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Test genetici predittivi diretti al consumatore (DTC): conoscenza e percezione in un campione di professionisti in ambito sanitario.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare

e dell’area critica

Corso di Laurea Magistrale in

Psicologia clinica e della salute

TESI DI LAUREA

Test genetici diretti al consumatore (DTC):

conoscenza e percezione in un campione

di professionisti in ambito sanitario

Relatore

Prof.ssa Lucia Migliore

Candidato

Elena Barsella

Anno Accademico

2017-2018

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INDICE

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO 1

“I TEST GENETICI PREDITTIVI”

1.1 Test genetici predittivi (PGT) 5

1.2 Test genetici predittivi diretti al consumatore (DTC) 9

1.3 Il caso 23 and ME 15

CAPITOLO 2

“TEST GENETICI PREDITTIVI, ASPETTI ETICO GIURIDICI” 2.1 Percezione e conoscenza dei test genetici predittivi (DTC) 22 2.2 Effetti Psicologici dei Test Genetici predittivi (DTC) 29 2.3 Privacy e Consenso Informato

-a) Regolamentazione dati genetici 36 - b) Consenso informato 39

2.4 Biobanche 44

CAPITOLO 3

“CONOSCENZA E PERCEZIONE DEI TEST GENETICI DTC IN PROFESSIONISTI DELLA SALUTE”

3.1 Scopo della tesi 49

3.2 Materiali e Metodi 51 3.3 Risultati 53 3.4 Discussione 65 CAPITOLO 4 Conclusioni 67 Allegato1 68 Allegato 2 73 BIBLIOGRAFIA 85 SITOLOGIA 90

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INTRODUZIONE

“La mappa del genoma umano è solo la fine dell’inizio”

Francis Collins (Direttore del Progetto Genoma Umano)

Il nostro corpo è composto da milioni di cellule che contengono un corredo completo di geni.

I geni forniscono le istruzioni della nostra crescita, per il funzionamento del nostro organismo e sono responsabili dei nostri caratteri, come il colore degli occhi, il gruppo sanguigno o l’altezza.

Il patrimonio genetico è racchiuso nei cromosomi. Nell’uomo ogni cellula contiene nel nucleo 23 coppie di omologhi, ovvero 46 cromosomi. Un membro di ciascuna coppia è di origine paterna e l’altro di origine materna. Alterazioni ereditabili a carico di uno o più geni possono determinare un fenotipo patologico. Alcuni disturbi possono essere già presenti alla nascita, mentre altri si manifestano con il passare degli anni (Consiglio d’Europa, 2012).

Dagli anni ’60 si sono sviluppati in molti Paesi servizi genetici per tradurre le nuove scoperte scientifiche sul DNA in servizi clinici.

Negli anni ’80 si sono aggiunti i test genetici. Fino a pochi anni fa questi test erano forniti dall’assistenza sanitaria, i pazienti venivano precedentemente visitati da genetisti clinici, ed erano disponibili solo per poche malattie.

Dopo il 2001, con il completamento della mappatura dell’intero genoma umano attraverso lo Human Genome Project l’analisi genomica si è sviluppata rapidamente mettendo a disposizione un crescente ed incontrollato numero di test genetici per patologie non solo monogeniche, come in passato, ma anche complesse, assumendo un ruolo sempre più rilevante per il progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria (Strachan, 2016).

Disturbi monogenici risultano dalla mutazione di un singolo gene e possono essere trasmessi alle generazioni successive con varie modalità (autosomica dominante, autosomica recessiva, X-linked) (Jonas, 2012).

I disturbi poligenici e multifattoriali invece, risultanti dall’azione combinata di più di un gene, non sono ereditabili secondo i semplici schemi mendeliani (Jonas, 2012).

Dunque, con il sequenziamento e la pubblicazione del genoma di alcuni soggetti autorevoli, come James Watson (che nel 1953 caratterizzò la struttura della doppia

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elica insieme al collega Crick) e Craig Venter (coordinatore assieme a F. Collins del Progetto Genoma) ha preso il via l’era della Medicina personalizzata (Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze per la vita (CNBB), 2010).

La realizzazione dello Human Genome Project, finalizzato alla mappatura dell’intero patrimonio genetico umano, ha generato la nascita di nuova branca della scienza in grado di definire le probabilità che una determinata patologia ha di manifestarsi, con la peculiarità fondamentale di poter predire l’insorgenza di una malattia, prima che questa si manifesti, attraverso l’esame delle caratteristiche genetiche (Bresciani, 2000).

Il potenziale impatto predittivo derivato dai progressi in genomica, ha introdotto una nuova categoria all’interno della medicina: gli unpatiens, ovvero i non pazienti. Queste persone non presentano i sintomi classici della malattia ma condividono la predisposizione a livello genetico (CNB e CNBB, 2010).

Perciò “mentre la rivoluzione nel sequenziamento del genoma[..] ci avvicina sempre più ad una medicina sempre più personalizzata, stanno diventando disponibili test genetici venduti direttamente al consumatore (DTC, da Direct-To-Consumer Testing)” (STRACHAN, 2016).

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CAPITOLO PRIMO

1.1 Predictive Genetic Test (PGT)

“Le malattie complesse sono patologie comuni causate dall’interazione tra fattori genetici e ambientali. La principale differenza tra malattie complesse e quelle monogeniche (mendeliane) consiste nel fatto che nelle malattie mendeliane l’alterazione di un gene è prerequisito essenziale e di solito sufficiente per sviluppare la patologia, anche se l’effetto della mutazione può essere modulato dalla variabilità di altri geni o da fattori ambientali e stili di vita. Nelle malattie complesse, invece, il rischio di malattia non è riconducibile alla mutazione di un singolo gene ma a più geni e/o numerose e polimorfe variazioni della sequenza del genoma, le quali, interagendo fra loro e con fattori ambientali, aumentano il rischio di sviluppare la malattia” (GENISAP, 2011).

Nel nuovo millennio, dunque, con il rapido sviluppo della genomica e della genetica molecolare, l’analisi genetica ha assunto una posizione di rilievo per il progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria mettendo a disposizione un crescente numero di test genetici per patologie non solo monogeniche ma anche complesse (Tonutti, 2016).

Harper nel ’97 definisce i test genetici come “le analisi di specifici geni, del loro prodotto o della loro funzione, nonché di ogni altro tipo di indagine del DNA, dell’RNA o dei cromosomi, finalizzati ad individuare o ad escludere mutazioni associate a patologie genetiche” (GENISAP, 2011).

Nel 2009 la Human Genetic Commission britannica ha stabilito che costituiscono test genetico le” analisi rivolte ad individuare la presenza, l’assenza o la mutazione di un particolare gene, di un cromosoma, di un prodotto di un gene o di un metabolita, che sono indicative di una specifica modificazione genetica” (CNB e CNBB, 2010).

Il Garante della Privacy nel 2011, revisionando l’Autorizzazione dei dati genetici, specifica nell’art.1 che il “test genetico, consiste nell’analisi a scopo clinico di uno specifico gene o del suo prodotto o funzione o di altre parti di DNA o di un cromosoma, volta ad effettuare una diagnosi o a confermare un sospetto clinico in un individuo affetto (Test Diagnostico), oppure ad individuare o ad escludere la

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presenza di una mutazione associata ad una malattia genetica che possa svilupparsi in un individuo non affetto (Test Presintomatico) o, ancora, a valutare la maggiore o minore suscettibilità di un individuo a sviluppare malattie multifattoriali (Test Predittivo o di Suscettibilità)” (GENISAP, 2011).

Esistono diverse tipologie di test genetici e vengono classificati sia livello nazionale, che internazionale in:

 “Test diagnostici, finalizzati ad effettuare una diagnosi o confermare, in una persona affetta, un sospetto clinico;

 Test di identificazione dei portatori sani, finalizzati a individuare mutazioni comuni in specifici gruppi etnici, attraverso screening di popolazione (anche in epoca neonatale), oppure a svolgere indagini “a cascata” sui familiari a rischio di soggetti affetti da patologie genetiche in cui sia(no) stata(e) individuata(e) la (e) mutazione(i) causale(i);

 Test preclinici o presintomatici, finalizzati ad identificare mutazioni responsabili di malattie genetiche, i cui sintomi non presenti alla nascita, compaiono (nel 100% dei casi) in epoche più tardive della vita;

 Test predittivi o di suscettibilità, finalizzati ad individuare i genotipi che di per sé non causano una malattia, ma comportano un aumento di rischio di svilupparla in seguito all’esposizione a fattori ambientali favorevoli o alla presenza di altri fattori genetici scatenanti. Rientra in questo ambito la maggior parte delle malattie multifattoriali dell’adulto. È perciò importante stabilire il valore predittivo del test utilizzato. Il risultato del test genetico può solo evidenziare un rischio aumentato o diminuito di contrarre una malattia, rispetto alla popolazione;

 Test per lo studio della variabilità individuale, finalizzati all’analisi di una serie di regioni polimorfe del DNA (cioè differenti tra gli individui), per definire un rapporto di consanguineità o per attribuire una traccia biologica ad una specifica persona. Questi test sono utili per verificare i rapporti di paternità, negli studi linkage, nello studio dei trapianti [..] e trovano applicazioni anche in ambito forense. Nell’ambito di questo gruppo di test vengono inclusi anche i “test ancestrali” finalizzati a stabilire i rapporti genetici di una persona con gli eventuali antenati;

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 Test farmacogenetici, finalizzati all’identificazione di variazioni di sequenza del DNA, in grado di predire la risposta “individuale” ai farmaci in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi” (GENISAP, 2011).

Il Comitato Nazionale di Bioetica su tale materia afferma che questi test hanno caratteristiche peculiari per quanto concerne le indagini medico-scientifiche. Possono, infatti, predire il rischio di insorgenza di future patologie e i loro risultati possono dare informazioni genetiche sullo stato di salute dei familiari biologici del soggetto che si è sottoposto al test. Spesso, nei soggetti in cui è stato confermato un rischio di malattia può presentarsi stress psicologico, oppure essere conseguenza di discriminazioni socio-lavorative e sanitarie (CNB, 1999).

In aggiunta a quelli sopra elencati esiste, inoltre, una tipologia di test per identificare i geni responsabili dell’aumento di rischio dei tumori familiari (vedi ad esempio il carcinoma alla mammella o la poliposi adenomatosa familiare del colon) che hanno caratteristiche appartenenti in parte al gruppo dei test presintomatici ed in parte elementi propri del gruppo di test predittivi.

Nei soggetti che presentano il rischio di malattia la probabilità di manifestarla è così elevata da equipararla a quella evidenziata dai test presintomatici, al contempo, però, l’incertezza sull’età di insorgenza e la possibilità di adottare trattamenti e strategie protettive li accomuna ai test predittivi (Stuppia, 2015). Le nuove tecnologie applicate allo studio del genoma umano ed i recenti studi sulla relazione tra i differenti stili di vita, fattori ambientali e genotipo individuale, hanno fornito nuovi test genetici la cui validità, attendibilità e utilità è ancora da valutare.

Questi recenti test sono: Test su comportamenti e stili di vita, Test nutrigenetici e Test fenotipici (GENISAP, 2011).

In questo elaborato si prendono in considerazione i test genetici predittivi (PGT). Come affermato in precedenza, i test genetici predittivi di suscettibilità indicano l’aumentato rischio soggettivo rispetto alla popolazione generale di sviluppare una serie di patologie da parte di coloro che posseggono alcuni genotipi; ma questa maggior probabilità di malattia non è rappresentativa di certezza di malattia. (Stuppia, 2015).

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Trattandosi di malattie multifattoriali l’aumentata probabilità della persona di sviluppare una patologia è risultante dall’effetto congiunto di alcune varianti genetiche nel proprio DNA e vari fattori ambientali.

La componente genetica spiega alcune “aggregazioni familiari” di una patologia che si presenta con più frequenza all’interno di una stessa famiglia (rispetto alla popolazione generale) in virtù della più probabile condivisione di varianti geniche. Spesso, però, i membri di un medesimo nucleo familiare condividono anche fattori ambientali come l’alimentazione, la sedentarietà, il fumo, lo stress. Tutti questi fattori, però, possono non presentarsi insieme e lo stile di vita può cambiare laddove, al contrario, il profilo genetico rimane immutabile per tutta l’esistenza.

Ecco, quindi, che possono presentarsi “individui che fumano e sono molto stressati ma che curano l’alimentazione (prestano attenzione ad un’alimentazione sana), o altri che non fumano ma consumano cibi troppi grassi e son sedentari.” È, dunque, evidente che “quanto più un soggetto presenta un alto rischio genetico, tanto più dovrebbe curare lo stile di vita, per abbassare il rischio finale” (Stuppia, 2015).

Purtroppo alle volte questo non avviene. Il test genetico predittivo viene visto, a causa anche dell’errata informazione che ne forniscono i mass media, come una sorte ineluttabile, come una spada di Damocle pronta a cadere senza che i cambiamenti di stile di vita nulla possano.

Questa scorretta interpretazione dei test genetici predittivi, ha permesso ad alcune compagnie senza scrupoli di commercializzare esami genetici promettendo di fornire dati “sul rischio individuale di ogni malattia, da quelle più gravi (diabete, cancro, Alzheimer, infarto) alle più trascurabili ( cellulite, calvizie, inestetismi)” creando una visione riduzionista e altamente rischiosa di questo strumento, nonostante esperti del settore si siano ripetutamente spesi nel raccomandare cautela nell’uso di tali test (Stuppia, 2015).

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1.2 Test genetici predittivi diretti al consumatore (Direct-To-Consumer, DTC)

I test genetici, fino a pochi anni fa, erano tradizionalmente forniti dall’assistenza sanitaria pubblica dopo un’attenta valutazione e prescrizione da parte di genetisti clinici. Questi strumenti erano disponibili solo per poche malattie ed avevano costi elevati. I processi tecnologici moderni hanno permesso di aumentare il numero dei geni bersaglio da analizzare consentendone lo studio anche “in parallelo” facendo così diminuire i costi dei test. Gli studi di associazione genome-wide (Genome-Wide Association Studies, GWAS), ad esempio, basandosi sull’esame di centinaia di migliaia di varianti geniche in numerosi studi casi-controllo e rilevando associazioni con malattie genetiche, hanno aumentato le nostre conoscenze su queste varianti. Alcune di queste conferiscono un rischio di suscettibilità a malattie complesse diffuse nelle popolazioni.

Anche le metodologie di raccolta dei campioni sono progredite. É infatti necessaria solo una piccola quantità di saliva o sangue da cui estrarre il patrimonio genetico, e questo ha consentito una gestione domiciliare più autonoma della raccolta di campioni attraverso un semplice kit ordinato online. Tutto questo ha contribuito al quadro odierno in materia di test genomici permettendo un decentramento di questi servizi genetici, offerti non più solo dalla sanità pubblica, ma anche da società private (Strachan, 2016).

In questa panoramica evoluzionista si aggiunge anche la rapida espansione di internet (solo in U.S.A. si è passati dal 18% di accesso domestico al web nel 1997 all’80% nel 2009) con vendite di prodotti on-line e diffusione d’informazioni genetiche sul web (Mc Bride, 2010).

Nel 2007, alcune società americane hanno iniziato a commercializzare test genomici direttamente al consumatore. Gli utenti possono acquistare online da un’azienda di genomica personale il kit per il test.

L’approccio è comune a tutte le società e può essere riassunto in cinque fasi (vedi Fig.1):

1. fornire il consenso per il trattamento dei dati personali e fare l‘ordine online del kit,

2. ricevere il kit al domicilio del cliente per la raccolta di un campione di saliva,

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4. estrarre dal campione ed analizzare il DNA da parte della compagnia fornitrice (principalmente con un chip che analizza SNP),

5. produrre risultati genetici online al cliente tramite accesso remoto personalizzato (dopo 6-8settimane circa).

Fig. 1 Servizio di test genetico DTC (Stoeklè, 2016).

La genetica DTC dunque, si riferisce a test venduti direttamente agli utenti su siti web, in TV, o in altre sedi di marketing senza coinvolgere operatori sanitari (Pascal Su, 2013). La figura del consulente genetico, presente nei servizi forniti dalla sanità pubblica, non è contemplata ed il soggetto si trova solo e, spesso impreparato, a valutare ed interpretare i risultati dei test (Strachan, 2016).

Pascal Su, in un suo lavoro di ricerca nel 2013, evidenzia i principali motivi per cui le persone fanno uso di test DTC, classificandoli in tre gruppi.

Il primo gruppo comprende i test genetici che analizzano DNA mitocondriale (contributo materno), cromosoma Y (contributo paterno) e marcatori autosomici al fine di stabilire ascendenza, paternità ed etnia. Questa tendenza, secondo alcuni filosofi, rispecchia la moderna ricerca di un’identità in mondo pluralista: chi sono lo stabilisco attraverso i miei geni.

Un secondo raggruppamento di test studia geni specifici correlati a malattie precise, ad esempio BRCA1-2 associati a cancro mammario e ovarico. Questi sono strumenti principalmente adoperati dai medici e rappresentano un’area molto contestata a causa di una regolamentazione molto carente. Gli esiti di questi test possono influenzare fortemente le scelte di salute degli utenti (ad es. la scelta attuata dall’attrice Angelina Jolie che dopo aver appreso dai risultati del test genetico di essere portatrice sana della mutazione BRCA1, che presenta una penetranza incompleta, e di correre un rischio pari elevato di sviluppare cancro al

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seno ed un tumore ovarico, ha deciso di sottoporsi a doppia mastectomia ed asportazione ovaie).

Infine un ultimo blocco è costituito da analisi genetiche DTC consultate per migliorare il proprio stile di vita (Pascal Su, 2013).

I consumatori che fanno uso di questi test sono spinti per lo più dalla curiosità di scoprire le proprie possibilità future a sviluppare una malattia comune. Purtroppo ci sono scarse evidenze scientifiche che mostrano validità e utilità clinica di questo gruppo di test.

Da quando i test genetici sono risultati disponibili sul mercato, sono state sollevate diverse perplessità, tanto che in Germania, ne hanno vietato l’uso. In altri Paesi, come negli Stati Uniti, le società produttrici di test DTC sono state aspramente criticate di fornire false affermazioni e di vendere dispositivi medici senza adeguata supervisione regolamentare (Cautfield, 2012).

La maggior parte dei test genetici DTC si basano, come accennato in precedenza, su studi di associazione GWAS che tipicamente indagano polimorfismi a singolo nucleotide (SNP). Lo scopo di queste associazioni è identificare una correlazione tra una particolare variante genetica SNP e una particolare patologia. Queste correlazioni rispondono solo di una percentuale molto piccola di malattie (1-3% circa) nella popolazione.

L’utilità clinica dei test genetici diretti al consumatore, dunque, ha serie limitazioni cliniche poiché i loro risultati forniscono un ridotto rischio di malattia in quanto i marcatori esaminati rappresentano solo una porzione molto piccola di tutti i portatori di malattia (Eng e Sharp, 2010).

Numerosi sono stati i dibattiti su benefici e danni attribuibili a test genetici DTC. I sostenitori di questi test affermano che l’accesso diretto alle informazioni genetiche personali preserva l’autonomia e l’autodeterminazione del soggetto. La legge americana GINA del 2008, protegge i consumatori da eventuali atti discriminatori provenienti da assicurazioni sanitarie e datori di lavoro, basati sui dati genetici della popolazione. La disponibilità di test genetici diretti al consumatore consente al soggetto di controllare chi può accedere alle proprie informazioni genetiche senza la preoccupazione dell’impatto che i propri dati possano avere sulla propria assicurazione sanitaria e sul proprio lavoro.

Alcuni affermano che la conoscenza dei rischi di malattia porti i consumatori ad apportare cambiamenti verso stili di vita più salutari che riducano la probabilità di

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sviluppare un determinato tipo di disturbo e addirittura possano, con scelte sanitarie preventive e salutari, ridurre anche i costi dell’assistenza sanitaria (Pascal Su, 2013). Tuttavia alcuni medici credono che questo tipo di test diretto al consumatore possa causare un aumento della spesa del sistema sanitario pubblico inducendo le persone ad un uso inappropriato dei servizi medici (esami ed altro, non necessari) e a richiedere consulenza a medici e genetisti per una interpretazione dei risultati del test. Il rischio di questi test risiede nel fatto che i consumatori potrebbero interpretare erroneamente il significato dei risultati. Nello specifico, coloro che ricevono una risposta negativa di rischio, potrebbero sentirsi protetti dall’insorgenza di patologie future e scegliere di non ridurre fattori di rischio comportamentali; mentre tutti coloro ritenuti portatori di varianti geniche di rischio, potrebbero presentare risposte psicologiche negative, divenire fatalisti (tutto dipende dai geni) e non impegnarsi nel diminuire eventuali conseguenze negative sulla salute.

Questo graverebbe sulle spese della sanità pubblica e potrebbe anche implicare la richiesta di ulteriori accertamenti medici da parte di soggetti che non ne hanno necessità. Preoccupazioni e dubbi sorgono soprattutto riguardo alla richiesta di appropriatezza del prodotto proposto da queste aziende online al cliente, laddove gli utenti non hanno strumenti per compiere questa valutazione mancando prove empiriche a sostegno della validità e utilità clinica di questi test. Questo dubbio, inoltre, è esacerbato dal timore che il test genetico DTC venga utilizzato per promuovere altri prodotti per la salute, come quelli nutrizionali, con il rischio che il consumatore possa essere persuaso ad usare prodotti non testati senza benefici per la salute e potenzialmente dannosi.

In Europa, infatti, con il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo, (Additional protocol to the Convention on Human Rights and Biomedicine concerning Genetic Teasting for Health Purposes) nell’art. 6 si ribadisce che per fornire un test genetico in sanità pubblica sia necessaria un’accertata validità ed utilità clinica e che sia accompagnata dal consenso scritto, libero, informato dell’interessato (CNB e CNBB, 2010).

Numerose sono anche le riserve sulla tutela delle informazioni (privacy) da parte delle politiche societarie che forniscono i test. I consumatori possono desumere in modo errato che le regole tradizionali di riservatezza esistenti nella relazione medico – paziente si applichino anche alle società produttrici di test DTC.

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Questo potrebbe dare un falso senso di sicurezza agli utenti dei test genetici ad personam poiché non esiste nessuna regolamentazione standard applicabile alle aziende che forniscono questi servizi per quanto riguarda raccolte ed archiviazioni di campioni e dati personali. L’American Society of Human Genetics, ad esempio, nel 2007 ha evidenziato che “le aziende di test DTC non sono necessariamente soggette alle normative sulla privacy della salute emanate dalla Health Insurance Portability and Accontability (HIPAA), lasciando i consumatori a rischio di avere le loro informazioni usate o divulgate in una maniera tale che non dovrebbe essere permessa nel sistema sanitario” (Caulfield, 2012).

La maggior parte delle aziende produttrici di test DTC sostengono che non condivideranno le informazioni genetiche confidenziali con terze parti senza consenso dei consumatori, ma queste politiche sono frequentemente autoimposte e la regolamentazione legislativa è molto carente (Pascal Su, 2013). Uno studio canadese del 2010 sulla tutela della privacy in 32 aziende produttrici di test DTC ha individuato significative variazioni nel modo in cui queste aziende trattano la protezione delle informazioni personali e dei campioni del DNA.

Attualmente non è ben chiaro il destino dei campioni e dei dati genetici se la società produttrice venisse venduta o fallisse. Ad esempio, in caso di vendita della società, il nuovo proprietario potrebbe non sentirsi vincolato da precedenti disposizioni di riservatezza oppure potrebbe risiedere in una giurisdizione meno severa rispetto alla protezione della privacy.

In caso di fallimento o malfunzionamento della società, come è accaduto nel 2009 alla DeCODE Genetics quando i beni dell’azienda sono stati venduti, le sorti delle informazioni altamente sensibili memorizzate nella biobanca dell’azienda hanno destato numerose preoccupazioni (Caulfield, 2012).

Anche il marketing, che dovrebbe garantire informazioni accurate e veritiere per una decisione informata, lascia perplessi. Nel 2006, in America, il Government Accontability Office (GAO) studiando una sottocategoria di DTC riguardante la nutrigenomica e la vendita di integratori ha riferito risultati e test fuorvianti, non significativi, clinicamente non provati. Anche nel 2010 questo ufficio, in seguito ad una seconda indagine, ha rilevato risultati “fuorvianti e di poco conto” in aziende come la 23andMe. La GAO, inoltre, ha anche scoperto che 10 su 15 società indagate avevano adoperato marketing discutibili, fraudolenti ed ingannevoli. Nel 2006, anche la Federal Trade Commission (FTC), responsabile

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della protezione dei consumatori, compresa la tutela contro la pubblicità ingannevole, ha avvertito i consumatori di interpretare i test genetici DTC con “una salutare dose di scetticismo” e “diffidare dalle affermazioni sui benefici che presumibilmente questi prodotti possono offrire”.

Molte aziende si sforzano di fornire informazioni accurate ed educative ai loro consumatori, ma purtroppo alcune società continuano ad utilizzare affermazioni false ed esagerate. Ciò lascia i consumatori vulnerabili ad affermazioni inesatte e non veritiere mettendo in luce la necessità di una regolamentazione di questi test anche sul piano del marketing (Caulfield, 2012).

Van El e Cornel hanno osservato: “è necessaria un’attenzione particolare per quanto riguarda la pubblicità dei test diretti al consumatore in modo che vengano garantite informazioni adeguate e veritiere sui test e sui possibili interventi” (Van El Cornel, 2011 cit. da Caulfield, 2012)

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1.3 Il caso 23andMe

Fino a non molto tempo fa, il sequenziamento del singolo genoma costava miliardi di dollari. Le nuove tecnologie più efficienti hanno permesso ad alcune società di analizzare moltissimi SNP in tutto il genoma per meno di 100 dollari. Il mercato dei test genetici DTC ha subito così una profonda trasformazione facendo emergere società private, come l’americana 23andMe, che forniscono questi servizi (Caulfield, 2012).

23andMe, fondata nel 2006 da Linda Avey e Anne Wojcicki, è una società specializzata nel settore delle biotecnologie, con sede a Mountain View, in California. Tra i 4 principali investitori di questa azienda compare GOOGLE (Stoekle, 2016). Questa impresa offre un ampio sevizio di test genetici DTC basati su l’analisi di SNP per determinare l’ascendenza, per identificare marcatori genetici associati a numerose malattie e condizioni mediche, per fornire informazioni di tratti non comuni (ad esempio il tipo di cerume dell’orecchio) (Zettler, 2014).

Su questi servizi è intervenuta a più riprese la FDA per regolamentarne la vendita. La riduzione dei costi di mercato dei prodotti di questa azienda (da 499 a 99 dollari), un marketing aggressivo che suggerisce alle persone decisioni sanitarie più informate e personalizzate (“vivere bene a qualsiasi età comprendendo i tuoi rischi per la salute”), l’ospitare celebrità come strategia di vendita e l’introduzione di social network che consentono ai clienti di connettersi a persone geneticamente simili a loro ha permesso che la vendita di prodotti al dettaglio di 23andMe fosse selezionata dalla rivista TIME nel 2008 come “invenzione dell’anno” (Caulfield, 2012).

I test genetici offerti seguono le fasi dei prodotti Direct-To-Consumer: ordine e consenso online, consegna a casa del kit, raccolta e spedizione del campione all’azienda, estrazione e sequenziamento del DNA, risultati genetici online con account web personalizzato (resi disponibili attraverso il loro account web personale protetto). Inoltre, i consumatori di questa società sono protetti dalla legge GINA (vedi par.2.3b.) che combatte le discriminazioni sulla base di informazioni genetiche.

Purtroppo, come già detto in precedenza, questo tipo di test vengono eseguiti senza alcuna prescrizione né supervisione medica sollevando dubbi di affidabilità

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in termini di veri e falsi positivi e negativi poiché questo non è convalidato come test per la salute.

Sul sito dell’azienda si trovano indicati due tipi di servizio fornito: in primo luogo ben illustrati sono i test genetici DTC (che prevedono la firma di un contratto commerciale), l’altro è costituito dalla partecipazione alla “23andMe Research” (che richiede la sottoscrizione del consenso informato). Quest’ultima prevede che i dati genetici personali, le informazioni sul comportamento sul web e le informazioni auto-segnalate siano utilizzate nel programma di ricerca aziendale volto a migliorare i servizi e offrire nuovi prodotti ai consumatori e si riferisce alla ricerca scientifica svolta da questa società, in collaborazione con terze parti per sviluppare le conoscenze in genetica e far progredire la ricerca. Nel momento in cui gli utenti volessero fornire i loro dati per fini di ricerca, essi devono sottoscrivere il consenso informato disponibile sul sito web come “servizio completo” e che prevede la richiesta di informazioni aggiuntive non previste per coloro che stipulano contratto solo per test DTC.

In questo modo l’azienda oltre a fornire ai suoi clienti i test genetici, può vendere anche i loro campioni che possono essere poi condivisi con terze parti a fini di ricerca, applicazioni commerciali, brevetti e licenze.

In questo senso la 23andMe si trova a fare da interfaccia tra persone che cercano l’analisi del loro patrimonio genetico e strutture che vogliono informazioni da questi utenti.

La strategia di mercato sopra elencata risponde alla” Piattaforma-Modello a due lati” (Fig.2).

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17 Fig.2. 23andMe, Piattaforma Modello a due lati. I flussi informativi relativi al consumatore e al suo corpo e al database sono mostrati in blu. I flussi di campioni biologici (saliva) e da e verso la biobanca sono indicati in verde (Stoekle, 2016).

Questa configurazione rende possibili scambi che altrimenti non si sarebbero verificati.

Con l’uso di questa strategia la società canadese ottiene campioni biologici e di DNA per la sua Biobanca (dove vengono conservati i campioni di saliva) e per una Banca dati, che non compare sul sito, che raccoglie le informazioni personali. La Biobanca ed il database costituiscono una grande risorsa per terze parti private o laboratori di ricerca pubblici: l’acquisizione di dati sul patrimonio genetico si sta rivelando la nuova miniera d’oro ed il DNA banking sta diventando un nuovo business che si stima nel 2030 possa avere un valore di mercato di circa 100 miliardi di dollari (Stoekle, 2016).

Quanto affermato evidenzia la necessità di proteggere le informazioni raccolte sul patrimonio genetico dei soggetti in modo tale che terzi possano adoperarle solamente dopo avere ottenuto il consenso del donatore e non possano in nessun modo essere strumentalizzate ed adoperate ai danni di colui che le ha fornite (vedi più avanti discriminazioni sul lavoro, di tipo assicurativo, ecc).

23andMe sostiene di voler raccogliere un gran numero di dati genetici nella sua biobanca per usarli e venderli ai fini della ricerca medica (che potrebbe portare anche a scoperte brevettabili). Tali usi sembrano ragionevoli se presentano il

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consenso dei consumatori; purtroppo questo consenso non è di facile attuazione (Annas, 2014).

Dal 2006 la 23andMe ha raccolto, con il servizio di analisi genetica on-line diretto al consumatore, un enorme quantità di campioni biologici, informazioni auto-riportate e documenti di consenso informato da circa più di 1.000.000 persone (il 90% delle quali ha acconsentito anche a partecipare alla ricerca scientifica). Questo gran numero di campioni la rende una delle biobanche e database di informazioni genetiche personali più grandi attualmente disponibili guidata da

scopi medico-scientifici, ma anche da imperativi aziendali (Stoeklè, 2016). Gli utenti che inviano i campioni non sono considerati come pazienti, ma sono

visti come consumatori che sottoscrivono un contratto commerciale e pagano per la fornitura di un servizio. Il consenso informato viene proposto telematicamente, senza alcuna consultazione né prescrizione medica o genetica individuale in luogo sanitario e senza quelle garanzie e protezione che tale ambiente riserva ai pazienti. Questo solleva una questione etica sull’autonomia dell’individuo e sul diritto di accedere ai propri dati genetici. In passato si è discusso in merito al conflitto tra il diritto dei pazienti di avere informazioni mediche risultanti dai test ed una forma di protezione paternalistica da parte dei professionisti sanitari che ne impedivano l’accesso senza consulenza, prediligendo poi l’accesso diretto del soggetto ai propri dati genetici (Annas, 2014).

Alcuni Paesi sostengono la massima autonomia di scelta, mentre altri preferiscono una scelta accompagnata da misure protettive. In Francia, ad esempio, il soggetto non può chiedere direttamente un test genetico ma è necessaria la prescrizione di un medico e l’approvazione a monte dell’Agenzia di Biomedicina, così come l’analisi del risultato deve essere attuata in un laboratorio pubblico approvato dall’Agence de Biomédicine.

Negli Stati Uniti, al contrario l’individuo ha libero accesso ai propri dati genetici e medici (Stoeklè, 2014).

Anche la pubblicità segue le regole del mercato, ma nel 2010 la FDA (Food and Drug Administration) ha riconosciuto i test genetici DTC come strumenti medici facendoli ricadere sotto la regolamentazione delle strumentazioni sanitarie.

Oltre a questioni etiche, legali e sociali la FDA ha espresso perplessità sulla validità analitica e utilità clinica di questi test genetici DTC.

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Nel tentativo di regolamentare questo settore, in parte anche in risposta all’intenzione di una società produttrice di test diretti al consumatore (Pathway Genomics) di mettere in vendita questi strumenti anche nelle farmacie di Walgreens e, dopo continue trattative con la 23andMe per ottenere evidenze scientifiche sull’utilità de suoi test predittivi, il Ministero della Salute degli Stati Uniti delibera riconoscendo i test genetici predittivi DTC come strumenti medici e come tale sottoposti a regolamentazione sanitaria. Nel luglio 2010 vengono avviati controlli che porteranno molte di queste aziende fornitrici di analisi genetiche personalizzate a chiudere, ed altre a ridimensionarsi producendo solo risultati per le ascendenze (di genealogia).

La 23andMe negozia con il Ministero ma nel contempo continua con una campagna di marketing del prodotto aggressiva, con spot in cui giovani attraenti esortano a fare il test a solo 99 dollari. “Potresti avere un aumento del rischio di malattie cardiache, artrite, calcoli biliari, emocromatosi”, si afferma nella pubblicità, ed il test può rilevare queste condizioni di salute, si lascia intendere all’utente (Annas, 2014). Queste affermazioni hanno suscitato preoccupazioni da parte della FDA in quanto non sono supportate da nessuna prova di validità e utilità clinica.

Nel maggio 2013, però, l’incapacità della società di risolvere i problemi identificati, ovvero fornire prove analitiche e cliniche a convalida dei propri test, interrompe le trattative e nel novembre dello stesso anno la FDA invia una lettera in cui intima di “interrompere immediatamente” la vendita dei test finché non avesse ottenuto la loro autorizzazione a commerciare il dispositivo.

Nel dicembre 2013 l’azienda interrompe gli spot pubblicitari e dichiara sul proprio sito che in conformità con le richieste del Ministero della Salute statunitense sospende la commercializzazione dei propri test genetici sulla salute ed avvia un processo di revisione normativa (Annas, 2014). La 23andMe continua però la sua ricerca sui campioni ottenuti in passato e dotati di consenso informato dei consumatori e nel febbraio 2015 le viene concessa l’autorizzazione della FDA di vendere un unico test che determina se soggetti sani sono portatori di una variante genica che può causare nella progenie la sindrome di Bloom.

La Food and Drug Amministration spiega di aver autorizzato questo prodotto perché, a differenza degli altri test forniti dalla società, dimostra accuratezza e

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prove di un corretto uso possibile da parte dei consumatori per la raccolta del campione di saliva.

Alberto Gutierrez, direttore dell’ufficio responsabile per i test genomici della FDA, afferma” il Ministero ritiene che in molte circostanze non è necessario per i consumatori andare da un professionista autorizzato per avere accesso ad informazioni genomiche personali”, aprendo così la strada ai test DTC (Levenson, 2015).

Ad aprile 2017 la FDA ha autorizzato la 23andMe di fornire test genetici diretti al consumatore, previa notifica pre-vendita vagliata dal Ministero. Questa decisione ha destato preoccupazioni soprattutto sugli standard clinici dei test.

“I genotipi dei test approvati sono limitati a un set di varianti associate a potenziali rischi per sole 10 condizioni: malattia di Parkinson, malattia di Alzheimer ad esordio tardivo, celiachia, carenza di 1-antitripsina, precoce distonia primaria, carenza di fattore XI, malattia di Gaucher di tipo 1, deficienza di glucosio-6 fosfato deidrogenasi, emocromatosi ereditaria e trombofilia ereditaria”. La maggior parte dei disturbi sono rari e non modificabili con prevenzione e trattamento. La sensibilità clinica di questi test continua ad essere limitata. Il risultato positivo al test ha un valore predittivo basso poiché la maggior parte delle mutazioni sono a penetranza incompleta o sono modificate dal sesso (emocromatosi ereditaria), mentre in altri casi come la malattia di Alzheimer sono modificate da molti fattori. Anche la previsione negativa del test risulta essere poco significativa perché una persona con una storia familiare positiva potrebbe avere un rischio importante nonostante i risultati negativi al test. Un comunicato stampa dell’FDA afferma: “i risultati ottenuti dai test non dovrebbero essere usati per la diagnosi o per prendere decisioni sul trattamento” (Wynn e Chung, 2017). Secondo J. Wynn e W. K. Chung della Columbia Univerity, consentire i test genetici DTC e non aspettarsi che le persone utilizzino le informazioni per prendere decisioni mediche è ingannevole ed irresponsabile. Una consulenza prima e dopo il test, secondo questi medici, condotta da genetisti professionisti certificati potrebbe ridurre il rischio di interpretazioni imprecise ed inappropriate, ma questi servizi non sono inclusi nei test diretti al consumatore. Wynn e Chung concordano con FDA e 23andMe nel ritenere le informazioni genetiche preziose per influire sulla salute e nell’accesso dei pazienti alle risorse genetiche e test genomici con utilità clinica, ma affermano che attualmente il test della società

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sopra citata approvati siano molto limitati in materia di utilità clinica ed è responsabilità del medico difendere questo valore dei test (Wynn e Chung, 2017). È importante ricordare che, così come l’utente ha diritto di conoscere i propri dati genetici derivati dai test, ha anche la facoltà di non voler apprendere eventuali predisposizioni genetiche (diritto di non sapere).

La società 23andMe, nel rispetto di questo diritto, fornisce ai clienti la possibilità di non acquisire i risultati di test specifici riguardanti determinate mutazioni genetiche (cancro alla mammella, Malattia di Parkinson, Alzheimer) (Annas, 2014).

Il caso 23andMe offre l’opportunità per una riflessione sulla possibilità di fissare raccomandazioni standard per tutto il settore:

 Fornire ai pazienti-consumatori informazione genetiche che possano avere un’utilità per la salute e promuovere la figura del medico-genetista come fondamentale per l’interpretazione di questi dati genetici complessi forniti dai test. Quest’ultimo può essere attuato aggiungendo, in futuro, agli annunci per i consumatori la dicitura” rivolgersi al proprio medico”;  Tutela privacy e consenso informato;

 Necessità di una collaborazione tra i Paesi per una regolamentazione comune ed omogenea in materia di genetica clinica, alla luce dell’archiviazione dei dati genetici grezzi archiviati in modo telematico remoto che possono essere accessibili da chiunque in tutto il mondo (un esempio sono i campioni raccolti in Giappone che vengono poi inviati negli Stai Uniti per essere esaminati e successivamente i risultati sono rimandati al mittente via web). Questi dati sono, perciò, senza frontiera (Yuji, 2014).

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CAPITOLO SECONDO

Problemi etici e legali associati ai DCT-PGT 2.1 Conoscenza e percezione dei test DTC

Normalmente i contribuenti hanno accesso alla diagnostica medica ed alle terapie attraverso un operatore sanitario. Con l’emergere di internet ed altre scoperte tecnologiche questa dinamica è cambiata e i consumatori possono ora accedere a sofisticate biotecnologie senza consiglio o prescrizione medica.

Uno degli esempi più evidenti di questo nuovo quadro informativo è costituito dai test genetici diretti al consumatore (DTC-PGT).

Questi test consentono di acquisire una serie di informazioni genetiche, come quelle genealogiche, la predisposizione personale ad una malattia comune, la risposta individuale ad un dato trattamento farmacologico senza necessità di prescrizione medica né supporto di una consulenza medica e sono somministrati a casa propria (Van der Wouden et al., 2016).

Il crescente impatto dell’informazione genetica in ambito sanitario e l’aumentata rilevanza della medicina personalizzata han fatto emergere e crescere la richiesta di questi prodotti. Tuttavia, si è aperto un dibattito importante sul valore delle informazioni fornite dai test DTC-PGT e su come vengono compresi, utilizzati e percepiti questi strumenti dai consumatori.

Uno studio sui social network, di Mc Guire e colleghi del 2009, indica che i test genetici predittivi DTC vengono percepiti dagli utenti e, anche da chi non ne fa uso, come fonte d’ informazioni medico diagnostiche.

Questa convinzione nelle persone appare di particolare interesse alla luce delle dichiarazioni fatte dalle aziende produttrici di tali test. Sui loro siti, infatti le società che forniscono questo servizio presentano affermazioni di non responsabilità e sottolineano l’assenza di uno scopo medico nelle loro forniture. Nella sezione “Termini di servizio”, ad esempio, l’azienda 23andMe afferma che “i servizi di 23andMe sono solamente per un utilizzo educativo e di ricerca scientifica”, non forniscono assistenza medica. La presenza di queste dichiarazioni da parte delle aziende di test DTC, volte a fornire informazioni ai clienti ed a proteggere le aziende da eventuali responsabilità, sembra contrastare con la percezione che hanno i soggetti di questi prodotti (Howard e Borry, 2009).

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Una spiegazione di questa confusione negli utenti, o potenziali tali, sembra riscontrabile nel modo in cui viene presentato il test all’interno del sito delle aziende.

Sempre 23andMe, ad esempio, sostiene che “la nostra missione è aiutare i nostri consumatori a capire le loro informazioni genetiche e come l’attuale letteratura biomedica li riguarda” e, ancora, la società Navigenics afferma che offre “una visita dentro il tuo DNA, scoprendo la tua predisposizione genetica importante per le tue condizioni di salute” e che “questa informazione personalizzata può aiutarti a individuare precocemente un disturbo di salute, prendere provvedimenti e intervenire su esso limitando le conseguenze o addirittura evitandole” (Howard e Borry, 2009).

Anche la presentazione visiva delle dichiarazioni sembra contribuire a non fare chiarezza sul prodotto, infatti, sul sito online le parti dedicate ai reclami o quelle in cui si evidenzia l’esclusione di responsabilità delle aziende (ad es. “Navigenics non fornisce consulenza medica, diagnosi o trattamento”) vengono presentate con un carattere di stampa più piccolo, più chiaro e nella parte inferiore della pagina. Le ragioni sopra elencate possono, in parte, contribuire all’errata percezione che i consumatori hanno dei test genetici predittivi DTC (Howard, 2009).

Uno studio condotto da Savard e colleghi nel 2013 sulla popolazione australiana ha valutato conoscenza e percezione di questa nuova tecnologia DTC e l’impatto sul sistema sanitario pubblico australiano. I risultati hanno evidenziato un crescente interesse per questo tipo di test ma ancora una limitata conoscenza di essi ed una percezione ancora non corretta.

La maggior parte degli intervistati nello studio risulta a conoscenza che DTC-PGT è disponibile per chiunque voglia acquistarlo direttamente senza mediazione di un operatore sanitario (75%), oltre l’80% ha affermato che questo tipo di test può essere utilizzato per avere informazioni inerenti alla salute (Savard et al., 2013). Nella tabella 1 sotto riportata vengono indicate le aspettative degli intervistati riguardo al tipo di informazione fornita dal DTC-PGT:

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24 Tab.1. Conoscenza test genetici DTC (Savard et al., 2013).

Inoltre, gran parte dei soggetti (64%) hanno indicato che le informazioni genetiche sono importanti per la salute e ritengono che le informazioni fornite dai Test genetici DTC siano ugualmente importanti a quelle sulla propria storia medica pregressa e sullo stato attuale della loro salute nel determinare la propria salute (62%).

Nella tabella 2 viene indicato il valore percepito dal soggetto delle informazioni fornite dal DTC-PGT.

Tab.2. Percezione dei test genetici DTC (Savard et al., 2013).

Il panorama di consapevolezza dei test genetici DTC sembra variare anche a seconda delle caratteristiche sociodemografiche.

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Katerine Kolor et al. (2012) hanno studiato i fattori associati alla consapevolezza dei test nella popolazione generale degli Stati Uniti. Dalla ricerca è emerso che alcune caratteristiche sociodemografiche, come età, razza, reddito, istruzione, sono fortemente associate alla consapevolezza del test in tutto il territorio nazionale. Gli intervistati, di età compresa tra i 50 ed i 74 anni, con istruzione superiore, bianchi, di sesso femminile, con reddito superiore a 75.000 dollari sono sensibilmente più consapevoli di tali test (Tab.3a, 3b).

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26 Tab 3b. Predittori di consapevolezza (Kolor et al., 2012).

Il riconoscimento di una diversa consapevolezza dei test genomici personali tra i vari segmenti della popolazione è importante al fine di rispondere alle potenziali esigenze di alfabetizzazione e garantire a tutti i consumatori, indipendentemente da età, etnia, istruzione e reddito, un libero ed informato accesso alle indicazioni sui test genomici diretti al consumatore.

Sono state indagate anche le principali fonti da cui i soggetti hanno appreso informazioni riguardo ai test genetici diretti al consumatore, contribuendo ad aumentarne la consapevolezza nella popolazione. La “TV o Radio” risulta essere la più citata, seguita da “Giornale” e “Rivista” al secondo e terzo posto (intercambiabili a seconda dello stato), e con Internet al quarto.

L’influenza dei media sembra rispecchiare la maggior visibilità che hanno dato negli ultimi anni ai test genomici DTC (Tab 4a, 4b) (Kolor et al., 2012).

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27 Tab. 4 a, b Fonti di informazione di test genetici DTC nei diversi stati (Kolor et al., 2012).

Nel 2017 Everson ha rilevato la percezione dei test genomici in pazienti e medici di cure primarie su un campione del Midwest. Ne è emerso un grande interesse per una maggior conoscenza di questi test anche in prospettiva di una loro integrazione nel contesto dell’assistenza primaria. In particolare i pazienti sono disponibili ad accogliere i rischi e gli eventuali vantaggi risultanti da questi test,

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ne dimostrano una buona comprensione, e mostrano particolare attenzione in materia relativa alla riservatezza del dato personale.

I medici di medicina generale ritengono questo strumento rilevante per il loro lavoro, tuttavia propendono verso quelli che testano la suscettibilità ad un trattamento farmacologico piuttosto che verso quelli dove risulta un rischio di malattia comune, manifestando mancanza di fiducia nell’uso di questi ultimi. Entrambi i campioni, pazienti e medici, indicano il ruolo fondamentale di mediazione offerto dal consulente genetico nel comprendere ed interpretare i risultati dei test.

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2.2 EFFETTI PSICOLOGICI DEI TEST GENETICI PREDITTIVI (DTC)

La genetica ha compiuto in pochi decenni progressi impressionanti (dalla scoperta del DNA alla mappatura dell’intero genoma umano) rivelando enormi potenzialità che ancora devono essere totalmente esplorate.

Poca attenzione, tuttavia, viene posta sulle conseguenze psicologiche dei test genetici e sulla discriminazione che ne può conseguire.

Nelle aziende che forniscono tale strumento si è iniziato a porre l’attenzione sulle controindicazioni di questi test quali, ad esempio, il rischio di reazioni ansiose, la possibilità di stigmatizzazione e l’emarginazione sociale (Stuppia, 2015).

Condividere i nostri dati genetici con altre persone, dunque, potrebbe risultare contro il nostro interesse (Pistoi, 2012). A livello sociale, infatti, è possibile si verifichi, soprattutto in alcuni Paesi come gli Stati Uniti dove l’assistenza sanitaria è attuata dalle assicurazioni private, una “discriminazione dei portatori di geni di suscettibilità che potrebbero essere esclusi dall’accesso al credito, all’assistenza sanitaria, e ai posti di lavoro” (Stuppia, 2015).

Psicologicamente questi test esprimono la volontà del soggetto di conoscere il proprio stato di salute, poiché anche nel caso si palesi il rischio di una malattia spesso incurabile, la conoscenza è preferibile all’incertezza.

I test genetici predittivi di malattie comuni, tuttavia, “non sono in grado di dare certezze” ma si limitano ad evidenziare solamente una maggiore o minore predisposizione genetica dell’individuo ad una certa patologia, se questa poi si manifesterà o meno sarà determinato anche dall’azione di alcuni fattori ambientali scatenanti (Stuppia, 2015).

La ricaduta psicologica che può derivare dai test è il rischio che la persona che vi si è sottoposta interpreti il risultato di maggior predisposizione genetica come ineluttabile e percepisca il suo destino segnato dalla certezza che la malattia ad un certo punto della vita si paleserà. Questo potrebbe condurre il soggetto ad abbandonare ogni stile di vita sano e protettivo nei confronti della patologia, anziché ridurre i fattori ambientali che ne favoriscono l’insorgenza.

Medesimo rischio psicologico è riservato ai risultati che indicano una minor suscettibilità d’insorgenza di una determinata malattia rispetto alla popolazione generale.

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Il soggetto può vedere il risultato delle analisi come garanzia di invulnerabilità genetica illudendosi che la malattia non si manifesterà mai nella sua vita, ed eliminando così ogni forma di precauzione che ne impedisca l’esordio.

In entrambi i casi, dunque, sia che risulti aumentata o ridotta la probabilità di sviluppare una malattia genetica, c’è il rischio che questi test conducano l’individuo ad “abbassare la guardia” e abbandonare “stili di vita virtuosi”, conseguenze entrambe da considerarsi negative.

Per scongiurare questa evenienza molti laboratori di genetica medica eseguono solo pochi test genetici predittivi, ma la produzione incontrollata di questo prodotto da parte di aziende private spesso non accompagnate da necessaria consulenza genetica e supporto psicologico al consumatore, costituisce uno dei problemi che la nostra epoca dovrà affrontare.

Alcune problematiche psicologiche originano da alcune caratteristiche peculiari dei test genetici che li distinguono da qualsiasi altra analisi medica. I dati raccolti con questi test, infatti, svelano informazioni genetiche immutabili, permanenti, con cui il paziente dovrà confrontarsi per tutta la vita.

Trattandosi, inoltre, di informazioni genetiche, queste possono essere ereditarie e condivise all’interno del nucleo familiare; pertanto l’esito di un tale test coinvolge e rischia di modificare non solo la vita del paziente, ma anche quella di persone che non hanno mai deciso di sottoporsi a questo test.

Resta, infine, la problematica sociale di discriminazione genetica derivante dall’accesso da parte di terzi ai dati genetici del soggetto. L’eventuale danno, da intendersi come consenso negato ad accedere al lavoro, all’assistenza sanitaria ed al credito economico, si baserebbe in tal caso su eventuali problematiche patologiche non presenti al momento dell’emarginazione ma che potrebbero insorgere in futuro (nel caso dei test genetici presintomatici e predittivi).

Per i motivi sopraelencati il test genetico necessita di un’analisi tecnica peculiare ed accompagnata da consulenza genetica (Stuppia, 2015).

Tale bisogno è confermato da Everson et al. nel suo lavoro del 2017 condotto su un campione di pazienti e medici di medicina generale in 13 cliniche del Midwest, Stati Uniti.

Dal sondaggio è emerso che sia i pazienti che i medici ritengono che la consulenza genetica ricopra un ruolo fondamentale nell’aiutare il soggetto a comprendere e interpretare correttamente i risultati dei test (Everson, 2017).

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La consulenza genetica consiste in un colloquio durante in quale il genetista spiega al paziente a rischio ed ai suoi familiari la sospetta malattia da indagare e la sua possibile evoluzione. Inoltre approfondisce caratteristiche e tipologie, le finalità e le eventuali conseguenze del test che dovrebbe essere somministrato adottando un linguaggio chiaro e comprensibile, verificandone la ricezione di tali contenuti. Questa fase costituisce la Consulenza Pre-Test.

Poiché il test genetico è un servizio offerto e non prescritto al soggetto, sarà quest’ultimo a decidere se sottoporsi o meno a questo tipo di analisi genetica; non di rado, infatti, la persona, dopo aver avuto tutte le indicazioni del caso, decide di non sottoporsi all’analisi del DNA.

Wedderburn e colleghi (2013), nella sua esperienza svolta presso una clinica multidisciplinare che offre test genetici predittivi, evidenzia come sia frequente la scelta del paziente di ritirarsi dal processo del test durante il counseling pretest. Questo in ragione del fatto che la consulenza aiuta ad illustrare il significato delle informazioni fornite e spinge il soggetto a riflettere ulteriormente sull’impatto che questi dati potrebbero avere sulla loro vita (Sheffield e Ayres, 2013).

In un secondo momento, solo se il paziente decide di sottoporsi al test genetico, il consulente spiega il significato dei risultati ottenuti, esponendo una presunta diagnosi e fornendo informazioni riguardo eventuali procedure di prevenzione da attuare o una possibile terapia da seguire. Questa fase è detta Consulenza Post-Test (Tab. 5).

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Nella fase delicata della consegna dei risultati la persona vede la propria salute minacciata dal problema genetico ed il medico o genetista che dà notizia dell’esame effettuato dovrebbe valutare gli eventuali effetti psicologici che tali risultati hanno sul soggetto, dovrebbe stimare la sua capacità di resilienza, ovvero la sua “capacità a far fronte agli eventi e riorganizzare la propria vita”, e dovrebbe contemplare la necessità di un sostegno psicologico successivo alla consulenza. Tutti questi aspetti non dovrebbero essere affidati alla “capacità empatica del consulente genetico”, ma alla competenza professionale di uno psicologo capace di gestire le reazioni emotive dei soggetti. La sua figura dovrebbe essere presente all’interno dell’equipe di consulenza medica, tuttavia nei fatti raramente compare (Stuppia, 2015).

L’Autorizzazione generale al trattamento dei dati genetici (AC/14), infatti, dispone che per l’operazione di consulenza genetica sono abilitati al trattamento per scopi scientifici anche gli psicologi (Garante Privacy, 2014).

Il ruolo dello psicologo in questo settore è sottolineato dall’uso del termine “genetic counseling” da parte degli anglosassoni, a differenza di “consulting” per tutte le altre aree della medicina. Il counseling genetico sta ad indicare “l’attività di orientamento del paziente, intesa come stimolo della capacità dello stesso di comprensione e di adattamento alle implicazioni mediche, psicologiche e familiari della componente genetica della malattia” (Stuppia, 2015).

Durante una consulenza genetica possono emergere numerose problematiche, di ordine socio-culturali ed etico- religioso, che provocano nel paziente una serie di risposte psicologiche classificabili in due grandi categorie: Reazioni emotive e Reazioni elaborate.

Le reazioni emotive “sono quelle che in modo immediato e spontaneo insorgono nel momento in cui il paziente comprende la portata del problema genetico che gli si pone davanti”, si manifestano all’improvviso ed in modo spontaneo al momento della consegna dei risultati quando il paziente comprende l’importanza del problema genetico.

Le reazioni elaborate “sono invece il prodotto delle riflessioni che il paziente opera sulla notizia, dei tentativi di elaborarla, gestirla, superarla, o almeno tentarci.” Queste risposte costituiscono un tentativo da parte del soggetto di gestire e metabolizzare l’informazione ricevuta compiendo un atto di riflessione sulle notizie apprese (Stuppia, 2015).

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Questi due tipi di reazioni sono illustrate in dettaglio nella tabella 6.

Tab.6. Reazioni psicologiche alla consulenza genetica (Stuppia, 2015).

La rabbia e l’ansia sono tra le reazioni più comuni, associata alla percezione di ingiustizia per essere stati colpiti da una malattia genetica l’una, e legata agli interrogativi che si aprono sul proprio futuro l’altra. Successivamente si può presentare negazione, nel vano tentativo del soggetto di difendersi e minimizzare la situazione, ma anche vergogna, laddove c’è la tendenza a celare la propria condizione per evitare discriminazioni.

Come già accennato precedentemente, tuttavia, una reazione particolarmente grave, soprattutto nel caso dei test di suscettibilità, è rappresentata dall’atteggiamento fatalista del soggetto. Questo punto di vista conduce ad avvertire la mutazione genetica come un destino ineluttabile di malattia trasformando così un’informazione potenzialmente utile in una notizia dannosa che induce all’abbandono di ogni comportamento protettivo.

Possono presentarsi anche il cambio della percezione di sé, quando, ad esempio, l’individuo in salute apprende di essere portatore di una mutazione che in futuro stravolgerà completamente la sua esistenza (come nel caso della Corea di Huntington diagnosticata prima della sua insorgenza e per la quale non esistono cure). In tal caso il futuro si sgretola e la persona che era stato fino al momento del test scompare improvvisamente ed il paziente si crede diverso.

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Può comparire, infine, il Senso di Colpa Parentale, sentimento derivato dall’aver trasmesso ai figli una mutazione genetica ma esserne portatore sano, oppure il Senso di Colpa del Sopravvissuto che, all’interno di un nucleo familiare colpito da una patologia genetica, si riscontra con più frequenza nei parenti non portatori della mutazione.

In seguito a queste emozioni che il soggetto può provare durante l’incontro di consulenza genetica, possono manifestarsi Reazioni Elaborate come l’intellettualizzazione quando l’interessato cerca di comprendere il problema. Nella razionalizzazione il paziente prende in mano la situazione e cerca possibili soluzioni al problema. Con la ricerca di significati, l’individuo cerca un senso a ciò che è avvenuto e riduce i livelli di ansia. Il ruolo sociale che il paziente ricopriva precedentemente al test (architetto, avvocato, ecc..) viene totalmente trascurato per lasciare il posto semplicemente alla persona. La notizia fornita dai risultati del test può coinvolgere perfino le proprie convinzioni religiose e condurre ad un cambiamento da intendersi sia come avvicinamento e ricerca di una fede che dia sollievo la situazione attuale, sia come allontanamento da un credo che ha accompagnato la vita del soggetto fino al momento del risultato del test.

La paura della discriminazione sociale, inoltre, può far emergere nel paziente la tendenza al ritiro sociale ed a nascondersi, soprattutto in quei Paesi dove le assicurazioni gestiscono i servizi sanitari.

Il quadro finora descritto vuole evidenziare quanto un test genetico possa avere ripercussioni psicologiche sulla persona che vi si sottopone e quindi sottolineare l’importanza della presenza nella consulenza genetica di uno psicologo che gestisca queste reazioni (Stuppia, 2015)

Nel caso dei test genetici offerti direttamente al consumatore senza alcuna mediazione di uno specialista, il presunto impatto psicologico negativo sui consumatori è ancora più critico.

I risultati di questi test possono causare preoccupazione e stress ingiustificati o, viceversa, possono rassicurare l’utente in base ad eventuali informazioni inesatte ed inappropriate a valutare il reale rischio di patologia nello specifico soggetto. Diversi sono, infatti, i fattori che sembrano influenzare le conseguenze emotive dei test: la consapevolezza dello stato di rischio pre-test, i meccanismi di coping psicologico, la selezione del campione e la consulenza (Broadstock, 2000).

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Significativa è la valutazione personale dell’evento stressante, ovvero la consegna del risultato. Quando il soggetto si trova a dover fronteggiare un evento stressante, attuerà una valutazione cognitiva dello stimolo e farà una stima delle caratteristiche dello stimolo stesso. Lazarus e Folkman (1986) parlano in particolare di due principali valutazioni: la valutazione primaria dove il soggetto pondera sulle ripercussioni emozionali e fisiologiche dell’evento stressante (stress percepito), e successivamente attua una valutazione secondaria delle risorse personali utili a fronteggiare e controllare l’evento (controllo percepito). I meccanismi di coping sono quindi costituiti da sforzi cognitivi e comportamentali che il soggetto attua al fine di diminuire l’impatto che la situazione stressante può avere sul suo benessere fisico e mentale (Folkman et al., 1986 cit. da Ciaramella, 2015).

Lo stato emotivo pre-test sembra, infine, essere predittore di disagi ed eventi avversi dopo il test.

Almqvist et al., con un sondaggio internazionale, hanno evidenziato che il 38,5% dei soggetti che hanno sperimentato un evento catastrofico a seguito della ricezione dei risultati dei test predittivi presentano una precedente storia psichiatrica. Questa ricerca pone l’attenzione sulla necessità di sottoporre ad una valutazione psichiatrica o psicologica i soggetti con una condizione emotiva pre-test già alterata (Broadstock et al., 2000).

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2.3 a REGOLAMENTAZIONE DEI TEST GENETICI DTC

La Privacy è un concetto complesso e “nasce dalla necessità di bilanciare, da un lato, le grandi promesse della ricerca genetica prospettate dallo sviluppo dei test genetici; dall’altro l’esigenza di avvalersi di tali benefici in modo da non ledere i diritti fondamentali della persona” (Casini e Sarpea., 2009).

Le moderne società democratiche, dunque, si trovano a dover gestire l’interesse della comunità per lo sviluppo della ricerca scientifica ed al contempo tutelare il diritto del soggetto alla propria libertà e dignità (UNESCO, 1997).

Tutto ciò si rispecchia anche nella controversia attuale in merito ai test genetici diretti al consumatore resi disponibili da società commerciali private.

I sostenitori di questi test affermano che questo strumento possa migliorare l’autonomia dei consumatori, permettendogli di essere responsabili nella gestione della propria salute, senza avere mediazioni da parte di medici né dover sottostare a lunghe liste di attesa ospedaliere. Inoltre gestire la propria informazione genetica in autonomia, eludendo il sistema sanitario pubblico, li rende meno vulnerabili alle violazioni della privacy dei propri dati e ad assicurazioni o datori di lavoro che potrebbero discriminare la persona con suscettibilità genetica.

Al contrario, l’assenza di una supervisione medica, di una consulenza genetica, di dati scientifici che ne attestino con certezza validità ed utilità clinica, hanno condotto molti a criticare tali test. Anche il consenso informato è stato ampiamente criticato in quanto veicolo d’informazioni frequentemente fuorvianti e inadeguate al fine di rendere il soggetto informato e capace di compiere una scelta consapevole in merito ai test genetici DTC (Kalokairinou et al., 2017). Il rapido sviluppo delle tecnologie di genotipizzazione e i loro costi sempre più bassi hanno reso i test genetici facilmente reperibili dai consumatori, comportando un’adeguata regolamentazione di questi strumenti.

In Europa, al momento, non esiste una legislazione internazionale, né nazionale, che regolamenti i test genomici DTC, ma vengono disciplinati da altre leggi già presenti che, sovrapponendosi, coprono l’area di questo tipo di test.

Un esempio è fornito dalla legge a tutela dei consumatori, nello specifico dalla Direttiva sulle pratiche commerciali sleali 2005/29 CE del Parlamento e del Consiglio Europeo. In essa i soggetti sono tutelati da azioni e omissioni fuorvianti, pressioni emotive e pubblicità ingannevoli delle società commerciali. Un altro riscontro si può rinvenire nella Direttiva 98/97 del Parlamento e del Consiglio

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