSSINE

La presenza delle micotossine in alimenti e mangimi rappresenta un rischio per la salute pubblica ed animale. Esse, infatti, rientrano tra le principali classi di contaminanti, ovvero “sostanze chimiche non aggiunte intenzionalmente ad alimenti e mangimi”

(https://www.efsa.europa.eu), e costituiscono un “serio problema per la salute dell’uomo

e per il benessere degli animali, in tutte le fasi della catena alimentare, dal campo alla tavola” (Brera et al., 2015).

Le micotossine sono prodotti del metabolismo secondario di muffe, funghi filamentosi microscopici, in grado di contaminare le derrate alimentari.

I metaboliti secondari sono composti bioattivi a basso peso molecolare, non essenziali per la sopravvivenza delle cellule e sintetizzati in particolari condizioni di stress. Essi possono avere effetti benefici oppure tossici su animali, piante ed uomo in funzione della loro concentrazione e struttura chimica (Reverberi et al., 2010). Tra i primi rientrano pigmenti, antibiotici, regolatori della crescita mentre tra i secondi le micotossine sono tra i più importanti (Vasconcelos de Medeiros et al., 2012). Hanno un peso molecolare inferiore a 700 e sono tossiche a concentrazioni molto basse.

Il termine micotossina deriva dalla parola greca “mykes” che significa fungo e dalla parola latina “toxicum” che significa veleno. Molte micotossine sono classificate come polichetidi cioè metaboliti secondari con un processo di sintesi simile a quello degli acidi grassi (Hopwood e Sherman, 1990).

Le principali muffe capaci di produrre tali molecole appartengono ai generi Fusarium,

Aspergillus e Penicillium mentre importanza minore hanno i generi Claviceps, Alternaria

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4

Figura 1: immagini al microscopio ottico di a)Penicillium, b)Aspergillus e c)Fusarium

(https://www.giornaledellabirra.it).

Si stima che esistano circa 1.5 milioni di specie fungine e più di 300 mila sono micotossigene (Hawksworth, 1991). La produzione delle micotossine dipende dal tipo, specie e profilo genetico delle muffe tossigene (Pleadin et al.,2019). Lo sviluppo dei funghi micotossigeni può avvenire in campo o dopo la raccolta delle colture per un loro cattivo stato di salute e/o per condizioni ambientali non ottimali (funghi da campo) oppure nelle fasi di conservazione, trasporto e trasformazione per rottura dei semi,

a)

b)

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5

manipolazione, ecc (funghi da stoccaggio). Nel primo caso la crescita è favorita da un’umidità superiore al 70% e ingenti escursioni termiche mentre nel secondo caso dal pH elevato e dalla microaerofilia (Rossi e Compiani, 2011). Esistono anche funghi che riescono a svilupparsi in entrambe le situazioni. Generalmente la contaminazione da

Aspergillus e Penicillium può avvenire prima o dopo la raccolta dei cereali mentre quella

da Fusarium è più frequente dopo la raccolta (Pleadin et al., 2019).

La contaminazione da micotossine delle derrate alimentari non comporta necessariamente la presenza delle muffe in quanto queste tossine possono permanere anche dopo la morte di tali microrganismi. Quindi l’assenza di funghi micotossigeni visibili in alimenti e mangimi non implica che sicuramente il prodotto sia privo di queste sostanze (Pleadin et

al., 2019). Viceversa la presenza dei miceti non determina obbligatoriamente quella delle

micotossine (Turner et al., 2009).

Tabella 1: generi e specie di funghi micotossigeni.

Genere Specie produttrici

Fusarium Almeno 7 Aspergillus Oltre 20 Penicillium Almeno 15 Claviceps Almeno 2 Cladosporium Almeno 2 Alternaria Varie

Le micotossine determinano diversi effetti sugli organismi poiché hanno differenti proprietà chimico-fisiche.

Più di 300 micotossine sono state isolate in vitro, tuttavia solo 20 sono talmente diffuse negli alimenti e mangimi da rappresentare un rischio reale per la salute (Biagi et al.,

2002). Le più importanti, ovvero quelle che determinano maggiori perdite nelle derrate e

spese sanitarie,sono: ocratossine (OTs), zearalenone (ZEA), alcaloidi dell’ergot (EAs), patulina (PAT), aflatossine (AFs), fumonisine (FBs), enniatine (ENs), tricoteceni (TCs), ovvero deossinivalenolo (DON), T-2 e HT-2 (Agriopoulou et al., 2020). Quelle maggiormente studiate sono le aflatossine e le ocratossine, principalmente ocratossina A

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(OTA), poiché sono molto diffuse e rappresentano un maggior rischio per la salute del consumatore (Torovic, 2018).

Figura 2: struttura chimica delle principali micotossine (Pleadin et al., 2019).

Tabella 2: micotossine prodotte dai vari generi di muffe (Piro e Biancardi, 2010).

Genere Principale micotossina prodotta

Aspergillus AFs

Fusarium FMs, ZEA, TCs

Penicillium OTs, PAT

Micotossicosi e tossicità

Con il termine micotossicosi si intendono gli effetti tossici sulla salute umana e animale causati dalle micotossine e fattori come la durata dell’esposizione, la dose, la tossicità della micotossina, l’età, il sesso, la specie e lo stato di salute dell’ospite ne influenzano la

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gravità (Kaushik, 2015; Pleadin et al., 2019). Le patologie che ne derivano sono molto più rilevanti nei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli più evoluti (Pleadin et al., 2019).

Tabella 3: tossicità delle micotossine più importanti (Reverberi et al., 2010).

Micotossina Tossicità Fumonisina B1 (FB1) Neurotossicità

OTA Nefrotossicità, epatotossicità

AFs Epatotossicità, teratogenesi, mutagenesi PAT Gastrotossicità

TCs Gastrotossicità

La tossicità può essere acuta o cronica. Per gli animali generalmente si parla di tossicità acuta (necrosi, nefriti, emorragie, ecc) mentre per l’uomo di tossicità cronica.

Tabella 4: classificazione delle micotossine secondo la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro).

Agente Gruppo Aflatossina B1 (AFB1) 1 Aflatossina M1 (AFM1) 2B FB1 2B OTA 2B TCs 3 ZEA 3 Contaminazione

La contaminazione da micotossine degli alimenti può essere diretta o indiretta. La contaminazione diretta è dovuta allo sviluppo della muffa e produzione delle micotossine direttamente su materie prime, principalmente vegetali come cereali (frumento, riso, orzo, ecc), frutta secca ed essiccata (noci, mandorle, ecc), semi oleaginosi (semi di cotone, arachidi, girasole ecc…), spezie, legumi, cacao, caffè e i prodotti trasformati che ne derivano come pasta, pane, vino e birra. La contaminazione diretta si può avere anche in seguito allo sviluppo di muffe sui prodotti di origine animale come formaggi ed insaccati.

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Figura 3: derrate alimentari di origine vegetale più comunemente contaminate

(http://www.georgofili.info).

Nel secondo caso si tratta, invece, della presenza di micotossine o di loro metaboliti in prodotti animali come formaggi, carne, uova e latte in seguito all’ingestione di mangimi contaminati da parte degli animali stessi (carry over).

La dieta, quindi, soprattutto con i cereali e i prodotti da essi derivati, rappresenta la principale fonte di contaminazione.

La maggior parte delle micotossine sono stabili e riescono a sopravvivere alle fasi di trasformazione e conservazione degli alimenti e anche in seguito alla cottura domestica. Soltanto la tostatura dei semi di caffè e cacao, la soffiatura del riso e la conservazione sottovuoto riescono in parte a ridurre lo sviluppo dei funghi e la produzione delle micotossine.

Tabella 5: micotossine e matrici.

Micotossina Matrice

AFB e AFG Frutta secca ed essiccata/frutta a guscio e prodotti derivati AFM1 Latte e prodotti derivati

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OTA Vino e caffè torrefatto

DON Prodotti trasformati a base di frumento duro e tenero

FMs Prodotti trasformati a base di mais

CTN Integratori alimentari

ZEA Prodotti alimentari a base di mais

PAT Succhi e purea di mela

Tuttavia tra le fonti di esposizione non è da trascurare l’esposizione professionale dovuta per esempio all’inalazione di polveri oppure l’esposizione per via dermica (Pleadin et al.,

2019).

Fattori che influenzano lo sviluppo fungino e la produzione di micotossine

La produzione dei metaboliti e la suscettibilità degli alimenti alla contaminazione dipendono da vari fattori presenti in campo e più difficili da controllare (stress idrico, squilibrio nutrizionale, clima) e/o durante la raccolta, trasporto, conservazione e lavorazione, più facili da gestire. La natura del substrato, la temperatura, l’umidità, la disponibilità di ossigeno, la co-contaminazione, ma anche le alterazioni ambientali come la luce, lo stress, la nutrizione sono fattori che influenzano lo sviluppo dei funghi e la produzione delle micotossine. È stato visto, in particolare, che questi segnali portano ad un aumento nelle cellule fungine di specie reattive dell’ossigeno, quindi ad uno stato iper-ossidante che stimola il passaggio dal metabolismo primario al secondario e che nei funghi patogeni può significare produzione di micotossine (Reverberi et al., 2010).

Natura del substrato: sviluppo di funghi differenti in funzione della tipologia di alimento (tabella 6).

Tabella 6: substrati e muffe.

Substrato Genere

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Cereali e semi oleaginosi Aspergillus, Penicillium, Fusarium, Claviceps

Alimenti ricchi in cellulosa Stachybotrix, Claviceps, Penicillium, Phytomices

Temperatura: ogni fungo micotossigeno avrà la propria temperatura ottimale di sviluppo e produzione di tossine. Solitamente le temperature di sviluppo sono inferiori a quelle di tossinogenesi. Rilevante è il fatto che lo stesso microrganismo possa produrre diverse micotossine a differenti temperature.

Umidità: occorre la presenza di una certa quantità di acqua per avere lo sviluppo fungino (minimo 13%).

Disponibilità di ossigeno: sono aerobi obbligati. Necessitano di una quantità minima di ossigeno pari all’1-2%.

Co-contaminazione: presenza di più micotossine perché prodotte da uno stesso fungo o da funghi differenti presenti sul substrato. Conseguentemente si può avere il potenziamento dell’effetto tossico (effetto sinergizzante) oppure la riduzione di esso (effetto antagonizzante). Si ritrova frequentemente nei cereali (Pereira, 2014).

Gestione del rischio

Dato che le micotossine sono sostanze resistenti, per eliminare o ridurre lo sviluppo fungino e la loro produzione è importante mettere in atto una serie di strategie che rientrano nella gestione del rischio.

La gestione del rischio da micotossine si basa principalmente su: prevenzione, decontaminazione e detossificazione

Le misure di prevenzione possono essere applicate in campo o in post-raccolta (tabella 7 e 8).

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Tabella 7: misure preventive in campo.

Misura preventiva in campo Efficacia Scelta ibrido, epoca di semina,

fertilizzazione azotata

Significativa

Irrigazione, competizione biologica, epoca di raccolta

Molto elevata

Insetticidi Elevata (eccetto azione verso ZEA e DON)

Fungicidi Bassa

Tabella 8: misure preventive in post raccolta.

Misura preventiva in post-raccolta Efficacia Segregazione all’accettazione (metodo

visivo e strumentale)

Molto elevata

Essiccamento Molto elevata Pulizia, areazione, movimentazione,

monitoraggio del contenuto delle micotossine nei locali di immagazzimento

Molto elevata

Insetticidi e rodenticidi Significativa

Le misure di decontaminazione e detossificazione vengono adottate quando la prevenzione non è stata sufficiente e quindi si interviene su derrate già contaminate

(Reverberi et al., 2010). L’obiettivo è, per quanto possibile, l’eliminazione delle

micotossine o l’ottenimento di sostanze meno tossiche per mezzo di varie operazioni. Tra i metodi di decontaminazione di grande importanza è la pulitura che consiste nella rimozione della polvere, delle cariossidi danneggiate e delle loro parti più esterne (Stoev,

2013). Quest’ultima operazione consiste nello ”scorticamento del seme” che permette di

ridurre la concentrazione delle micotossine fino anche al 40% (Reverberi et al., 2010). Altre procedure di decontaminazione sono la cernita, la molitura, la ventilazione delle cariossidi e la lavatura con acqua oppure con soluzioni di bicarbonato di sodio (Stoev,

2013; Meucci, 2010). Anche l’utilizzo di solventi organici, infine, rappresenta una

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Tuttavia è scarsamente usata per le modifiche indesiderate che può apportare al prodotto (Meucci, 2010).

I metodi di detossificazione possono essere distinti in quattro categorie: fisici, chimici, enzimatici e microbiologici (tabella 9).

Tabella 9: metodi di detossificazione.

Categoria Tipologia di trattamento Effetti Metodi fisici - Calore (tostatura,

soffiatura)

- Radiazioni ionizzanti (raggi gamma) e non ionizzanti (UV e microonde)

- Plasma freddo - Adsorbenti

(alluminosilicati, carboni, pareti cellulari lieviti, batteri lattici, polimeri)

- Riduzione concentrazione micotossine - Riduzione dell’assorbimento intestinale

Metodi chimici - Sostanze ossidanti (perossido di idrogeno) - Sostanze riducenti

(bisolfito di sodio e ammonio)

- Acidi e basi (idrossido di sodio e potassio, ammoniaca)

- Degradazione micotossine

Metodi enzimatici - Enzimi detossificanti - Detossificazione delle micotossine Metodi microbiologici - Lieviti, batteri, piante - Degradazione o

trasformazione delle micotossine

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Tra i metodi fisici, le radiazioni e il plasma freddo non vengono ancora usati perché in fase di studio. Lo stesso vale per i metodi biologici ed enzimatici. I metodi chimici, invece, sono proibiti a livello europeo poiché comportano delle modifiche sostanziali nelle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche dei prodotti.

Legislazione

Essendo composti altamente tossici anche se prodotti a basse concentrazioni (nell’ordine dei ppm) e ampiamente diffusi, varie istituzioni internazionali (JECFA, WHO e FAO) ed europee (EFSA e EC) hanno riconosciuto i potenziali rischi per la salute umana e animale in conseguenza al consumo di alimenti e mangimi contaminati da micotossine.

In più di 70 paesi sono state introdotte regolamentazioni con l’obiettivo di ridurre l’assunzione delle micotossine attraverso la dieta (Anon, 1997).

La commissione europea ha emanato in materia il regolamento (CE) 1881/2006, che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari e dal quale “emergono disposizioni essenziali al fine di salvaguardare la sicurezza degli alimenti, come il divieto di utilizzo e di immissione in commercio di prodotti alimentari eccedenti il limite massimo per lo specifico contaminante, nonché il divieto di diluizione/miscelazione di prodotti contaminati. Allo stesso modo vige il divieto di miscelazione di prodotti alimentari da sottoporre a trattamenti fisici di decontaminazione con prodotti destinati al consumo umano diretto o quali ingredienti di alimenti. Inoltre, il regolamento prende in considerazione i gruppi più vulnerabili quali lattanti e bambini definendo limiti massimi specifici per molteplici contaminanti”

(http://www.salute.gov.it/). Successivamente è stato modificato dai regolamenti (CE)

1126/2007, 565/2008 e 105/2010.

Tutte le normative citate precedentemente regolamentano gli alimenti destinati all’uomo. Per quanto riguarda gli alimenti destinati agli animali, la commissione europea ha introdotto la raccomandazione 2006/576/CE, poi sostituita dalla raccomandazione (UE) 2016/1319.

A livello nazionale la circolare n.10 del 9 giugno del 1999 (direttiva in materia di controllo ufficiale sui prodotti alimentari: valori massimi ammissibili di micotossine nelle derrate alimentari di origine nazionale, comunitaria e Paesi terzi) presenta i tenori

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massimi dell’OTA in alcuni prodotti alimentari non disciplinati a livello comunitario nel regolamento (CE) 1528/98. Questi limiti introdotti saranno sostituiti successivamente nella legislazione comunitaria.

A proposito del campionamento e analisi delle micotossine è stato emanato il regolamento (CE) 401/2006 relativo ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari.

Infine i controlli ufficiali atti a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute sul benessere degli animali sono normati dal regolamento (CE) 882/2004.

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1.2 OCRATOSSINA A

L’OTA è una micotossina prodotta da ceppi fungini appartenenti principalmente alle specie Aspergillus ochraceus e Penicillium verrucosum ma anche ad A. carbonarius e A.

niger (Bui e Wu, 2015). Lo sviluppo delle muffe appartenenti al genere Penicillium è

favorito da temperature più elevate (climi temperato caldi) mentre quello delle muffe appartenenti al genere Aspergillus da temperature più basse (climi freddi).

Tabella 10: valori ottimali di sviluppo delle varie specie.

Specie fungina Temperature ottimali di sviluppo (C°) Attività dell’acqua A. ochraceus 24-31 0.95-0.99 A. carbonarius 32-25 0.82 A. niger 35-37 0.77 P. verrucosum 20 0.80

Struttura chimica e proprietà fisico-chimiche

Le ocratossine sono un gruppo di metaboliti simili dal punto di vista strutturale, comprendente 3 composti: OTA, OTB (ocratossina B), analogo non clorurato dell’OTA, OTC (ocratossina C), estere etilico dell’OTA. L’OTA e l’OTB sono i più studiati e il primo presenta una maggior tossicità ed è l’ocratossina maggiormente diffusa.

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Figura 5: confronto tra la struttura chimica dell’OTA e OTB (EFSA, 2020).

La formula empirica dell’OTA è ed è un derivato dell’isocumarina. Strutturalmente, infatti, è costituita da un derivato cumarinico, che si lega attraverso il gruppo 7-carbossilico con un legame amminico alla L-fenilanina. L’OTB ha una struttura simile e differisce solo per l’assenza dell’atomo di cloro, il quale si ritiene abbia un ruolo rilevante nella tossicità dell’OTA.

L’OTA dal punto di vista delle proprietà fisiche è priva di odore, bianca e ha un punto di fusione di 168-173°C (Koszegi e Poor, 2016) mentre dal punto di vista delle proprietà chimiche ha un peso molecolare pari a 403,8 g/mol, è poco solubile in acqua, moderatamente solubile in solventi organici polari, è un acido debole con pka del gruppo carbossilico pari a 4.4 e pka del gruppo idrossilico pari a 7,3 o 7,05 (Uchiyama, 1985;

Marquardt, 1992), è stabile al calore e resistente all’acidità (El Khoury, 2010). Inoltre è

una molecola fluorescente, la cui fluorescenza varia in dipendenza del pH: in seguito ad assorbimento di luce UV in condizioni acide è verde mentre in condizioni alcaline è blu

(Pleadin et al, 2019). In soluzione acquosa l’OTA si può trovare in forma non ionizzata,

monoanionica o bianionica (EFSA, 2020).

L’OTA è una molecola chimicamente stabile alle elevate temperature e i processi di trasformazione non riescono ad eliminare o almeno ridurre la sua concentrazione negli alimenti e bevande (Bui e Wu, 2015). È stato dimostrato che anche in seguito al processo

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di cottura e in particolare al raggiungimento di temperature di 250°C, l’OTA si degrada solo parzialmente (Trivedi et al., 1992; Boudra, 1995).

Contaminazione

La principale via di esposizione è quella orale attraverso l’ingestione di alimenti e bevande contaminate. La fonte primaria di contaminazione per l’uomo è rappresentata dai cereali. L’OTA si può ritrovare, inoltre, in alimenti di origine animale in seguito a contaminazione secondaria (Amezqueta et al., 2009; Leszkowicz e Manderville, 2007). Tuttavia le vie secondarie, come contatto o inalazione, possono avere un ruolo rilevante.

L’OTA è un contaminante diffuso in numerose matrici e negli alimenti la ritroviamo principalmente nei cereali, come frumento, riso, orzo e sorgo ma anche caffè, soia, noci, cacao, uva secca e in tutti i prodotti alimentari derivanti da essi. Inoltre la si ritrova in bevande fermentate come birra, vino e succo d’uva. Ottimali per la produzione di questa tossina sono una temperatura di 20-25°C e un’umidità di circa il 16% (Völkel et al., 2011).

Dall’analisi di numerosi dati derivanti da studi riguardanti i livelli di contaminazione dell’OTA negli alimenti si rileva che l’esposizione all’OTA nei paesi europei è dovuta per il 50% ai cereali (Stegen et al., 1997), 13% al vino (Pietri et al., 2001), 10% al caffè, 8% alle spezie, 5% alla birra (Leitner et al., 2002), 4% al cacao, 3% alla frutta secca e 1% ai prodotti carnei (Cubadda e Marconi, 2007).

La concentrazione media varia da 0,1 a 100 ng/g negli alimenti di origine vegetale e da 0,1 a 1 ng/g negli alimenti di origine animale (Ostry et al., 2015) e la contaminazione avviene o in campo oppure durante la conservazione.

Tossicocinetica Assorbimento

In seguito all’ingestione di alimenti o bevande contaminate, l’OTA è assorbita rapidamente e passivamente a livello gastrointestinale in forma non ionizzata con una biodisponibilità variabile dal 40% al 66%. Successivamente arriva nella circolazione sanguigna dove si lega all’albumina e ad altre sieroproteine e questo è il motivo per cui l’OTA ha una permanenza molto lunga nell’organismo animale (tempo di dimezzamento

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di circa 840 ore nell’uomo, 72-240 ore nei ratti, 120-144 ore nei maiali, ecc.) e l’escrezione è ritardata (EFSA, 2020). La lunga emivita dell’OTA è anche dovuta alla circolazione enteroepatica che determina un riassorbimento della tossina a livello gastrointestinale ma anche a livello renale. In seguito al circolo enteroepatico, il riassorbimento a livello intestinale e l’arrivo nella circolazione sanguigna ne favorisce la ridistribuzione sistemica ai differenti tessuti (Oliveira et al., 2007).

Distribuzione

Attraverso il sangue l’OTA è distribuita principalmente al rene, che rappresenta l’organo bersaglio, ma anche al fegato e alla muscolatura. L’entità della distribuzione dipende dalla specie animale e dalla dose di tossina ingerita (EFSA, 2020).

Metabolismo

La biotrasformazione dell’OTA non avviene solo nell’uomo, animali e piante ma anche nei microrganismi (batteri, funghi e lieviti) (Wu et al., 2011). L’uomo ha una minor capacità di metabolizzare l’OTA rispetto agli animali (Tao et al., 2018).

Il metabolismo dell’OTA non è chiaro del tutto. Per azione del citocromo P450 (CYP450) la tossina è convertita in composti idrossiderivati bioattivi: (4R)-4-idrossiOTA, (4S)-4-idrossiOTA e 10-(4S)-4-idrossiOTA. I primi due metaboliti sembra che siano responsabili degli effetti immunosoppressivi dell’OTA. (4S)-4-idrossiOTA è stato principalmente ritrovato nei maiali mentre l’isomero 4R nei roditori. 10-idrossiOTA, invece, si riscontra solo nei conigli (Tao et al., 2018).

Un'altra via metabolica importante è la detossificazione a livello ruminale che rende gli animali poligastrici meno sensibili all’effetto tossico e comporta l’idrolisi della micotossina in ocratossina alfa (OTalpha) e fenilanina, due composti non tossici. Infatti OTalpha non si accumula nel rene ma viene escreta rapidamente attraverso l’urina (EFSA,

2020).

L’OTA può perdere l’atomo di cloro in posizione 5 e portare alla formazione dell’OTB, metabolita meno tossico, che a sua volta può originare 4-idrossi-OTB e ocratossina . Un ruolo rilevante nel metabolismo è attributo anche a: idrossilazione dell’OTA a livello della fenilanina, apertura del lattone, formazione della coppia redox chinone/idrochinone (OTQ/OTHQ cioè chinone/idrochinone), coniugazione con esosi, pentosi ecc. (EFSA,

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2020). L’apertura del lattone porta alla formazione di OP-OTA, composto più tossico

rispetto all’OTA.

Dunque i processi metabolici riducono la tossicità, portando alla formazione di composti meno tossici, e favoriscono la rapida eliminazione dell’OTA dall’organismo. Tuttavia l’eccezione è rappresentata dall’OP-OTA, un metabolita che presenta una maggior tossicità (Tao et al., 2018).

Escrezione

L’escrezione dell’OTA è lenta e avviene attraverso feci e urine. Molti studi hanno riportato anche l’eliminazione della tossina con il latte umano (EFSA, 2020).

Tossicità

Figura 6: effetti tossici dell’OTA (Malir et al., 2016).

Sulla base delle evidenze ottenute dai molteplici studi effettuati sugli animali, la IARC ha classificato l’OTA come potenzialmente cancerogena per l’uomo (2B). Presenta, infatti, proprietà genotossiche, cancerogene, nefrotossiche, epatotossiche, neurotossiche, teratogene, mutageniche, embriogeniche, estrogeniche ed immunotossiche (Heurich et

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La nefrotossicità rappresenta il principale effetto tossico. L’OTA è stata associata nell’uomo alla nefropatia endemica dei balcani (BEN), diffusa nella penisola balcanica, e alla nefropatia interstiziale cronica (CIN), diffusa nel Nord Africa. La BEN è una malattia renale cronica per la prima volta descritta nel 1956 (De Koe, 2012), caratterizzata dallo sviluppo di tumori nel tratto urinario. Essa è una patologia legata anche ad un’altra micotossina, la CTN (citrinina).

Anche la genotossicità dell’OTA ha un ruolo rilevante nella tossicità di questa tossina. L’OTA è in grado di indurre la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) che causano danno ossidativo al DNA. Quest’ultimo è legato ad una serie di processi quali: perossidazione lipidica, danno alle proteine, inibizione della sintesi di proteine e RNA, rottura del DNA e formazione di 8-idrossideossiguanosina (Tao et al., 2018). L’OTA, inoltre, è in grado anche di formare addotti al DNA. L’OTHQ ossidandosi porta alla formazione dell’OTQ, composto in grado di interagire con il DNA.

La tossicità dell’OTA è legata probabilmente alla sua capacità di ossidarsi e in particolare di produrre specie chinoniche. Infatti Calcutt e collaboratori (2001) hanno dimostrato che in presenza di FeTTPs e H2O2, l’OTA si ossida a OTQ, il quale a sua volta in presenza di ascorbato di sodio si riduce a OTHQ.

Figura 7: ossidazione dell’OTA (Calcutt et al., 2001).

I suini rappresentano la specie animale più sensibile all’OTA. La contaminazione avviene principalmente per ingestione di mangimi contaminati e l’effetto che si riscontra maggiormente è quello immunotossico con ingenti danni economici agli allevamenti. Anche nei suini si riscontra una nefropatia causata dall’OTA.

(22)

21

Legislazione

Per le proprietà tossiche ma anche per l’elevata stabilità nella filiera alimentare, dovuta alla resistenza ai processi termici (Lanza et al., 2019) ed alla decomposizione (Yola et al.,

2016), l’OTA costituisce un rischio per la salute umana e animale. Varie istituzioni

internazionali hanno così introdotto limiti normativi per regolamentarne e minimizzarne la presenza in alimenti e bevande.

Tabella 11: limiti stabiliti dal regolamento (CE) 1881/2006.

Prodotti alimentari destinati all’alimentazione umana

Tenori massimi ( / )

1)Cereali non trasformati 5,0 2)Tutti i prodotti derivati dai cereali non trasformati, compresi i prodotti trasformati a base di cereali e i cereali destinati al consumo umano diretto, eccetto i prodotti alimentari di cui ai punti 9) e 10)

3,0

3)Uve secche (uve di Corinto, uva passa, uva sultanina)

10,0

4)Caffè torrefatto in grani e caffè torrefatto macinato, escluso il caffè solubile

5,0

5)Caffè solubile (istantaneo) 10,0 6)Vini (compreso il vino spumante ed esclusi i vini liquorosi e i vini con un titolo alcolometrico non inferiore al 15 % vol) e vini di frutta

2,0

7)Vini aromatizzati, bevande aromatizzate a base di vino e

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22

cocktail aromatizzati di prodotti vitivinicoli

8)Succo d'uva, succo d'uva concentrato ricostituito, nettare d'uva, mosto d'uva e mosto d'uva concentrato ricostituito, destinati al consumo umano diretto

2,0

9)Alimenti a base di cereali e altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini

0,50

10)Caffè crudo, frutta secca diversa dalle uve secche, birra, cacao e prodotti a base di cacao, vini liquorosi, prodotti a base di carne, spezie e liquirizia

0,50

Tabella 12: limiti stabiliti dal regolamento (CE) 105/2010.

Prodotti alimentari destinati all’alimentazione umana

Tenori massimi ( / )

1)Spezie: Capsicum spp. (suoi frutti secchi, interi o macinati, tra cui peperoncini, peperoncini in polvere, pepe di Caienna e paprica) Piper spp. (suoi frutti, compreso il pepe bianco e nero)

Myristica fragrans (noce moscata) Zingiber officinale (zenzero) Curcuma longa (curcuma).

30 μg/kg a decorrere dall’1.7.2010 fino al 30.6.2012

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23

Miscele di spezie contenenti una o più delle suddette spezie 2)Liquirizia (Glycyrrhiza glabra, Glycyrrhiza gonfia e altre specie) Radice di liquirizia, ingrediente per infusioni a base di erbe Estratto di liquirizia (42), usato nei prodotti alimentari, soprattutto nelle bevande e nella confetteria

20 μg/kg

80 μg/kg

Non ritroviamo alcun limite massimo per la birra nonostante esista per malto e orzo

(Pacheco., 2015).

Tabella 13: limiti stabiliti dalla raccomandazione (UE) 2016/1319.

Prodotto alimentare Valore di riferimento in mg/kg (ppm) Materie prime per mangimi:

- Cereali e prodotti a base di cereali 0,25

Mangimi composti per: - Suini - Pollame - Cane e gatti 0,05 0,1 0,01

Altri limiti imposti sono:

- Dose massima giornaliera tollerabile di 0,1 microgrammi/kg (FAO/WHO)

(Bianco, 2018)

- Dose settimanale tollerabile (Tolerable weekly intake) di 120 ng/kg di peso corporeo, stabilito dall’EFSA nel parere del 2006, oggi non più valido. Sostituzione con MOE (Margin of exposure), un approccio più prudenziale

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24

1.3 MICOTOSSINE NEI CEREALI E DERIVATI

I cereali e derivati sono alimenti che a livello mondiale costituiscono la base dell’alimentazione umana ed animale ed è quindi indispensabile il monitoraggio della loro qualità e sicurezza igienico-sanitaria. Dal punto di vista igienico-sanitario i prodotti cerealicoli rappresentano un rischio per la salute umana ed animale poiché sono soggetti a contaminazione da parte di funghi micotossigeni. La FAO stima che globalmente circa il 25% dei cereali sia contaminato da micotossine (Adams e Motarjemi, 1999), anche se in realtà si ritiene che la percentuale sia molto più elevata (50%) (Pleadin et al., 2019).

I cereali rappresentano per l’uomo una fonte di contaminazione diretta oppure indiretta. Quest’ultimo caso si ha a seguito del consumo di alimenti di origine animale prodotti a partire da animali che hanno ingerito mangimi a loro volta contaminati (Milani e Maleki,

2014). È opportuno, dunque, ridurre al minimo la concentrazione dei funghi e delle

micotossine in tali prodotti per garantire la sicurezza al momento del consumo.

È difficile stimare quali siano i costi risultanti dalla contaminazione da micotossine nei cereali e derivati. Tali molecole non solo rappresentano un rischio per la salute umana ed animale ma comportano anche perdite e conseguente aumento di prezzo delle colture e necessità di mettere a punto tecniche analitiche capaci di rilevarle e quantificarle. Si stima che a livello mondiale i costi siano all’incirca di 2 bilioni di dollari (Bhatnagar D., 2002).

In Europa i funghi micotossigeni principalmente responsabili della contaminazione dei cereali appartengono al genere Fusarium e producono principalmente ZEA, DON e FMs. Le muffe del genere Penicillium, invece, portano soprattutto alla produzione di OTA

(Domijan et al., 2005; Krysinska-Traczyk et al., 2007). Talvolta i funghi del genere Aspergillus possono determinare la produzione di AFB1 (Giorni et al., 2007; Martins et al., 2007; Pietri et al., 2004).

Nei cereali grezzi ritroviamo una grande varietà di micotossine in dipendenza della tipologia di alimento: DON in mais, orzo e segale, H-2 e T-2 in avena (Petterson et al.,

2011), CTN (citrinina) in piccole concentrazioni in frumento (Zaied et al., 2012) e AFs,

ZEA, FMs e OTA in piccole concentrazioni in molteplici colture (Kumar et al., 2012;

Liao et al., 2011; Makun et al., 2013; Soleimany et al., 2012; Toffa et al., 2013). I prodotti

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25

micotossine come OTA, ZEA, FMs e AFs (Ediage, et al., 2011; Iba~nez-Vea et al., 2011;

Serrano et al., 2012).

La contaminazione fungina dei cereali può avvenire in campo (funghi da campo) o durante la conservazione (funghi da stoccaggio). Nel primo caso si tratta di miceti appartenenti ai generi Alternaria, Cladosporium, Fusarium e Helminthosporium che si sviluppano in presenza di elevati valori di umidità relativa (90-100%) e di attività dell’acqua. I funghi da stoccaggio, invece, includono i generi Eurotium, Aspergillus,

Penicillium, Rhizopus, Mucor e Wallemia e si sviluppano a più bassi valori di umidità

relativa (65-90%) e di contenuto di umidità (14-16%) (Bullerman e Bianchini, 2009).

Generalmente la contaminazione fungina e in generale microbica si concentra negli strati più esterni del chicco e molti studi dimostrano che in seguito alla decorticazione i cereali sono microbiologicamente puri (Bainotti e Perez, 2000; Laca et al., 2006).

Particolarità dei cereali è il fatto che le muffe micotossigene si distribuiscono in modo disomogeneo rendendo difficile il prelevamento di campioni rappresentativi.

Figura 8: contaminazione puntiforme.

La prevenzione è il principale mezzo attraverso il quale si cerca di ridurre i rischi per la salute umana ed animale associati alla contaminazione da micotossine nei cereali e derivati. Tra le tecniche che minimizzano la loro concentrazione in tali prodotti ritroviamo la disidratazione e la decorticazione. Quest’ultima è usata a tale scopo in quanto rimuovendo la parte più esterna del chicco rende minore la contaminazione. Inoltre tra i

(27)

26

metodi di decontaminazione possiamo citare l’utilizzo del cloro, dell’ipoclorito, dell’ozono e dell’irraggiamento. Tra i metodi innovativi, invece, ritroviamo l’uso delle microonde, luce pulsata, ecc. (Los et al.,2018).

Le micotossine, quindi, che si sviluppano più comunemente nei cereali e nei prodotti che ne derivano sono: AFs, OTA, FMs, DON e ZEA. Esse non vengono completamente distrutte nel corso dei processi di trasformazione per l’elevata stabilità alle alte temperature e si possono ritrovare nel prodotto finito. I processi come cernita, pulizia, macinatura, fermentazione, panificazione, frittura, tostatura, fioccatura, nixtamalizzazione ed estrusione possono ridurre la concentrazione delle micotossine ma non determinano la loro completa eliminazione. La tostatura e l’estrusione riescono a determinare una maggior diminuzione della concentrazione di tali metaboliti poiché necessitano di temperature più elevate (Bullerman e Bianchini, 2007).

Le farine a base di cereali costituiscono un rischio per la salute perché soggette a contaminazione da micotossine in grado di svilupparvisi in condizioni di temperatura di 25-35°C e di attività dell’acqua di 0.7 (Beuchat, 1983; Mannaa e Kim, 2017). La macinatura non permette la loro completa eliminazione. Le farine di frumento, in particolare, si è visto che sono più frequentemente contaminate da OTA e DON (Sacco

et al., 2020). È stato notato che l’agricoltura biologica e il packaging in plastica

favoriscono la contaminazione fungina e da micotossine nelle farine (Sacco et al., 2020).

Relativamente ai metodi analitici più utilizzati per il rilevamento e la determinazione dell’OTA nei cereali e derivati possiamo citare: estrazione liquida con solventi, purificazione con IACs e rilevamento e quantificazione con metodi immunochimici come ELISA e metodi cromatografici come TLC, GC-MS, LC-FLD, LC-MS-MS (Blesa et al.,

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27

1.4 METODI ANALITICI

La possibile presenza di micotossine in molti alimenti costituisce oggi un motivo di crescente preoccupazione per la salute dei consumatori. Pertanto, il controllo della contaminazione è diventato un argomento prioritario nelle ricerche inerenti la sicurezza alimentare (Muscarella et al., 2011).

Con il fine di valutare la diffusione delle micotossine in alimenti, bevande e fluidi biologici, negli anni sono stati messi a punto numerosi metodi analitici (Oliveira et al.,

2007). È importante che quest’ultimi siano selettivi e sensibili, ovvero capaci di rilevare

la presenza dell’OTA a concentrazioni uguali o inferiori ai limiti legislativi. Ad oggi è richiesto lo sviluppo di soluzioni sempre più riproducibili, rapide, di facile utilizzo, economiche e capaci di rilevare simultaneamente più micotossine (Pleadin et al., 2019).

I metodi analitici possono essere distinti in convenzionali ed innovativi. I secondi si stanno affermando negli ultimi anni poiché permettono una diagnosi ancora più sensibile, rapida ed economica. Inoltre, mentre le tecniche convenzionali vengono applicate alla fine dei processi produttivi, quelle innovative possono essere messe in atto a processo produttivo non ancora ultimato (Mishra et al., 2018).

Metodi di screening e di conferma Metodi di screening

In genere sono metodi qualitativi che rilevano o meno la presenza dell’analita in esame alla concentrazione di interesse. Tuttavia esistono dei metodi rapidi che riescono a dare risultati semi-quantitativi o quantitativi (Meneely et al., 2011). Sono caratterizzati da rapidità e basso costo in quanto consentono di analizzare un elevato numero di campioni in breve tempo. Sono, inoltre, tecniche semplici che non richiedono un personale specializzato e che limitano l’ottenimento di falsi negativi (Meucci, 2010). Tra gli svantaggi, invece, troviamo scarsa specificità e possibilità di originare cross reazioni

(Pleadin et al., 2019). Successivamente i risultati di positività sono sottoposti ad analisi

di conferma per avere una risposta quantitativa e di identificazione precisa del residuo ricercato.

Tra i metodi di screening il più utilizzato per l’analisi delle micotossine è il saggio

(29)

28

(Pleadin et al., 2019). In questa categoria rientrano anche: il dosaggio

radioimmunochimico (RIA), la cromatografia su strato sottile (TLC), lateral flow devices (LFDs) e dipstick tests.

Metodi di conferma

Sono metodi che consentono l’identificazione con certezza dell’analita in esame alla concentrazione di interesse. Sono tecniche, dunque, che hanno il vantaggio di consentire una determinazione certa ed inequivocabile del composto in esame ma lo svantaggio di essere molto costose poiché necessitano di una strumentazione sofisticata e personale specializzato, complesse e di non elevata produttività.

Tra i metodi di conferma troviamo nella maggior parte dei casi tecniche cromatografiche come la gas cromatografia (GC), la cromatografia liquida (LC) e la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC).

I metodi di conferma sono classificati in metodi di primo e secondo livello. I metodi di primo livello si basano sulla costituzione molecolare del composto ricercato mentre quelli di secondo livello sulle caratteristiche fisico-chimiche. Tra i primi principalmente rientrano la cromatografia liquida accoppiata con la spettrometria di massa (LC-MS) e la gas cromatografia accoppiata con la spettrometria di massa (GC-MS) mentre tra i secondi troviamo l’HPLC.

(30)

29

1.5 METODI

ANALITICI

CONVENZIONALI

PER

LE

MICOTOSSINE

In letteratura sono riportati numerosi metodi per la determinazione delle micotossine in alimenti e bevande.

Tecniche cromatografiche TLC

È una tecnica di screening utilizzata da molto tempo, sia per analisi qualitative che semi quantitative, per la sua rapidità e capacità di processare un grande numero di campioni in breve tempo. Tuttavia possiede una scarsa sensibilità e accuratezza rispetto ad altre tecniche come l’HPLC.

GC

GC permette l’analisi simultanea di più micotossine, ha un’elevata sensibilità. È però costosa ed ha una variabile riproducibilità e ripetibilità. Le micotossine essendo sostanze non volatili necessitano della derivatizzazione. Se usata, la gascromatografia è di solito associata allo spettrometro di massa (GC-MS).

HPLC

Questa tecnica è comunemente usata per la determinazione delle micotossine nel campione in esame per la sua elevata sensibilità, selettività, ripetibilità. Tuttavia è un metodo costoso, con riproducibilità e ripetibilità variabili (Pleadin et al., 2019). Solitamente si usa accoppiata al detector FLD (a fluorescenza) o UV-vis. HPLC-FLD è usato direttamente per le micotossine dotate di una fluorescenza naturale e che non necessitano di essere derivatizzate come OTA, CIT e AFM1 (Turner et al., 2009).

LC

LC è una tecnica molto utilizzata, accoppiata con la spettrometria di massa tandem (LC-MS/MS), per il rilevamento delle micotossine sia in matrici solide che liquide. Presenta vantaggi come: bassi limiti di rilevabilità, elevato potere di separazione e selettività

(Santos e Vargas, 2002). Tuttavia è una tecnica costosa e che necessita di personale

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30

La LC-MS/MS è molto sfruttata per il rilevamento delle micotossine in tracce per la sua elevata affidabilità rispetto all’HPLC e la capacità di determinare contemporaneamente la presenza di più micotossine nella stessa matrice. È stato dimostrato, poi, essere in grado di rilevare le micotossine mascherate, ovvero coniugate con altre molecole, e difficilmente rilevabili dalle tecniche convenzionali (Yu e Lai, 2010).

UPLC

Tra le tecniche cromatografiche si riporta anche la cromatografia liquida ad ultra-prestazione accoppiata con la spettrometria tandem (UPLC-MS/MS) che permette un’analisi simultanea di più micotossine nella matrice e possiede un’elevata selettività

(Lanza et al., 2019).

Metodi immunochimici

I metodi immunochimici, a differenza di quelli cromatografici, generalmente sono specifici per una molecola o al massimo per pochi composti strutturalmente simili

(Pereira et al., 2014). Sono adatti soprattutto per analisi rapide e consistono

principalmente in ELISA, dipsticks, LFDs e FPIA (fluorescent polarization immunoassay).

ELISA

La tecnica ELISA è quella più usata, specialmente la competitiva. È dotata di una scarsa accuratezza e sensibilità ma permette di analizzare un numero più elevato di campioni rispetto alle tecniche cromatografiche, prevede una semplice preparazione del campione, strumentazione economica e limitato uso di solventi organici. Tra gli altri svantaggi troviamo la possibilità di dare cross reattività, falsi positivi e negativi (Pleadin et al.,

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31

1.6 METODI ANALITICI CONVENZIONALI PER L’OTA

Il rilevamento e la quantificazione dell’OTA nelle matrici biologiche è preceduta dalle fasi di campionamento, preparazione del campione, estrazione dal substrato, purificazione dell’estratto e separazione (Monaci e Palmisano, 2004).

Il campionamento influenza l’ottenimento di risultati attendibili (Whitaker et al., 2009) e quindi costituisce uno step critico nell’analisi delle micotossine anche perché la contaminazione prodotta in derrate alimentari come cereali è puntiforme. Questo significa che le tossine sono distribuite in modo disomogeneo. Occorre, quindi, condurre questa procedura in modo tale che il campione sia rappresentativo dell’intero lotto o partita. “Le modalità di campionamento condizionano in modo determinante l’incertezza delle successive procedure di controllo analitico, pertanto l’applicazione delle buone pratiche risulta uno strumento indispensabile affinché non sussistano contestabili vizi procedurali”

(Barbiani, 2016).

Dal punto di vista legislativo, ad oggi sono in vigore il regolamento (CE) 401/2006 relativo ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari ed il regolamento (CE) 691/2013 che modifica il regolamento (CE) 152/2009 per quanto riguarda i metodi di campionamento e di analisi.

La preparazione del campione è una fase che prevede la macinazione e l’omogeneizzazione del campione prima dell’estrazione dell’analita. “La fase di macinazione permette di ottenere una migliore attendibilità dei risultati di laboratorio in quanto è dotata di una migliore precisione, ripetibilità ed esattezza delle analisi”

(Barbiani, 2016).

Il processo di estrazione consiste nella rimozione delle micotossine dalla matrice in esame usando appositi solventi. Il solvente più idoneo è quello che ha un basso costo, è sicuro per l’operatore e determina l’allontanamento solo del composto di interesse (Agriopoulou

et al., 2020). La scelta del solvente dipende dalla struttura dell’analita ma anche dalla

matrice dalla quale si effettua l’estrazione, dai metodi di purificazione e quantificazione che verranno adottati (Van Egmond, 1996). La natura chimica dell’OTA fa sì che siano comunemente usate l’estrazione acida o alcalina. Quest’ultima permette di ottenere recuperi migliori (EFSA, 2020).

(33)

32

La procedura di purificazione è importante poiché le interferenze possono alterare il risultato analitico. Per l’OTA è riportato prevalentemente l’utilizzo di LLE (estrazione liquido-liquido) (Pittet e Royer, 2002) in combinazione con SPE (estrazione in fase solida) oppure con IAC (cromatografia di immunoaffinità) (Levi et al., 1974; Levi, 1975;

Cantafora et al., 1983; Micco et al., 1989; Studer-Rohr et al., 1994; Studer-Rohr et al., 1995).

LLE sfrutta la diversa solubilità dell’analita in due fasi: fase acquosa e fase organica immiscibile. L’analita sarà estratto in un solvente mentre la matrice rimarrà nell’altro. È una tecnica che ha lo svantaggio di essere costosa e determinare la perdita del composto in esame in seguito all’assorbimento della vetreria (Turner et al., 2009).

SPE si basa su piccole colonne impaccate con silice ed ha numerosi vantaggi rispetto a LLE come maggior rapidità e utilizzo di un minor quantitativo di solvente (Turner et al.,

2009). Nel caso dei cereali spesso questa tecnica è usata per le fasi di purificazione o

concentrazione (Pereira et al., 2014).

IAC, infine, è una tecnica semplice, rapida ma con bassi livelli di rilevabilità (Yu e Lai,

2010). Essa si basa sulla specifica interazione che si forma tra l’analita di interesse e gli

anticorpi legati alla fase solida presente lungo la colonna.

Relativamente alla separazione, rilevamento e quantificazione, HPLC costituisce la tecnica più comunemente utilizzata per la determinazione di OTA. In particolare, essendo l’OTA una molecola fluorescente si usa HPLC accoppiato con detector a fluorescenza (HPLC/FLD).

Altri metodi cromatografici usati sono rappresentati da TLC, LC soprattutto accoppiata con lo spettrometro di massa (LC-MS), CE (elettroforesi capillare), GC specialmente associata a MS (GC-MS). Tra i metodi immunochimici, ELISA e RIA sono i più sfruttati. ELISA permette di processare un elevato numero di campioni simultaneamente (90 in 45 minuti) (El Khoury e Atoui, 2010).

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33

1.7 METODI ANALITICI INNOVATIVI PER LE MICOTOSSINE

Il monitoraggio della sicurezza alimentare e della tutela della salute dei consumatori hanno richiesto negli anni l’introduzione di tecniche analitiche innovative in grado di ottimizzare il rilevamento e la quantificazione dei contaminanti presenti negli alimenti. Le tecniche convenzionali necessitano di personale specializzato, laboriosa preparazione del campione, hanno costo elevato e tempi lunghi per ottenere risultati mentre la messa a punto di nuove tecniche ha permesso di raggiungere una maggior sensibilità, rapidità e riduzione dei costi. Tra di esse hanno un ruolo rilevante le tecniche elettrochimiche per la loro elevata sensibilità (nell’ordine dei / ) e rapidità anche se tuttavia hanno una scarsa selettività (Pleadin et al., 2017).

Negli ultimi anni i progressi nel campo delle tecniche analitiche hanno permesso l’introduzione non solo delle tecniche elettrochimiche ma anche immunochimiche, metodi proteomici, genomici ecc. (Agriopoulou et al., 2020).

Relativamente alla quantificazione delle micotossine e in particolare dell’OTA, grande importanza hanno i metodi elettrochimici, soprattutto voltammetrici e i biosensori elettrochimici, poiché questa micotossina possiede proprietà elettrochimiche.

Biosensori

I biosensori sono “dispositivi analitici costituiti da un elemento biologico di riconoscimento e da un trasduttore di tipo fisico-chimico” (D’Orazio, 2003) che trovano impiego in numerosi campi: alimentare, farmaceutico, ambientale, biomedico e biotecnologico (Pellegrini et al., 2005). Differiscono dai sensori proprio per l’assenza in quest’ultimi dell’elemento biologico.

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34

Il mediatore biologico (ligando) è in grado di rilevare la presenza, determinare l’attività o la concentrazione dell’analita in esame presente in soluzione attraverso il processo di interazione o una reazione biocatalitica (D’Orazio, 2003). Conseguentemente si ha un cambiamento misurabile nelle proprietà della soluzione che il trasduttore converte in un segnale fisico quantificabile e processabile.

L’analita può essere costituito da anticorpi, antigeni, microrganismi, oligonucleotidi, metaboliti, proteine, ioni e gas. Il mediatore biologico, invece, può essere rappresentato da microrganismi, anticorpi, antigeni, recettori, tessuti, oligonucleotidi, in grado di interagire con l’analita o da enzimi che instaurano la reazione biocatalitica. I ligandi maggiormente impiegati sono gli anticorpi poiché hanno un’elevata specificità, versatilità e capacità di formare legami forti e stabili con l’antigene e si parla a questo proposito di immunosensori. Il trasduttore di segnale, infine, può essere di diverso tipo (tabella 14)

(Rasooly e Herold, 2009).

Tabella 14: tipologie di trasduttori.

Trasduttore Segnale

Elettrochimico Intensità di corrente, potenziale, conducibilità

Ottico Assorbanza

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35

Acustico Frequenza

Piezoelettrico Frequenza di vibrazione

Esistono svariate tipologie di biosensori e la scelta del dispositivo dipende da vari fattori come la sensibilità ricercata, le molecole di riconoscimento da impiegare, il costo e la rapidità richiesta per l’analisi.

I biosensori possono essere distinti in due categorie: biosensori a riconoscimento diretto o indiretto (Rasooly e Herold, 2009).

Figura 10: rappresentazione schematica dei biosensori a riconoscimento diretto (A) e indiretto (B) (Rasooly e Herold, 2009).

Come si nota dalla figura 10, i biosensori a riconoscimento diretto sono in grado di misurare direttamente l’interazione biologica. Infatti rilevano le variazioni di tipo fisico (cambiamenti nelle proprietà ottiche, elettriche o meccaniche) conseguenti all’interazione biologica senza necessitare di molecole di riconoscimento (labeled molecule) che si legano alla molecola target. I biosensori a riconoscimento indiretto, invece, hanno bisogno di molecole di riconoscimento, come enzimi o anticorpi marcati con fluorescenza, che interagiscano con la sostanza di interesse (Rasooly e Herold, 2009).

I biosensori sono dispositivi che hanno numerosi vantaggi rispetto alle altre tecniche analitiche. I principali sono la flessibilità, la rapidità di analisi e la capacità di fornire i risultati in tempo reale. I punti chiave, quindi, dell’impiego di questi dispositivi possono essere riassunti nei seguenti:

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36

- analisi rapide e in tempo reale: i biosensori mettono a diposizione informazioni in tempo reale sui campioni in esame

- rilevazioni decentrate: i biosensori possono essere usati anche per analisi in situ - analisi a flusso continuo: i biosensori recano benefici nel monitoraggio della

produzione alimentare, qualità dell’aria e approvvigionamenti idrici

- miniaturizzazione: i biosensori possono essere miniaturizzati ed incorporati in dispositivi Lab-on-a-chip

- controllo e automazione: i biosensori possono fornire informazioni in tempo reale relativamente a parametri legati ad una singola o più fasi di un processo produttivo

(Rasooly e Herold, 2009).

Relativamente alle micotossine, i biosensori vengono impiegati per la loro rapidità, economicità, riproducibilità, accuratezza e poiché permettono analisi in situ (Pirinçci et

al., 2018; Slaughter et al., 2018).

I trasduttori principalmente usati per il rilevamento delle micotossine sono ottici (a risonanza plasmonica di superficie SPR e a fluorescenza), piezoelettrici (QCM, quarz crystal microbalance) ed elettrochimici (impedimetrici, potenziometrici e amperometrici)

(Tothill, 2011; Schulz et al., 2019). Recentemente sono stati introdotti materiali come

nanoparticelle metalliche, nanotubi di carbonio e nanofibre per aumentare la sensibiltà dei dispositivi (Agriopoulou et al., 2020).

1.7.1.1 Biosensori elettrochimici

(38)

37

I biosensori elettrochimici sono usati per l’analisi di un vasto range di sostanze chimiche poiché hanno un’elevata sensibilità e accuratezza nei confronti dell’analita target (Mishra

et al., 2018). Sono costituiti da un trasduttore elettrochimico (elettrodo) e possono essere

di 3 tipi: impedimetrici, potenziometrici e amperometrici/voltammetrici (Agriopoulou et

al., 2020).

I biosensori impedimetrici sono costituiti da tre elettrodi (lavoro, riferimento e ausiliario) e sono usati con buoni risultati per il rilevamento di AFB1, AFM1, OTA e PAT (Yagati

et al., 2018; Nan et al., 2019; Karczmarczyk et al., 2017; Khan et al., 2019).I vantaggi

che possiede questa tipologia di biosensori sono elevata sensibilità e selettività, rapidità di risposta, miniaturizzazione mentre gli svantaggi sono l’elevato costo e la laboriosa fabbricazione (Oliveira et al., 2019; Nan et al., 2019; Vidal et al., 2013).

I biosensori potenziometrici sono costituiti da due (lavoro e riferimento) o tre elettrodi (lavoro, riferimento e ausiliario) e si basano sulla variazione di potenziale tra l’elettrodo di lavoro e quello di riferimento (Perumal et al., 2014). Permettono di ottenere importanti risultati per AFB1, OTA, PAT e ZEN. Come vantaggi hanno tempi ridotti di analisi, miniaturizzazione, alta sensibilità e selettività e non necessitano del pretrattamento dei campioni. Tra gli svantaggi è compresa l’influenza di fattori come la temperatura e pH sulla sensibilità e durata del sensore (Xiang et al., 2018; Vidal et al., 2013, Rameil et al.,

2013).

I biosensori amperometrici/voltammetrici sono costituiti da due (lavoro e riferimento) o da tre elettrodi (lavoro, riferimento e ausiliario) e misurano la variazione di corrente

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generata da specie elettroattive tra l’elettrodo di lavoro e di riferimento. “Questa variazione di corrente è linearmente correlata alla variazione della concentrazione della specie che si sta misurando” (Palleschi, 1989) ed è generata in seguito ad un potenziale applicato tra l’elettrodo di lavoro e riferimento. Se la differenza di potenziale è variabile si parla di sensori voltammetrici altrimenti se è costante di sensori amperometrici. Le micotossine che riescono a rilevare sono HT-2, T-2, AFM1, OTA e ZEN. I vantaggi sono la miniaturizzazione, l’elevata sensibilità e selettività e tra gli svantaggi abbiamo il rinnovamento necessario dopo ogni misura (Vidal et al., 2013).

Gli elettrodi che costituiscono i biosensori possono essere convenzionali oppure screen-printed o microelettrodi. In particolare la necessità di avere a disposizione biosensori elettrochimici sempre più di basso costo, monouso e con elevata sensibilità nei confronti delle micotossine ha portato all’introduzione di biosensori con elettrodi screen-printed.

1.7.1.2 Biosensori per il rilevamento dell’OTA

In letteratura sono presenti numerosi studi riguardanti il rilevamento e la quantificazione dell’OTA in matrici biologiche con l’utilizzo di biosensori. I dispositivi spesso sono costituiti da elettrodi screen-printed poiché possiedono numerosi vantaggi tra cui il basso costo, il fatto di essere monouso e la riduzione dell’accumulo superficiale.

Alonso-Lomillo e collaboratori in uno studio del 2010 hanno presentato un biosensore

enzimatico per la quantificazione dell’OTA in matrici sintetiche ma anche per studiare il suo comportamento elettrochimico. Era costituito da un enzima, perossidasi di rafano (HRP), immobilizzato sull’elettrodo di lavoro screen-printed in carbonio modificato con polipirrolo (PPy).

Nel 2018 Xiang e collaboratori hanno introdotto un nanosensore con elettrodo di lavoro in carbonio vetroso (GCE) modificato con fosforene per la quantificazione dell’OTA. Questo biosensore ha dimostrato avere elevata stabilità e sensibilità nei confronti dell’OTA.

Anche Yola e collaboratori (2016) prima hanno pubblicato uno studio relativo ad un nanosensore per determinare l’OTA in matrici biologiche in particolare succo d’uva e vino. Il sensore era costituito da un elettrodo di lavoro in GCE modificato con ossido di grafene (GO) e funzionalizzato con poliossimetilene (POM). Questo biosensore ha mostrato elevata sensibilità e stabilità.

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Per l’analisi dell’OTA, inoltre, sono stati studiati anche biosensori MIP e immunosensori.

Nel primo caso possiamo citare lo studio di Pacheco e collaboratori del 2015 che riguardava l’utilizzo di un biosensore costituito da un elettrodo di lavoro in GCE modificato con nanotubi in carbonio (MWCNTs) e polimerizzato con polipirrolo. I risultati ottenuti hanno dimostrato la buona selettività e riproducibilità del sensore nella quantificazione dell’OTA in vino e birra.

Tra gli studi sugli immunosensori possiamo citare quello di Heurich e collaboratori del 2011. Hanno sviluppato un sensore costituito da un elettrodo di lavoro d’oro screen-printed modificato con destrano carbossimetilato (CDM) per la quantificazione dell’OTA nel vino. Sulla sua superficie è stata immobilizzata la forma coniugata dell’OTA per l’applicazione della tecnica ELISA competitiva indiretta. I risultati ottenuti hanno mostrato un’elevata sensibilità di questo sensore che, quindi, costituiva un dispositivo idoneo per la determinazione dell’OTA nel vino.

Infine un altro studio rilevante riguardante la messa a punto di un immunosensore è quello di Alarcon e collaboratori del 2006. Anche loro hanno basato l’analisi sulla tecnica ELISA competitiva per quantificare l’OTA in campioni di grano e in particolare hanno visto che l’ELISA competitiva diretta era quella più adatta per raggiungere buoni risultati. Il biosensore era costituito da elettrodi screen-printed e in particolare quello di lavoro era in grafite. Questo dispositivo ha mostrato avere una buona sensibilità e i dati ottenuti erano simili a quelli ricavati dall’HPLC.

Voltammetria

La voltammetria è definita come “la tecnica di analisi basata sulla misura della corrente che passa attraverso un elettrodo immerso in una soluzione contenente specie chimiche elettroattive (che si possono cioè ossidare o ridurre) quando questo è sottoposto ad una variazione di potenziale”. Tale elettrodo è definito elettrodo di lavoro e può essere realizzato con differenti materiali. Infatti può essere solido (in oro, platino o grafite vetrosa) o costituito da una goccia di mercurio pendente da un capillare (polarografia)

(Protti, 2001). In particolare i metodi elettroanalitici che nell’insieme sono definiti con il

termine voltammetria analizzano “il segnale in condizioni che promuovono la polarizzazione di un elettrodo di piccole dimensioni o elettrodo di lavoro”. La

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polarizzazione stessa, infatti, è favorita dalla ridotta area superficiale di tale elettrodo (nell’ordine di pochi millimetri quadrati) (Skoog e West, 2015).

Sono svariati i campi di applicazione di questa tecnica analitica. Tuttavia uno dei più importanti è “la determinazione quantitativa di specie chimiche in soluzione che abbiano la possibilità di essere ossidate o ridotte a livelli a volte inferiori ai / ”(Protti, 2001). Una delle caratteristiche peculiari della voltammetria è il consumo minimo dell’analita di interesse (Skoog e West, 2015).

La voltammetria differisce dalle altre tecniche elettroanalitiche come la coulometria, amperometria, potenziometria e polarografia:

- coulometria: tecnica che si basa “sulla misura della quantità di carica elettrica richiesta per trasformare quantitativamente un analita in un diverso stato di ossidazione”. È generalmente rapida e minimizza la polarizzazione di concentrazione mentre la voltammetria si basa sulla totale polarizzazione di concentrazione. Inoltre l’analita viene consumato in quanto reagisce con l’elettrodo di lavoro

- amperometria: tecnica che misura a potenziale costante la corrente proporzionale alla concentrazione dell’analita in esame

- potenziometria: tecnica che misura il potenziale in condizioni trascurabili di corrente

- polarografia: tecnica che ha lo stesso funzionamento della tecnica voltammetrica ma vi differisce per l’impiego di un elettrodo di lavoro a gocciolamento di mercurio, DME (Skoog e West, 2015).

1.7.2.1 La corrente e il potenziale in voltammetria

Le tecniche voltammetriche misurano la corrente che passa attraverso l’elettrodo di lavoro al quale è applicato un potenziale variato sistematicamente. Queste variazioni di potenziale (segnali di eccitazione) portano alla formazione di una corrente caratteristica che viene misurata. I segnali di eccitazione maggiormente impiegati rientrano nella voltammetria a scansione lineare (LSV), ciclica (CV), differenziale ad impulsi (DPV) e ad onda quadra (SWV) (Skoog e West, 2015).

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41 1.7.2.2 Strumentazione per la voltammetria

Lo strumento che effettua le misurazioni voltammetriche è costituito da: cella di misura di vetro o teflon, circuito potenziostatico e PC con software (Protti, 2001).

Nella cella di misura sono presenti 3 elettrodi immersi una soluzione contenente l’analita e l’elettrolita di supporto. I tre elettrodi sono:

- elettrodo di lavoro: il suo potenziale viene variato rispetto a quello dell’elettrodo di riferimento. Le sue dimensioni sono ridotte per favorire la polarizzazione

(Skoog e West, 2015). È costituito da un elettrodo solido oppure da un capillare

collegato ad una riserva di mercurio. Esistono varie tipologie di elettrodi di lavoro che differiscono per il materiale con cui sono realizzati e per la forma. Gli elettrodi maggiormente impiegati in voltammetria sono: elettrodo a mercurio, d’oro, di platino e grafite vetrosa (Protti, 2001)

- elettrodo di riferimento: normalmente realizzato in Ag/ AgCl, KCl

- contro-elettrodo (elettrodo ausiliario): è costituito da un filo di platino all’interno di un cilindro di teflon (Protti, 2001).

La corrente generata e misurata passa tra l’elettrodo di lavoro e il contro-elettrodo.

L’elettrolita di supporto è aggiunto alla soluzione contenente l’analita con l’obiettivo di ridurre il processo di migrazione. Questo perché affinché avvenga il passaggio di corrente attraverso l’elettrodo occorre che la specie chimica elettroattiva in esame si muova per raggiungerlo. I tre meccanismi attraverso i quali una specie chimica si può muovere in soluzione sono: migrazione, convezione e diffusione. Siccome solo la diffusione è correlata con la concentrazione della specie elettroattiva che si scarica allora occorre fare in modo che essa si muova principalmente con tale meccanismo. Dunque è necessario limitare sia la convenzione, mantenendo la temperatura della soluzione costante, che la migrazione, usando l’elettrolita di supporto. Esso generalmente è un sale ma può essere anche un acido, una base o un tampone in grado di schermare l’elettrodo. Infatti l’elettrolita di supporto non si scarica nelle condizioni analitiche utilizzate ed essendo costituito da molecole con la stessa carica dell’analita permette di ridurre l’attrazione elettrostatica verso quest’ultimo (Protti, 2001).

Figura 12: schematizzazione della migrazione (1), convezione (2) e diffusione (3) (Protti,

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