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Le Produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche altomedievali dai siti della Sardegna settentrionale: indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

DIPARTIMENTO DI STORIA,SCIENZE DELL’UOMO E DELLA FORMAZIONE

Dottorato di Ricerca in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo Ciclo XXVI

Direttore: Prof. Marco Milanese

LE PRODUZIONI CERAMICHE DA FUOCO TARDOANTICHE ALTOMEDIEVALI DAI SITI DELLA SARDEGNA SETTENTRIONALE.

INDAGINI MORFOLOGICHE, CRONOLOGICHE, ARCHEOMETRICHE

Tutor Dottorando

Prof. Pier Giorgio Spanu Daniela Deriu

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

DIPARTIMENTO DI STORIA,SCIENZE DELL’UOMO E DELLA FORMAZIONE

Dottorato di Ricerca in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo Ciclo XXVI

Direttore: Prof. Marco Milanese

LE PRODUZIONI CERAMICHE DA FUOCO TARDOANTICHE ALTOMEDIEVALI DAI SITI DELLA SARDEGNA SETTENTRIONALE.

INDAGINI MORFOLOGICHE, CRONOLOGICHE, ARCHEOMETRICHE

Tutor Dottorando

Prof. Pier Giorgio Spanu Daniela Deriu

Anno Accademico 2012-2013

La presente tesi è stata prodotta nell’ambito della Scuola di Dottorato in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo dell’Università degli Studi di Sassari, a.a. 2010/2011 – XXVI ciclo, con il supporto di una borsa di studio finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA F.S.E. 2007-2013 - Obiettivo competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale umano, Linea di Attività l.3.1.

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari Per colui che studia per raggiungere l‘intelligenza delle cose, i libri e gli studi sono meri pioli della scala, sulla quale egli sale al vertice della conoscenza: non appena un piolo lo ha sollevato di un passo, egli se lo lascia indietro.

I molti invece, che studiano per riempirsi la memoria, non utilizzano i pioli della scala per salire, ma li raccolgono e se ne caricano per portarli con sé, rallegrandosi per il crescente peso del carico. Essi rimangono eternamente in basso, perché sono loro a portare ciò che avrebbe dovuto portarli.

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INDICE

RINGRAZIAMENTI………...……….

INTRODUZIONE……….………...

1.SARDEGNA.IL CONTESTO STORICO-ARCHEOLOGICO (IV-VIII SECOLO D.C.)……..…....

1.1 Il ruolo dell’Isola nell’economia del Mediterraneo………... 1.2 La ceramica grezza da fuoco in Sardegna e nel Mediterraneo Occidentale………. 2.IL MATERIALE INEDITO DA TURRIS LIBISONIS.STUDIO ARCHEOLOGICO………...

2.1 La città tra la tarda antichità e l’altomedioevo……….

2.2I CONTESTI DI PROVENIENZA………..

2.2.1 Area portuale. Molo di Ponente (2009)………. 2.2.2 Area portuale. Terminal Portuale (2010)………... 2.2.3 Area urbana. Complesso Monumentale di Via delle Terme (2006 e 2009)….…. 2.2.4 Area portuale. Località La Piccola (2006-2008)………

2.3STUDIO ARCHEOLOGICO DEI MATERIALI………..

2.3.1 Le associazioni ceramiche…….……….……… 2.3.2 La produzione grezza da fuoco……….. 3.IL MATERIALE INEDITO DA TURRIS LIBISONIS.CARATTERIZZAZIONE ARCHEOMETRICA..

3.1 La caratterizzazione petrografica per sezione sottile……… 3.1.1 Principi e procedimento analitico………... 3.1.2 Risultati………...………... 3.2 La caratterizzazione chimica per Fluorescenza di Raggi X……….. 3.2.1 Principi e procedimento analitico………... 3.2.2 Risultati……….. 3.3 La caratterizzazione mineralogica per Diffrazione di Raggi X……….. 3.3.1 Principi e procedimento analitico……….... 3.3.2 Risultati……… 3.4 Discussione. Fabbriche e forme………..

4.CONCLUSIONI………... CATALOGO………... BIBLIOGRAFIA……….… 6 8 12 15 22 36 37 45 46 48 52 77 77 90 111 115 188 102 102 103 109 74 55 60 60 65 78 88 88

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RINGRAZIAMENTI

La ricerca è un’attitudine. Non solo di individuare i problemi, capirli, risolverli, ma anche di saper riconoscere e apprezzare le risorse, gli strumenti e le persone che possano aiutarti nel percorso. La fortuna ha un grande ruolo in questo, e ringraziarla, attraverso la riconoscenza verso chi ci ha aiutato, è un piacevole dovere.

I miei docenti Tutors, Piergiorgio Spanu e Miguel Ángel Cau Ontiveros, appassionati forse anche più di me per i momenti e gli aspetti meno chiari dalla tarda antichità, sono parte fondamentale di questa ricerca, un percorso che hanno reso sereno e fluido grazie, oltre alla loro disponibilità, all’amicizia che li lega. Li ringrazio con affetto. Ai colleghi dell’ERAAUB (Departament de Prehistòria, Història Antiga i Arqueologia de la Universitat de Barcelona), Evanthia Tsantini, Leandro Fantuzzi, Jerónima Riutort Riera, Verónica Martínez Ferreras e Catalina Mas Florit, al Professor Francesc Tuset i Bertran e, ultima ma non ultima, alla cara amica Fernanda Inserra, il mio ringraziamento per la spontanea accoglienza e per l’indispensabile collaborazione alla riuscita della parte archeometrica della Tesi. Ringrazio anche i colleghi Irene Esteban, Mònica Alonso, Raffaella De Luca, Diana Renzelli e il conterraneo Giacomo Floris, per aver condiviso e reso speciale il mio soggiorno nella città di Barcellona.

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Il mio percorso formativo non avrebbe resistito fino ad oggi senza l’aiuto e il sostegno di chi, come me, ha deciso di dedicarsi alla difficile attività di lavoro nel campo dell’archeologia, ovvero i colleghi Valeria Boi, Milena Stacca, Antonella Pandolfi, Luca Angius, Enrico Petruzzi, Natalia Sannai e Franco Usai. Seppur divisi dalle strade della vita, li ringrazio per i lunghi momenti di condivisione lavorativa e affettiva.

Lo studio del materiale inedito ha comportato il coinvolgimento di diverse professionalità e istituzioni, che hanno apportato alla ricerca il loro fondamentale contributo e consentito la scorrevolezza delle attività. Per la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro, ringrazio la Dott.ssa Antonietta Boninu, la Dott.ssa Gabriella Gasperetti, la Dott.ssa Daniela Rovina e, della sede staccata di Porto Torres, i carissimi Franco Satta, Giantonello Sanna, Salvatore Borra, Gavino Canu, Luciano Serio, Maddalena Nieddu, Marina Cubeddu, Anna Ruiu e Cinzia Pittirra. Per l’Università degli studi di Sassari, ringrazio la Prof.ssa Elisabetta Garau, del Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, per i preziosi consigli e per aver condiviso impressioni e dati sul materiale ceramico oggetto della ricerca, che lei ben conosce. Ugualmente un ringraziamento va al Prof. Giacomo Oggiano, alla Prof.ssa Paola Mameli e alla Dott.ssa Beatrice De Rosa, del Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, per il confronto e i consigli sugli aspetti minero-petrografici e geologici.

Questo mio percorso universitario non avrebbe avuto seguito, se non grazie al sostegno degli amici e soprattutto della mia famiglia, e alla libertà e all’affetto con cui mi hanno sempre consentito di decidere del mio futuro. A loro la mia immensa gratitudine.

Per ultimo, dedico questo mio lavoro al mio fantastico figlioccio Cristian, e ringrazio i suoi genitori, sister Laura e Simone, per avermi scelto a far parte della sua piccola vita, con l’augurio che possa avere e fare ciò che desidera.

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INTRODUZIONE

A partire dai secoli IV-V d.C., nei contesti ceramici di molti dei siti costieri che si affacciano sul Mediterraneo Occidentale, appare in modo percettibile la presenza di ceramica da fuoco ad impasto grezzo, modellata a mano o al tornio lento e cotta in forni semplici. Nei secoli successivi, soprattutto tra V e VI secolo, questa presenza si rafforza, sino a monopolizzare i dati quantitativi del vasellame riservato alla cottura dei cibi, a fronte di una netta riduzione delle produzioni africane, fino ad allora predominanti. Gli studi archeologici tradizionali, in assenza di analisi archeometriche, hanno interpretato questo fenomeno come una generalizzata risposta locale, con ricorso a tradizioni autoctone, alla carenza di vasellame importato e alla generale riorganizzazione della vasta rete commerciale che collegava i principali porti del Mediterraneo classico. La frammentazione del sistema delle grandi fabbriche, l’impoverimento delle forme e delle tecnologie e il calo di materiali pregiati sono alcuni dei tratti utilizzati per descrivere le produzioni fittili mediterranee della tarda antichità e del primo medioevo, diretta conseguenza di un generale ridimensionamento dello stile di vita delle popolazioni e delle attività economiche su larga scala imposto dalla fine dell’Impero romano. L’instabilità e la inclassificabilità morfologica di questa classe, per cui non abbiamo ancora una

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari codificazione rassicurante come quella raggiunta per le produzioni di età classica, ne hanno spesso determinato lo scarso rilievo scientifico negli studi delle stratigrafie.

A partire dal confronto tra ricerche effettuate sui siti delle coste della penisola Iberica, dell’Africa, della Francia, dell’Italia e di alcune delle maggiori isole del Mediterraneo occidentale, è emerso invece che alcune forme vascolari ad impasto grezzo ricorrono in siti distanti e separati dal mare. Aldilà dell’aspetto morfologico, è attraverso le analisi archeometriche che sono state identificate alcune fabbriche, incompatibili con la geologia del sito di rinvenimento e riferibili invece ad aree lontane1. Questo insieme di fattori ha dato l’imput per una linea di indagine che, travalicando l’autoconsumo, ha indirizzato l’interesse verso il movimento su scala mediterranea di questi manufatti. Infine lo studio della Pantellerian Ware, uno dei più avanzati per quanto riguarda le produzioni da fuoco ad impasto grezzo, con la caratterizzazione di fabbrica, tipologie e cronologia, e con il ritrovamento di una delle officine e del carico del relitto della Baia di Scauri, ha dimostrato le potenzialità della ceramica da cucina come indicatore cronologico e socio-economico in un periodo in cui le certezze degli studiosi di cultura materiale vanno a rarefarsi.

L’inserimento della Sardegna in questo fronte di studi è stato naturale e non più rimandabile, poiché nelle fasi tardo antiche questa classe è molto ricorrente2, e perche per alcune delle fabbriche identificate nel Mediterraneo si è ipotizzata una provenienza sarda. Le preliminari analisi archeometriche effettuate su materiale rinvenuto in alcuni siti insulari hanno poi confermato per alcune forme la compatibilità delle materie prime con la geologia regionale3.

La Sardegna, forte della tradizione ceramica preromana, della qualità refrattaria delle materie prime disponibili e della sua centralità geografica nelle rotte transmarine, ha sicuramente svolto un ruolo interessante nella commercializzazione ormai evidente di questo prodotto, acquisendo una inedita natura di centro produttore nella realizzazione delle ceramiche da fuoco. Questo lavoro si propone quindi come un ulteriore apporto alla

1 Una disamina esaustiva di molte delle fabbriche identificate nel Mediterraneo Occidentale si trova in Cau Ontiveros 2003, pp.14-18, cui si rimanda per i riferimenti bibliografici

2 “In prospettiva, riteniamo che nuove indicazioni cronologiche possano venire da una revisione e maggiore definizione dell’evoluzione tipologica della ceramica da fuoco, basata su altri contesti del complesso cultuale, poiché nelle stratigrafie più tarde dell’area cimiteriale questa appare documentata in maniera decisamente consistente rispetto ad altre classi”. Così scrive Anna Maria Giuntella, in riferimento alla difficoltà di datare i contesti tardo antichi dell’Area Cimiteriale di Cornus. Cornus 2000, cit. p. 141 3 Rovina 1998, p. 795. Cara, Sangiorgi 2006, p. 28. Cavazzuti et alii 2012

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari comprensione più puntuale di questi fenomeni attraverso un modello metodologico multidisciplinare e moderno.

Il percorso di ricerca è stato improntato verso lo studio simbiotico dei risultati editi, e del materiale ceramico inedito proveniente dal sito di Porto Torres-Turris Libisonis.

La struttura di questo elaborato prevede una prima parte generale che introduce al contesto storico e archeologico trattato, a cui segue lo status quaestionis sugli studi editi riferiti alla ceramica grezza da fuoco tardoantica rinvenuta nell’isola, con uno sguardo di confronto rivolto a tutto il Mediterraneo Occidentale.

Il secondo blocco del lavoro è la presentazione dei dati inediti, frutto dello studio e dell’analisi del materiale proveniente da contesti ceramici, compresi tra la fine del IV e i primi decenni del VII secolo d.C., indagati recentemente nell’area urbana della Colonia

Iulia Turris Libisonis. A questi è stata aggiunta una revisione e nuove analisi

archeometriche dei reperti già esaminati per la realizzazione della tesi di Laurea Magistrale in Archeologia, da me discussa presso l’Università degli Studi di Sassari, per l’Anno Accademico 2008-20094. Per i reperti inediti si è quindi scelto un approccio metodologico che pone le sue basi nell’interdisciplinarità tra il classico studio archeologico e l’analisi archeometrica, poiché è impensabile svolgere una ricerca su un materiale di questo tipo senza ricorrere alle potenzialità dei due metodi utilizzati in maniera complementare.

Lo studio archeologico e la campionatura dei reperti sono stati svolti presso i locali della Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro5, mentre le analisi archeometriche sono state realizzate presso l’ERAAUB, Equip de Recerca Arqueològica i

Arqueomètrica de la Universitat de Barcelona, che si occupa delle produzioni da cucina

del periodo tardo antico attraverso il progetto LRCWMED, Archaeology and

Archaeometry of Late Roman Cooking Wares in the Western Mediterranean: a holistic approach 6.

4 Tesi dal titolo “Turris Libisonis Colonia Iulia-Porto Torres (SS). Indagini archeologiche nel contesto urbano. La Piccola 2007. Contributo allo studio di una tipologia di ceramica da fuoco ad impasto grezzo”, Relatore Prof. Piergiorgio Spanu, Correlatrice Dott.ssa Antonietta Boninu, i cui risultati sono stati parzialmente pubblicati in Cavazzuti et alii 2012

5 I materiali, conservati presso il deposito di Porto Torres, sono stati visionati grazie alla collaborazione della Dott.ssa Antonietta Boninu e della Dott.ssa Gabriella Gasperetti, funzionari responsabili del territorio di Porto Torres

6 L’equipe, diretta da Miguel Ángel Cau Ontiveros, Research Professor di ICREA (Institució Catalana de Recerca i Estudis Avançats) e del Departament de Prehistòria, Història Antiga i Arqueologia de la

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1.SARDEGNA. IL CONTESTO STORICO-ARCHEOLOGICO (IV-VIII SEC. D.C.)

Ancora oggi si dibatte per dare una identità e una cronologia definita a questi secoli di passaggio, inizialmente indicati come un decadente momento della storia dell’uomo, in cui tutto si semplifica, arretra e si ridimensiona in contrasto con il florido e innovativo periodo precedente. Sebbene oggi la conquista di una rilettura aggiornata ci permetta di parlare di cambiamento piuttosto che di decadenza7, il clima pregiudiziale rimane, e il materiale grezzo da fuoco, soprattutto per il suo aspetto, può rappresentare ancora un riflesso in scala ridotta del contesto del suo utilizzo. Proprio come è successo per il processo di superamento della visione catastrofista della tarda antichità, per cui lo studio dei materiali e dei traffici commerciali è stato determinante, è possibile rivalutare il ruolo socio economico della produzione grezza da fuoco, e vedere piuttosto nella sua conformazione l’esito di una ricerca tecnica vincente, che ne ha proiettato l’utilizzo ben oltre le aree di produzione.

Universitat de Barcelona, è ufficialmente attiva dal 1992. Il progetto LRCWMED, finanziato dal Ministerio de Ciencia e Innovación, si focalizza principalmente sulla caratterizzazione archeologica e archeometrica delle produzioni da fuoco diffuse nel Mediterraneo Occidentale, attraverso un approccio ampio che si avvale di discipline varie, che vanno dall’etnoarcheologia allo studio dei residui organici attraverso tecniche sofisticate come la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa. Riferimenti Web: www.ub.edu, www.eraaub.com e www.lrcw.net

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Il materiale edito e le stratigrafie inedite oggetto di studio coprono un arco cronologico che va dalla fine del IV ai primi anni del VII secolo d.C. Il grande Impero Romano affronta i suoi anni finali, prima della divisione tra Oriente e Occidente del 395 d.C. Presto i Vandali, istituito il regno d’Africa nel 442 d.C., muoveranno verso il Mediterraneo centrale fino ad arrivare a Roma nel 455 d.C.

La Sardegna, provincia romana dal 227 a.C., è sicuramente in mano vandala almeno dal 467 d.C. Il paesaggio antropico che accoglie la venuta dei Vandali, dal punto di vista dello sfruttamento del territorio, ci riporta ad un’isola romanizzata, in uno scenario di popolamento e urbanizzazione costituito da poche città, prevalentemente costiere, e da un numero maggiore di ville e villaggi più interni legati allo sfruttamento delle risorse, prevalentemente agricole (Fig. 1) 8.

Fig. 1. Le città e le strade della Sardegna romana (elaborazione da Mastino 2005, p. 340)

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La coltivazione delle relazioni esterne e la buona portualità avevano rappresentato in età romana i principali elementi trainanti per lo sviluppo infrastrutturale e il raggiungimento per alcuni centri dello status urbano.

Se dal punto di vista degli scritti non è possibile ricostruire i caratteri dell’arrivo dei Vandali in Sardegna, se non stabilire un terminus ante quem9, è ugualmente difficile cogliere nei dati archeologici le tracce che questo passaggio ha lasciato nell’isola. Pensando ai contesti ceramici la quantità e la qualità delle importazioni di derrate e manufatti non viene intaccata in maniera rilevante, e vi è quindi continuità dei flussi istituiti in età imperiale, nonostante buona parte dei prodotti arrivino proprio dai territori controllati dai Vandali10. In un clima di complessiva stabilità e consenso, favorevole per tutti, non sarebbero comunque mancati interventi violenti, come dimostrerebbe lo scavo e l’analisi delle imbarcazioni, affondate simultaneamente per cause intenzionali, nel porto antico di Olbia 11.

Il successivo passaggio al dominio Bizantino nel 534 d.C. è archeologicamente più rilevante, soprattutto dal punto di vista dei cambiamenti del paesaggio antropico. La politica dei nuovi signori dell’isola venne subito incentrata sulla difesa di città e campagne, una scelta in cui la reale esigenza di protezione si sovrappose all’intenzione di incidere nel territorio un segno forte della propria presenza12. La concretizzazione di questa scelta avverrà sia sul fronte esterno, con la fortificazione diversificata delle città portuali, sia nell’entroterra, con la costruzione di un limes posto ad arginare i territori non romanizzati, sotto il coordinamento del responsabile militare, il dux, di stanza proprio nell’avamposto interno di Forum Traiani13.

All’inizio del VII secolo d.C. la Sardegna, ancora sotto dominio dei Bizantini che continuano a sfruttarne i porti per controllare i traffici mediterranei, fa parte dell’esarcato d’Africa14. Con la caduta di quest’ultimo, all’inizio del VIII secolo d.C., per l’isola comincerà un periodo di solitudine amministrativa che porterà alla nascita, intorno all’XI secolo, della soluzione autonoma del sistema Giudicale 15.

9 Mastino 2005, p. 500

10 Mastino 2005, p. 504. Per i contesti ceramici editi riferibili al periodo preso in esame, vedi infra 11 D’Oriano 2002 e Pietra 2006

12 Spanu 1998, p. 17

13 Spanu 1998, p. 18. Spanu 2002, p. 106. Spanu 2006b, pp. 591-593 14 Ortu 2005, p. 34

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1.1 Il ruolo dell’Isola nell’economia del Mediterraneo

Alla fine del IV secolo d.C. l’isola mantiene ben saldo il suo ruolo di centro produttore di derrate e materie prime, e di ricettore di tutti i beni che circolavano nel Mediterraneo, un ruolo acquisito in età repubblicana e consolidato durante l’età imperiale, grazie al sistema di rotte e contatti legati all’annona di Roma16.

La vocazione agricola e l’esportazione del surplus produttivo avevano fatto da volano allo sviluppo infrastrutturale dei centri costieri, poi diventati i luoghi di ricezione e ridistribuzione interna dei prodotti di provenienza extrainsulare. Le città-porto attive in questo momento storico, Turris Libisonis, Tharros, Nora e Karales sono prevalentemente disseminate lungo l’emisfero occidentale dell’isola, con l’eccezione di Olbia, a servizio della costa orientale insieme agli approdi minori di Sarcapos e Sulci tirrenica. La vitalità di questi centri beneficiava ancora del vigore ottenuto nel III secolo dall’intervento Severiano, particolarmente marcato nelle città litoranee. Altri scali secondari, come

Tibula, Porto Conte, Bosa, Neapolis, Sulci e Bithia, costituivano anch’essi punti di

accesso al territorio, per le merci importate o per gli stessi prodotti locali, in alternativa alla diffusione per via terrestre 17.

I contesti ceramici sono dominati dai prodotti di importazione che, senza alcuna gerarchizzazione nella tipologie o nella geografia degli insediamenti, dagli approdi venivano irrorati alle zone interne attraverso la rete viaria, di traccia preistorica e protostorica, potenziata in età imperiale18.

Il sistema produttivo mediterraneo in questo momento desume dal ruolo centrale della capitale, ed è ormai decisamente meridionalizzato nelle coste nordafricane, dove si lavorano la maggior parte dei prodotti che arrivano nell’isola19. Alle anfore, che

16 Lo sfruttamento dell’isola era basato sulla coltura dei cereali e sull’estrazione di minerali e materiali da costruzione. Tuttavia in età tardo antica è attestato anche l’allevamento di animali a scopo di esportazione, come cavalli da corsa e buoi da tiro. Mastino 2005, p. 184

17 Mare Sardum 2005, pp. 165-206. Di tradizione preromana, o, come nel caso di Turris Libisonis di nuova fondazione, solo pochi raggiungono uno status infrastrutturale che può definirli centri urbani. Gli approdi di piccole dimensioni, spesso accomunati dalla vicinanza a ville rurali come Porto Conte e S. Imbenia, erano comunque fondamentali per la navigazione di cabotaggio

18 Per brevità si è scelto di riportare solo i riferimenti ai più recenti e significativi contributi che analizzano materiali da stratigrafie tardoantiche e da ricognizioni di superficie, integrando la bibliografia presente in Mare Sardum 2005, a cui si rimanda per gli studi precedenti. Sulla ricostruzione della viabilità nella Sardegna romana cfr. Mastino 2005, pp. 333-392

19 Mare Sardum 2005, pp.115-116. Non è possibile citare l’infinita bibliografia sugli studi dei contesti ceramici Mediterranei imperiali e tardo imperiali che ha permesso di ricostruire la portata della produzione

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari testimoniano la circolazione di olio e derivati della lavorazione del pesce20, si accompagnano le produzioni vascolari da mensa e cucina, marginali nella logistica del carico ma non meno indispensabili per la quotidianità dei centri ricettori. La Sigillata Africana D è presente in ogni sito dell’isola, e le sue forme sono gli indicatori cronologici per eccellenza del periodo (Fig. 2) 21. I vasi da cucina invece, nelle ben note produzioni a patina cinerognola e ad orlo annerito, abbondanti tra II-IV secolo, si attardano non oltre la metà del V secolo, in linea con la tendenza generale registrata in tutto l’Occidente 22..

Benché dominante, il fronte africano non era però l’unico a rifornire i mercati sardi. A questo si affiancava già dall’età imperiale il sistema di centri produttori situati nelle coste mediterranee della penisola Iberica, in questo periodo attivi soprattutto nella produzione di alimenti a base di pesce23. L’area Orientale e l’Egeo, da tempo presenti con il rinomato vino, grazie al tramite di Cartagine rafforzano e rinnovano il ruolo nel mercato portando in occidente merci diversificate in contenitori da trasporto di nuova conformazione, che sembrano però raggiungere l’interno con difficoltà 24.

africana nei mercati, ma è sufficiente citare un dato emblematico: Ostia, porto di Roma e centro propulsore delle merci italiche, presenta tra III e IV secolo d.C. stratigrafie dominate dalle produzioni africane, con il 90% delle attestazioni. Panella 1986, p. 439

20 Tra IV e V secolo d.C., con eccezioni quantitative tra i vari siti, i contenitori anforari maggiormente attestati sono l’Africana I e II, e le varianti più antiche delle Keay XXV e degli Spatheia. Per una sintesi generale si veda Mare Sardum 2005, p. 115. Recenti acquisizioni che confermano queste tendenze si hanno da Porto Torres (Boninu, Pandolfi et alii 2008, p. 1790; Boi 2008 p. 1809 e Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2012, p. 348); dall’entroterra Nord-Occidentale (Milanese et alii 2010 pp. 225-226); da Dorgali (Delussu 2009b, p. 4), da Nora (Garau, Rendeli 2006, p. 1258; Nora 2009, p. 740) e da Cagliari ( Martorelli, Mureddu 2006, pp. 124-130)

21 Sulla presenza della produzione D della Sigillata Africana in Sardegna si veda Pietra 2008 e relativa bibliografia. Aggiornamenti sulle attestazioni si hanno da Porto Torres (Boninu et alii 2008, p. 1790; Boi 2008 p. 1809; Stacca 2008 e Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2012, p. 348), dalla zona Nord-Occidentale (Milanese et alii 2010) e Orientale (Delussu 2008, p. 2661, Delussu 2009a, p. 4 e 2009b, p. 4) e ancora da Nora (Nora 2009, pp. 674-678 e Bassoli et alii 2010, p. 246)

22 Panella 1986, p. 442. Questa produzione, corredo da cucina per eccellenza di ogni focolare di età imperiale, è presente in Sardegna in tutte le stratigrafie del periodo, in associazione con le forme da mensa. La sua graduale scomparsa corrisponde all’aumento delle pentole da fuoco ad impasto grezzo. Mare Sardum 2005, p. 122, nota 636. Questo non determina però la fine della produzione, poiché si ritrova ancora a Cartagine in stratigrafie di VI secolo. Atlante I 1981, p. 211

23Mare Sardum, 2005, pp. 114-115. Poco segnalate nei contesti terrestri, le anfore iberiche tarde, nelle forme Almagro 50, 51 AB e C e Beltran 72, datate tra il III e la prima metà del V secolo d.C., sono attestate soprattutto nei rinvenimenti subacquei. Spanu 1997, p. 45; Spanu 2006a, p. 182; Riccardi, Gavini 2011, p. 280; Gasperetti 2011, pp. 309-311. Da contesti terrestri recenti cfr. Boninu et alii 2008, p. 1790, Deriu, Marras 2008, p. 1794 e Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2012, p. 348 per Porto Torres; Bassoli et alii 2010, p. 246 per Nora; Martorelli, Mureddu 2006, pp. 132-133 per Cagliari

24 Alle affusolate Kapitan I-II, vinarie egee diffuse fino al IV secolo , si sostituiscono dal V secolo forme più tozze dal tipico aspetto costolato, raggruppate sotto il nome di Late Roman Amphorae. Delle sei forme classificate, in Sardegna le più comuni sono LR 1 e LR 3, presenti sino al VII secolo. Mare Sardum, 2005, p. 116. Per le attestazioni recenti, tutti da siti costieri, cfr. Garau, Rendeli 2006, p. 1259 per Nora; Boi 2008,

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Fig. 2. Sardegna. Diffusione della Sigillata Africana D (da Pietra 2008, p. 1751)

p. 1809 per Porto Torres; Martorelli, Mureddu 2006, pp. 130-132 per Cagliari e Colombi 2011, p. 226 per la Villa di Sant’Imbenia-Alghero

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Attestazioni minori di contenitori italici, come l’anfora di Empoli o l’anfora Keay LII, soprattutto nei centri costieri, accrescono ulteriormente l’eterogeneità nell’origine dei carichi che arrivavano nell’isola, e testimoniano l’immutata vitalità dei contatti25.

Parallelamente alla circolazione massiccia di materiale importato, aumenta significativamente a partire dal IV-V secolo la produzione di ceramiche prodotte in loco, che ripropongono le fogge delle ceramiche africane o che più spesso sviluppano repertori morfologici propri 26. La produzione più nota e definita, allo stato attuale degli studi, è la ceramica con superficie polita a stecca, definita anche campidanese in base alla supposta area di produzione, che circola in tutta la Sardegna, con maggior concentrazione nel centro-Sud, tra V e VII secolo (Fig. 3)27.

Fig. 3. Ceramica steccata campidanese dal Nuraghe Mannu, Dorgali (da Delussu 2009b, p. 6)

Nel V secolo d.C. le necessità e i gusti degli abitanti della Sardegna sono ormai allineati con il resto del Mediterraneo, e i prodotti di consumo importati rappresenteranno, come nel resto dei territori romanizzati, un collante culturale tra

25 Ad Mensam 1994, pp. 360 e 362. Attestazioni recenti in Boi 2008, p. 180 e Boninu et alii 2008, p. 1790 per Porto Torres

26 Spanu 1998, p. 211. Cfr anche Cornus 2000, pp. 145-148

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari l’Oriente e l’Occidente conosciuto, invisibile nelle fonti scritte, ma ben presente nella quotidianità dei contesti (Fig. 4).

Fig. 4. Sardegna. IV-V secolo d.C. Principali aree di origine dei beni di importazione

Quando la conquista Vandala raggiunge le coste del Nord Africa e il rapporto tra Roma e Cartagine si interrompe, il sistema transmarino occidentale non muta, andando invece a rafforzarsi28. Anche in Sardegna, per tutta la prima metà del V secolo, perdurano i prodotti africani, iberici e orientali, senza soluzione di continuità, e da tempo non sussistono più i presupposti storici per affermare che la strategia Vandala abbia inciso nel sistema commerciale e produttivo del territorio29. Un unico centro, la città-porto orientale di Olbia, cresciuta sulla spinta dei suoi rapporti con Roma, sembra risentire del nuovo assetto provinciale dei commerci, anche se le conseguenze maggiori si vedranno proprio con la partenza dei Vandali 30.

Qualcosa muta nella seconda metà del V secolo, ma solo nell’origine dei beni. Si diradano le importazioni dalla penisola iberica, a favore dei prodotti orientali ma soprattutto dell’area africana, che rafforza produzione ed esportazione riconfermandosi

leader ancora per tutto il VI secolo. Le fabbriche nordafricane si rinnovano nelle

28 Panella 1986, p. 446

29 Mare sardum 2005, pp. 121-122, nota 626. Mastino 2005, p. 503 30 Pietra 2008, pp. 1766 e 1768

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari tipologie anforarie e nei vasi da mensa 31, mentre la tradizione delle produzioni da fuoco viene perpetrata dalla Late Roman Cooking Ware, erede dell’Africana da cucina, per alcuni connessa direttamente all’arrivo dei Vandali 32.

I limiti geografici e le caratteristiche dei prodotti commerciali extrainsulari, per i secoli IV-VI d.C., vanno quindi a ricostruire una rete di immissione di beni di consumo ampia e parzialmente conservativa, standardizzata con il resto dei contesti del Mediterraneo Occidentale.

Una prima contrazione su larga scala di queste correnti di merci si registra quando i Longobardi conquistano i territori dell’Italia Settentrionale, costringendo l’asse commerciale del Mediterraneo occidentale a contrarsi in direzione Sud, verso i territori controllati dai Bizantini. Per la Sardegna non cambierà molto poiché questi ultimi agiranno per il potenziamento e la salvaguardia di questi contatti, che procedono ora in senso marcatamente orizzontale, tra i centri del potere orientali, l’Africa e la parte estrema occidentale, passando sempre per le maggiori isole del Mediterraneo (Fig. 5).33

Con il successivo passaggio ai secoli VII e VIII invece, in seno a cambiamenti politici che questa volta condizioneranno anche i movimenti economici e sociali, le stratigrafie sarde, ormai altomedievali, si impoveriranno sempre più degli indicatori cronologici che li avevano finora caratterizzati. L’esclusiva commerciale africana, subisce uno stop definitivo, evento connesso alla conquista di Cartagine e del Nord Africa da parte degli Arabi alla fine del VII secolo, e alla conseguente destrutturazione di quel legame privilegiato che sempre aveva caratterizzato Africa e Sardegna 34.

Le ultime tracce di questi contatti si hanno con le forme più tarde di Sigillata Africana D, gli spatheia e le anfore Cilindriche di grandi dimensioni, che si attardano non oltre il VII secolo. Benché manchino attualmente prove archeometriche, anche le

31A partire dal IV, ma con maggiore intensità nel V secolo, l’Africa immette prodotti contenuti in nuove forme anforarie, alcune olearie di maggiori dimensioni come le cosiddette Cilindriche di grandi dimensioni, altre ineditamente piccole, come gli spàtheia più tardi, riservate invece a frutta e olive. Ad mensam 1994, pp. 389-390. Dalle stratigrafie sarde di recente acquisizione si vedano Martorelli, Mureddu 2006, pp. 127-129; Garau, Rendeli 2006, p. 1258; Delussu 2008, p. 2662; Deriu, Marras 2008, p. 1794; Rovina, Garau, Mameli 2008, p. 2682; Bassoli et alii 2010, p. 246; La Fragola 2011, p. 329. In contemporanea, si diffondono anche nuove tipologie nelle forme da mensa della Sigillata D. Panella 1986, p. 446

32 Comunissima a Cartagine, pur riprendendo alcuni aspetti formali e tecnologici è meno standardizzata dell’Africana da cucina, e meno diffusa nei territori extra-africani. Attestazioni recenti da Cagliari, Martorelli, Mureddu 2006, pp. 189-190

33 Significativo è il fatto che nei territori Longobardi, rispetto al resto del Mediterraneo occidentale, la Sigillata Africana D si dirada già a partire dalla metà del VI secolo. Panella 1986, p. 455

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari brocchette ad impasto chiaro dalla superficie tipicamente costolata sembrano riconducibili a manifatture africane, e oltre all’ambito funerario, vengono segnalate sempre più spesso anche in contesti di vita, attribuibili al pieno VII secolo35.

Fig. 5. Sardegna. VI-VII secolo d.C. Principali aree di origine dei beni di importazione

Questi manufatti da mensa, definiti appunto “brocchette bizantine”, sarebbero strettamente connessi alla presenza delle nuove élites militari nell’isola, così come la produzione locale di manufatti in ceramica grezza decorata a motivi geometrici stampigliati, diffusa in quasi tutta la Sardegna ancora nell’VIII secolo (Figg. 6-7)36.

Agli stessi anni risalgono anche le ultime importazioni di derrate dall’oriente, un’area produttiva che sopravvivrà ancora fino al IX secolo, se fosse accertata l’origine di alcuni esemplari di anfore globulari, diffuse tra VII e IX secolo, rinvenute a Cagliari37. Al di là del luogo di provenienza, la presenza di questi contenitori, per cui sono state identificate officine anche in area italica, rappresenta un dato interessante per quanto riguarda la ricostruzione dei contatti per i secoli successivi al VII.

35 Sulla produzione cfr.Spanu 1998, p.215. Recenti notizie si hanno da Santa Filitica (SS), Rovina, Garau, Mameli 2008, p. 2683 e da Cagliari, Martorelli, Mureddu 2006, pp. 180-181

36 Sulle stampigliate e sull’origine del gusto decorativo cfr. Spanu 1998, pp. 211-215, Santoni 2004, pp. 59-72 e Cara, Sangiorgi 2006, con analisi archeometriche su alcuni coperchi rinvenuti a Cagliari.Vedi infra 37 Martorelli-Mureddu 2006, pp. 134-135

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Figg. 6-7. Brocca bizantina da Pula. Collo di Dolium stampigliato dal Nuraghe Losa. (da Santoni 2004)

1.2 La ceramica grezza da fuoco in Sardegna e nel Mediterraneo Occidentale

Nell’isola, da Nord a Sud, sono numerosi, eterogenei e diffusi i contesti tardi che hanno restituito ceramica grezza da fuoco. Differenti sono gli approcci e l’approfondimento riservato al tema nei vari contributi38. Il grado di informazione va dalla semplice segnalazione della presenza nei contesti, allo studio quantitativo con pubblicazione di disegni, descrizione macroscopica degli impasti e dati cronologici. In pochi casi vi è stato anche lo studio archeometrico e l’associazione con fabbriche note. Tradurre questi dati in maniera produttiva, in modo da trarne una visione di insieme, ha richiesto uno sforzo di ricomposizione incrociata tra dati differenti, espresso attraverso le carte di diffusione. Si è così potuto tracciare lo status della ricerca e mostrare alcune problematiche significative.

In una prima carta generale sono stati indicati i siti in cui provengono ceramiche grezze da fuoco da contesti compresi tra la fine del IV e il VII secolo (Fig. 8)39. Emerge immediatamente la vasta diffusione di questa classe, e la sua presenza indiscriminata sia

38 Per la nomenclatura delle forme più note sono stati presi in considerazione i maggiori lavori di edizione di questa classe, primo fra tutti quello sui materiali tardo antichi di Cartagine, indagati dalla missione britannica e pubblicati da M.G. Fulford e D.P.S. Peacock (Fulford, Peacock 1984). Da indagini nell’isola, si fa riferimento ai contributi di F. Villedieu sugli scavi a Turris Libisonis–Porto Torres (SS), (Villedieu 1984), di D. Rovina su S. Filitica Sorso (SS), (Rovina 1998), di M. G. Fichera e M.L. Mancinelli per Cornus, (Cornus 2000), e di G. Bacco per il nuraghe Losa di Abbasanta (OR), (Bacco 1997)

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari nei centri maggiori che nelle realtà rurali. Tenendo conto della carenza di studi per certe zone dell’isola, si nota che la maggior parte delle attestazioni si trova lungo il tratto centro-settentrionale della Carales-Turris, con una notevole concentrazione nell’entroterra di Oristano e in parte nell’area attorno a Porto Torres. Diverse attestazioni si hanno poi nei centri attorno alla a Portu Tibulas-Caralis, che si fanno consistenti però solo dopo aver superato il tratto litoraneo iniziale. In Gallura infatti ci sono solo due segnalazioni, una delle quali riguarda il centro urbano principale, la città di Olbia. Nel Medio Campidano e nell’Iglesiente le attestazioni sono addirittura nulle, mentre attorno alla Barbaria, anche in centri interni come Nuoro e Orune, ci sono testimonianze dell’utilizzo di questa classe ceramica, nei contesti più vari.

Analizzando la gran quantità di dati raccolti, che come si è detto affrontano l’argomento su registri diversi, si è scelto per prima cosa di partire dagli studi che propongono, oltre allo studio archeologico, anche le analisi archeometriche. Questi provengono da Sant’Eulalia-Cagliari, Turris Libisonis-Porto Torres (SS) e Santa Filitica-Sorso (SS), a cui si aggiungono i pochi frammenti di ceramica da fuoco proveniente da Sinnai (Ca), analizzata all’interno di un vasto e diacronico lavoro di analisi archeometrica e geoarcheologica sulle produzioni fittili nel territorio.

A Cagliari, durante i lavori di scavo sotto la chiesa di Sant’Eulalia, sono stati recuperati numerosi frammenti di ceramica da cucina. Analisi di tipo minero petrografico e chimico hanno evidenziato la presenza di quattro fabbriche già identificate a Cartagine da Fulford e Peacock.40. Un altro corpus di materiali sottoposto ad analisi è quello dei coperchi decorati a stampigliatura, che hanno evidenziato per la matrice un’argilla illitico-caolinitica mista a degrassante quarzo–feldspatico e biotitico, riconducibile a rocce granitoidi, comuni nella Sardegna Sud Orientale ma anche in altre zone del Mediterraneo41.

40 Sono le fabrics 1.2, e 1.9, di tipo vulcanico, e la 1.6/7, di tipo metamorfico, per cui già allora si suppose un’origine sarda, e la fabric 1.1 o Pantellerian Ware (Fulford, Peacock 1984). Questi dati, ancora inediti, mi sono stati gentilmente comunicati dal Professor Cau Ontiveros, che ha presentato, insieme a E. Tsantini, G. Montana, S. Sangiorgi e S. Santoro un poster sull’argomento dal titolo “Late Roman Cooking Wares at Santa Eulalia (Cagliari, Sardinia): Archaeology and Archaeometry” all’Archaeology and archaeometry, International Symposium on Archaeometry, Tampa, Florida, nel 2010

41 Cara, Sangiorgi 2006. Sulla ceramica a stampigliature, vedi supra. Sicuramente il decoro ad oggi rappresenta una indicazione cronologica e culturale, ma il lavoro sull’origine delle materie prime e sull’identificazione delle fabbriche all’interno del panorama formale necessita ancora di una sistematicità che potrebbe chiarire una diversificazione più complessa delle aree produttive, magari non solo isolane

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Oltre a gettare le prime luci su questa produzione tanto diffusa al centro-sud, l’analisi da la possibilità di interrogarsi sulla reale omogeneità della produzione stampigliata, tradizionalmente definita locale. (Fig. 9)

Fig. 9. Sant’Eulalia-Cagliari. Fabbriche identificate e relative forme principali

Dall’area sacra di Bruncu Mogumu, presso Sinnai, provengono numerosi frammenti di ceramica comune e da fuoco relativi alla rifrequentazione tardo antica del sito, tra V e VI secolo. Analizzati archeometricamente, hanno mostrato essere caratterizzati prevalentemente da impasti metamorfici. I grani di roccia identificati sono stati ricondotti a metasiltiti e metarenarie locali, peraltro congruenti con materiali argillosi di alterazione prelevati durante la prospezione geoarcheologica nel territorio, che ha seguito lo studio archeometrico. Tuttavia alcuni frammenti hanno rivelato un impasto di tipo vulcanico, con rocce vulcaniche andesitiche contenute nell’argilla di base, e ricondotte ad affioramenti da aree interessate dalla serie del ciclo vulcanico calcalcalino oligo-miocenico, come il Campidano meridionale e la Marmilla.

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Non essendo specificato il rapporto forma/impasto, è comunque interessante notare come rispetto a Cagliari gli impasti metamorfici siano nettamente prevalenti, frutto di una attività artigianale diacronica propria dell’entroterra, di tradizione preistorica e perpetrata in età storica42.

I campioni esaminati a Porto Torres sono 30, coprono un arco cronologico che va dal principio del V ai primi del VII secolo, e comprendono frammenti di pentole, casseruole e coperchi realizzati con un impasto grossolano di colore arancio-bruno, con ricorrente effetto sandwich in frattura (Fig. 10)43. Le forme sono modellate a mano o al tornio lento e regolarizzate in superficie tramite steccatura o lisciatura.

Fig. 10. Turris Libisonis Porto Torres (SS). Forme analizzate e dati cronologici

I risultati, che hanno posto in evidenza l’omogeneità degli impasti, di tipo vulcanico, indicano una matrice composta da quarzo, plagioclasio e K-feldspato, calcite, muscovite e illite, ematite, magnetite, ilmenite, anatasio e rutilo. Gli inclusi, costituenti il 40-50% dell’impasto, sono singoli minerali, frammenti di roccia, microfossili e chamotte. I minerali sono angolari o subangolari e di piccole e medie dimensioni, mentre i

42 Artizzu, Cara, Manunza 2007, pp. 341-344 43 Cavazzuti et alii 2012

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari frammenti litici e la chamotte sono più grandi, arrotondati o sub arrotondati. Tra i minerali vi sono quarzo, plagioclasio, K-feldspato, pirosseno, biotite, mica, mentre i frammenti di roccia sono quarzite, roccia ipoabissale, roccia vulcanica con fenocristalli di quarzo, plagioclasio e pirosseno, vetro ignimbritico, roccia carbonatica micritica e scisto grafitico. Dal confronto con la geologia della Sardegna, risulta attendibile che le argille siano state reperite nell’Isola, non lontano dal sito di rinvenimento, e che durante la lavorazione siano stati addizionati inclusi minerali e rocciosi, e argilla cotta macinata.

Nell’insediamento rurale di S. Filitica-Sorso (SS) in stratigrafie di IV-VII secolo il materiale da fuoco ad impasto grezzo è prevalente, con un panorama formale che comprende, oltre a casseruole, olle, coperchi/testi da pane e brocche, realizzate sempre a mano o al tornio lento e rifiniti tramite steccatura, più spesso con un panno o un pennello44.I risultati delle prime analisi minero-petrografiche su 6 campioni, hanno evidenziato la presenza di due tipi di impasto. Il primo, vulcanico, comprende tra gli inclusi minerali plagioclasio zonato, quarzo, miche e feldspato alcalino, e frammenti di rocce effusive acide, accompagnate in alcuni casi da rocce di tipo andesitico, sabbie e pochi frammenti calcarei. Il secondo, che si discosta dal primo perche non è di tipo vulcanico, ha come inclusi feldspato alcalino e quarzo. Anche in questo caso sabbia e resti di microfossili fanno pensare all’aggiunta di sabbia marina 45. Successive analisi, eseguite su 14 campioni provenienti da strati di VI secolo d.C., hanno sostanzialmente confermato la preponderanza dell’impasto vulcanico nelle forme da fuoco, caratterizzato da rocce di tipo ignimbritico e andesitico usati come degrassanti e da una matrice ricca di plagioclasio e shards vetrosi. Due esemplari però, l’olla con risega interna e uno dei frammenti riconducibili alla forma Fulford 32, hanno evidenziato un impasto marnoso (Fig. 11). La presenza di fossili, insieme a plagioclasio, pirosseni, ignimbriti e andesiti è stata ricondotta alle marne langhiane che si trovano vicino al sito, e ai depositi che li circondano. Sabbia eolica, costituita da quarzo e feldspato alcalino, è stata aggiunta come degrassante. Interessante notare che alcuni laterizi del sito, analizzati archeometricamente, hanno ricondotto anch’essi ad impasti marnosi, di sicura origine locale46.

44 Rovina 1998, pp. 790-791; Garau 1999, pp. 194-199; Rovina, Garau, Mameli 2008, p. 2682; Rovina et alii 2011, pp. 247-256

45 Appendice di G. Oggiano in Rovina 1998 46 Mameli in Rovina et alii 2011, pp. 254-255

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Fig. 11. Santa Filitica-Sorso (SS). Forme analizzate archeometricamente

In rosso i frammenti con impasti marnosi (elaborazione da Rovina, Garau, Mameli, Wilkens 2011)

In entrambe le occasioni di indagine, per le ceramiche grezze di Santa Filitica l’origine delle materie prime è stata ricondotta a giacimenti localizzabili nell’immediato entroterra del sito, e la scelta delle componenti, negli impasti vulcanici, connessa ad esigenze di refrattarietà dei manufatti.

È chiaro che le poche analisi eseguite sinora in Sardegna su materiali di questo tipo non sono sufficienti a ricostruire con chiarezza il complesso sistema di prodotti che circolavano in questo periodo storico nelle cucine isolane; e la mancanza di corrispondenze con le fabbriche già note contribuisce invece a complicarne ulteriormente la comprensione. Prima di passare alla disamina delle attestazioni prive di analisi è possibile però riflettere su alcuni punti che emergono dal confronto tra i diversi lavori. La ricerca di qualità refrattarie sembra essere l’obiettivo principale della produzione, risolta con il ricorso ad impasti vulcanici per le fabbriche 1.2 e 1.9 di Fulford e Peacock note per Cagliari, a cui probabilmente afferiscono gli alcuni esemplari rispettivamente di forma Fulford 8 e 32 di Turris Libisonis e Santa Filitica. Allo stato attuale queste due fabbriche

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari sono gli unici fossili guida che garantiscono una certa corrispondenza tra impasto, forma e dati cronologici, che ci consentono di identificare nel VI secolo d.C. l’acme produttivo.

Si è già osservato nell’introduzione come sia difficile senza l’aiuto dell’archeometria attribuire con certezza un esemplare ad una fabbrica/produzione in base unicamente alla forma, poiché ci si trova in un ambito manifatturiero in cui l’esito finale risponde alla necessità e all’uso piuttosto che all’estetica, determinando anche tra produzioni disgiunte peculiarità ricorrenti, come il fondo piano e l’applicazione di prese a linguetta, oppure al contrario, ampie variazioni nelle dimensioni generali e nel profilo dell’orlo all’interno della stessa fabbrica. Tuttavia, con i primi dati emersi dalle analisi, lo studio della diffusione geografica delle forme vuole essere una base di lettura sulla circolazione del gusto formale, senza la pretesa di risolvere la realtà diffusiva di una fabbrica piuttosto che un’altra.

Le forme identificate nell’isola, come già accennato, sono tipiche della preparazione dei cibi: pentole, casseruole, tegami, olle , tutte a fondo piatto e spesso provviste di prese a linguetta sul corpo o complanari all’orlo. Sono noti anche coperchi, rare brocche e testi da pane ante litteram, anche se il rischio di confondere questi ultimi con coperchi, in presenza di soli frammenti, è elevato.

A Turris Libisonis-Porto Torres (SS), i frammenti di cui si è parlato sopra sono una minima parte dei ritrovamenti negli scavi in città. Già Guglielmo Maetzke nel 1965, negli scavi degli ipogei funerari dello Scoglio Lungo, notò la ricorrenza di alcune forme ad impasto grezzo, da lui documentate anche in altri siti della città, sempre in stratigrafie di IV e V secolo d.C.47. Una prima seriazione tipologica è quella proposta vent’anni dopo da F. Villedieu per il materiale rinvenuto negli scavi presso la Banca Nazionale del Lavoro. Distinta tre le ceramiche da cucina per la sua peculiarità di essere modellata a mano o con l’utilizzo di un tornio lento, è stata suddivisa in 39 tipi, alcuni dei quali corrispondono alle forme note a Cartagine48.

47Maetzke 1988b, p. 993

48Villedieu 1984, p. 155-165. Altre notizie da Turris provengono dagli scavi dell’edificio funerario indagato presso S. Gavino (Boninu et alii 1987, p. 21), dagli scavi nella stessa Basilica (Pani Ermini 1999, p. 384) e da Piazza Colombo (Boi 2008, p. 1810). Dal Nord Sardegna, attestazioni prive di indicazioni formali si hanno dallo stagno di Platamona (La Fragola 2011, p. 329), da Sassari (Maetzke 1988a, p.971), dal nuraghe Flumenelongu-e dalla Villa di S.Imbenia-Alghero (Caputa 1997, p. 144 e Colombi 2011, p. 219), da Su Nuraghe- Sennori (Rovina 1997, p. 130), da Ittiri (Demartis 1992.) e dalla località S. Leonardo- Ozieri (Poisson 1992, p. 235)

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Sempre nel Nord dell’Isola, nell’insediamento produttivo di Olensas, presso Ittireddu (SS), alcune olle da fuoco rinvenute nei riempimenti di tre pozzi sono messe in relazione alla produzione rinvenuta a Porto Torres negli strati di IV-V secolo d. C., in particolare le forme Villedieu 11 e 1249. In fasi di frequentazione altomedievale della

Domus de Janas 2 di Iloi-Ispiluncas, presso Sedilo (SS), tra i materiali figurano alcuni

esemplari ad impasto grezzo attribuiti ai secoli VI-VIII d.C., tra cui quella che sembra una forma Villedieu 850. Altra notizie per Sedilo, Località Su Medregu, sembrano fare riferimento ad una forma riconducibile alla Villedieu 1151.

Per la zona nord-orientale, le attestazioni di ceramica grezza sono praticamente inesistenti, probabilmente per una limitatezza negli studi e in generale nell’attenzione alle fasi tardo antiche di Olbia, l’unico centro urbano, e del suo entroterra52.

Nella Sardegna centrale il sito meglio documentato è Cornus (OR), e in particolare nei contesti tardo antichi dell’area cimiteriale orientale, dove vi erano numerosi frammenti di questa produzione. Prevalgono le forme Fulford 32 e Fulford 8, ma anche esemplari riconducibili alla Villedieu 11, e alla olla con orlo indistinto riconducibile alla forma Villedieu 1053. Presso la Cattedrale di Oristano è stata individuata una discarica extraurbana di V-VI secolo d.C. in cui una pentola ad impasto grezzo sembra riconducibile ad una Villedieu 2854. Un’analisi d’insieme meritano i ritrovamenti presso il sistema di nuraghi siti nell’entroterra di Oristano per cui sono note fasi di rifrequentazione in età romana e altomedievale. In ognuno di questi insediamenti, riutilizzati a scopo insediativo ma anche funerario, abbonda la ceramica grezza da fuoco, diffusa in maniera omogenea e sistematica, con un repertorio formale più ampio e variegato rispetto agli stessi centri urbani, e in coesistenza con altre produzioni locali coeve , come la ceramica decorata a pettine e a stampigliatura. Se per il Nuraghe Losa di Abbasanta, una disamina completa, benché priva di dati cronologici, permette di apprezzare il repertorio formale55, al Nuraghe Nuracale-Scano Montiferro56, al Nuraghe

49 Galli 1983, pp. 39 e 59-60 50 Depalmas 2000, pp. 74-75 51 Tore, Del Vais 1998, p. 168

52 Si ricordano una attestazione generica di “ceramica acroma non tornita”, associata a forme tarde di Sigillata africana D, da località Buoncammino-S. Teresa (D’Oriano 1992, p. 215) e riferimenti da Olbia (Rovina 1984, fig. 4)

53 Fichera, Mancinelli in Cornus 2000, pp. 231-276 54 Depalmas 1990, pp. 204 e 2016

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari S. Barbara- Bauladu, al Nuraghe Bau Mendula-Villaurbana, al Nuraghe Sa Jacca- Busachi, a Mari ‘e Pauli-Nurachi e al Nuraghe Cobulas di Milis57, le fasi tardoantiche sono dominate dal materiale grezzo da fuoco. Paralleli formali si hanno con le forme identificate a Cartagine (Fulford 8, 20 e 32) e a Turris Libisonis (Villedieu 9, 10, 31, 34 e 35). La forma Fulford 32 è documentata anche nel complesso di S. Lussorio a Fordongianus, mentre la Villedieu 10 è nota anche più a sud, nel Nuraghe Arva di Gesturi58. A Genoni, in una struttura nuragica con fasi insediative di età storica che arrivano al V secolo d.C. è documentata una forma riconducibile alla Villedieu 9.59.

In provincia di Nuoro si hanno solo attestazioni generiche prive di disegni, come a Nuoro e a Orune, mentre nel Sud dell’isola i dati sono pochi e riguardano quasi esclusivamente Cagliari, il centro urbano principale. Tuttavia presso Sinnai è attestata una pentola riconducibile alla Fulford 32, datata al V-VI60, e così anche a San Cromazio-Villaspeciosa, in strati tardoantichi-altomedievali61. Per Cagliari, al già citato esempio di S. Eulalia62, si possono aggiungere i contesti di V-VIII secolo d.C. indagati in Vico III Lanusei63. Oltre alle forme Fuford 8, 20 e 32 si riportano attestazioni di esemplari riconducibili alle forme Villedieu 10 e 11. Dalla quantificazione di S. Eulalia però, la ceramica da fuoco maggiormente attestata sembra essere la Pantellerian Ware, un dato che distingue la città di Cagliari dagli altri centri urbani dell’isola, poiché questa produzione risulta attestata, e con pochissimi esemplari, solo a Turris Libisonis e

Tharros64. Tuttavia chi si è occupato di questi materiali, esprime una generale riserva riguardo la carenza degli studi dedicati alle ceramiche da fuoco nella parte meridionale dell’isola, che rifletterebbe quindi una situazione non reale riguardo la sua diffusione65, e comunque ad oggi definita solo per la città capoluogo.

Le prime considerazioni che possono essere fatte osservando le carte di diffusione riguardano la cronologia di comparsa di alcune forme. La pentola Villedieu 11 per esempio, più comune nel V secolo, sembra molto rara tra VI e VII secolo, periodo in cui

56 Usai, Cossu, Dettori, 2006, p. 9 e Usai, Cossu, Dettori 2011 57 Santoni et alii 1991, pp. 961-971. Serra 1995, pp. 186-193 58 Marras 1985, p. 233

59 Campus, Guido, Leonelli, Lo Schiavo, Puddu 1997, pp. 20-21 60 Manunza (a cura di ) 2006, p. 233

61 Pianu et alii 1982-1983, tav. XII,4

62 Altri dati si trovano in Martorelli, Mureddu 2002, pp. 307-314 63 Martorelli, Mureddu (a cura di) 2006, pp. 190-195

64 Sulla Pantellerian Ware e la sua diffusione cfr. Santoro 2002 65 Sangiorgi 2005, pp. 255 e 257

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari la forma maggiormente attestata è la Fulford 32. Quest’ultima, proprio come la Fulford 8 è presente già in contesti di V, ma in misura minore rispetto al secolo successivo, e si diffonde in particolar modo nella zone centro occidentale, che potrebbe a questo punto candidarsi come area di produzione (Fig. 12).

La situazione fin qui delineata per l’isola riflette un sistema articolato, composto da centri mercato/centri di consumo che interagiscono tra loro attraverso la rete viaria. Tra questi, vi erano centri produttori che alimentavano il mercato realizzando manifatture, in base alle analisi archeometriche, con materie prime isolane. Difficile ad oggi, data l’assenza di attestazioni di forni, localizzare archeologicamente questi centri. Tuttavia, la loro presenza e organizzazione sembra un dato di fatto, e ciò lo vediamo non solo dalla diffusione capillare di alcune forme nell’isola, ma soprattutto dalla presenza di queste stesse fabbriche e forme fuori dalla Sardegna: dall’Africa alla penisola Iberica, le attestazioni sono infatti numerose.

Per la penisola italiana, dati recenti si hanno da Napoli, dove la forma Fulford 32 è presente in contesti di VII secolo66. E’ molto diffusa anche in tutto il levante ligure, dove ha raggiunto anche siti più arretrati, come il castrum bizantino di San Antonino di Perti67.

Il gruppo C.A.T.H.M.A. di Marsiglia (Céramique Antiquité Tardive Haut

Moyen-Age), occupandosi di ricostruire il quadro delle ceramiche comuni nella Francia

meridionale, nota che le Fulford 8 e 32, di supposta origine sarda, sono ben attestate in tutti i centri litoranei o in prossimità della costa, tra cui Marsiglia, Tolone e Arles, in stratigrafie di V-VI secolo d.C. Il lavoro archeometrico di M. Picon sui frammenti conferma sostanzialmente la presenza di rocce vulcaniche negli impasti, che vengono messi quindi in relazione ai materiali delle fabbriche 1.2 e 1.9 di Cartagine68.

66 Carsana 1994, p. 252 67 Murialdo 2001, p. 302

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Fi g. 12 . S arde gna . F ine de l IV -V II se co lo . D iffus ion e de lle f orm e pi ù co m uni d i c er am ic a gre zz a da fuo co

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari

Nelle isole Baleari il lavoro di M. A. Cau Ontiveros sulla identificazione delle produzioni di ceramica da fuoco ha evidenziato, accanto a materiali di origine locale, peninsulare e africana, l’arrivo delle fabbriche 1.2 e 1.9 in stratigrafie di V-VII secolo69. Sulla terraferma la forma Fulford 8 della fabbrica 1.2 è presente a Valencia70 e Tarragona71. Ricordando anche Cartagine e l’Africa, dove per la prima volta queste due fabbriche vennero caratterizzate e datate, l’ampiezza della circolazione di questi materiali si estendeva quindi ben oltre l’isola, seguendo la rete di rapporti marittimi che collegava il Mediterraneo della tarda antichità (Fig. 13).

Fig. 13. Diffusione delle forme Fulford 32 e 8 nel Mediterraneo Occidentale. Il puntino nero indica che la fabbrica è stata caratterizzata anche archeometricamente.(elab. da C.A.T.H.M.A 1991 e Cau Ontiveros M.A. 1994 )

I contatti tra Spagna, Gallia, Africa e Roma sono infatti ancora attivi nel V e VI secolo d.C., e le isole Baleari, la Corsica e l’emisfero costiero occidentale della Sardegna

69 Cau Ontiveros 1994. Cau Ontiveros 1999, p. 206. Cau Ontiveros 2003, pp. 86-87. Buxeda i Garrigòs et alii 2005, pp. 226-227. Cau Ontiveros, Tsantini, Gurt 2010, p. 198

70 Ribera i Lacomba, Rossellò Mesquida 2007, pp. 191 e 198. Rossellò Mesquida, Ribera i Lacomba, Ruiz Val 2010, fig. 2.

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Daniela Deriu, Le produzioni ceramiche da fuoco tardoantiche-altomedievali dai siti della Sardegna Settentrionale. Indagini morfologiche, cronologiche, archeometriche. Tesi di Dottorato in Archeologia, Università degli Studi di Sassari continuano ad essere i porti intermedi, ma non solo. Se diamo per certa l’origine sarda delle fabbriche 1.2., 1.6/7 e 1.9, dobbiamo quindi ripensare per l’isola ad un sistema di nuclei produttivi che operano in un’ottica rivolta alla proiezione del prodotto ben oltre la regione, supportata dai centri portuali della costa, attraverso i quali pentole e casseruole venivano inserite nei carichi e diffuse. Tuttavia l’analisi delle attestazioni nell’isola dimostra che le forme prodotte, se considerate per la maggior parte di origine regionale, sono molteplici, e le Fulford 8, 20 e 32 non rappresentano che una parte del panorama formale.

La fortuna della loro diffusione Mediterranea probabilmente risiede nelle caratteristiche dell’impasto, nella standardizzazione della forma e del trattamento superficiale, notevole soprattutto per la produzione 1.2. Questi fattori devono aver contribuito a costruire una identità del prodotto, una riconoscibilità fondamentale che ha permesso, nella eterogeneità delle varie realtà produttive sarde, il loro viaggio ben oltre l’isola.

In conclusione, ripensare ad un inedito ruolo da co-protagonista per la Sardegna, all’interno dell’immenso mercato Mediterraneo che viaggia sui grandi numeri, e che ciò sia avvenuto grazie ad una produzione poco titolata come la ceramica ad impasto grezzo, non è una riflessione priva di precedenti. E’ necessario ricordare che dal IV secolo d.C., prima dell’avvio della produzione delle fabbriche citate, nel Mediterraneo, e come si è visto anche in Sardegna, inizierà a diffondersi la ceramica da fuoco di età tardo antica prodotta a Pantelleria72. Impossibile non collegare questo fenomeno al fatto che nel VI secolo, con il calo definitivo del materiale pantesco, si collochi il picco produttivo delle fabbriche sarde. Su queste riflessioni si ritornerà in seguito, alla luce anche dei dati emersi dal materiale inedito.

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